giovedì, settembre 21, 2023

Paul Weller live @Alcatraz - Milano 20 settembre 2023

Paul Weller è in grande forma, fisica, artistica, vocale.

Il concerto milanese (quasi due ore, 26 brani) si fonda su due solidi pilastri.

Primo: una band rodata, coesa, che lavora di fino, ritocca con eleganza e precisione ogni brano.
Una ritmica possente (batteria, percussioni, tastiere, sax ) che permette a Weller e Steve Cradock di lavorare tranquilli alla voce e ai solismi.
Il groove generale viaggia su atmosfere modern soul e funk, con numerose pennellate jazz che rendono inconfondibile e perfettamente fruibile il suo collaudato pop rock.

Secondo: una potenzialità di scelta tra centinaia di brani della lunghissima carriera che a breve toccherà il mezzo secolo.

Due omaggi ai Jam (Start in scaletta, Town called malice come secondo bis), tre Style Council ((Headstart for happiness, My ever changing moods, una spettacolare e imprevista Shout to the top), un ottimo ed energico inedito, Jumble Queen (pare scritto con Noel Gallagher) e largo spazio a cose recenti da Fat Pop vol. 1 (sei, tra cui un'eccellente Testify), tre da On Sunset (bellissima la title track con la sezione fiati degli Stone Foundation), un paio da Saturns Pattern e poi ancora Peacock Suit (con cui chiude il concerto, prima dei bis), Broken Stones (nel bis, in duetto con il cantante degli Stone Foundation e la loro sezione fiati) e, sempre da Stanley Road, una grintosa versione della title track.
C'è spazio per una riuscita Wild Wood nel bis, All the pictures on the wall e Hung (tutti e tre da Wild Wood) e Above the clouds e Into tomorrow dall'album d'esordio.

In apertura l'impeccabile soul funk disco degli Stone Foundation.

Locale non sold out ma decisamente affollato, età media alta, resa sonora discreta (leggi impianto voci), palco minimale ed essenziale, nessuna concessione ad "effetti speciali", biglietto (35 euro) consono.

mercoledì, settembre 20, 2023

Roberto Calabrò - Fugazi. Committed To Excellence

Pubblicato dalla collana "Director's Cut" di Blow Up, esce, firmato dalla competente penna di Roberto Calabrò, la biografia dei FUGAZI, una delle band più particolari, originali e influenti uscite dalla scena hardcore (quando ancore si chiamavano Teen Idles e si evolveranno nei favolosi Minor Threat) per evolversi verso un sound personalissimo che ne conservava l'attitudine, spostandosi verso un inconfondibile mix di alt rock, reggae/dub, punk, jazz e tanto altro.

"Suonare per i Fugazi ha sempre significato comunicare. Per farlo hanno pensato che fosse necessario abbattere le barriere di qualsiasi tipo: generazionali, ecoinimiche, linguistiche, culturali.
Da qui la scelta di organizzare concerti aperti a un pubblico di tutte le età e di tutte le estrazion isociali e quindi - in maniera concreta - con un prezzo del biglietto non superiore ai cinque dollari.
Da qui la scelta di rifiutare le molteplici offerte milionarie arrivate dalle major (dissero di no a Ahmet Ertegün dell'Atlantic in persona a fronte di un assegno di dieci milioni di dollari ndr) per mantenere il totale controllo non soltanto sulla propria musica, ma anche sulle modalità con cui essa doveva essere distribuita e fruita dal pubblico."


Dal 2003 la band ha interrotto l'attività senza ufficialmente sciogliersi, intraprendendo mille altri progetti solisti ma mantenendo l'amicizia e saltuariamente suonando ancora insieme in sala prove.

"Mai dire mai. Come possiamo dire qualcosa sul futuro? Ma sembra che manchi il tempo per permettere una reunion perché noi quattro dovremmo passare molto tempo insieme per capire: "Dovremmo suonare le vecchie canzoni? - "Chi siamo ora?" - Cosa c'è ora?".
Non siamo il tipo di band che si riunisce e si limita a provare due ore di vecchie canzoni per uscire, suonare, rastrellare e tornare a casa". Se tornassimo insieme dovrebbe essere per spirito di ceatività.
Non si può rimettere insieme un gruppo intrinsecamente creativo e poi non avere l'elemento creativo".


Il libro è dettagliatissimo e particolareggiato, approfondito e di agevole lettura.
Inevitabilmente si torna a riascoltare la discografia della band.

