mercoledì, luglio 02, 2025

Suonare in USA in epoca Trump

Riprendo l'articolo che ho scritto sabato per "Alias" de "Il Manifesto" e dedicato alle problematiche sorte pèer molti gruppi per suonare negli Stati uniti dopo l'avvento di Trumpo.

Si sono recentemente verificati alcuni casi, di varia natura, in cui alcuni gruppi musicali e artisti hanno dovuto annullare tour e concerti negli Stati Uniti per problematiche legate alla concessione dei visti.
Non è del tutto chiaro se l'avvento della sciagurata amministrazione Trump sia la causa principale.
Probabilmente il cambiamento di procedure e il taglio di posti nelle istituzioni incomincia a creare qualche disagio.

Un membro di una band italiana, a cui il tour è stato annullato, riferisce:
“Di base ci ha detto un avvocato di Brooklyn che ci sono molti ritardi e che sono nel caos. Ci hanno sconsigliato di rischedulare un tour a breve perché pare che i visti vengano gestiti da un unico ufficio (motivo dei ritardi)."

Qualcosa di simile è accaduto alla band inglese degli Uk Subs, tra le più rappresentative della scena punk della prima ora.
Il cantante Charlie Harper è riuscito a entrare senza troppi problemi, al contrario del resto della band che è stata rispedita al mittente, in modo piuttosto rozzo ed energico, dopo undici ore di viaggio in aereo. Il batterista Alvin Gibbs denuncia di essere stato lasciato seduto in una stanza di detenzione "per 25 ore senza dormire e con solo un piatto di noodle e un paio di tazze di tè a sostenermi".
Si è chiesto in un post pubblico se non fosse che le sue recenti dichiarazioni poco lusinghiere su Trump potessero essere una ragione, visto che nessuno gli ha dato spiegazioni.
Concludendo che il cantante è invece passato forse perché “ha sorpreso un agente dell'immigrazione alla fine del turno desideroso di tornare a casa alla svelta”.

Nel frattempo Neil Young ha rincarato la dose "Quando vado a suonare in Europa, se parlo male di Donald Trump, potrei essere uno di quelli che tornano in America e vengono banditi o messi in prigione a dormire su un pavimento di cemento con una coperta di alluminio. E se torno dall'Europa e vengo bandito, non posso fare il mio tour negli Stati Uniti e tutti quelli che hanno comprato i biglietti non potranno venire a un mio concerto."

Si stanno nel frattempo intensificando le voci di turisti o lavoratori europei a cui viene rifiutato l'ingresso o che addirittura subiscano periodi di detenzione.
Ma soprattutto aumentano i casi di artisti che preferiscono non rischiare di investire soldi e tempo in tour americani con il rischio che tutto vada in fumo, in questo clima di incertezza.

La band indie canadese Shred Kelly ha recentemente annullato il previsto tour negli States nonostante avesse ottenuto tutta la documentazione necessaria, inclusi i visti per le esibizioni e l'iscrizione al sindacato.
"Non eravamo sicuri di attraversare il confine", ha dichiarato il tastierista Sage McBride. "Non potevamo correre il rischio". Il gruppo aveva già investito oltre 5.000 dollari canadesi nell'elaborazione e nella documentazione dei visti.

L'organizzazione no profit Tamizdat, che supporta artisti internazionali, segnala che ordini esecutivi e cambiamenti nell'applicazione delle leggi potrebbero portare a esclusioni per vaghi e imprecisati motivi di sicurezza. Negli ultimi mesi, oltre trecento visti sarebbero stati revocati, alcuni dei quali legati all'espressione politica. Una band messicana è stata respinta al confine dopo aver fatto un riferimento politico durante un concerto. "È difficile dire che vada tutto bene, perché non è così", ha dichiarato al Los Angeles Times Matthew Covey, direttore esecutivo di Tamizdat.
"Hanno ragione di preoccuparsi. Si aggiunge a un clima di tournée già difficile, un ulteriore strato di paura politica. C'è il rischio che gli artisti guardino ad altri mercati invece che agli Stati Uniti."

In realtà il problema viene da più lontano.
Già nella primavera del 2024, l'amministrazione Biden aveva aumentato del 250% il costo del visto necessario ai musicisti, non solo europei, per tenere concerti e tour negli Stati Uniti, passando da 460 a oltre 1.615 dollari per ogni domanda.
La procedura di richiesta è inoltre macchinosa e coinvolge diverse agenzie e passaggi, dalla consultazione con i sindacati, ai colloqui di persona presso i consolati. Le decisioni definitive sull'ingresso spettano ai funzionari della Dogana e della Protezione delle Frontiere, rendendo i risultati imprevedibili. Come ha dichiarato un responsabile delle prenotazioni al Los Angeles Times: "È come lanciare una moneta".

I visti richiesti sono essenzialmente due:
il primo consente di rimanere per motivi professionali fino ad un anno mentre il secondo è riservato agli artisti che dimostrino di avere “capacità straordinarie” nel campo delle arti e ha una durata fino a tre anni.

Come riferiva un articolo di JazzItalia.it:
alla richiesta bisogna allegare un questionario di venti pagine con domande che passano dallo stato di salute, alle convinzioni politiche ed eventuali soggiorni in paesi ostili (pratica in uso da lungo tempo).
In più è necessario aggiungere una documentazione di articoli di giornale, elenco di concerti tenuti, video musicali, album pubblicati, indicando itinerari e concerti da tenere negli USA con copia dei relativi contratti stipulati, attestazione di discografici e produttori per dimostrare di essere “musicisti in carriera”.
Decine di pagine di materiale per il quale bisogna attendere fino a sei mesi per una risposta. A cui, è noto, bisogna unire la stipula di un'assicurazione sanitaria (dal costo variabile da 200 a 1000 dollari al mese) che paghi eventuali spese ospedaliere che in America non vengono minimamente coperte (un ricovero al Pronto Soccorso costa 1000 dollari, una degenza ospedaliera dai 2000 ai 3000 dollari al giorno). Non dimenticando poi le tasse sui proventi maturati nel tour, costi di trasferimento, alloggio, vitto, noleggi vari, imprevisti.

La reciprocità non è invece assolutamente equa, visto che per gli americani che vengono a suonare in Italia i costi sono infinitamente più abbordabili, se non trascurabili.

Personalmente ricordo due tour che feci come batterista dei Link Quartet nei primi anni Duemila in una decina di stati americani.
L'organizzatore ci esortò a non rivelare il nostro status di musicisti (nonostante un basso e una chitarra potessero indurre a qualche sospetto) per non incorrere in problematiche con le regole sindacali, molto restrittive.
Ci andò bene entrambe le volte e non trovammo nessun problema nella quindicina di date dal Wisconsin, al Colorado, California, Oregon.
Probabilmente perché eravamo un gruppo totalmente sconosciuto.

Ma invece qualche tempo dopo un gruppo di amici partì per una serie di date in California.
Arrivati a Los Angeles furono fatti accomodare in un ufficio, venne mostrata loro una serie di volantini e ritagli di giornali e addirittura fanzines con le date previste e fatti “confessare” di essere loro i protagonisti del tour.
A risposta affermativa vennero trasferiti in un'altra ala dell'aeroporto e imbarcati (a loro spese naturalmente) e rispediti immediatamente in Italia. Il problema dunque sussiste, a monte della Trumpizzazione americana.
Che sta però portando a un ulteriore aspetto ovvero la rinuncia da parte di molti gruppi di medio/basso calibro (ovviamente i grandi nomi non hanno nessuna necessità né economica né di permessi di entrata) oltre a qualche “militante”, alle esibizioni americane.

