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sabato, novembre 29, 2014

Linda Sutti - Wild skies


Foto di Gibson Girl Photography.



Linda Sutti ha alle spalle una signora carriera fatta di concerti, album (già due) e una “pericolosa” frequentazione con la musica del diavolo, il blues, da sempre al suo fianco fin dagli esordi con i Blues Trigger.
E di blues ce n’è tanto anche in questa prima esperienza ad alto livello, con la tedesca Cable Car Records. Ma è un blues perfettamente amalgamato con la classe e la raffinatezza di arrangiamenti superbi curati da Heinrik Freischlader, “anima gemella” artistica in “Wild skies” e di uno spessore compositivo che va ben al di là della classica concezione che si ha del genere.
Siamo dalla parti di Suzanne Vega, Norah Jones, Fiona Apple, Rickie Lee Jones, Michelle Shocked, Ani Di Franco ma con un piglio personale, una voce forte e sicura (e un inglese impeccabile !) e influenze che si addentrano in pop, nel 70s’ folk (“For the thrill”), rock, blues rock (l’impetuosa, cattiva, “Down on the road”), perfino reggae nell’introduttiva, splendida “Hurry”.
Un gioiello di album, prezioso, luccicante da tenere tra le cose migliori del 2014.

Per trovare visibilità hai dovuto emigrare in Germania con la tua musica.
E’ così difficile fare musica in Italia ? E quali differenze hai trovato forte del tuo recente tour in Francia e Germania ?


Per amore di esattezza, non sono dovuta emigrare, bensì ho avuto la fortuna che qualcuno temporaneamente mi venisse a prendere!
E che quel qualcuno fosse Henrik Freischlader, produttore e proprietario della Cable Car Records, un’etichetta che lavora ancora nello stile delle label americane degli anni ’50. L’artista, la sua natura artistica e personale, sono al centro della produzione, e tutto viene fatto perché ci siano le condizioni adatte all’artista per esprimersi al meglio in fase di registrazione. Sono sicura che etichette con questo spirito esistano anche in Italia. Fare musica è difficile ovunque oggigiorno, dal mio punto di vista. In giro ci sono tantissimi musicisti, alcuni dei quali sono davvero eccezionali, è difficile distinguersi.
Credo che il modo migliore per farlo sia puntare sull’onestà del lavoro, sull’amore e la dedizione totale per quello che si fa, semplicemente.
Non ho gli elementi necessari per parlare delle differenze tra Germania e Italia in fase di produzione perché il mio album precedente (“Winter in my Room”) è stato realizzato in condizioni speciali, molto diverse, molto più “familiari”, se vogliamo. Anche per quanto riguarda la dimensione live non riesco a trovare delle differenze a livello “nazionale”, ma penso che siano legate ai tipi di locali in cui ho suonato durante il supporting tour a Freischlader, club storici e venue molto più grandi rispetto ai piccoli pub a cui ero abituata, posti dove la gente va principalmente per ascoltare musica.
E’ normale, in quelle condizioni, trovare un pubblico più attento. Generalmente però, all’estero trovo un maggiore interesse per la musica come espressione artistica, le persone sembrano avere una maggiore consapevolezza di quello che ascoltano e di quello che vogliono ascoltare.

C’è uno stupendo lavoro di arrangiamento e di estrema cura in “Wild skies”.
I brani sono nati chitarra acustica e voce e sono stati poi “vestiti” dal tuo produttore Henrik Freischlader o avevi già in origine chiaro in mente il risultato finale ?


I brani che io ed Henrik ci siamo scambiati durante tutto l’anno che sta per chiudersi erano “in pigiama”: appena appena svegli, solo chitarra acustica e voce. Henrik ha scelto i vestiti giusti perché uscissero dalla mia cameretta, ma tenendo sempre in considerazione i colori, i tagli e le stoffe in cui mi sento più a mio agio.
Affidarsi alla sua sensibilità è stato naturale per me fin da subito.
L’apporto di Martin Meinschaefer, poi, è stato preziosissimo. L’intesa che si è creata in studio ci ha permesso di lavorare con naturalezza nel momento, sviluppando o cassando quelle idee che i primi demo delle canzoni ci avevano suggerito.

Tu nasci con il blues, quello più puro e classico.
Che ritroviamo in abbondanza anche in “Wild skies” ma in forma più diluita e spalmata tra tante altre influenze.
E’ una scelta ?


No, è lo specchio della evoluzione che il mio modo di scrivere ha avuto dai Blues Trigger in poi. Per la band scrivevo principalmente dei blues, ma ogni tanto qualche canzone era decisamente troppo folk o troppo pop, così la tenevo in disparte. Qualche tempo dopo, quando il loro numero è aumentato e la band si è sciolta, le ho riunite ed è nato “Winter in my Room”.
“Wild Skies” riprende alcuni brani di quell’album e propone alcuni di quelli più o meno recenti che facevano capolino dai miei quaderni.

Essere cresciuta, anche artisticamente, in una città di provincia credi abbia influenzato la tua scrittura ? E che in qualche modo il nostro Po abbia fatto le veci del Mississippi nel rivolgersi al blues ?

Credo che, più che il Po – che rimane un elemento imprescindibile nell’immaginario degli artisti emiliani – sia stata la scena musicale piacentina a influenzarmi, ma non tanto nella scrittura, quanto nel modo di vivere la musica, ovvero un elemento che non può mancare nella quotidianità, soprattutto come ascoltatrice.
Nonostante molto spesso (forse troppo spesso) ci si lamenti dell’offerta culturale locale, trovo che Piacenza e i suoi musicisti (sono davvero tanti e davvero molto validi, nella loro speciale eterogeneità) mi abbiano fatta sentire a mio agio in una piccola comunità che, più di condividere una passione, creava e crea novità, si mette in gioco, è curiosa di “vedere chi suona stasera”.
Credo che non sia facile trovare questo spirito in una città di provincia, per questo mi considero molto fortunata di essere nata e cresciuta a Piacenza.

Secondo te un linguaggio “arcaico”, antico, come il blues è ancora attuale ?

Assolutamente sì.
Anche al di là del mio gusto personale, trovo che esistano poche espressioni musicali così potenti come la progressione armonica più semplice di un blues e una sillaba appena mormorata sopra.
Non so spiegare come, per me è uno dei più grandi misteri, come facciano quei pochi elementi a dare voce in modo così preciso e allo stesso tempo universale alle molte sfumature dei sentimenti umani, sia che provengano dalla gioia più pura, che dalla estrema disperazione. Questa potenza essenziale si può sentire ora come nel blues delle origini.

Con la (propria) musica un artista italiano ci può campare?

Sì. Io nella domanda utilizzerei senza esitazioni il verbo “vivere” al posto di “campare”. Un artista – di qualsiasi nazionalità – se esprime la sua arte con onestà e ha scelto con consapevolezza di farne la fonte principale dei suoi guadagni, può dire con orgoglio di “vivere”, perché nella professione della propria arte egli ha riconosciuto se stesso e il proprio posto nel mondo. Questo per me vale per qualsiasi professione scelta nonostante le difficoltà che essa comporta, soprattutto economiche, e non solo per i musicisti o gli artisti in generale. Nessuno dovrebbe, volendo “vivere”, lasciarsi “campare”.
Quindi, se posso permettermi di riformulare la domanda, può un artista riuscire a guadagnare il minimo indispensabile per vivere una vita dignitosa? Sì, alcuni li ho conosciuti di persona; servono coraggio, determinazione, spirito di adattamento, impegno, volontà, abnegazione, in qualsiasi parte del mondo.

Pensi che come ormai da tempo continuamente pronosticato il supporto fisico (CD, vinile etc) per l'ascolto sia destinato ad essere sostituito dalla musica "liquida" (file, mp3 etc) ?

La fruizione di un mp3, è banale dirlo, è diversa da quella di un vinile, è l’esperienza che la circonda, “il rituale”, ad essere profondamente differente, non c’è nemmeno bisogno di fare esempi.
Pensando a quanto il marketing sia orientato alla vendita dell’”esperienza” di ciò che viene venduto più di ciò che viene venduto, mi sento positiva: i vari formati conviveranno ancora per molto tempo, fino a quando l’ultimo uomo sulla Terra non avrà dimenticato completamente come si fa a mettere un disco su un piatto, a posizionare il braccio e a far scendere la puntina.

La band ideale con cui ti piacerebbe suonare (valgono anche i defunti…)

Ian Paice o Steve Copeland alla batteria, Ares Tavolazzi o Henrik Freischlader al basso, Rhoda Scott alle tastiere ed Henrik Freischlader alla chitarra elettrica.

L'inevitabile lista di dischi da portare sull'isola deserta

Ne ho tre, sono troppi? “Tapestry”, Carole King; “Harvest”, Neil Young, “West Side Soul”, Magic Sam. Ma solo con il primo sarei contenta.

sabato, ottobre 18, 2014

Intervista a Stefano Marelli



Altri Cantautori è una rubrica che si occupa di andare a pescare nel cantautorato italiano meno conosciuto, cercando di scoprire nomi di valore e di sicuro interesse, attraverso i loro nuovi dischi e le loro parole.

