martedì, giugno 16, 2020

Hajduk - Amburgo 3.2 1980



ALBERTO GALLETTI ci porta in un'altra GRANDE PARTITA DIMENTICATA

HAJDUK SPALATO 3-2 AMBURGO - 1980

Due squadre in cerca di un identità europea di alto livello si trovarono di fronte sulla costa dalmata, in una fredda e ventosa sera di fine inverno, a disputarsi l’accesso alla semifinale di Coppa dei Campioni 1979/80.

L’Amburgo, gigante tedesco addormentato, si era appena risvegliato.
Si trattava dell’unica squadra nella storia del calcio tedesco a non aver mai giocato al di sotto della massima categoria nazionale.
Membro fondatore della Bundesliga nel 1963, non vinceva il campionato dal 1960 quando ancora era frammentato in una miriade di gironi e fasi; ci riuscì di nuovo nel 1979.
L’elezione presidenziale del ’73 fu il punto di svolta nella storia del HSV con la vittoria, a sorpresa, del vulcanico uomo d’affari Peter Krohn che si riproponeva di riportare il glorioso club anseatico ai vertici del calcio tedesco.
Ebbe in proposito tutta una serie di trovate, inclusa una divisa rosa per attirare il pubblico femminile, ma, soprattutto, l’ingaggio del miglior giocatore inglese del momento, Kevin Keegan, nel 1977.

Grazie ai soldi arrivati dal Giappone per il contratto di sponsorizzazione con i giganti dell’industria elettronica Hitachi, Krohn riuscì a strappare Keegan alla concorrenza dei due grandi club spagnoli, che in verità titubarono troppo, offrendogli uno stipendio dieci volte superiore a quello che percepiva a Liverpool.
Quando KKK arrivò ad Amburgo trovò una squadra che veniva da un biennio vincente, il titolo di Dutschemeister continuava a sfuggire ma la squadra, già rinforzata da Krohn fin dal giorno del suo insediamento, si era aggiudicata la Coppa di Germania nel 1976 e la Coppa delle Coppe nel 1977.

La sua prima stagione fu però deludente, si adattò poco e abbastanza male alla nuova realtà.
Titolare fisso, finì spesso per essere un freno per la squadra; l’allenatore non riusciva a metterlo nelle condizioni di esprimersi al meglio e l’ Amburgo, nella Bundesliga ‘77/’78, non andrà oltre un deludente decimo posto.
Krohn, che non era tipo da riflettere troppo sugli eventi, agì d’impulso e licenziò il tecnico.
Al suo posto ingaggiò il santone croato Branko Zebec, allenatore vincente dalle grandi certezze, dai metodi spicci talvolta brutali, e una grande passione per la bottiglia e i contratti molto ben remunerati.
Zebec fece centro al primo tentativo, resuscitando tra l’atro Keegan protagonista di quella prima stagione in Germania tutt’altro che convincente.
Il club, dopo la Coppa Coppe di tre anni prima, cercava ora l’affermazione europea più grande: la Coppa dei Campioni.

Davanti a loro, ben decisi a sbarrargli la strada i campioni jugoslavi dell’Hajduk.

Le cose a Spalato andavano in maniera molto diversa rispetto ad Amburgo, e non poteva essere altrimenti.
La repubblica socialista federativa jugoslava non ammetteva certo pratiche economiche di tipo occidentale, nonostante l’ultima costituzione concessa nel ’74.
Settore giovanile più qualche buon acquisto dalla vicina Bosnia era la ricetta tipica al tempo.
A capo delle operazioni vi era Tomislav Ivic che dal ’73, quando era stato chiamato a sostituire proprio Zebec, aveva cominciato a plasmare la sua squadra. Veniva anch'egli dalle giovanili dove aveva personalmente cresciuto parecchi di quelli che saranno poi i  protagonisti di quel ciclo vincente, gente come Oblak (passato al Bayern), Muzinic, Djordjevic, Buljan (passato proprio all’Amburgo), Surjak, i gemelli Vujovic, Gudelj.
Ora, dopo due anni all’Ajax, dove aveva sostituito Michels e vinto un campionato, era tornato nella sua Spalato per completare l’opera.
Ivic era nato, vissuto e pascolato a Spalato.
Aveva lavorato in fabbrica e giocato per il RNK Spalato, la squadra degli operai e dei portuali, di gran lunga inferiore ai dirimpettai dell’ Hajduk sia per successi ottenuti che per il valore numerico del seguito, ma dalla forte connotazione identitaria locale.
Il RNK era infatti un simbolo per la comunità dei lavoratori di Spalato il cui attaccamento.
Chi vi giocava era un operaio o un portuale così come chi andava a vederli era un’operaio o un portuale. 
Abitavano gli stessi quartieri, le stesse strade, facevano la stessa vita.
I giocatori quando smettevano la tuta alla fine delle otto ore indossavano scarpe, pantaloncini e maglietta per allenarsi.
Chiaro che il legame e il grado di immedesimazione tra squadra e sostenitori fosse fortissimo.