Roberto Calabrò Fugazi. Committed To Excellence
Director's Cut #31
Tuttle Edizioni
116 pagine b/n
13,00 euro

Per ordinarlo:

https://www.blowupmagazine.com/prod/fugazi.asp

martedì, settembre 19, 2023

Beatles reunion 1979

Dopo lo scioglimento dei Beatles, nonostante le spesso aspre polemiche tra gli ex e, allo stesso tempo, varie collaborazioni incrociate, si sono spesso rincorse vaghe ipotesi di un ritorno insieme della band, mai però verificatosi.

Sancendo un ulteriore capolavoro della loro storia, un "Ritratto di Dorian Gray" in musica che ce li ha consegnati per sempre giovani e al top della popolarità, senza clamorose cadute di tono.

Il 1979 fu un anno in cui una ormai sempre più improbabile REUNION dei BEATLES fu (quasi) sul punto di realizzarsi.

Incominciarono il 14 maggio Paul, Ringo e George a fare una jam session al matrimonio di Eric Clapton con Pattie Boyd (ex moglie di George con cui si era lasciata cinque anni prima). Presenti anche sopra e sotto il palco Mick Jagger, Bill Wyman, Elton John, David Bowie, Jim Capaldi, Denny Laine e tanti altri.
Tra i brani suonati anche “Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band” e “Get Back.”
Pur invitato John Lennon non partecipò all'evento (viveva in America).

Fu però tra settembre e ottobre che il segretario dell'Onu Kurt Waldheim inoltrò una richiesta ufficiale alla band per suonare per beneficienza a favore dei profughi Vietnamiti (i "Boat people) al Palazzo di Vetro dell'Onu di New York. Il concerto avrebbe avuto un seguito con date al Cairo e a Gerusalemme, per ratificare l'accordo di pace tra Israele ed Egitto.
Il concerto fu annunciato dal New York Post e ripreso poi dai giornali italiani con la dovuta enfasi.

Ma subito dopo smentito seccamente da Paul McCartney:
"I Beatles sono finiti e per sempre. Nessuno di noi è interessato a farlo. Per un sacco di ragioni. Immaginate se facessimo una grande show e non andasse bene. Che rottura".
Ma ben presto se ne tornò a parlare in occasione del Concerto per la Cambogia del 26 dicembre all'Hammersmith Odeon a Londra a cui parteciparono Paul McCartney, Who, Queen, Robert Plant, Clash, Pretenders, Elvis Costello e altri.

Paul McCartney mise insieme la sua Rockestra (che aveva partecipato anche all'album dei suoi Wings, "Back to the egg", uscito a giugno dello stesso anno con Robert Plant, John Bonham e John Paul Jones dei Led Zeppelin, (un ubriachissimo) Pete Townshend e Kenny Jones degli Who, Ronnie Lane dei Faces; Gary Brooker dei Procol Harum; Dave Edmunds dei Rockpile; James Honeyman-Scott dei Pretenders e Bruce Thomas degli Attractions.

Poco tempo prima la giornalista Pauline McLeod del Daiy Mirror, ipotizzò che all'evento avrebbero partecipato anche gli altri tre Beatles.
Quando di fronte alle richieste di altri giornalisti a Paul McCartney di sapere i nomi degli ospiti il bassista rispose che non lo avrebbe detto, facendo aumentare la suspence e avvalorando un possibile presenza dei Fab Four.
Come sappiamo la reunion non si fece nemmeno stavolta anche se a un certo punto si sparse la (falsa) voce della presenza in sala di John Lennon.

lunedì, settembre 18, 2023

Paolo Borgognone - The Beatles. Il mito dei Fab Four

Oddio!
Un altro libro sui Beatles!!!
Che altro si può ancora dire?
Eppure...

Paolo Borgognone riesce ad aggiungere, se non cose nuove (impossibile!), un taglio interessante, competente, godibile e approfondito, pieno di nomi, dati, particolari spesso poco conosciuti, alla storia più bella del mondo, quella dei BEATLES.

Partendo da un'accurata analisi sociologica dell'ambiente in cui i quattro Fab Four sono nati e cresciuti, aggiungendo particolari sempre poco citati della loro storia, concludendo con una veloce analisi del post Beatles e delle varie opportunità di possibili, ventilate e mai realizzate reunion.

I Beatlesiani di ferro troveranno la lettura più che piacevole e potranno annotare un po' di particolari insoliti e non sempre messi in evidenza, gli "occasionali" avranno una visione completa della storia dei Beatles al di fuori del consueto taglio "Wikipedia".