Le precedenti puntate qui
:
http://tonyface.blogspot.it/search/label/Altri%20Cantautori

Articolo e intervista a cura di Cortez (Andrea Bernini)

"Facile o Felice" (Orange Home Records) è il disco d'esordio del cantautore genovese Stefano Marelli, musicista e architetto diventato vignaiolo. È un disco d'autore che merita attenzione, ricco nei suoni, ironico e malinconico nei testi, leggero e profondo all'ascolto. Frutto della lunga carriera di musicista e di un equilibrio maturato tra il lavoro di viticoltore, la famiglia è il palco. Stefano Marelli si è fatto conoscere nell'ambiente della canzone d'autore partecipando a rassegne importanti, dal "Premio Stefano Rosso" al "Premio Bindi", è stato vincitore della rassegna "La mia Valle" dell'Isola in Collina a Ricaldone (AL), paese dove è cresciuto e sepolto Luigi Tenco.
Il suo disco è in concorso nella selezione di giovani cantautori che si esibiranno sul palco del Club Tenco.

Stefano, la tua carriera di musicista è segnata dall'esperienza con i FINISTERRE, gruppo di rock progressive, un sodalizio decennale, quattro album in studio, apprezzamenti di pubblico e critica, tour in Italia e all'estero. Come spieghi il tuo ritorno alle origini, alla canzone d'autore?

I Finisterre sono stati la famiglia, la mia educazione sentimentale in musica; il luogo in cui ho imparato a relazionarmi con altri musicisti, le salette prova, i concertini in birreria; poi gli studi di registrazione, il concetto di arrangiamento, i live in Italia e nel mondo, le aperture a Le Orme, il Banco del Mutuo Soccorso, Steve Hackett, Peter Hammill.

Stefano Marelli cantautore nasce prima, proprio in senso cronologico: con un'esibizione alla Festa Provinciale dell'Unità di Genova, ancora imberbe, su un palco pomeridiano. 20 minuti a disposizione, con una chitarra 12 corde in prestito e un'armonica a bocca al collo suono due pezzi miei e una Blowin' In The Wind immessa proditoriamente in filodiffusione in tutti gli stand della Festa.
Poi l'incontro col donchisciottesco Circolo Arte e Musica (poi Circolo dei Cantautori), laboratorio con tentativi di collettivismo che ha allevato alcuni talenti significativi, con Max Manfredi come fratello maggiore.


Per anni le due esperienze hanno convissuto di pari passo; poi i Finisterre hanno attraversato un periodo di stanca, nel frattempo in me si faceva pressante il bisogno di metterci la faccia, portare alle estreme conseguenze alcune idee musicali e testuali.
Registrato un primo demo, ho iniziato a propormi sui palchi dei concorsi rivolti ai cantautori; e mi sono trovato a casa, anche incoraggiato dai risultati ottenuti.
Ad un certo punto è stato come scoprire in me un territorio inesplorato, la febbre del cercatore d'oro mi ha spinto a continuare – senza dimenticare il mio essere anche chitarrista, il che mi fa vivere con responsabilità il ruolo di chitarrista del MIO progetto.

"Facile o Felice", il tuo disco d'esordio solista, è un lavoro ricco di sonorità con arrangiamenti colti e raffinati, è un disco maturo.
Come nasce e cosa racconta
?

Facile o Felice nasce vivendo, pescando ciò che è sedimentato, tutto quello che lascia una traccia, anche il frammento di un dialogo irrisolto, una riflessione esistenziale mai avulsa dal fatto incontestabile che abbiamo un corpo e tutti i giorni facciamo i conti con la forza di gravità. Nasce guardando le persone che amo, le case che ho abitato, i lavori che ho svolto.
Gli arrangiamenti, la maturità che ci trovi sono frutto da una parte di un percorso e di tanti live macinati in giro per l'Italia e non solo; dall'altra di un lavoro davvero artigianale, di cura del suono in tutto il suo percorso, dalla scelta di musicisti di grande valore e sensibilità (non ne cito uno perché dovrei citarli tutti...) all'uso di strumenti veri come il Fender Rhodes, il pianoforte a coda, tante chitarre acustiche ed elettriche, basso e batteria mai campionati ma sempre suonati dall'inizio alla fine di ogni brano, oltre ad alcune chicche come la sezione di archi, la tromba, il flicorno, l'oboe; tassello altrettanto importante è stato la scelta di lavorare con Raffaele Abbate di OrangeHomeRecords, sia come fonico che come co-produttore: abbiamo registrato “all'antica”, dedicando molta cura alla giusta microfonazione e (in alcuni casi) a catturare il suono d'ambiente, l'aria intorno agli strumenti; l'obiettivo era di arrivare all'editing con un suono già molto buono, su cui intervenire pochissimo in post-produzione.

Mi ricordo quando con la chitarra classica, elettrificata da un pick-up collegato al mio stereo, suonavi canzoni di Battisti, Bennato, De Gregori. Dalla musica per giradischi si è passati alla musica per pc o iPod, quanto ha influito sull'arte di scrivere canzoni?

Che ricordo sei andato a ripescare... ti stupirò rispondendoti che non ho (e non ho mai posseduto) un iPod, mentre il Mac è diventato uno strumento prezioso come ausilio alla composizione (anche se lo uso sostanzialmente come un registratore multitraccia per appuntare degli abbozzi di arrangiamento).
Ausilio perché tutto continua ad avere origine da un taccuino e una penna. La musica si scrive in testa, a volte già bella e arrangiata con tutti gli strumenti che solo io sento... hai presente la scena di “Amadeus” dove Mozart detta a Salieri le parti del Requiem eseguite dalle varie sezioni che lui sente suonare dentro di sé? Ecco, non per fare paragoni azzardati, ma a volte succede proprio così.
Comunque “Musica per giradischi” potrebbe essere un bel titolo per un disco!

Chi ti ha influenzato maggiormente tra i grandi della canzone d'autore?

Ivano Fossati per aver sposato rock e canzone d'autore ad un livello insuperato (prima di trasferirsi in atmosfere più raffinate); Ivan Graziani con la sua estetica della provincia e l'amore viscerale per la chitarra; Fabrizio De André sempre un passo avanti agli altri, sopraffino cesellatore di testi capace di reinventarsi e di scegliere le collaborazioni “giuste” (New Trolls, PFM, Mauro Pagani tanto per fare qualche nome) da grande regista della musica; Franco Battiato, o dell'eclettismo; Eugenio Finardi per il canto meraviglioso e il suo essere stato una voce critica, ma appassionata, del movimento del '77 in Italia; Edoardo Bennato primo amore, voce chitarra armonica e ironia tagliente; Francesco De Gregori che cito per ammirazione (anche se credo che la sua influenza sulla mia scrittura sia invisibile) in quanto faccio fatica a trovare, nella sua sterminata produzione, un lavoro mal riuscito... persino nei vituperati anni '80! Piero Ciampi per la carnalità dolente e “vera” delle sue canzoni. Luigi Tenco perché senza di lui probabilmente non saremmo qui a parlare di canzone d'autore.

In una ipotetica isola deserta quali dischi essenziali porteresti con te?

La cosa più interessante è che non mi vengano posti limiti numerici... sai, mi ero preparato a qualcosa di analogo a quel che succede a Rob, il protagonista di Alta Fedeltà quando deve stilare la sua classifica dei cinque dischi preferiti di tutti i tempi!
Comunque sicuramente ci sono Revolver (The Beatles), Sgt. Pepper Lonely Heart's Club Band (The Beatles), The Köln Concert (Keith Jarrett), In The Court Of The Crimson King (The King Crimson), Grace (Jeff Buckley), Non Al Denaro Non all'Amore Né Al Cielo (Fabrizio De André), Anime Salve (Fabrizio De André con Ivano Fossati), Moon Safari (Air), Selling England By The Pound (Genesis), Pink Moon (Nick Drake), Histoire De Melody Nelson (Serge Gainsbourg), Ok Computer (Radiohead), Desire (Bob Dylan), Le Variazioni Goldberg (Bach interpretato da Glenn Gould), So (Peter Gabriel), Out Of Time (R.E.M.), Atom Heart Mother (Pink Floyd), Jesus Christ Superstar (Andrew Lloyd Webber e Tim Rice), October (U2), The Joshua Tree (U2). Non c'è un ordine, sono venuti fuori così.

www.stefanomarelli.it
www.orangehomerecords.com

sabato, ottobre 04, 2014

Intervista ai Nana Bang!