Soprattutto quelli impegnati nelle lotte Lgbtq+ che temono discriminazioni o vessazioni, oltre a esercitare una forma di protesta nei confronti delle politiche della nuova amministrazione.

Grande è il disordine sotto il cielo ma la situazione non è né eccellente né interessante.
Semplicemente desolante.

martedì, luglio 01, 2025

UK SUBS (19.062025) / BLACK FLAG (21.06.2025)
Castle & Falcon, Balsall Heath, Birmingham

Un altro prezioso regalo dal nostro inviato speciale in quel di BIRMINGHAM, il grandissimo RAMBLIN' ERIKK (che poco tempo fa già ci aveva deliziato con la recensione del concerto dei Cocksparrer: https://tonyface.blogspot.com/2025/06/cock-sparrer-live-o2-academy-islington.html .
Questa volta doppio appuntamento con Uk Subs e Black Flag (con tanto di foto di sua mano).
Il pub Castle & Falcon di Balsall Heath a Birmingham rappresenta, da molti anni, un avamposto storico per il Punk e la musica indipendente in generale. Uno di quei locali che, visti i tempi che corrono e la gentrificazione galoppante, occorre tenersi ben stretti.
Entri, ed é come se il calendario si fosse fermato al 1983 : al tempo stesso, ci trovi anche ragazzi che a malapena hanno l' etá legale per ordinare una pinta al bancone, in un melting-pot generazionale, culturale e razziale inclusivo al massimo e dal fascino estremamente contagioso.
Questa settimana, due nomi eminenti nella storia del Punk hanno calcato il palco dell' iconico joint (peraltro, dotato di uno dei migliori impianti tecnici per la musica live in cittá):
i sempiterni UK Subs di Charlie Harper e gli iniziatori dell' Hardcore di marca Hermosa Beach, nientemeno che i Black Flag del Deus-ex-Machina Greg Ginn.

Weekend caldo, climaticamente e non solo e, poco ma sicuro, due appuntamenti che non mi sarei perso a nessun costo.
Si parte il Giovedí sera con i leggendari Subs, per quella che é stata promossa come la loro "ultima apparizione a Birmingham".
Da circa tre anni, il gruppo ha infatti annunciato un progressivo rallentamento delle attivitá: l' ottimo album "Reverse Engineering" del 2022 fu annunciato come loro ultimo atto in studio e, comparsate in festival e concerti occasionali a parte, la band avrebbe cessato di andare in tour.
Alla veneranda etá di 81 anni, Charlie Harper puó anche permettersi di iniziare a meditare la pensione, per quanto, la sensazione che ancora non abbia intenzione di appendere microfono e armonica al chiodo sia forte.
Come nel Wrestling, altra mia grande passione, é estremamente raro che artisti ormai abituati a una vita on-the-road scendano a piú miti consigli, abbandonando il richiamo irresistibile delle luci della ribalta.

E, basta dare un' occhiata a Charlie per capire che questa é la sua vita e non ha intenzione, né reale motivo di cambiarla troppo.
É al banco del merchandise, disponibilissimo e affabile come sempre, intercambiabile lattina di birra a portata di mano, ad accogliere fan di ogni etá e firmare autografi. Sembra felice e vorrei ben vedere!
Alla mia domanda se davvero questo sarebbe stato il loro ultimo show in assoluto nella "Second City", ha riso e risposto "A me lo chiedi? Era un' idea del promoter!".
Ok Chas, capita l' antifona.

Attivi da ormai quasi mezzo secolo, gli UK Sub(versive)s sono uno dei gruppi piú importanti e popolari partoriti dalla scena Punk Britannica. Approdati alla scena del Roxy nel tardo 1977, immediatamente dopo l' iniziale Big Bang del Punk Londinese, la band dell' allora giá attempato Charlie Harper (che giá vantava un solido background nella scena Rhythm 'N Blues locale dalla fine dei '60) ha approfittato dell' energia della "nuova" scena affermandosi in breve tempo come favoriti della cosiddetta "second wave", portavoci di un sound grezzo, veloce e imcompromissorio che nulla concedeva al lato piú artistoide del "Bromley Contingent" promuovendo invece un' attitidine piú stradaiola e schietta, in molti sensi anticipatrice di quello "Street-Punk" che, nel giro di pochi anni, sarebbe sfociato nel movimento "Oi".

I Subs che si presentano stasera, oltre al prim'attore Charlie, hanno in organico il bassista, co-autore storico e, a tutti gli effetti, direttore artistico Alvin Gibbs, con la band dal 1980, pur con numerosi intervalli, Stefan Häublein alla batteria e, vera sorpresa del concerto, il nuovo chitarrista Abe Inglis, una belva dal vivo che ricorda, sia nella tecnica che nelle prodezze atletiche, il suo illustre predecessore Nicky Garratt.
Partono subito in quarta con una versione assassina di "Rockers" dal primo LP " Another Kind Of Blues" (1979) ed é "instant chaos" in un locale sudatissimo e stipato oltre i legittimi limiti di capienza. Seguono, in rapida successione, "Kicks", "Police State" e "Emotional Blackmail", sparate come proiettili affilati da una band che é ormai un' entitá rodata e a prova di bomba.
Arriva anche la famosa "Down On The Farm", che tanto ha contribuito a ripinguare i conti in banca degli autori Gibbs/Harper grazie all' improbabile cover (con tanto di falso accento cockney) incisa dai Guns 'N Roses per il loro album "The Spaghetti Incident?" del 1993.
Nell' arco di 22 brani, bis completi, i Subs distillano la loro storia, veraci cartoline dal grande Pianeta Punk Britannico come la festaiola "Party In Paris", il loro primo singolo "Stranglehold", la brutale "Scum Of the Earth" ed episodi (relativamente) piú recenti come "Riot" e "Disease".
"Warhead" suona tristemente attuale, ora piú che mai, con l' America che ha appena dichiarato guerra all' Iran e una minaccia Atomica molto reale e tangibile.

E, per amaramente ironica coincidenza, gli UK Subs, a quanto pare, non sono tra i gruppi preferiti di Donald Trump, il pazzo criminale (o, in termini piú pragmatici, capitalista) artefice di questo inutile spargimento di sangue.
É infatti noto, anche a chi non frequenta il circuito Punk, che il 21 Marzo di quest' anno, a 3 quarti della band é stato negato l'accesso negli Stati Uniti (il solo Charlie Harper, grazie a chissá quale magheggio o, semplicemente, il suo innato potere persuasivo, é riuscito ad entrare e suonare a Los Angeles, come previsto, accompagnato da una band assemblata all' ultim' ora per l' occasione).
Alvin Gibbs ha descritto in dettaglio sulla sua pagina Facebook l' incubo Kafkiano di cui si é trovato protagonista (25 ore di detenzione e non una spiegazione ufficiale per il rifiuto al visto) disavventura che gli ha, comprensibilmente lasciato l' amaro in bocca inducendolo a sospettare che i suoi recenti commenti, per nulla favorevoli all' attuale presidente degli States, possano essere alle radici della debacle.

Mi sarebbe piaciuto poter scambiare una parola con Alvin in merito al fattaccio, ma non sono riuscito a incrociarlo.
In men che non si dica e con a malapena il tempo di riprendere fiato, siamo giá agli encores, "C.I.D.", "I Live In A Car", "You Don't Belong" e l' anthem "Endangered Species", ("Specie in via d' estinzione") titolo che ben esemplifica la vicenda di una band autentica, proletaria, di strada, che pur tra alti e bassi (nonché innumerevoli cambi di formazione) ha attraversato intere generazioni, portavoce del piú verace spirito Rock & Roll e tutt' oggi punto fermo e incrollabile.