Ivic visse questa vita negli anni ’50, fu uno di quelli che finito il turno in fabbrica andava ad allenarsi. Quando smise e cominciò ad allenare, sempre al RNK, fece sua quell’immedesimazione tra fabbrica e squadra che aveva vissuto cercando di trasfigurarla in campo.

La fabbrica era un’ unità possente. Vi erano macchinari potenti e precisi e uomini che faticavano duro e incessantemente, ripetitivamente e con responsabilità sulla propria individuale mansione per riuscire ad ottenere quello che la fabbrica chiedeva, il prodotto finale.

La trasposizione della fabbrica sul campo da calcio si traduceva  in preparazione atletica durissima per poter sopportare ritmi di gara alti o altissimi, posizioni e ruoli ben definiti con responsabilità ben definite, schemi eseguiti all’infinito per far si che poi in partita tali meccanismi funzionassero al meglio.
Il prodotto finale della fabbrica Hajduk era un calcio aggressivo, d’attacco, impostato su ritmi altissimi.
E vincente, almeno in patria.

Aggressione dell’avversario il più in alto possibile e ribaltamento del fronte d’attacco immediato, il più verticale possibile in modo da liberare il tiro quando gli avversari ancora rincorrevano.
I ruoli ben definiti e sopportati, al pari della disciplina. I compensi ai calciatori buoni ma non esorbitanti rispetto alla realtà circostante. Lo si potrebbe definire senz'altro un calcio di marcata impronta socialista.

L’Hajduk Spalato era in quegli anni un autentico squadrone, sicuramente la miglior squadra jugoslava degli anni ’70/'80, forse la migliore di sempre. Caratterizzato da uno stile di gioco molto tecnico, stile brasiliano, (jugobrasileri li definì un caro amico) anche nella struttura tattica, più 4-2-4 che 4-3-3, abbinato ad una velocità, tenuta atletica e ad una furia agonistica al tempo con pochi eguali in Europa.
Non dimenticando un 5-3-2 che si trasformava in 3-5-2 di assoluta avanguardia.

I successi in patria non erano mancati, quattro titoli nazionali nel ’71, ’74, ’75 e ’79 e cinque coppe di Jugoslavia nel ’72, ’73, ’74, ’76 e ’77 segnarono indelebilmente il calcio jugoslavo di quella decade, non solo in termini di risultati, ma anche in forza delle prestazioni offerte.

In Coppa Campioni però l’Hajudk era fermo ai supplementari di Eindhoven, nei quarti di finale del 1975/76.
In Europa comunque non era comunque mai andato oltre una semifinale, in Coppa Coppe nel ’73, eliminato dal Leeds.
Ivic era convinto che la
sua squadra fosse una delle migliori in Europa, e credeva fermamente di poter vincere la Coppa dei Campioni. Ora, davanti a lui stavano una delle squadre favorite in assoluto e la possibilità di eliminarli. L’impresa richiesta: rimontare l’ 1-0 subito nella partita di andata in Germania.
Anche per i campioni tedeschi i nomi non mancavano: Kaltz, Memering, Magath, Keegan, Hrubesch, Buljan; l’allenatore, Zebec, un ex. Ne uscì fuori un’autentico partitone.

Lo stadio Poljud è pieno imballato, 52.000 gli spettatori che trascinano la squadra con il loro caratteristico tifo infernale.

L’ Hajduk batte e si riversa in avanti grande aggressività.
C’è grande ritmo, pressing, ma anche frenesia e raddoppi sul portatore avversario a metacampo con contrasti ottimamente eseguiti. La frenesia però gioca un brutto scherzo a Primorac che sbaglia a controllare un lungo rinvio di Kaltz nel tentativo di servire Zoran Vujovic di fianco a lui.
Si inserisce Hrubesch che era scattato in avanti, ruba palla, supera Primorac che cerca di tirarlo giù e finisce a terra e poi batte un gran destro che si infila contro il palo a mezz’altezza alla destra del portiere. 1-0 per gli ospiti, sono passati solo due minuti.