I Nana Bang arrivano da Brescia, sono solo in due, ma in grado di produrre un wall of sound tribale e primitivo , potente e granitico come pochi.
Alle spalle un solido background di blues, psichedelia, country, ruvido rock n roll che porta a momentanei flashback di grande efficacia.
A tratti ci senti Bo Diddley, poi i primi Rolling Stones, i Black Keys, i Violent Femmes, melodie beatlesiane, o quelle lisergiche dei Pink Floyd di Syd Barrett e finire per creare un amalgama originalissimo, vitale, elettrizzante che si avvale anche di un tono (auto) ironico e leggero che rende l’ascolto ancora più godibile.


www.volumeup.it
www.facebook/nanabang1

Rispondono Andrea Fusari e Beppe Mondini

1
C’è un approccio molto tribale, minimale e diretto nel vostro sound, quasi una specie di blues rivisto in chiave molto moderna. E’ una scelta ponderata o spontanea ?


A: Entrambe le cose. Ti posso fare un esempio geografico: esci dalla città e te ne vai nel deserto. Hai solo roccia, cielo luce ed ombra a disposizione.
Allo stesso modo esiste la volontà, ma anche l’esigenza, di portare il discorso musicale ad un livello di essenzialità, e quindi di primitività. Una volta in quei dintorni, scavi e o trovi le radici, oppure ti disidrati. Il blues è radice e matrice.
Quel che ne esce è spontanea incoscienza, può bastare un tamburo ed una voce.

2
Le canzoni di “In a nutshell” sono spesso influenzate da atmosfere di chiara derivazione 60’s. Quali sono in generale i gruppi a cui fate maggiormente riferimento ?


A: Siamo sicuramente influenzati da ciò che abbiamo ascoltato, ma i primissimi ascolti qualunque essi siano, sono determinanti nelle formazione musicale di chiunque.
Credo ci sia un processo chimico per cui le frequenze musicali di un dato periodo si possano fondere nel DNA in una fase precognitiva o addirittura prenatale. Un po’ come la contaminazione di radiazioni o raggi gamma che producono un super eroe. Se poi il dato periodo sono gli anni 60, l’esposizione diviene particolarmente intensa per l’ampio spettro di contaminazione.
Ma nel processo creativo esiste un confine oltre il quale lo sguardo non è rivolto all’esterno ma all’interno, perché la canzone che stai cercando la troverai solamente lì, e in quel posto i riferimenti sono diversi. Quel che ne esce può essere sorprendente o inquietante in primo luogo proprio per te stesso.

3
La versione in studio dei Nana Bang differisce da quella live ? Siete sempre in due o si aggiunge qualche altro componente ?


B: Per il live restiamo in 2, l'approccio live è sempre un pò diverso, c'è anche una parte di improvvisazione non voluta.

A: La versione studio quasi coincide con quella live. Si crea una certa intesa empatica, siamo solo in due là dentro o là fuori, e abbiamo evitato di aggiungere troppi suoni in fase di registrazione. Nel live Beppe è in grado di tenere il ritmo delle percussioni e quando necessario contemporaneamente usare una tastiera e, mi pare, mugolare, mentre io canto ed uso le corde. Quando vedi il live, capisci realmente la band. Siamo una band fisica.

4
E’ possibile vivere della propria musica in un panorama come quello italiano ?
Voi avete previsto di promuovere e suonare anche all’estero, nel limite del possibile ?


B: Si, si può vivere di musica, però bisogna lavorare 8 ore al giorno ed essere molto "versatili". Le situazioni tecniche che troviamo in giro sono penose, ma noi abbiamo un formato abbastanza portatile che scavalca questa drammatica situazione audio.

A: Comunque non esclusivamente della propria musica, non qui e non adesso. E non con un atteggiamento nei confronti della musica che la vede come sottoprodotto commerciale rispetto ad arte e cultura.
Per l’estero, si, certamente.
I pezzi si prestano naturalmente ad un ascolto internazionale, per comunione della matrice, più che per l’idioma stesso.

5
Oggi i “dischi” si scaricano gratuitamente, addirittura qualcuno te li infila di forza nel telefono e nel tuo iTunes.
Ha ancora un futuro il supporto fisico in ambito discografico ?


B: Il supporto fisico garantisce la qualità e il valore del prodotto. Il supporto digitale non vale niente in termini economici. Non ho mai acquistato in digitale, mi sembra di comperare aria fritta, il digitale occupa poco spazio ma dà poca soddisfazione.
Si, la fisicità del prodotto ha ancora senso, io sento il bisogno di cose reali, non finte.

A: Il supporto sta diventando da solido a liquido. Il problema del futuro è la quantità, non lo stato. E di Tempo. Uh! Sembra una lezione di Fisica.

6
Giusto per giocare: chi fareste entrare nella vostra band, scegliendo dall’intera storia del rock (valgono anche i defunti...)


B: A noi potrebbe servire un solista tipo Eric Dolphy o un bassista, tipo Charles Mingus. Ma forse per divertirci servono Jimi Hendrix e Giò Ferrario.

A: Si, o lui o Frank Zappa. Polistrumentista, compositore, arrangiatore, produttore, e con una buona apertura musicale.

7
Una lista di dischi da portare sulla solita isola deserta


B:
A Short Apnea "ILLUOGODELLATRAGEDIA"
Billie Holiday & Lester Young "Lady day e Prez"
Claude Debussy "Preloudes pour piano Book 1"
Fuzz Orchestra "Comunicato N°2"
Igor Stravinsky "Le Sacre du Primtemps"
Eric Dolphy "Out to Lunch"
Melt Banana " Cactuses come in Flocks"
Ornette Coleman "The Shape of Jazz to Come"
Per Ubu "The Modern Dance"
Refused "The Shape of Punk to come"
Tony Scott "Music For Zen Meditation"
Zu "Igneo"

A:
VVAA –The Chess Story
VVAA – The Complete Stax Volt Singles 1959-1968
VVAA – Songs in the key of Z
VVAA - That Summer! Soundtrack
VVAA - Nuggets
VVAA Tibetan Chants
VVAA – Luaka Bop

sabato, settembre 20, 2014

Intervista a Maddalena Conni



Altri Cantautori è una rubrica che si occupa di andare a pescare nel cantautorato italiano meno conosciuto, cercando di scoprire nomi di valore e di sicuro interesse, attraverso i loro nuovi dischi e le loro parole.

Le precedenti puntate qui:
http://tonyface.blogspot.it/search/label/Altri%20Cantautori

Maddalena Conni è una giovane cantautrice piacentina con alle spalle una già lunga carriera ma che ha soprattutto un futuro splendente in arrivo. Da conoscere ed apprezzare, non ve ne pentirete.

https://www.facebook.com/maddalena.conni

https://www.youtube.com/watch?v=PZhntcu6Zd0

Il tuo album “Sto sempre in casa come Mina”, oltre ad avere un titolo geniale, è un insieme molto eterogeneo di influenze tra country, blues, indie rock, soul, addirittura reggae e grunge.
Sei ancora su queste coordinate o hai svoltato altrove artisticamente ?


Prima di tutto grazie per avermi posto queste domande!Il nuovo progetto mantiene piu' o meno le sonorita' del lavoro precedente. Le influenze sono sempre mischiate . Mi piace !! Il fatto di non rinchiudermi in un genere netto mi fa sentire piu' libera:)

Dopo l’album (del 2010) hai inciso altre cose oltre a continuare l’attività live ? So che è in preparazione il nuovo lavoro “Il morso dell’orata”.

dopo il progetto del 2010 ho iniziato a scrivere altri pezzi .. Sia in italiano che in in inglese .. Pezzi che sto tutt'ora completando .. Per quanto riguarda "il morso dell'orata" ci vorra' ancora un po' di pazienza.. La fretta mi ha sempre rovinato tutto.. ma continuo comunque l'attivita' live con i pezzi vecchi ai quali aggiungo sempre qualche cover "a modo mio" .. In arrivo anche nuove covers in italiano..!!

Quali sono le principali fonti di ispirazione della tua musica e dei tuoi testi ?
Come componi abitualmente ? Parti dalla musica o dai testi ?


.ascolto sempre tanta musica .. Di tutto davvero.. Iniziando da Elvis.. I beatles... Police... Queen.. Johnny Cash.. Aretha Franklin.. Ma anche Ben harper.. tori Amos.. lenny kravitz.. Regina Spektor.. Kaki king .. Ma dovrei davvero stare qui ore ed ore...Stili e periodi differenti.. Mi piace individuare il bello in ogni genere..non ho un metodo nel comporre.. Deve innanzitutto arrivare l'idea.. A volte e' un motivetto.. Altre una frase..

Essere artista donna ti ha in qualche modo creato difficoltà ?
Esiste ancora qualche forma di maschilismo nell’ambiente musicale italiano ?


Io non lo so se essere donna mi penalizza o mi agevola.. Voglio sperare che ci sia una parita ' almeno in questo ambito.. Abbiamo esempi di cantanti e cantantesse famosissimi..e penso che la premessa e' che fare musica da Dio e' difficile per tutti quanti.. Donna o uomo che tu sia.. Detto questo.. A volte ho riscontrato pregiudizi .. Ma me ne frego e vado avanti perche' non vale la pena ascoltare ignoranti.. Il talento non e' uomo e non e ' donna. E' talento.