In piú di un' occasione, mi preme rimarcarlo, precorrendo persino i tempi in forza di una musicianship sempre dinamica e musicisti piú raffinati di quanto non possa apparire, promuovendo un' attitudine aperta al cross-over, andando a lambire i territori piú disparati come Hardcore, Hard Rock, persino Metal, New Wave e sicuramente Rhythm N Blues, senza mai smentire il tradizionale marchio di fabbrica.

Un trionfo e uno dei migliori concerti dell' anno, fin' ora: lunga vita ai Subs!
Di altra pasta e provenienza, ma comunque accomunabile ad uno spirito affine, la proposta musicale prevista per Sabato sera. Nientemeno che la leggendaria sigla "Black Flag", come dicevo all' inizio, scomodata dal leader incontrastato, "padre-padrone" Greg Ginn per un estensivo tour di Europa e Inghilterra che presenta una formazione interamente nuova attorno al suddetto capoccia.

Notizia arrivata completamente a sorpresa, a tour giá annunciato (l' occasione sarebbe quella di celebrare l' iconica compilation "The First Four Years" uscita per la SST dello stesso Ginn nel 1983) quando chi giá aveva sborsato parte dei propri guadagni per un biglietto si aspettava l' ultima, rodatissima formazione con il rude Skater Mike Vallely alla voce.
Subito, sono scoppiate le polemiche, corroborate dalla diffusione su social media di una foto raffigurante l' ultimissima incarnazione della "Bandiera Nera" : tre imberbi pischelli che, occhio e croce, non arrivano ai Venti anni d' etá e, udite udite, una RAGAZZA nel ruolo di cantante e frontwoman.
Apriti cielo!!!
Frizzi e lazzi, laddove non proprio critiche pungenti e di dubbio gusto, da partedi uno zoccolo duro che, a ben vedere, contravviene al piú autentico spirito Punk, un genere e una mentalitá in teoria istigati da gente giovane e volti ad abbattere non solo la supremazia del piú pomposo Rock da stadio ma, anche di ogni qualsivoglia barriera pregiudiziale di sesso, razza e religione.
Senza, peraltro, aver ascoltato una singola nota di questo inedito ensemble e, puramente, giudicando un libro sulla mera base della copertina.
Insomma, volendo citare una fonte eccellente e a me molto cara, "A te il Punk non t' ha insegnato un cazzo"?
Personalmente, il mio innato "Bullshit Detector" mi ha subito indotto a presagire qualcosa di, se non altro, interessante, cosí ho deciso di approcciare il concerto a mente aperta.

Sia chiaro, volendo fare l' avvocato del Diavolo, viene naturale supporre che l' idea di ingaggiare musicisti giovanissimi e letteralmente alle prime armi fin troppo bene si adatti a un noto accentratore come Greg Ginn che, da sempre ha la documentata abitudine di allontanare collaboratori non al 100% in linea con le direttive da lui stabilite, specialmente una volta consolidato un certo cachet personale da parte di questi ultimi.
Ma, si tratta solo di considerazioni e, alla luce del giorno, come sono questi "nuovi" Black Flag?

Sinceramente, belli potenti e convincenti, pur rimanendo ancora un' entitá acerba e bisognosa di ulteriore amalgama e coesione, cose che arriveranno nel tempo, se l' avventura si evolverá.
Per il momento, ció che arriva dritto in faccia é il suono inconfondibile, distopico e allucinato della chitarra di Greg Ginn, immutato nei decenni e davvero pauroso da ascoltarsi dal vivo.
Zero distorsione e niente pedali o effetti, semplicemente tutto settato a 11! Devastante e ancora temibile, oggi come nel 1980.
Coadiuvato da una formazione francamente piú che convincente e sul pezzo, a partire da Max Zanelly, la giovanissima "Firebrand" che si rivela da subito credibilissima come interprete dei classici storici della band.
Due set, 24 pezzi in totale, non un' impresa da nulla per un manipolo di pivelli ma, a onor del vero, loro se la cavano alla grande e, con buona pace di chi si aspettava un frontman super-macho, sudato e a torso nudo sul modello di Rollins o anche Vallely, questi sono i Black Flag nel 2025, "take it or leave it".
E, a mio modesto parere, funzionano.

Non solo il vasto set pesca in "The First Four Years" (invero, non rappresentato nella sua totalitá) ma i quattro vanno a coprire l' intera discografia storica, riproponendo non solo il classico, primo LP "Damaged" per buona metá, ma anche pescando a piene mani tra i ben piú complessi arrangiamenti di "My War" e "Slip It In".
C'é veramente tutto, da un' allucinata, iniziale "Can't Decide" (preceduta da una lunga, nervosa intro per tre minuti buoni) seguita da una "Nervous Breakdown" ferale a sufficienza da non temere il confronto con l' originale del 1978 e, in rapidissima e brutale successione, "No Values", "Wasted" e "I've Had It".
Forse, stasera sono particolarmente di buon' umore, ma il feeling é lo stesso della prima volta in cui ascoltao questi brani su "The First Four Years" e, per assurdo, anche il pubblico reagisce in maniera piú "Americana" compattandosi in paurose sezioni che si spostano orizzontalmente in un oceano di slam-dance che ricorda molto da vicino le mitizzate immagini del film "Decline Of Western Civilization" di Penelope Spheeris (1980).
"Black Coffee", nervosa come suggerito dal titolo, introduce gli umori piú contaminati del LP "Slip It In" (1985) mentre "Forever Time", "The Swinging Man" e "Nothing Left Inside" documentano la svolta fangosa e Sabbathiana dell' album "My War" (1983).
"Six-Pack", per assurdo una satira dell' alto consumo alcolico dell' Americano medio, é accolta da un tripudio di mani che alzano pinte di birra mentre la tellurica "My War" apre il secondo set.

E, davvero nulla da dire: in tutta onestá, questa band rende perfettamente giustizia a un repertorio immortale e, per quanto mi riguarda, é bello averli in giro a suonare queste canzoni dal vivo, peraltro in una configurazione inedita e al di fuori di ogni aspettativa.
Vorrei ricordare che, fondamentalmente, ogni formazione dei Black Flag è sempre stata rappresentata da un cast mutevole attorno al leader Greg Ginn : da qui, traete voi le vostre conclusioni.
"Revenge", "Fix Me" e "Gimmie Gimmie Gimmie" sono cantate a gran voce da un pubblico accorato e incurante di ogni qualsivoglia gap generazionale, prima dello show-stopper di "Rise Above" e la sarcastica versione di "Louie Louie".
É tutto e il gruppo si ritira: non c'é un banco dove poter acquistare t-shirt, CD, LP o nient' altro o strappare un autografo e un saluto rapido alla band.
Nessun bis o concessione ulteriore a quanto giá abbondantemente dato : come nei primissimi anni '80, i Black Flag sono giá "In The Van", diretti alla prossima meta.