Paolo Borgognone
The Beatles. Il mito dei Fab Four
Diarkos
500 pagine
22 euro

mercoledì, settembre 13, 2023

The Who - Who’s Next | Life House

Esce venerdì la versione Super Deluxe di "Who's next" degli WHO, quello che doveva essere l'opera rock "Lifehouse" ma che, ridotto ad album singolo, è diventata una pietra milare della storia del rock.
Sono 155 brani di cui 89 mai pubblicati e 59 remixati.

Il box si trova tra i 250 e i 280 euro, un prezzo non facilmente affrontabile pur con un'offerta così ricca e gustosa.

Il che pone il consueto motivo di discussione su come la discografia (con la connivenza degli artisti) speculi sulla passione dei fan per realizzare prodotti a prezzi molto "importanti" che contengono semplice materiale di repertorio che non ha richiesto alcun investimento.

Per i fan e collezionisti degli Who parte del materiale è già reperibile su bootleg e sul web (vedi le b sides e i 45 usciti nel periodo o i demo già presenti sul "Lifehouse Chronicles" di Pete Townshend pubblicato nel 2000 o varie parti live).

Non di meno il contenuto è, da fan e, da cultore della musica rock, oggettivamente superlativo.
La band è al top della forma, sia compositiva che esecutiva (i brani dal vivo sono impressionanti), i suoni spettacolari, il materiale prezioso.


Baba O'Riley strumentale di 13 minuti, Pure and easy, Baby don't do it di Marvin Gaye di nove minuti, brani minori dal vivo come Too much of anything, una rara Bargain, le cover live di Roadrunner e Bonie Moronie, i quattro minuti violentissimi della cover di Going Down di Freddie King.
La band si perde spesso in jam session in cui mischiano rhythm and blues, rock, blues e un approccio improvvisativo jazz, suonando come nessuno mai.

Un pezzo di storia della musica (e cultura) degli anni Settanta, ampliato in tutta la sua completezza, che coglie gli Who (ovvero uno dei gruppi rock più importanti di sempre) all'apice delle capacità.
Vale l'esborso di una cifra così alta?

L'edizione (proposta anche in versioni ridotte) contiene 10 CD, tutti rimasterizzati dai nastri originali da Jon Astley, più un Blu-ray Audio disc con nuovi remix Atmos e 5.1 surround di Who's Next e altre 14 bonus track a cura di Steven Wilson.

Ci sono i demo di Townshend per "Life House", le session di registrazione degli Who al Record Plant di New York nel 1971, le session agli Olympic Studios di Londra del 1970 al 1972 e due concerti completi del 1971, uno al Young Vic Theatre di Londra e uno al Civic Auditorium di San Francisco.

Il cofanetto contiene un book di 100 pagine con l’introduzione di Townshend e nuove note bio-discografiche di Andy Neil e Matt Kent. Incluso anche Life House - The Graphic Novel, un libro di 170 pagine supervisionato da Townshend che racconta la storia dietro il progetto.

E poi un poster di un concerto degli Who a Sunderland (7 maggio 1970), un altro poster di un concerto al Denver Coliseum (10 dicembre 1971), le repliche del programma del concerto del Rainbow Theatre di Londra (4 novembre 1971) e del programma del tour della band in UK di ottobre/novembre 1971, un set di quattro spille da collezione e una foto a colori degli Who con autografi stampati.

martedì, settembre 12, 2023

The Clash - Should I stay or should I go

The CLASH - Should I stay or should I go
https://www.youtube.com/watch?v=xMaE6toi4mk

"Should I say or should I go" è un noto brano dei CLASH scritto da Mick Jones per l'album "Combat Rock" del 1982.
Fu pubblicato anche come singolo con "Straight to Hell" senza particolare successo.
Quando l'uso del brano, dopo molte reticenze, fu concesso, nel 1991, per uno spot della Levi's, fu ristampato e andò dritto al primo posto delle classifiche inglesi.
Pare che il testo fosse rivolto alla allora fidanzata di Jones, Ellen Folley, in un periodo di profonda crisi relazionale.

E' singolare come nessuno abbia mai imputato ai Clash (che sono tutti firmatari del brano) una causa di plagio, per la evidente somiglianza con il brano "Little Latin Lupe Lu", composto da Bill Medley e pubblicato nel 1963 dai Righteous Brothers.