L’Hajduk riprende , è una squadra compatta, pressa in modo asfissiante e gioca corto.
Riconquista palla con una certa facilità e si catapulta immediatamente in attacco: pochi tocchi, rapidi e liberare il tiro con quanti meno tocchi possibile; la possibilità di commettere errori diminuisce, condizione fisica eccellente.
Il pressing da frutti, i tedeschi faticano a contenere la spinta e commettono falli; c’è una punizione da trenta metri: tira Surjak, mezzo collo esterno, rasoterra: Kargus si butta e mette in angolo.
Sul corner Magath libera, riprende Muzinic che tira subito, Kargus stavolta vola all’incrocio e sventa; l’entusiasmo e l’incitamento dei tifosi aumentano d’intensità.
Poi Muzinic batte una punizione dal limite lato corto, triangolo di testa in velocità Cop-Surjak-Cop che di nuovo di testa serve Zlatko Vujovic fiondatosi in profondità e appena dentro l’area fa partire un gran diagonale che batte Kargus e fa 1-1.
Boato tellurico ed entusiasmo alle stelle
.

E’ tutto Hajduk adesso, lo stadio è una bolgia. L’arbitro concede un fallo agli slavi in fase difensiva, i quali, invasati, neanche si accorgono o si fermano dandosi un auto-vantaggio e spingono avanti. La palla giunge a Surjak che parte al galoppo, il pubblico, esaltato, esalta. Surjak serve Djordjevic sull’out sinistro e poi scatta all’interno. Djordjevic gli chiude il triangolone in area, Surjak entra palla al piede e punta Kaltz che lo stende: rigore!
E’ passato un minuto dal gol.

Kaltz con calma si porta al centro dell’area dove l’arbitro, fermo come un setter in ‘punta’ indica il dischetto, protesta, e probabilmente ha ragione.
Una decina di fotografi entra in campo per immortalare l’accaduto.
Dal dischetto va Primorac che si fa parare il rigore, un inizio gara disastroso per il valente terzino.
E puntuale arriva uno degli assiomi proverbiali del calcio: gol sbagliato, gol subito.
C’è subito una punizione per l’Amburgo, sul conseguente batti e ribatti di testa la palla finisce sui piedi di Hieronymus al limite dell’area; Hieronymus controlla di destro, fa un gran sombrero a Rozic e poi con la palla che scende calcia al volo di sinistro nell’angolo basso alla destra di Pudar per il 2-1.

Qualificazione molto difficile adesso, serve sempre una vittoria con due gol di scarto, ma metà primo tempo se n’è andato.
L’Hajduk non si arrende, Zlatko Vujovic crossa dall’out di sinistra la palla spiove in area, Kargus smanaccia, accorre Surjak che sulla respinta del portiere tedesco spara una splendida bordata di collo che finisce sull’esterno della rete.

Poi, Amburgo in avanti: cross di Magath, libera la difesa. La palla finisce a Surjak che lancia sulla sinistra Zlatko Vujovic, contropiede travolgente; esce Kargus che lo affronta, bene, appena dentro l’area, e lo ferma. E’ l’ultimo sussulto di un gran primo tempo.

Ripresa: Hrubesch perde palla, Djordjevic fila via e crossa, Zlatko Vujovic ci arriva appena allungando la gamba, blocca Kargus.

Incitamento del pubblico e forcing dell’Hajduk, un cross di Gudelj è deviato in corner. Lo va a battere Surjak: spiovente sul secondo palo dove salta Djordjevic che di testa infila in rete, vana la rovesciata sulla linea di Hidien, è 2-2; boato fenomenale.

E’ solo il 4’ del secondo tempo: si può fare.
L’ Hajduk va in forcing, la difesa dell’Amburgo spazza lontano senza tanti complimenti. Su un’altra azione insistita dei padroni di casa, oltre l’ora di gioco, Kaltz fatica a liberare, tre giocatori jugoslavi sono appostati appena fuori area pronti ad aggredire, recupera palla Muzinic che crossa, respinta di testa, raccoglie Surjak in posizione centrale, questi serve a destra per Krisitevic che tira in corsa, palla sulla schiena di Hidien e in calcio d’angolo. Bell’assalto non c’è che dire, tedeschi sulla difensiva.