Per quanto mi riguarda, un' incarnazione che si é rivelata perfettamente in linea con la filosofia e il sound storici della band e che vi invito a controllare di prima persona, dovessero capitare dalle vostre parti.

lunedì, giugno 30, 2025

Giugno 2025. Il meglio

Ridendo e scherzando eccoci esattamente a metà del 2025: tra i migliori album quelli di Little Simz, Bob Mould, Sam Akpro, Freedom Affair, Southern Avenue, Little Barrie & Malcolm Catto, Ty Segall, Suzanne Vega, The Loft, Sunny War, The War and Treaty, Ringo Starr, Iggy Pop, Cymande, Lambrini Girls, De Wolff, PP Arnold, Altons, Delines, Gyasi, M Ross Perkins.
Ottime cose dall'Italia con Casino Royale, Simona Norato, Neoprimitivi, Calibro 35, Cesare Basile, The Lings, Putan Club, Cristiano Godano, I Cani, Billy Boy e la sua Band, Megain Is Missing, Laura Agnusdei, Elisa Zoot, Roberta Gulisano, Angela Baraldi, Flavia Ferretti, Rosalba Guastella.


LITTLE SIMZ - Lotus
Il valore della rapper inglese è fin dagli esordi indiscutibile.
"Lotus" è il sesto album e ne conferma la costante evoluzione/contaminazione, tra funk, elettronica, hip hop, la stupenda, epica, drum and bass funk orchestrale della title track , jazz, spoken word.
Ogni brano è una scoperta, pieno di sorprese, suggestioni, riferimenti ma soprattutto denota una personalità unica e difficilmente eguagliabile.
Grande album.

TY SEGALL - Possession
Non mi aveva mai appassionato più di tanto. Il nuovo album è invece sorprendente con tutte quelle volute psichedeliche, proto prog, garage, Beatles, freakbeat, Marc Bolan, blues, senza mai risultare accademicamente revivalista. Una sorta di Beck più immerso in quelle radici, meno propenso (solo apparentemente) all'innovazione. Il risultato è eccellente, il disco passa tranquillamente in decine di riascolto senza mai stancare, anzi, dando ogni volta il senso di scoperta di cose nuove.

KING GIZZARD AND THE LIZARD WIZARD - Phantom Island
Questo è il 27° album in 15 anni (è sempre la prima cosa che si scrive della band australiana). Hanno esplorato un po' tutto lo scibile sonoro e sempre in modo creativo, stimolante, divertente, innovativo. Talvolta hanno fallito l'intento, altre volte (la maggior parte) hanno colpito nel segno. Anche in questo lavoro in cui si cimentano con un rock psichedelico dalle tinte country tra 60's e 70's, con tanto di fiati e orchestra. Come sempre molto bello da ascoltare e ben fatto.

OMAR - Brighter The Days
Un ottimo lavoro per il vocalist inglese, in costante crescita e maturazione. Il nuovo album si avvale di numerosi ospiti (tra cui Paul Weller nel brano più old soul del lotto). Un'ora e dieci di musica è forse eccessiva ma il contenuto è a base del migliore nu soul in circolazione con sguardi alla old school dei Sessanta/Settanta. Il tutto a base di ottime songs mid tempo, curatissime, eleganti, raffinate.

AA.VV. - Totally Wired – A New Collection From Acid Jazz
Torna la fortunata serie di compilation della Acid Jazz Records che nel 1988 pubblicò un album con un titolo molto simile. Qualche nome noto come i Brand New Heavies con un funk strumentale irresistibile, Chris Bangs o Matt Perry ma anche tanti nuovi, in particolare quello del fantomatico one man band Earth-o-Naut, con Steve White alla batteria e con una voce così simile a quella di Paul Weller (...) in un soul funk travolgente con una sezione fiati. Poi la BDQ band con "Beggin'", una serie di brani latin e gran finale con i Quiet Fire in chiave slow funk. Pregevole tutto.

RODINA - Good Company
La vocalist Aoife Hearty e il tastierista Joe Tatton dei New Mastersounds insieme per un ottimo album di funk, jazz, fusion, soul e puro groove Acid Jazz. Suonato bene, molto divertente e solare.

SIMONA NORATO - Enigmistica
Personalmente apprezzo molto quando (evento sempre più raro) l'ascolto di un nuovo disco mi spiazza, non mi lascia trovare riferimenti solidi, perché si sposta velocemente, ti abbaglia, per poi scomparire nel buio. Simona Norato ci ha abituati a questo modus operandi ma in Enigmistica giunge al suo apice creativo. Ora ci senti stralci di Billie Eilish, subito dopo di Little Simz, prima che appaia un voluto e chiaro debito con Bertold Brecht e Kurz Weill, per poi abbracciare la solennità di una Diamanda Galas. Il tutto giocato su severe note di pianoforte, un uso stridente dell'elettronica, per arrivare al capolavoro di From The air (nessun pilota), con un feroce, inquietante, ipnotico, teatrale, ironico e drammatico recitato mentre in sottofondo sembra ci siano i Morphine a suonare. Album eccellente, innovativo, avanguardistico nel suo provocatorio classicismo, tutto da scoprire e con cui costantemente stupirsi.

CALIBRO 35 - Discomania
Undici brani con tre originali e una serie di cover che spaziano da Lucio Dalla agli Azymuth a Herbie Hancock, registrati in presa diretta in studio con rare sovraincisioni. Raffinatezza jazz affiancata a un groove funk rock sempre potente e spontaneo. Il talento del quartetto milanese è da tempo noto e ammirato, il nuovo album ne è un'ennesima conferma.

BUDOS BAND - VII
Lasciano la Daptone per approdare alla loro etichetta appena costituita, portando avanti la loro collaudata formula strumentale che unisce funk, soul, jazz, ethio jazz, afrobeat. Non servono tante parole per ricordare la qualità del groove, del loro sound immediatamente distinguibile. Un marchio di fabbrica unico.

THE MIGHTY MOCAMBOS - A Higher Frequency
Registrato live in studio, il nuovo album dei nove soulmen di Amburgo è una conferma della loro classe, attraverso 10 brani funk soul, quasi tutti strumentali, arricchiti da pennellate psichedeliche o disco. I brani filano veloci, arrembanti, danzerecci, pieni di ritmo e buone vibrazioni.

GINA SADMAN - 1972
Gina Sadman compone, canta, arrangia, suona il basso e si fa aiutare da una band di primissima qualità. Si muove in un contesto abbastanza conosciuto e prevedibile, tra soul, funk e rhythm and blues, guardando spesso e volentier al passato degli anni Settanta. Album molto gradevole anche se un po' impersonale.

DURAND JONES and the INDICATIONS - Flower Moon
Raffinatezza, eleganza, Marvin Gaye, Isley Brothers e, non di rado, tanto gusto alla Style Council nel loro lato più sweet soul. L'album è molto leggero e mellifluo ma altrettanto godibile e di piacevole ascolto. Arrangiamenti perfetti, canzoni perfettamente costruite. Al quarto album, anche stavolta non hanno sbagliato il colpo.

WITCH - Sogolo
Vecchie glorie dello ZamRock, scena rock psichedelica nata tra i 60 e i 70 in Zambia, tornano con un album sorprendentemente attuale e fresco, in cui guardano ai suoni originari ma aggiungono una buona dose di afrobeat di primissima qualità. Produzione eccellente, groove e classe da vendere.

THEE WOPS - s/t
In una delle sue tante incarnazioni, Luca Re (Sick Rose, 99th Floor, Il Senato etc), approda ora al nuovo progetto con i Thee Wops, alla ricerca delle radici più pure del garage rock. Un pulsante ep con quattro brani è il primo atto di un'avventura che si preannuncia fin da subito travolgente e convincente (ma non avevamo dubbi). Due originali e due oscure cover (di Humans e It's All Meat) giocate tra garage beat di gusto Sixties, con un organo Farfisa a donare una peculiarità sonora ancora più distintiva. In 200 copie su vinile per Onde Italiane (info@ondeitaliane.it).