Ce la si può fare a “vivere di musica” da noi ?

no. Decisamente difficile campare di musica da noi. Troppa burocrazia e troppe finte regole da rispettare. Troppa poca liberta' .. Anche.. Per dire una cosa banale.. Non poter essere liberodi suonare per strada senza fare 1500 richieste..tutti dicono che amano la musica .. Ma non sotto a casa loro!! Anche se i rumori..
A mio avviso.. Sono altri.. E i decibel da rispettare sono ridicoli.. Si potrebbe fare molto .. Anche smettere di pretendere cover e pianobar.. Senza nulla togliere.. Ma cercare di stimolare la creativita'.... Discorsi lunghi questi... Ci vorrebbero giorni

La classica lista di dischi da portare sull’isola deserta

La lista dei dischi mi manda in supercrisi.. Ne ho troppi Tony!!:) forse penso che porterei la chitarra direttamente..
Che poi tanto sull'isola non ho lo stereo:) grazie ancora per l'attenzione che mi hai dedicato!! Stay tuned:)

sabato, luglio 19, 2014

Intervista a Pier Adduce - Guignol



Altri Cantautori è una rubrica che si occupa di andare a pescare nel cantautorato italiano meno conosciuto, cercando di scoprire nomi di valore e di sicuro interesse, attraverso i loro nuovi dischi e le loro parole.

Le precedenti puntate qui:
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1)
Guignol nasce e vive da sempre (dal 1999) come entità di gruppo anche se il punto di riferimento sei sempre stato tu. E’ eccessivo definirlo una sorta di tuo progetto solista mascherato da gruppo ?


Attualmente, più che in passato, le cose stanno grosso modo così.
In precedenza c'era un nucleo di gruppo che bene o male reggeva il progetto e lo animava, fermo restando che il il traino e l'ispiratore principale, anche allora, ero io.

2)
La vostra discografia è piuttosto ponderosa (sette dischi).
Quanto serve al giorno d’oggi per una band “indipendente” incidere un album ?
Servono ancora ? E secondo te siamo destinati ad ascoltare solo musica “liquida” o il supporto discografico (qualunque esso sia) resisterà ?


Sono cinque album e due Ep per l'esattezza.
Personalmente l'oggetto disco ancora mi affascina, sarà per un fatto generazionale o per feticismo, ma l'insieme del supporto con la grafica per me ha ancora una rilevanza artistica importante se il lavoro è valido. Personalmente mi ci perdo ancora a leggere i booklet o i retro copertina, o l'interno di un vinile ecc...
Per il tipo di fruizione, o forse è il caso di dire, malamente, “consumo” che si fa attualmente della musica, per una band indipendente, serve unicamente in relazione al valore che i musicisti stessi danno al supporto e alla sua realizzazione, oppure, in virtù al grado di esposizione, popolarità, visibilità che essi hanno, perché è l'unico presupposto, pare, per poter vender ancora qualche copia, in genere, quasi solo in occasione dei concerti.
Non so bene a cosa siamo destinati, so che non mi piace per nulla la fruizione eccessivamente “liquida” della musica.
Nessuna demonizzazione, la rete è un'opportunità grande ma mancano i presupposti culturali, l'educazione all'ascolto, i luoghi, gli spazi, i passaggi in ambito scolastico, ecc... Così com'è pare non sia più neppure un linguaggio, una forma espressiva, ma unicamente una forma di intrattenimento che i più bulimici piegano allo schema dell' usa e getta.
Non viene percepito neppure il lavoro che c'è e può esserci dietro un progetto musicale, perché spesso non viene neppure considerato ragionevolmente e dignitosamente un lavoro, tanto meno se scarichi o ascolti quantitativi di musica tali da non avere neppure il lasso di tempo fisiologico per poterla metabolizzare un minimo...
Alla lunga prevarrà comunque, spero, per una serie di dinamiche che sono sociali, umane ed esistenziali, l' urgenza dell'espressione e dell'arte legate alla musica vissuta, suonata e ascoltata dal vivo... anche se ora vive un momento di grave difficoltà (come anche il teatro e altri linguaggi). Diversamente, azzerando anche questo tipo di manifestazioni legate all'espressione (corpo, voce, suono ecc..) o snaturandole ulteriormente, o mortificandole a favore di altre e sempre nuove esigenze tecnologiche, credo che imploderemo socialmente!
Per quello che riguarda il supporto, credo sia destinato a scomparire o a rimanere oggetto di culto per pochi, se i presupposti culturali continueranno in questa direzione suicida in cui su tutto e prima di tutto - lo dico anche retoricamente! - continueranno a prevalere sempre e solo valori legati al mercato, al consumo e allo sviluppo tecnologico.

3)
La vostra attività live è incessante, fatta di decine e decine di date ogni anno. Quanto è difficile suonare oggi in Italia, quanto è cambiato solo da 15 anni fa, dai vostri esordi e vedi margini di miglioramento in futuro ? Cosa si dovrebbe o potrebbe fare per cambiare in meglio ?


La nostra attività live è l'unica cosa che giustifica davvero questo “lavoro” e lo gratifica ancora. Rispetto agli inizi si suona di gran lunga di più, ma, comunque, nonostante gli anni, tutt'ora non sono proprio rose e fiori.
E' oggettivamente sempre più difficile. La qualità tecnica dei luoghi, la domanda di musica e l'attenzione del pubblico spesso non sono dei migliori, ci sono poi anche delle eccellenze davvero particolari, come spesso accade per le cose italiane.
I compensi poi, sono pressoché fermi da anni. Le cose stagnano e riflettono l'andamento difficile del Paese, perciò intraprendere un tour è sempre più un'avventura, che richiede attenzione, capacità di gestirsi, spirito di adattamento e una buona attitudine al sacrificio oltre che il piacere di suonare.
Rispetto a 15 anni fa c'è un clima molto più disilluso, molto più tribolato e disfattista, pensando anche solo alle difficoltà che insorgono nel gestire l'attività di un club o nell'organizzare un evento estivo o altro ancora.
Il pubblico poi, pare sempre meno disposto a muoversi per andare a cercare, curiosare e scoprire... lo fa quasi solo se è indotto verso alcune proposte ( generalmente sempre le stesse) molto ben spinte in rete e sui media secondo uno schema da scenario angusto, un po' clientelare, piccolo provinciale. Poi, come già dicevo, sopravvivono faticosamente alcune eccezioni. Non so cosa si possa fare davvero. Escludendo il contributo delle istituzioni che in questo Paese è nullo o tende tutt'al più ad “addomesticare” ogni manifestazione per meglio controllare gli individui, forse, probabilmente, tornare alle origini di tutto, alla musica vissuta e suonata nelle strade, nei mercati, nelle piazze, come una volta facevano i cantastorie, i saltimbanchi, i trovatori...
Va smontato e azzerato completamente il sistema che fin'ora ci ha portato qui' e che ormai è collassato (con le etichette discografiche) e che attualmente tenta di reggersi su questa assurda, becera, nuova deriva dei contest televisivi o il redivivo Sanremo, il conformismo che ormai allinea mainstream e scena cosiddetta indipendente, ecc...
Dovrà tornare quel senso di urgenza a ritrovarsi, incontrarsi e scontrarsi, faccia a faccia, a raccontare la vita, reale che sia o anche solo immaginaria.
Si dovrà tornare non solo a fare arte più sincera, ma a “essere” arte, a viverla.

4)
Quali sono le principali fonti di ispirazione della band ?


A titolo personale: le cose di tutti i giorni, la realtà che spesso va ben oltre l'immaginazione ma che senza immaginazione e affabulazione diventa spesso una minestra indigeribile e una sbobba improponibile.
La mia idiosincrasia verso troppe cose, l'incanto infantile verso altre, il senso del ridicolo e del paradossale di quasi tutto.
La musica e il cinema, i libri, le cene con i più sinceri amici e le commedie grottesche inscenate per sopravvivere, le nottate passate a bere, troppo. L'incanto del mattino, la magia e l'orrore del ripetersi quotidiano del tutto, la sconfitta e lo sconforto, l'alienazione e la solitudine di fondo, di tutti... quasi tutti i giorni.
La difficoltà nel stare con se stessi, il gusto per la lotta, il viaggio, il gioco, inteso come lo intendono i bambini.

5)
Un vostro album per conoscere i Guignol


L'ultimo direi “Ore Piccole” 2014.

6)
La classica lista dei dischi da isola deserta


una decina, di getto....
Velvet Underground & Nico - Velvet Underground & Nico
Berlin – Lou Reed
Songs of love and hate – Leonard Cohen
Fun house – The Stooges
Aladdin Sane – David Bowie
Soria di un impiegato – Fabrizio De Andrè
Swordfishtrombones – Tom Waits
On the beach – Neil Young
Pink moon – Nick Drake
Fire of love – Gun Club

sabato, giugno 28, 2014

Sabrina Napoleone - La parte migliore

Altri Cantautori è una rubrica che si occupa di andare a pescare nel cantautorato italiano meno conosciuto, cercando di scoprire nomi di valore e di sicuro interesse, attraverso i loro nuovi dischi e le loro parole.