Quindi Surjak si invola palla al piede, supera la linea mediana e si allunga troppo la palla, entra Memering in scivolata. E anche Surjak, che riconquista il possesso, si rialza e serve Djordjevic che sprinta largo a sinistra, Kaltz lo chiude in recupero.
Sull’angolo che ne consegue i difensori tedeschi chiedono a quelli davanti di tornare a dar man forte; angolo battuto sul secondo palo, saltano in tre dell’Hajduk ostacolandosi forse un po a vicenda, colpisce Primorac che mette di poco fuori.
Surjak che era infatti messo meglio dietro di lui si dispera col compagno, la folla incita instancabile.
Imposta adesso Kristievic, bel lancio in profondità per Surjak, appostato al limite dell’area, che appoggia al centro , nn c’è nessuno dei suoi.
La prende Hartwig che appoggia per Kaltz, ma sopraggiunge Djordjevic che intercetta il passaggio e tira in corsa, alto.
C’è una strepitosa fucilata di Kristicevic da trentacinque metri che va dritta all’incrocio: Kargus si butta e devia spettacolarmente sopra la traversa.

Ancora Hajduk che conquista palla a centrocampo, Salov evita un paio di avversari e serve in profondità Surjak che controlla in corsa dribblandosi un avversario, scatta verso il fondo e crossa, Kargus blocca in presa alta. Il portiere tedesco serve Keegan con le mani fuori area, l’inglese, che non ha ancora visto palla, dorme; sopraggiunge Zoran Vujovic che gli soffia la sfera e serve il fratello in area sul quale esce Kargus alla disperata.
Che Hajduk!

Altro angolo per i padroni di casa, batte Djordjevic, Kargus non la prende, il pallone lo supera ma nessuno dei due giocatori jugoslavi dietro di lui riesce a toccarla quel tanto che basta per spingerla dentro. Poi un altro tiro di Surjak esce di un paio di metri alla destra di Kargus.
Quindi Nogly batte lungo una punizione per alleggerire la pressione ma la palla torna subito nella sua metacampo. Recupera Kaltz che però la perde, gliela soffia Surjak al limite che da dentro.
Il tiro in corsa supera Kargus in uscita ma un difensore tedesco spazza a due metri dalla linea.
Incontenibili i giocatori di casa: Salov controlla sfugge a un paio di trattenute , poi alla terza l’arbitro fischia una punizione. Sullo spiovente Primorac a centro area salta splendidamente e con un gran colpo di testa batte Kargus, 3-2.
Cinque minuti e un gol per andare in semifinale.

Ultime fasi concitate, i giocatori di casa, stanchi, perdono lucidità; l’Amburgo compie un paio di sortite di alleggerimento.
Ivic in panchina si dispera.
Ultimo assalto: punizione di Maricic per Salov che dal limite tira in porta ma centra Surjak sulla schiena, sul rimpallo ne esce un altro angolo. Probabilmente l’ultimo.

Dalla bandierina va Maricic, Ivic arriva fino a lì per dargli indicazioni sul come battere e incitare quelli in mezzo; ma come spesso accade in questi frangenti Maricic sbaglia il corner, che è corto, un difensore tedesco spazza lontano e l‘arbitro fischia la fine.
Peccato, meritavano.
Il rigore sbagliato da Primorac pesa come un macigno.
E, forse, quel 4-2-4 si prestava troppo facilmente a scoprire il fianco quando si va a tutta birra. Ma un grande Hajduk.

Il pubblico, compattissimo saluta i propri beniamini con cori entusiasti e gran sventolare di bandiere, uno spettacolo.

Grande partita, il tipo di partite che si giocavano al tempo, quando gli incontri di questo livello erano degli avvenimenti, confronti tra diverse scuole calcistiche; ricchi di contenuti tecnici, atletici, persino ideologici, e anche squadre come l’Hajduk Spalato arrivavano a giocarle.

Calcio europeo al suo meglio.


L’Amburgo andrà in finale, dopo aver superato il Real Madrid in semifinale grazie ad una strepitosa rimonta, dove sarà sconfitto dall’ ultra-pragmatico Nottingham Forest.

Spalato, Stadio Poljud - 19 marzo 1980
COPPA DEI CAMPIONI – Quarti di Finale – Ritorno
Hajduk Spalato 3-2 Hamburger SV

NK Hajduk (4-2-4): Pudar; Rozic, Zoran Vujovic, Primorac, Krstievic; Muzinic, Gudelj (62’ Salov); Šurjak, Djordjevic, Zlatko Vujovic, Čop (62’ Maricic).
All. Tomislav Ivic

Hamburger SV (4-3-3): Kargus; Buljan, Kaltz, Hidien, Hieronymus (62’ Nogly); Hartwig, Memering, Magath; Keegan, Hrubesch, Milewski.
All. Branko Zebec

NOTE
Marcatori: 2’ Hrubesch (HSV), 21’ Zl. Vujovic (Haj), 24’ Hieronymus (HSV), 49’ Djordjevic (Haj), 85’ Primorac (Haj)
Arbitro: E. Dörflinger (Svizzera)
Spettatori: 52.000

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