BACKDOOR SOCIETY - Backdoor City Blues b/w I Won't Love You
Non perde un colpo la band piacentina, costantemente alle prese con un feroce rhythm and blues, tinto di garage punk, veloce, torrido, potentissimo. Il nuovo singolo è un perfetto esempio di come approcciare un certo tipo di musica, buttandosi a capofitto nelle note selvagge, in ritmi forsennati, chitarre lancinanti, un'armonica penetrante, una voce perfetta per l'ambito. Per chi ama questi suoni e contesti, la perfezione.

BLOCK 33 - Promised land
La band inglese, dichiaratamente mod, spazia nell'ambito del "sound of 79", con chitarre distorte, energia a profusione, grande impatto ritmico, con numerosi riferimenti anche al Britpop e qualche aggancio al pub rock. Le dodici canzoni filano via veloci, la qualità compositiva è di alto livello, un buon lavoro.

VAN MORRISON - Remembering now
Van Morrison non ha bisogno di conferme né altro che già non sia stato detto.
Alle soglie degli 80 anni con "Remembering Now" ci regala un album di intenso soul blues, gradevolissimo all'ascolto, intenso, puro, diretto e sincero.
Come già sottolineato, poco altro da dire...(se non un cenno alla copertina. Non c'era proprio un altro grafico?).

ROSALBA GUASTELLA - Dharma
Prosegue il magico e lisergico cammino artistico della cantautrice torinese che, al terzo album, ci regala un nuovo esempio di maestria compositiva ed espressiva. Le atmosfere acustiche e psichedeliche di questo nuovo lavoro ci portano sui sentieri di Grace Slick, Sandy Denny, del folk ammantato di colori e umori cerebrali a cavallo tra i Sessanta e i Settanta. Ancora una volta un disco di pregio, personalità, a livelli di assoluta eccellenza.

‘O ROM – Radio Rom
Il terzo album del trio partenopeo prosegue il cammino nella sapiente fusione di ritmi e sapori balcanici, tzigani, mediterranei, napoletani, tempi in levare. Un’ alchimia più volte sperimentata (dai Negresses Vertes a Goran Bregovic o Gogol Bordello, tra i tanti) ma che in questa veste ha una marcia in più e non c’è nulla di scontato o prevedibile. Le canzoni viaggiano spedite (inclusa la riuscita versione in 9/8 di “Azzurro”), splendidamente arrangiate e prodotte, ricche di spunti, energia , soprattutto anima (una componente che se manca non si acquista da nessuna parte) e sincerità. L’irresistibile “Rumelaj” e “Zingari” (con l’elenco di personalità “zingare”), con la partecipazione di Daniele Sepe, sono la vetta di un album di altissimo livello.

TONY BORLOTTI E I SUOI FLAUERS – Killing Shake!
Festeggia il trentesimo compleanno la storica beat band di Salerno e ci/si regala un album nuovo di zecca che viaggia spedito nei meandri sonori da sempre amati. C’è il classico beat italiano (“Nel tuo giardino”), il rhythm and blues di “Amalia”, lo psychogarage in “Dove vai”, le atmosfere da colonna sonora di divertenti commedie all’italiana targate anni Sessanta (lo strumentale “Piccolo ma beat”), la riuscita versione in italiano (“Pazzo”) di “Psycho” dei Sonics, l’introduzione con la title track tra garage, beat e freakbeat. Come sempre una conferma di qualità, divertimento, freschezza, energia.

DEAD JACK AND HIS DRY BONES - Dead jack In The Box
Torna la demoniaca e temibile one-man-band di Jack Cortese, alle prese con il consueto calderone fumigante di primitivo rock 'n' roll, garage punk alla Sonics, abbondanti dosi di Cramps, Link Wray, blues malatissimo, country sgangherato, frat rock, swing traballante. Poco da dire, sono rari i dischi che suonano così genuini e urgenti. Gli amanti di questi anfratti sonori, pericolosi e sconsigliabili ci si tufferanno con grande soddisfazione.

THE DIRTIEST – Sooka
Dischi come questi non andrebbero nemmeno recensiti ma solo ascoltati, facendosi poi spalmare da un loro live sul pavimento di un sordido locale in un posto dimenticato da tutti. La band fiorentina suona velocissima, talvolta ai confini con l’hardcore (in questo senso ricordano certe band americane come i Dils, che precorsero il genere). E’ puro e semplice punk rock, con le chitarre mai distorte ma suonate con un impeto tale che le rende lame taglienti negli apparati uditivi di chi ascolta. Siamo in pieno 1977 ma con più rabbia, energia e voglia di travolgere. Super!

SINGOLI

SHARP CLASS - Ballad of nobody real
Nuovo singolo per il trio inglese, nuova stella del mod rock (in concerto il 5 luglio al Festival Beat). Un brano nel loro classico Jam style/mod rock '79. Sempre convincenti, freschi e potenti.

https://www.youtube.com/watch?v=Zwey0_TRyjE

THE MOLOTOVS - Today's Gonna Be Our Day B/W No Time To Talk
In attesa del primo album, previsto per gennaio 2026, il duo inglese torna con un arrembante singolo che guarda alla lezione dei primissimi Jam, con un tiro punk. Ottimo.

https://www.youtube.com/watch?v=rvAvoNYh34M

THE LEN PRICE 3 - Emily's Shop / I'm a Fake
Sanno incrociare alla perfezione Who, Kinks, freakbeat, fuzz e melodie 60's che riportano agli Action. Un singolo strepitoso!

CHESTERFIELD KINGS - Your Strange Love / It's only love
I C.K. di Andy Babiuk tornano con un singolo con una versione rimixata (ma sempre efficace e convincente) di un brano dal recente album e una calligrafica ripresa di "It's Only Love" dei Beatles.

SINOUJ - Hak Dellali
Da Madrid il colletivo afrospagnolo ci porta tra le montagne del Maghreb, in chiave modernissima e travolgente mentre nella versione remixata della Bside si va in un mondo incantato tra trance e psichedelia. Interessantissimo.

AFRODREAM - Afrotrip
Colletivo multiculturale italiano con un brano che prelude a un album in uscita a settembre. Afrofunk puro, dalle contaminazioni desert rock e psichedeliche, ritmi infuocati, melodie avvolgenti. Promettono benissimo.

SOUL SUGAR meets DUB SHEPERDS - Give Me Your Love (Love Song)
Il brano di Curtis Mayfield sottoposto a un trattamento reggae e dub che ne esalta la grazia e il groove. Versione riuscitissima.

RETI - Party People (Going Home) / My Home
In Estonia ci sanno fare con la black music, sono numerosi gli artistyi che si cimentano con l'ambito, sempre in maniera inattaccabile. Reti si divide tra un ballabilissimo soul disco e una struggente ballata soul.

JEB LOY NICHOLS - Step In
BRENDA - Take a Hint
Due brani avvolgenti e suadenti di vintage soul, gustosamente estivi.