Le precedenti puntate qui:
http://tonyface.blogspot.it/search/label/Altri%20Cantautori

SABRINA NAPOLEONE - La parte migliore
All’esordio sulla lunga distanza la cantautrice genovese sforna un lavoro severo, autorevole, aspro, dove l’anima che attinge dalla tradizione della canzone d’autore italiana (la Nada degli ultimi album soprattutto) si affianca sovente a quella che guarda all’estero, ad esperienze come quelle di PJ Harvey o Anna Calvi.
Frequenti le tinte noise, le ritmiche minimali con il basso protagonista e insert elettronici che talvolta spostano i toni sull’industrial wave alla Nine Inch Nails o alle esperienze figlie di CCCP e CSI.
“La parte migliore” è un disco duro e granitico ma estremamente personale e maturo.

1)
Il tuo è un album piuttosto duro che poco concede al facile ascolto.
Riflette in qualche modo la tua personalità o è una semplice scelta artistica ?


La Parte Migliore è lo specchio della mia anima null'altro.
Questa è di fatto una scelta artistica, mettersi a nudo, mettere a nudo le proprie debolezze, i propri dubbi, l'amore, la gratitudine, il rimpianto, le paure. L'incipit dell'album è un goth rap in cui immagino il giorno della mia morte e l'idea angosciosa di essere corpo inerme innanzi alla curiosità morbosa di chi mi osserva.
Un minuto e mezzo per raccontare la fine, per iniziare dalla fine.
Il tema centrale di tutto l'album è la perdita in tutte le sue sfumature, ma non direi che si tratti di un lavoro carico di pessimismo, anzi. Le tinte sono forti ma non c'è spazio per la disperazione.
Ogni perdita, privazione o rinuncia, anche quella della parte migliore delle cose, è vista come un'occasione, una nuova possibilità.
Ho composto contemporaneamente musica e parole di quasi tutti i brani dell'album, per questo ritengo che i testi e le musiche appartengano ad un unico mondo.
Un mondo con cui Giulio Gaietto che ha curato la produzione artistica è entrato in sintonia immediata. Questo vale anche per il rumore.
C'è molto noising, chitarre, synth e spesso voci...lo stesso che troveremmo nella testa di ciascuno di noi se potessimo dare volume ai nostri pensieri.

2)
Quali sono le principali fonti di ispirazione della tua musica e dei tuoi testi ?


Credo che tutto quello che ho ascoltato e letto abbia lasciato un segno.
Direi che in questo lavoro sono emersi gli ascolti della scena wave degli anni '80 e sicuramente la lezione dei cantautori italiani. Ma non ci sono stati veri e propri modelli di riferimento diretti.

3)
Sei all’esordio discografico. Quali sono le difficoltà maggiori che trovi a suonare in giro ?
C’è ancora qualche problema che nasce dall’essere donna ?


Le difficoltà maggiori nel trovare adeguati spazi per i live sono quelle che trova chiunque proponga musica originale.
Tuttavia temo che ci sia ancora parecchio su cui lavorare sulla percezione di un progetto femminile da parte di chi organizza e da parte della critica, ma è solo questione di tempo, poi anche questa arretratezza tutta italiana verrà superata.

4)
Ce la si può fare a “vivere di musica” da noi ?


Sì certo, quasi tutti i miei musicisti vivono di musica e così moltissime persone che conosco.
Lezioni, service, fonici, produttori. C'è poi tutto un esercito di persone che vive di musica pur non facendola, questo punto meriterebbe una lunga digressione.
Ma la domanda è: quanto è difficile vivere della propria musica?
A questa domanda rispondo che è difficilissimo. Da sempre io ho un altro lavoro che mi consente di sbarcare il lunario e di investire sulla mia musica. Il paradosso è evidente: per mantenere in vita la propria arte bisogna sottrarre ad essa il tempo, le energie e le risorse creative migliori.
Diciamo che di questo parla abbondantemente la title track dell'album.

5)
La classica lista di dischi per l’isola deserta


Beh pensando di portare con me solo i dischi che hanno per me anche un forte valore affettivo...
"Post" di Bjork, "Horses" di Patti Smith, "Ipertensione" di Roberto Vecchioni, "California" di Gianna Nannini, "Le Canzoni dell'Appartamento" di Morgan, "Stateless" di Lene Lovich e poi "Mandibole" di Cristina Nicoletta, "Nella Stanza degli Specchi" di Valentina Amandolese.

venerdì, giugno 20, 2014

Kaiser(schnitt)amboss/laszlo - Viva Terror !



Altri Cantautori è una rubrica che si occupa di andare a pescare nel cantautorato italiano meno conosciuto, cercando di scoprire nomi di valore e di sicuro interesse, attraverso i loro nuovi dischi e le loro parole.

Le precedenti puntate qui:
http://tonyface.blogspot.it/search/label/Altri%20Cantautori

Improbabile riuscire a definire il mondo musicale di Kaiser(schnitt)amboss/laszlo, un mix di suggestioni vicine (PJHarvey), lontane (Bessie Smith e Robert Johnson), oscure (Nico, Carla Bley, i Birthday Party, il John Lydon tenebroso dei PIL di “Flowers of romance”), teutoniche, minacciose, rigorose e severe.
Ancora più difficile addentarsi nel mondo sul quale apre uno spiraglio l’ascolto di “Viva Terror” (album uscito alla fine del 2011 ma che sarà ristampato a breve), un territorio pericoloso, ostile, dove si corre il rischio di uscirne malconci. E’ un blues industriale, iconoclasta, malinconico e disperato, cantato con voce gutturale, secca, in cui veleggia costante un senso di Maligno, tanto spaventoso quanto affascinante.
Tra le cose più interessanti e nuove degli ultimi tempi.

https://soundcloud.com/spaceshipmngmnt/sets/ksal/s-Kdwcd

Foto: Nikka Dimroci

1)
La tua è una musica che evoca scenari minacciosi, duri e con scarsa gioia.
E’ una visione astratta o prende spunto dalla realtà (o da una tua realtà) ?


R: Quello che scrivo e suono deriva in tutto e per tutto dalla mia, personale, realtà.
Essendo musica, è chiaramente anche astrazione, sia nel senso di processo, sia nel suo significato estensivo. Suono ciò che sono, vedo e faccio.
Se percepisci il senso di minaccia, la durezza, e la scarsa gioia, in effetti questi sono i tratti distintivi del mondo che tocco direttamente, e delle persone con le quali ho a che fare.
Alla fine, avere la capacità di processare tutto questo in musica è l’unica cosa che mi abbia mai davvero salvato il culo.

2)
La matrice blues secondo me è prevalente nel tuo sound, anche se i riferimenti sono tantissimi.
E’ una musica in cui sei particolarmente coinvolta o è solo uno dei tanti ingredienti.


R: Eccome se c’è il blues.
C’è sempre stato anche quando non ne sapevo un cazzo. Era già lì nelle prime scelte che facevo. E intendimi, per blues non mi riferisco solo al “genere”.
Sto parlando di un modo-di.
E’ l’andare alla radice più profonda, alla struttura elementare, il camminare dritti col sole in faccia, e magari pure con il completo a striscioni e la palla al piede. Ascolti il blues delle origini, e leggi le storie dei loro protagonisti, e non puoi non esserne toccato. Se alla verità non ci arrivi comunque mai, loro però ci si avvicinavano parecchio.
Rubo il termine a Marc Bloch, ma ecco: erano uomini senza aggettivi, fuori da ogni personalismo, universali. Uomini con una vita ed un linguaggio “proprio e di tutti” allo stesso tempo, un linguaggio con tutta la potenza del primordiale, in cui ci si riconosce, è l’andare verso la propria “casa”, ecco.

3)
Quali sono le principali fonti di ispirazione della tua musica e dei tuoi testi ?

R: Per rubare ancora le parole ad un altro famoso, Maupassant, con il valido aiuto dell’etere, aveva detto giusto: … la musica, quell’arte strana, vaga come un sogno, esatta come l’algebra. Già per questo la musica vale lo sforzo, ed è un’ispirazione di per sé. Mette al limite il tuo cervello, il tuo cuore e il tuo fegato come nessun’altra cosa.
Se c’è del vero in quello che fai, un po’ devi farti male e un po’ devi farne. Ad ogni modo, musicalmente, mi eccita la soluzione, l’impronta cieca, quel gesto, quella sfida, quel rivolto e quell’idea che rende un brano “diverso”, lo spinge oltre.
E questo “gesto” lo puoi trovare dappertutto, lungo tutta la storia della musica.
Ti elenco l’ordine dei primi dischi che trovo qui di fianco: Chrome, Ockeghem,13th Floor Elevators, Cluster, Motőrhead, Fletcher Henderson, Alessandro Scarlatti, Killing Joke, Magma, Factrix, La Folia de la Spagna.
Appunto, non c’è nessun ordine, e quella “soluzione” puo’ fulminarti in ciascuno di questi diversissimi autori come in tanti altri.
Mi interessa trovare il segno dell’unicità, quell’impronta. Scrivo i testi direttamente in inglese, e sono le mie personali e balorde riflessioni su quello che vedo e vivo messe in musica. Essendo riflessioni, sono cose “metabolizzate”, e scatta anche l’artificio.
Quindi anche il suono e la meccanica della parola conta, alla pari col “senso” di quello che è scritto.
Sempre che lo si colga o che ci sia, perché è la mia vita e il mio immaginario, e certo non quello di qualcun altro.