ASCOLTATO ANCHE:
TURNSTILE (pop (pseudo) punk di bassa lega), ALDORANDE (grazioso album di soul funk fusion da sottofondo, suonato benissimo),

LETTO

Francesca Buscaglia - Etnografie Trap
Un illuminante saggio sul "fenomeno" TRAP, la marginalità dei suoi protagonisti, il costantemente voluto e cercato "folk devil" da demonizzare per la sua alterità rispetto alla normalità.
L'analisi prescinde dai contenuti musicali/artistici ma si concentra sulle "periferie urbane, spazi pieni di sconosciuti, spazi multiculturali dove l'appartenenza rappresenta una risorsa fondamentale."
"La musica trap oltre a prodotto musicale è la voce di una comunità immaginata, che offre alle comunità diasporiche dei giovani subalterni la possibilità di rispecchiarsi in un "noi" più moderno".
Interessante e perfettamente azzeccata la visione di come prima rap e poi trap siano diventati fenomeni globali e opportunità espressiva soprattutto di gruppi socialmente marginalizzati (per i quali il benessere esiste solo nelle pubblicità) che cercano (e talvolta trovano) nella musica un modo per uscire dall'anonimato e trovare fama, soldi e una modalità di scalata sociale. O imitandone movenze ed estetiche per sentirsi in qualche modo parte di "qualcosa".
In un mondo in cui "la geniale idea della governance neoliberale è stata riuscire a trasformare i diritti in qualcosa che si deve meritare" i giovani immigrati o di origine straniera si dibattono alla ricerca di un ruolo e di un'identità, sempre più pervicacemente negata e respinta.
La conclusione è propositiva, per quanto appaia utopica, alla luce del reale: "In questo momento è più che mai necessario...smettere i panni di meri osservatori e narratori di processi che riguardano "altri". Riprendere la voce: parlando, cantando, urlando se necessario. Proprio come stanno facendo, in modi e forme differenti, i giovani cosiddetti di prima e seconda generazione".
Il libro ha il profilo autorevole dell'autrice, educatrice di professione e antropologa, che lavora da anni nel sistema di accoglienza.
Ha intervistato i ragazzi, approfondendone con loro le problematiche quotidiane.
Ne esce una fotografia molto fedele, quanto drammatica dell'epoca attuale, convulsa, talvolta "illeggibile" e incomprensibile.
Un lavoro più che pregevole.

Giangiacomo Schiavi - Il Piccolo Maracanà
Dal 1962 ai primi anni 70 a Gragnano Trebbiense, provincia di Piacenza, si svolse un appassionante, mitico, pionieristico (peraltro uno dei primi in assoluto) torneo notturno di calcio.
Nell'afoso luglio padano si giocavano due partite a sera (che spesso finivano con risultati "rotondi"), sei contro sei, senza il fuorigioco, 16 squadre divise in quattro gironi, quarti, semifinali e finale.
Il tutto davanti a 2/3.000 persone a sera, fino a 5.000 (calcolate 200.000 in sei anni), assiepate in un campo dietro al Comune del paese, ribattezzato “Il Piccolo Maracanà”.
Si affrontavano abitualmente squadre di Gragnano, i “Ramarri” (il simbolo era una versione gragnanese del coccodrillo della Lacoste...), squadra per cui tenevo e che non vinse mai (come al solito!), il “Bar Veneroni”, il “Gatto Nero”, il “Baby Brazil” di Gragnanino, l’”Olubra” di Castelsangiovanni”, i “Papaveri” di Piacenza (con i giocatori del Piacenza allora in serie C) e varie altre dalla provincia e dintorni.
In particolare è da ricordare la "Rassa Grama" (La cattiva razza), nucleo anarchico che si affiliava di volta in volta a un nuovo sponsor, ricco di talento, genio e sregolatezza. Non vinsero mai m entrarono nel mito e nella leggenda.
Abitavo a 2 km di distanza a Casaliggio (dove sono tornato a vivere 20 anni dopo) e ne vidi a decine.
Ancora senza troppi vincoli contrattuali, giocarono Pierino Prati, Pietro Anastasi, Osvaldo Bagnoli, Marchioro, Magistrelli, Ferrario, Poletti (nazionale nel 1970 nella semifinale con la Germania 4 a 3) e nomi ormai dimenticati come Bicicli dell’Inter, Ambrogio Pelagalli (campione d’Italia con il Milan), Da Pozzo (portiere di Inter e Genoa), Magistrelli.
Dopo qualche anno le società proibirono ai giocatori di fare partite al di fuori dai doveri contrattuali e allora, in cambio di soldi sottobanco sempre più consistenti (e in nero), giocavano in molti sotto falso nome.
Il calcio divenne sempre più affare professionale, i vincoli della federazione sempre più stretti e il torneo finì.
"Il piccolo Maracanà. Un campo, un paese, una leggenda", di Giangiacomo Schiavi, documenta al meglio il tutto ed è la ristampa di una precedente edizione introvabile, ora edita da La Valle Dei Libri (https://www.facebook.com/profile.php?id=61572005579050).
Leggere la sua stupenda prosa mi ha riportato incredibilmente a quei tempi, quei colori, quegli odori, quella "magia irripetibile", in un tuffo nostalgico, immensamente nostalgico, per tempi che, alla fine, rimpiango tanto, soprattutto leggendo una serie di nomi che facevano parte della mia quotidianità.
Le foto, stupende (e numerose), sono di Prospero Cravedi, l'introduzione di Simone Inzaghi (che con Pippo viveva e giocava a una manciata di kilomentri di distanza a San Nicolò).

Vincenzo Greco - Il tempo moderno e i suoi inganni. Riflessioni critiche nella musica Ferretti, De André, Battiato, Waters
Un lavoro molto affine a un saggio, in cui l'autore ci conduce, attraverso una serie di profonde riflessioni personalei, condotte come un dialogo immaginario con quattro artisti, tanto diversi, quanto legati da un filo conduttore comune le cui canzoni aprono a uno sguardo alle storture del tempo moderno.
Ne risulta un libro ai limiti del "filosofico", ricco di spunti molto interessanti e stimolanti.
Non occorre essere fan o seguaci di Ferretti, De André, Battiato, Waters.
Il testo, interessante e scritto molto bene, offre tanto altro, partendo dalle loro liriche, per spaziare in una visione universale dello stato attuale delle cose.
Gli strumenti informatici si sono fatti carico del compito di ricordare per noi e con capacità infinitamente superiori a quelle umane.
Il fatto di avere affidato la memoria a uno strumento e agli algoritmi che lo gestiscono, ci ha privati del governo della memoria stessa, e soprattutto della selezione gerarchica delle cose da ricordare.
Lo fa l'algoritmo per noi.
Ma con il rischio che vengano eliminati, per mano di chi gestisce tali programmi di selezione, eventi e moniti importanti per l'uomo. Abbiamo in definitiva rinunciato al dovere della memoria.


Crash Box - Storie e ricordi sul muro
Marco Maniglia è stato tra le principali anime (e cuore) della scena punk hardcore italiana degli anni Ottanta.
Sia a livello personale/partecipativo/organizzativo (che era la caratteristica di quasi ognuno del giro: esserci, sentire l'attitudine, organizzare (il più delle volte con modalità avventurose/disastrose).
E' stato anche il motore propulsivo dei CRASH BOX, tra i principali esponenti dell'epoca.
Ora raccoglie una serie di volantini di concerti dell'epoca con commenti e ricordi di quegli eventi.
Un libro/rivista (con bella intervista finale) che ci restituisce alla perfezione il "sentire" di quei momenti tanto caotici, quanto rivoltosi e gioiosi.
Tutto questo per del rock 'n' roll del cazzo che non fa forse crescere ma mi/ci ha fatto sopravvivere. (Marco Maniglia)
Per contatti e riceverlo: emmemarco63@gmail.com (niente social, raga...)