4)
Pensi sia possibile in Italia vivere suonando la propria musica, senza compromessi ?

R: Bah, da quello che so io, credo di no.
E la faccenda ha molte facce. Lo stivalino non ha un’educazione all’ascolto, e d’altronde qui non c’è vera industria musicale. La musica in sé è un qualcosa che viene accolto in modo poco empatico, anzi, sembra mal tollerata, a meno che sia relegata e ben chiusa in un certo contesto, occasione e blah blah. E sempre a decibel misurato.
Perché il vociare, il traffico urbano e aereo, non so, infastidiscono forse meno. La musica dovrebbe pervadere ogni aspetto strutturale della vita, come accadeva nel Medioevo.
Ma erano altri tempi. E poi, la musica non è solo la canzone che alla fine arriva impacchettata a chi ha voglia di sentirla. E’ un lavoro duro e che ti mette a nudo, sempre, anche quando non sei pagato. E ti dico ancora bah, perché il mio lavoro e la mia disciplina sono quelli, in ogni caso, che mi paghino o no. Non so bene se per essere dei musicisti di successo qui bisogna passare da Manuel Agnelli e sembrare intelligenti o da un programma televisivo. Il fatto è che la cosa non mi interessa, e non me n’è mai fregato un cazzo di leccare il culo a nessuno.
Perché se ti devi piegare, impossessarti di un immaginario altrui, essere imitativo sin negli stivali che porti, no, non ce la farei, neanche volendo. Anche perché la posta in gioco, qui, in questo paese, non si materializza certo in potere, droga di alta qualità e soldi a cascata, sesso orgiastico appena schiocchi le dita e casa sulle colline di Hollywood.
Che può essere un inferno come un altro, va bene, ma almeno tanto, tanto più appagante.
Allora tanto vale nessun compromesso, droga per sé di medio/bassa qualità, e trovare la bellezza nella propria fogna, che non è la retorica becera dell’incompreso, ma è sentirti gigantesco perché hai scritto una canzone. Se non ti piace quello che senti, cazzi tuoi, ho molto altro da fare.

5)
Il punk (e l’hip hop successivamente) hanno annullato l’esigenza della tecnica strumentistica per poter fare un concerto o incidere un disco.
Lentamente abbiamo, secondo me, assistito ad una restaurazione in cui il minimalismo tecnico non è più ben accetto e che di fatto ha cancellato gl ieffetti della “rivoluzione” punk.
Concordi ?


R: Dici?
A questa domanda non so bene che rispondere, sono troppo isolata per dirti che accade al di fuori del mio buco.
Può darsi. Sì, la grandezza del punk, quella originaria, consisteva anche nello schiaffo al tecnicismo dei dinosauri, ma questo era il precipitato, secondo me, di qualcosa di ancora più potente. Essere soggetti unici e uguali a nessun altro con poco o niente, e come diceva Steve Jones, rendersi conto che le star dei dischi non piovevano dal cielo, ma che chiunque poteva fare qualcosa, rubando la strumentazione a David Bowie.
Ma occhio. Steve Jones è un chitarrista meraviglioso e tutt’altro che incapace. Era un ragazzino tanto difficile quanto dotato che aveva trovato la sua “formula” E una formula semplice e perfetta … Ma era molto tempo fa … Delle performance su base, che dire, non è il mio ambiente.
Del deejaismo che dire. Schiaccia il play e la gente muove il culo e in realtà non sente nulla. E’ pure una cosa strana, a guardarla dal di fuori e in modo disincantato.
Fa un po’ romanzo anti-utopico del ‘900.
Della Restaurazione di cui parli, io posso dirti questo, anche se non soddisferà la tua domanda in modo preciso. Io sono chitarrista, e da lì non mi schiodo. E per ottenere certi risultati, in un modo o nell’altro, i calli vanno alimentati, anche se per la poetica da bar questo equivarrebbe al farsi una sega. Ho bazzicato per un po’ negli ultimi due/tre anni l’ambiente di chi faceva computer music, rumoristi, e quelli dell’industrial, e quelli che fanno musica concreta, e poi l’immancabile visual … e non so, ogni volta che mi trovavo lì, mi chiedevo Ma se ti staccano la corrente col cazzo che puoi “cantare la tua canzone”.
Dov’è che stai andando? Sembrava che nessuno sapesse più suonare uno strumento, semplicemente venendoti dietro. Naaah, gli strumenti sono fighi se sono “preparati”, rovesciati, auto costruiti, e tutti a spendere fiumi di parole e ad auto incensarsi e giustificare il proprio lavoro.
Non so se sia scattata la Restaurazione, ma quello che ho visto io è tanta ossessione sul suono, e sempre meno verità nel suonare uno strumento e cantarsela, qualunque sia la tua formula. Sempre meno verità nello scrivere un brano, il che equivale a dire: Non abbiamo più nessuna canzone dal ritornello spaccaculo da cantare sotto la doccia.

6)
La solita domanda sui dischi da portare sulla solita isola deserta

R: Ti dico i tre che mi hanno aiutato in ascolto heavy rotation per assemblare Viva Terror!... che sinchè non esce il nuovo, è ancora la mia isola deserta: “Metal Box” dei Public Image Ltd, “The Boll Weevil” di Leadbelly, e “Grosses Wasser” dei Cluster. Fantastica tripletta, come un bell’acido con il botta-risposta di uno speedball sulla finire del viaggio. 

sabato, giugno 07, 2014

Alex Fornari - di tutte le ferite



Altri Cantautori è una rubrica che si occupa di andare a pescare nel cantautorato italiano meno conosciuto, cercando di scoprire nomi di valore e di sicuro interesse, attraverso i loro nuovi dischi e le loro parole.

Le precedenti puntate qui:
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Alex Fornari è all'esordio discografico ma vanta una carriera pluridecennale alle spalle, tra i primi ad esplorare gli inediti meandri del punk e della new wave alla fine degli anni '70 nell'Italia ancora inconsapevole della nuova ondata sonora (e non solo) che stava travolgendo tutto e tutti.
Prima con gli Electric Nerves a suonare punk rock poi con la new wave personale dei Pale TV, poi diventati Pale e che incideranno (tra i primi nella penisola) un singolo e l'album "Blue Agents" (recentemente ristampato) nel 1981.
L'attività live li porterà ad aprire il tour italiano dei Simple Minds nel 1983. Dopo un ultimo singolo lo scioglimento ed una lunga serie di nuovi progetti artistici fino a "di tutte le ferite", in uscita in questi giorni (e in cui sono presenti ex membri dei Pale).
Un album che conserva la matrice 70's, quella da ricercare nei dischi di Bowie (in particolare nella vocalità), Lou Reed, Roxy Music, nei primi Ultravox! di John Foxx, al servizio di un sound nervoso, crudo, essenziale che accompagna un approccio cantautorale fatto di aspre ballate ma anche di brani spediti in cui è la chitarra protagonista (vedi l'introduttiva "Apnea" che richiama i Television di "Marquee Moon"). 
Lavoro personale, interessante e destinato a rimanere ai vertici delle produzioni italiane dell'anno.

1)
Sei stato tra i primi in Italia ad operare artisticamente e non all’interno della scena punk e new wave, spesso mitizzata oltre misura, secondo me.
Io ricordo tanta energia, voglia e ingenuità ma anche difficoltà inconcepibili ai nostri giorni.


Erano tempi in cui tutto era da inventare e costruire.
Tempi complicati e difficili, dici bene. Sognavamo Londra e New York e riaprendo gli occhi ci si ritrovava qui, tra la nebbia e il niente. Una stanza dove provare era un problema, un locale dove suonare era un problema, registrare un disco quasi impossibile.
E' in quel quasi che abbiamo iniziato a spianare strade, noi e le altre band della fine 70, pionieri minorenni in territori vergini.
In "Penitenziali", il secondo album dei Pale TV inedito dal 1983 e che uscirà il prossimo autunno, c'è un pezzo con quel titolo, Pionieri, che parla proprio di quello che avevamo davanti in quel momento: i sogni, le possibilità e le battaglie che non era scontato avremmo vinto.

2)
Lasciasti l’ambiente musicale in polemica con l’industria discografica che vi voleva (come Pale) più addolciti e comunque diversi dalle vostre intenzioni.
Credi sia cambiato qualcosa da allora ?


Sono cambiate le possibilità.
E non parlo solo di molte più porte alle quali bussare, ma anche delle opportunità offerte dal web.
Oggi i Pale, molto probabilmente, avrebbero costruito una propria rete indipendente: etichetta e management per il live.
In realtà già allora tentammo quella strada, autoproducendo la seconda sessione di registrazioni di "Penitenziali", quella dalla quale uscì il singolo "Morti e Sepolti".
Ma, evidentemente, i tempi non erano ancora maturi per i veri indipendenti.