COSE VARIE
° Ogni giorno mie recensioni italiane su www.radiocoop.it (per cui curo ogni settimana un TG video musicale - vedi pagina FB https://www.facebook.com/RadiocoopTV/).
° Ogni mese varie su CLASSIC ROCK.
° Ogni sabato un video con aggiornamenti musicali sul portale https://www.facebook.com/goodmorninggenova
° Ogni lunedì la mia rubrica "La musica che gira intorno" nelle pagine di www.piacenzasera.it
° Sulle riviste/zines "GIMME DANGER" e "GARAGELAND"
° Periodicamente su "Il Manifesto" e "Vinile".

NOT MOVING, unica data estiva.
FESTIVAL BEAT a Salsomaggiore Terme (Parma)

https://www.facebook.com/events/996698245971556

venerdì, giugno 27, 2025

The Go Go's

In piena esplosione della scena hardcore punk, l'arrivo delle Go Go's, fu una ventata di freschezza pop, ben accetta in quanto esse stesse arrivavano da quell'ambito.

Belinda Carlisle fu per breve tempo batterista dei Germs, con il nome di Dottie Danger e quando fondò la band nel 1978 con la chitarrista Jane Wiedlin, suonarono nello stesso circuito con X, Black Flag etc.
Anche l'altra chitarrista Charlotte Caffey arriva dalla scena, avendo suonato il basso con gli Eyes. La batterista Gina Shock suonò con gli Edie and the Eggs, entrando nel giro del regista John Waters.
La bassista Kathy Valentine suonò coni Violators e formò i Textones con Carla Olson.

Come Go Go's incisero 4 album ottenendo un grande successo con l'esordio e mantenendolo con quelli successivi, pur meno convincenti, con un sound molto gradevole e 60's oriented, con numerosi elementi power pop e un retaggio punk.
Dopo lo scioglimento a metà degli anni 80 hanno proseguito con diverse, saltuarie, reunion, denunce reciproche, cause legali, fino ad oggi, quando sono ricomparse nell'aprile 2025 al Coachella Festival.
Belinda Carlisle ha avuto una carriera solista di grande successo con un pop anonimo e incolore.

Beauty and the Beat (1981)
Il loro piccolo capolavoro con due stupende hit come "Our Lips Are Sealed" (scritto da Jane con Terry Hall degli Specials, dopo una breve relazione durante un tour di supporto alla band inglese) e "We Got The Beat" ma arricchito da altri nove brani autografi di alto livello, melodicamente irresistibili. Suonato molto bene, prodotto alla perfezione in perfetto equilibrio tra un sound diretto e spontaneo, quanto fruibile e danzereccio.

Vacation (1982)
Minate dalle dipendenze e da scontri di ego, riescono, esattamente un anno dopo, a replicare il successo dell'esordio. Si sono perse la sorpresa e anche un po' di freschezza e immediatezza ma il risultato è tuttavia buono e dignitoso. C'è anche una bruttina versione di "Cool Jerk" dei Capitols.

Talk Show (1984)
L'album d'addio prima dello scioglimento, tra mille polemiche. La band è erosa all'interno, la musica si sposta verso suoni più patinati e perde la gioiosa verve dei precedenti lavori. Ma ci sono un paio di brani strepitosi come "Head over Heels" e "I'm the only One" che innalazano parecchio la qualità dell'album.
Venderà meno degli altri, la band finisce, per lungo tempo, qui.

God Bless the Go-Go's (2001)
Dopo 17 anni di silenzio discografico tornano facendosi dare una mano composiutiva da Billie Joe Armstrong, Susanna Hoffs, Craig Ross (della band di Lenny Kravitz) e altri/e. Fuori tempo massimo, con materiale non particolarmente significativo, non riuscirà a rilanciare la carriera della band, nonostante non manchi qualche discreto spunto.

Our Lips Are Sealed (1981)
https://www.youtube.com/watch?v=r3kQlzOi27M

We Got The Beat (live 1982)
https://www.youtube.com/watch?v=NkHsUcG9YDw

Head Over Heels (1984)
https://www.youtube.com/watch?v=jQyazt4RDTM

I'm the Only One (1984)
https://www.youtube.com/watch?v=kmmlhhxpHKc

mercoledì, giugno 25, 2025

Crash Box - Storie e ricordi sul muro

Marco Maniglia è stato tra le principali anime (e cuore) della scena punk hardcore italiana degli anni Ottanta.
Sia a livello personale/partecipativo/organizzativo (che era la caratteristica di quasi ognuno del giro: esserci, sentire l'attitudine, organizzare (il più delle volte con modalità avventurose/disastrose).
E' stato anche il motore propulsivo dei CRASH BOX, tra i principali esponenti dell'epoca.

Ora raccoglie una serie di volantini di concerti dell'epoca con commenti e ricordi di quegli eventi.
Un libro/rivista (con bella intervista finale) che ci restituisce alla perfezione il "sentire" di quei momenti tanto caotici, quanto rivoltosi e gioiosi.

Tutto questo per del rock 'n' roll del cazzo che non fa forse crescere ma mi/ci ha fatto sopravvivere. (Marco Maniglia)

Per contatti e riceverlo: emmemarco63@gmail.com (niente social, raga...)

martedì, giugno 24, 2025

Monochrome Set - The Jet Set Junta

Uno dei brani più iconici (per quanto rimasto nella semi oscurità) degli anni 80 uscito su singolo nel 1983), per una brillante band che non ha purtroppo mai usufruito del giusto riconoscimento che le sarebbe spettato.

The Jet Set Junta è un brano unico che unisce impeto post punk a sonorità spaghetti western, un tocco di jazz e un cantato unico su un testo drammatico/ironico che stigmatizza l'iconografia e la triste realtà delle dittature sudamericane.
Un brano geniale.

Il video ufficiale:
https://www.youtube.com/watch?v=kIKle6gNjWE

Live nel 1990
https://www.youtube.com/watch?v=Oz4tpJL44Og

Tick, tock, go the death watch beetles in él presidente's swill
Pop, pop, goes the Cliquot magnum at the reading of the will
Hiss, hiss, goes the snakeskin wallet stuffed with Cruziero bills
Here we come, the jet set junta
Here we come, the jet set junta
Broom, broom, goes the armoured Cadillac through Montevideo
Rat-a-tat goes the sub-machine gun to restore the status quo
Snip, snip, go the tailor's scissors on the suit in Saville Row
Thud, thud, goes the rubber truncheon on the Indian peon's heel
Buzz, buzz, go the brass electrodes as the flesh begins to peel
Rattle, rattle, goes the bullet round and round the roulette wheel

lunedì, giugno 23, 2025

Vincenzo Greco - Il tempo moderno e i suoi inganni. Riflessioni critiche nella musica Ferretti, De André, Battiato, Waters

Un lavoro molto affine a un saggio, in cui l'autore ci conduce, attraverso una serie di profonde riflessioni personalei, condotte come un dialogo immaginario con quattro artisti, tanto diversi, quanto legati da un filo conduttore comune le cui canzoni aprono a uno sguardo alle storture del tempo moderno.
Ne risulta un libro ai limiti del "filosofico", ricco di spunti molto interessanti e stimolanti.

Non occorre essere fan o seguaci di Ferretti, De André, Battiato, Waters.
Il testo, interessante e scritto molto bene, offre tanto altro, partendo dalle loro liriche, per spaziare in una visione universale dello stato attuale delle cose.