3)
Nel tuo album ho trovato molti riferimenti al rock “proto punk” quello di Lou Reed, Bowie, Roxy Music ma anche affinità con Television e il primo punk rock più “art”.
Il tutto in una veste personale e cantautorale. Quali sono le principali fonti di ispirazione di “di tutte le ferite”


Sono cresciuto ascoltando gli artisti che hai citato, ho amato Bowie fino a Scary Monsters e Lou Reed fino a Blue Mask, i primi Roxy e il primo Eno, gli Stooges, e tutto quel filone che veniva classificato come punk ma che col punk c'entrava davvero poco: Stranglers, gli Ultravox! di Foxx, Television, Patti Smith.
Successivamente ho però ascoltato anche tanto Seattle Sound e non solo, Pearl Jam, Stone Temple Pilots, Soundgarden, Queens of the Stone Age, i primi Red Hot Chili Peppers.
Non mi è facile, oggi, vedere fonti di ispirazione precise... di italiano, ad esempio, se escludiamo Battisti, ho sempre ascoltato poco.
Ho invece particolarmente amato Caetano Veloso e Silvio Rodriguez.

4)
Pensi sia possibile in Italia vivere suonando la propria musica, senza compromessi ?


Penso sia una cosa per pochi, come tutte le cose difficili e scomode, ma, sì, lo credo possibile.

5)
Una curiosità personale: hai qualche aneddoto sul tuo incontro con Iggy Pop quando venne a Parma nel 1979 e con cui passasti un po’ di tempo, giusto?


Avevo 16 anni e facevo parte del servizio d'ordine, dietro le transenne. Grazie a questo ebbi la possibilità di cenare con lui e la band e di incontrarlo la mattina dopo lo show, per dargli qualche dritta sulla città. Ricordo che si presentò in strada scalzo, cosa che mi colpì particolarmente.
Cercai di non comportarmi da fan idiota e leccaculo e così non gli chiesi nemmeno di autografare la mia copia di "New Values", che infatti rimase a casa.

6)
La tua lista di dischi per la solita, famosa, isola deserta.


Quanti ne posso portare? Vediamo, porto con me Ziggy Stardust e Aladdin Sane di Bowie, Transformer e Street Hassle di Lou Reed, il banana album dei Velvet Underground, Country Life dei Roxy Music, Here Comes the Warm Jets di Eno, il primo di Stranglers, Ultravox! e Television, Easter di Patti Smith, No Code dei Pearl Jam, Blood Sugar Sex Magic dei Red Hot Chili Peppers, Songs for the deaf dei Queens of the Stone Age, Estrangeiro di Caetano Veloso, Anima Latina di Lucio Battisti, Descartes di Silvio Rodriguez, Absolution dei Muse e Black Summer Choirs dei Kirlian Camera.
Posso prendere su anche la chitarra?

sabato, maggio 31, 2014

ALTRI CANTAUTORI - Misfatto e Gabriele Finotti



Altri Cantautori è una rubrica che si occupa di andare a pescare nel cantautorato italiano meno conosciuto, cercando di scoprire nomi di valore e di sicuro interesse, attraverso i loro nuovi dischi e le loro parole.

E’ una lunga storia quella dei Misfatto, band nata nella provincia di Piacenza alla fine degli anni 80 e passata attraverso una lunga serie di cambiamenti, sia di formazione che stilistici.
A tessere il filo conduttore del gruppo, l’anima del progetto, Gabriele Finotti, da sempre compositore e guida del complesso.
Partiti con un sound palesemente debitore al punk rock, i Misfatto si sono progressivamente evoluti (attraverso un buon numero di album) in un sound sempre più personale dove confluiscono rock classico, folate grunge e crossover (“Rosencrutz” affianca Soundgarden a Rage againtst the machine) , alcune lontane reminiscenze di avant punk (dalle parti degli Husker Du più melodici), pop dalle movenze a tratti epiche e sinfoniche.
“Heleonor Rosencrutz” (dall’elegante e curata confezione e dalla registrazione e produzione impeccabili) è ispirato dal romanzo firmato da Gabriele Finotti “La chiesa senza tetto, 35 sogni a Lisbona”, un giallo psichedelico e onirico dagli intrecci complessi, dove narrativa e poesia si uniscono in quella che sarebbe una perfetta e visionaria sceneggiatura per un appassionante film, tra misteri massonici, attualità, verità nascoste.

http://www.gabrielefinotti.it/

https://www.facebook.com/misfattoband?fref=ts

1
I Misfatto, di cui sei l’anima dal 1987, sono partiti con un sound molto essenziale e diretto talvolta vicino al punk per approdare nel corso di una lunga evoluzione a sonorità complesse e molto elaborate (che voi stessi denominate trip rock). Come è avvenuta artisticamente questa trasformazione.

I MISFATTO sono nati a suon di Ramones e Clash, ma la vena artistica negli anni si è evoluta verso un rock più anni 70, mantenendo comunque le liriche nella nostra difficile lingua italica. Siamo poi passati dalle voci vellutate del primo cantante Luigi Boledi, primi anni 90, a quelle più morbide di Alessandro Chiesa, ancora presente sul penultimo album UNDICI EROI MORTI 2011.
Ora il sound ruota attorno alla voce maschile grunge di Alberto Zucconi e alla voce femminile potente e raffinata di Melody Castellari.
In tutta questa evoluzione la mia creatività musicale ha subito delle evoluzioni attorno alle melodie delle canzoni stesse, che hanno conservato l’anima rock ed il viaggio profetico delle note(appunto Trip).
È inutile ma la musica in generale si concentra principalmente attorno alle voci e nel rock si possono creare comunque fraseggi musicali, belli o brutti che siano, che dalla nascita sono battezzati riff.

2
Tu sei un artista poliedrico che spazia dalla composizione musicale alla scrittura di libri e poesie, fino all’organizzazione di uno dei festival più longevi del nord Italia come OrzoRock (che si tiene dal 1996) e alla neonata costituzione della Orzorock Music.
Quanto è difficile operare in ambito artistico e musicale in Italia ?


Non si può dire che è facile.
Bisogna cercare di creare dei gruppi di persone che lavorano assieme, che siano band e per questo scambio date, che siano festival che collaborano fra loro almeno in promozione reciproca come stiamo facendo con Orzorock all’interno di CAROVANA dei festival, un insieme di festival e persone costituitosi nel 2013 per promuovere le proprie feste e le attività degli artisti protagonisti di queste.
Siamo gemellati infatti con Periferie (Ge) Lilith (Ge) Varigotti (Sv) Lanterne (To) Rock in Park (Legend club Milano) Eppur si muove (Isola serafini – PC) Roccalling (LT) e altri ancora.
Stanno venendo fuori buoni risultati e siamo stati già premiati al Mei di Faenza per questo.
Orzorock quest’anno sarà il 5 Luglio e avremo la prima compilation della manifestazione, Orzorock Seventeen, appunto 17 edizioni.
Comunque è tutto sempre molto difficile da realizzare.

3
Uno dei recenti album dei Misfatto, “Eleven dead horses” è stato stampato anche in vinile.
Credi che ci sia ancora spazio per la musica venduta su un supporto fisico (CD o vinile che sia) o siamo “condannati” irrimediabilmente alla musica “liquida” in mp3 ?


E' veramente dura.
Ad esempio il vinile è stata una grande soddisfazione personale, ma il giro dei vinili ruota attorno ai grandi classici o a nomi molto conosciuti.
Una risorsa per il supporto musicale fisico rimane il Live, dove la vendita diretta dopo un concerto rimane una risorsa.
Il futuro è sicuramente il web anche per le realtà più piccole e indipendenti, anche se il muro delle Major a cui vai a sbattere è ovunque, anche nella rete.

4
“Heleonor Rosencrutz” è il nuovo album dei Misfatto, i cui testi, composti da te, insieme alle musiche, condivise con altri componenti della band, sono ispirati al tuo libro “La chiesa senza tetto”.
Un progetto ad ampio respiro, ambizioso e complesso che personalmente ritengo il migliore della vostra lunga carriera.


E' un lavoro discografico completo.
La band è la migliore da quando esistono i Misfatto e tutti i componenti hanno lavorato in simbiosi, come un gruppo musicale unito e completo.
Il disco è poi vario, e grazie ai cambi di voce, di atmosfera e di crossover musicale risulta essere ascoltabile fino alla fine.
Il vero vanto infatti è di aver costruito un album secondo le più antiche tradizioni del rock, e non un insieme di canzoni accomunate solo da un titolo di copertina. I brani di Heleonor Rosencrutz si alternano nella giusta scioltezza, anche se il disco va riascoltato almeno 3 volte.
Infatti un album rock non può essere ascoltato una volta sola, poiché non sarebbe un album , ma un frullato di brani.
L’ideale poi sarebbe leggere il libro e ascoltare il disco…solo così puoi cogliere l’invisibile chiave di lettura del lungo viaggio psichedelico verso Lisbona.