Gli strumenti informatici si sono fatti carico del compito di ricordare per noi e con capacità infinitamente superiori a quelle umane.
Il fatto di avere affidato la memoria a uno strumento e agli algoritmi che lo gestiscono, ci ha privati del governo della memoria stessa, e soprattutto della selezione gerarchica delle cose da ricordare.
Lo fa l'algoritmo per noi.
Ma con il rischio che vengano eliminati, per mano di chi gestisce tali programmi di selezione, eventi e moniti importanti per l'uomo. Abbiamo in definitiva rinunciato al dovere della memoria.


Vincenzo Greco
Il tempo moderno e i suoi inganni. Riflessioni critiche nella musica Ferretti, De André, Battiato, Waters
Arcana Editrice
164 pagine
15.50

domenica, giugno 22, 2025

Classic Rock

Nel nuovo numero di CLASSIC ROCK intervisto Robertò Gagliardi (Robertò Hellnation) a proposito del suo negozio di Bologna, Hellnation.

Interviste anche a Dubinski e Inspector Cluzo ( di cui recensisco anche l'ottimo nuovo album).
Poi parlo dei nuovi album di Casino Royale, Cesare Basile, Les Votives, M Ross Perkins, la ristampa di "Middle Class Revolt" dei Fall e di quella di "Il nostro è solo un mondo beat" de Gli Avvoltoi , oltre al box dei Vapors.

Non contento mi confronto con Federico Guglielmi nella rubrica "Opinioni" sull'opportunità di pubblicare ancora libri musicali.

sabato, giugno 21, 2025

Passaggi Festival 2025

PASSAGGI FESTIVAL 2025

https://www.passaggifestival.it/

Venerdì 27 giugno
Ore 18.15 - 19.15, Giardino Radicioni
Fano

ANTONIO BACCIOCCHI, “Ringo Starr, Batterista” (Edizioni Low)
Conversa con Paolo Molinelli (BeatleSenigallia)

venerdì, giugno 20, 2025

The Poets – Alone Am I / Locked in A Room (Target) 1968

L'amico MICHELE SAVINI prosegue la ricerca di elementi interessanti e particolari dell'Irlanda meno conosciuta.
Torniamo questa volta al 1968 e una band oscura che ha lasciato un solo 45 giri: The Poets.

Gli altri racconti sono qui:
https://tonyface.blogspot.com/search/label/The%20Auld%20Triangle%3A%20narrazioni%20dalla%20Repubblica%20d%27Irlanda

C’era una volta uno scantinato buio e umido, con dentro quattro ragazzi armati di strumenti e un’urgenza sonora che anticipava i tempi.
Non è un caso isolato: è la traiettoria condivisa da centinaia di band garage e beat, nate nell’esigenza creativa di un’epoca in fermento, mai esplose e rimaste ai margini della scena ma non della passione.
I loro nomi si persero nel rumore, ma dietro lasciarono dischi rari, registrazioni sbiadite, racconti tramandati solo da chi c’era. Sono storie minori, ma non per questo meno significative: frammenti dimenticati di un mosaico musicale che merita di essere ricomposto.
Tra queste storie sotterranee, ce n’è una che vale la pena riportare in superficie: quella dei The Poets, band di Irlandese attiva a metà degli anni ’60.

Il loro unico singolo pubblicato nel 1968 dall’etichetta Irlandese Target Records e la seguente pubblicazione nel Regno Unito per la più nota Pye Record, fu per anni erroneamente attribuito al celebre gruppo freakbeat scozzese con lo stesso nome, autore di "That's the Way It's Got to Be", uno dei classici del genere.
Il fatto che le due band condividessero lo stesso nome e fossero attive nello stesso periodo aveva alimentato l’equivoco: dopotutto, la band scozzese aveva pubblicato dischi con etichette come Decca e Immediate tra il 1964 e il 1971.
Non sembrava quindi assurdo pensare che avessero inciso anche per la Pye.
Tuttavia, la verità è un’altra: questi Poets erano una formazione completamente diversa, originaria di Dublino, e di loro si sa ancora oggi molto poco.

La storia dei Poets irlandesi inizia nel 1965, quando Pat Devine (chitarra), Gerry Martin (chitarra), Steve Gilchrist (basso) e Bob Murphy (sax) fondano un gruppo chiamato The Heartbeats. Nel 1967, il gruppo evolve in una showband semi-professionale con l’ingresso di Paul Conroy (organo), Charlie Herbert (chitarra solista, con Devine che passa al sax) e Gary Power (voce solista).

Le showband erano gruppi musicali molto popolari in Irlanda negli anni ’60, solitamente numerosissimi sul palco e delle vere e proprie macchine da intrattenimento. Attiravano grandi folle ogni sera, offrendo un repertorio eclettico fatto di pop, hit internazionali e a volte anche un po’ di cabaret, ma raramente proponevano materiale originale o alcun tipo di sperimentazione.

Power e Herbert iniziano a scrivere diversi brani originali, prevalentemente ballate lente, nella speranza di attirare l’attenzione del pubblico locale. Tuttavia, alla fine del 1967, Power lascia il gruppo per tentare la carriera solista, e probabilmente a seguito di questa uscita nasce ufficialmente la band The Poets.
Nonostante non sia chiara la formazione esatta che ha inciso il celebre singolo, entrambi i lati del disco sono accreditati al chitarrista Charles Herbert, il che suggerisce un suo ruolo chiave nella composizione e realizzazione dei due brani.

Il singolo in questione comprende due tracce.
E se sul lato A appare ‘Alone Am I’, una ballata malinconica, dominata da armonica e organo, con quel tipico tono natalizio che si addice a una showband irlandese, sul lato B, invece, come spesso accade, troviamo il vero gioiello: ‘Locked In A Room’.
Si tratta di un pezzo freakbeat di altissimo livello, energico e coinvolgente, caratterizzato da una chitarra solista marcata, un sax vibrante, armonie vocali raffinate e una batteria incalzante che spinge il brano con grande intensità.
v Il tema natalizio sul lato A fa pensare a un’uscita verso la fine del 1968, in linea con l’usanza, particolarmente diffusa negli anni ’60 e ’70, di pubblicare un singolo a tema festivo in prossimità del Natale, spesso con l’intento di ottenere maggiore visibilità o passaggi radiofonici durante quel periodo dell’anno.
Negli anni successivi, il 45 giri è diventato un piccolo oggetto di culto, sempre più ricercato dai collezionisti di rarità garage e beat, anche grazie alla qualità del suo lato B, spesso incluso in compilazioni di freakbeat e rock psichedelico, che lo rende un vero e proprio “Nuggets” irlandese.

Nel 1969, alcuni ex membri dei Poets e degli Heartbeats diedero vita alla soul-showband The Arrows, il cui secondo singolo, “One Step, Two Step”, fu ancora una volta firmato da Charlie Herbert, a dimostrazione di una vena compositiva che non si era ancora esaurita.
I The Arrows finiranno per diventare la nuova band di supporto di Dickie Rock, il famoso crooner irlandese che aveva abbandonato la sua storica formazione, la Miami Showband, per intraprendere la carriera solista.

Ma la vera eredità dei Poets rimane racchiusa in quei due brani dimenticati.
Due canzoni, un singolo, un nome condiviso con un’altra band.
E una storia che, come tante negli anni Sessanta, riaffiora oggi solo nei racconti degli appassionati e nei solchi consumati di un 45 giri introvabile.

Alone Am I:
https://www.youtube.com/watch?v=SXv5PgOkUS4&list=RDSXv5PgOkUS4&start_radio=1

Locked in A Room:
https://www.youtube.com/watch?v=dGTlkHoefaA&feature=youtu.be
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