5
Perchè, secondo te, il “rock” indie italiano di un certo livello, con poche eccezioni, ha un’età media che va ben oltre i 40 anni ?
Abbiamo perso una generazione ?


Questo è un argomento delicato e spinoso.
Hai ragione sembra che una generazione sia saltata, ma questo in Italia. La generazione attiva ora è quella che non ha avuto molto prima, per cui ci siamo saturati completamente. Ripeto il muro esiste e anche nell’ambiente indipendente ci sono i più influenti che tendono a collaborare poco con i più piccoli. Anche solo trovare booking disponibili a rischiare qualche data per gruppi di etichette discografiche più piccole è difficile, per cui siamo in ritardo coi tempi. Ma gli stessi politici hanno una media età molto elevata. Siamo tenuti sott’acqua e ogni tanto qualcuno prende una boccata d’aria. Si è poi perso il culto dell’ascolto, ed anche lo spostamento di interesse delle nuove generazioni verso il ballo e la musica più commerciale ha fatto inaridire l’interesse, e senza questo rimane l’indifferenza.
I Misfatto 2014 ad esempio sono un insieme di due diverse generazioni che hanno in comune la creatività compositiva, finché sarà possibile farlo e basterà ogni tanto prendere una boccata d’aria e qualche soddisfazione esisteranno…

6
Una lista di dischi che ti porteresti sulla classica isola deserta

GABY- Intanto Porterei il mio Pink Triangle su cui ascoltare dei vinili che ho già sottochiave
1.BORN TO RUN - Springsteen
2.MASTER OF PUPPETS - Metallica
3.TRUST US - Motorpsycho
4.SUPERUNKNOWN - Soundgarden
5.SIMPATHY FOR THE DEVIL Rolling Stones
6.SGT. PEPPER Beatles
7.HIGH VOLTAGE Ac-Dc
8.APPETITE FOR DISTRUCTION Guns & Roses
9.OK COMPUTER radiohead
10.NEVERMIND – Nirvana
Come 11 porterei ELEVEN DEAD HEROES dei Misfatto ….

sabato, maggio 24, 2014

ALTRI CANTAUTORI - Stefano Giaccone



Altri Cantautori è una rubrica che si occupa di andare a pescare nel cantautorato italiano meno conosciuto, cercando di scoprire nomi di valore e di sicuro interesse, attraverso i loro nuovi dischi e (talvolta) le loro parole.

Stefano Giaccone è un musicista, artista, cantautore, da sempre sulla strada, dai Franti ai Kina, Environs, Howth Castle, Orsi Lucille, La Banda di Tirofisso a mille altre esperienze anche in ambito teatrale.

Il nuovo album “Aria di festa”, in chiave prevalentemente semi acustica, mantiene la rabbiosa urgenza di sempre pur se filtrata attraverso una poetica sempre più riflessiva.
Ma le parole, i concetti, rimangono pungenti, appartenenti ad una tradizione musicale colta e profonda, quella dei Woody Guthrie, dei De Andrè, dei Phil Ochs (di cui riprende "When I'm gone", con Mario Congiu, reintitolata "E' adesso" che si affianca a "La tua storia" come miglior brano dell'album), ma che assimila elementi preziosi del cantautorato moderno, da PJ Harvey a Nick Cave a Billy Bragg.

sabato, maggio 17, 2014

ALTRI CANTAUTORI: Giancarlo Frigieri



Altri Cantautori è una rubrica che si occupa di andare a pescare nel cantautorato italiano meno conosciuto, cercando di scoprire nomi di valore e di sicuro interesse, attraverso i loro nuovi dischi e (talvolta) le loro parole.

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GIANCARLO FRIGiERI - Distacco

Frigieri non è certo un musicista di primo pelo. “Distacco” è il sesto album solista ma sono da annoverare anche un album con i grandissimi Joe Leaman e una militanza da batterista nei Julie’s Haircut.
Il nuovo album condensa al meglio l’immaginario di Giancarlo tra cantautorato “colto” (De Gregori, Guccini, Ivano Fossati) quello più rock (Enzo Maolucci) ma anche riferimenti al meglio dell’alt rock di 80’s e 90’s, dai REM ai Violent Femmes (“Gorizia”), fino alle atmsofere Loureediane di “Neve”, il avvolto tutto in una febbrile attitudine alla Billy Bragg, primo Dylan, Woody Guthrie.
I testi si integrano alla perfezione in una visione “combat” ma senza mai appiattirsi su slogan scontati o parole banali, tratteggiando un lucido ritratto di una realtà poco edificante.

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Hai alle spalle una lunga carriera. Cosa e quanto è cambiato in tutti questi anni nella scena italiana (musicisti, etichette, locali, promoters) ?

E' cambiato che i locali dove fare suonare una band sono spariti, che i soldi da tirare fuori sono sempre di meno e quindi vanno forte i cantautori.
Ho comprato due loopstation e un mare di effetti e mi sono adeguato e devo dire che si sta benissimo.

Ce la si fa a vivere di musica in Italia ?

A vivere di musica si riesce, perché c'è chi ci vive.
Io non ci riesco, quindi non so dirti come si fa. Chi conosco che ci riesce fa il turnista o dà lezioni di musica ai ragazzini. Ho notato che molti confondono "vivere di musica" con "Vivere della musica che si scrive" o addirittura con "Fare la rockstar".
Sono due cose completamente diverse.

Cosa pensi del fatto che in una situazione sociale così precaria come la nostra siano così pochi i gruppi e artisti nuovi a parlarne, in un paese in un cui la canzone “politica” ha sempre avuto terreno fertile (da Guccini a Lolli, da Area e Stormy Six all’HC e hip hop a MCR, Statuto, Assalti Frontali etc) ?

Credo che in realtà esistano canzoni che parlano della società e della nostra vita e che queste siano inevitabilmente un poco staccate dalla politica perché siamo in un periodo in cui la politica non sentiamo che ci rappresenti per niente. Io personalmente cerco di cantare di noi, di come viviamo, dalla nostra vita.
La cosa dell'abbattere la barriera tra musica e vita, come dicevano gli Area, secondo me è più viva che mai. Semplicemente oggi abbiamo capito che non è cantando "l'internazionale" a pugno chiuso che cambieremo un bel niente della nostra vita.
Inoltre credo che nessuno voglia invecchiare precocemente, cosa che con le canzoni politiche sei destinato a fare. Una canzone come "Contessa" oggi suona inevitabilmente datata, idem una canzone come "Borghesia" di Claudio Lolli, del quale invece ascolti ancora magari cose come "Viaggio" e ti ci ritrovi.
Io ad esempio ho pensato per settimane intere se fosse il caso di inserire in "Controesodo" il verso sulle feste dell'Unità, poi ho risolto mettendolo al passato e faccio ancora fatica ad essermi arreso al verso che dice "Con il comico di turno a far battute sul governo dal cui capo prende i soldi tutto l'anno", perchè mi rendo contro che tra dieci, quindici anni probabilmente uno che l'ascolterà dirà "Ma di che cazzo sta parlando qui?" e quindi l'effetto svanirà come una bolla di sapone.

Insomma, la canzone "sociale" secondo me c'è ancora. Ma è necessario che suoni autentica. Che chi canta si immedesimi in maniera verista (uso questo aggettivo proprio in quella accezione lì) nella scelta dei soggetti e dello sviluppo del tema del brano, dal punto di vista del testo.

Quali sono i tuoi principali riferimenti artistici ?

I riferimenti artistici di partenza erano sicuramente Giorgio Gaber e Bob Mould, oppure Bennato e Lou Reed. Oggi come oggi cerco cose alle quali attingere in campi diversissimi, tipo che sono due anni che ascolto quasi solo musica sinfonica e cose per le quali mia moglie ogni tanto mi odia.

Quali dei tuoi album e/o brani consiglieresti per conoscere meglio Giancarlo Frigieri

Consiglierei un brano per ogni disco in modo da venderglieli tutti e quindi direi "L'età della ragione" e "Chi ha rubato le strade ai bambini?" dai dischi omonimi.
Poi "Controesodo" da "I sonnambuli", "La polisportiva" da "Togliamoci il pensiero" e "Taglialegna" dall'ultimo "Distacco". Vedo che sono i pezzi che piacciono di più dal vivo e quindi consiglierei quelli.

I classici album da isola deserta

I dischi da isola deserta è un bel casino, visto che io ho qualcosa come 2500 dischi e non sono in un'isola deserta.
Diciamo che se questa settimana decidessi di andare in un'isola deserta per un bel po' mi porterei dietro "Tropicalia - Panis et circenses", "La sagra della primavera" di Igor Stravinskij diretta da Esa-Pekka Salonen, e poi probabilmente mi sforzerei di portarmi dietro la banana dei Velvet Underground, "Spirit of Eden" dei Talk Talk e "Libertà obbligatoria" di Giorgio Gaber.
Ma ripeto, un un posto deserto io di dischi ne voglio almeno 3000 e un migliaio che non ho mai ascoltato.
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