The Righteous Brothers - Little Latin Lupe Lu (1963)
https://www.youtube.com/watch?v=TuzgO_8DJA8

L'anno successivo fu ripreso dai Kingsmen (quelli di "Louie Louie").
https://www.youtube.com/watch?v=uTPaxWdn9U8

E infine nel 1966 da Mitch Ryder and the Detroit Wheels in versione più veloce e garage.
https://www.youtube.com/watch?v=KEGS-pAEvCA

Nel 1965 la facciata B di "Keep on running" (arrivato al primo posto delle charts) dello Spencer Davis Group, "High time baby", ha un'evidente attinenza con "Little Latin Lupe Lu".
https://www.youtube.com/watch?v=ByJp-Ujv-3g

I John's Children si ispirarono parecchio all'originale per il loro "Let me know" incluso nell'album "Orgasm" nel 1967 (prima dell'arrivo di Marc Bolan) ma che fu realizzato solo nel 1970 con l'aggiunta di urla del pubblico (prese dal film "A hard's days night") per simulare un finto live.
https://www.youtube.com/watch?v=vU1kHDP3fKg

Nei primi anni 70 gli Sharks, band sullo stile di Mott The Hopple, glam, Free (ai tempi un sound molto amato dal giovane Mick Jones) incise "Sophistication" che qualche vaga similitudine nel riff ce l'ha:
https://www.youtube.com/watch?v=KF8JbsLPupY

Paradossalmente gli One Direction vennero accusati di plagio del brano dei Clash per la loro hit "Live While We're Young" che ha però accordi diversi.
https://www.youtube.com/watch?v=AbPED9bisSc

L'unico che ha maliziosamente sottolineato le similitudini è stato David Lee Roth (che ebbe ai tempi di un festival americano in cui divise il palco con Strummer e soci qualche diverbio con la band inglese):
"Adoro i Clash. Adoro "Should I Stay or Should I Go", soprattutto perché amavo "Little Latin Lupe Lu" di Mitch Ryder tanti anni fa."

Le parti in spagnolo vennero cantate da Joe Strummer e dal cantautore Joe Ely che provvide alla traduzione (aiutato anche da un amico sud americano).

lunedì, settembre 11, 2023

Beastie Boys

Riprendo l'articolo pubblicato sabato scorso nelle pagine di "Alias" de "Il Manifesto".

I Beastie Boys sono stati tra i gruppi più rappresentativi di un’epoca, di un concetto progressivo e progressista di fare musica, partendo dall’hardcore punk, passando al rap e hip hop, in modo naturale e armonico perché, pur in antitesi sonora, erano generi che all’origine rispecchiavano la stessa attitudine.
Poi diluita in una commercializzazione artistica, estetica e culturale che ha omologato entrambi gli ambiti portandoli a musica d’ascolto, togliendo la pressoché totalità dell’anima antagonista con cui erano nate.
Non dimenticando che parliamo di una band di ragazzini bianchi new yorkesi che entrava a gamba tesa a “impossessarsi” di un linguaggio del ghetto nero ma che nel tempo è riuscita a costruirsi credibilità e autorevolezza.

Rapper che sapevano suonare, piuttosto bene, i loro strumenti, geniali, sempre alla ricerca del nuovo, dell’esperimento, con una maturazione progressiva da sciocco gruppo di nerd, con provocatori testi omofobi e sessisti, a trio di uomini consapevoli, impegnati, politicamente e socialmente.

Michael Diamond e Adam Horowitz, qualche anno dopo la scomparsa dell’amato compagno di avventure Adam Yauch, nel 2012, trovarono la forza di riprendere in mano l’album dei ricordi e scrivere un magnifico libro che ora Rizzoli pubblica in italiano, “Beastie Boys. Il libro”.
Oltre 500 pagine con un accurato e raffinato progetto grafico degli autori in cui si alternano stupende e rare foto, ricordi, follie di ogni tipo, inserti, playlist, ricette di cucina (!) e considerazioni profonde, analisi dettagliate degli album, aneddoti, testimonianze di amici e collaboratori. Non è solo la storia della band ma un ritratto sociale e un pezzo di storia della musica recente.

L’incipit è affascinante:
“E’ il 1981 a New York City: un pianeta lontano, difficile da riconescere ora.
I Beastie Boys sono appena stati fondati in una sala prove da qualche parte. Altrove Butthole Surfers, Cro-Mags, Motley Crue, Napalm Death, Run DMC, Sonic Youth e Wahm! stanno analogamente prendendo forma.
Ronald Reagan è il quarantesimo presidente della nazione. L’apparecchio per l’ascolto individuale delle musicassette conosciuto come walkman è in vendita negli Stati Uniti dall’estate precedente ma non è a buon mercato e ce l’hanno in pochi.
Piuttosto la musica risuona ovunque in città. E’ ovunque, che ti piaccia o meno...Cammini per strada e senti una radio diversa uscire da ogni singolo apparecchio, passi all’isolato successivo e senti la charanga da una parte, il Philly Soul dall’altra, un po’ di ska sopra e di doo wop sotto. La strada stessa funziona come un banco del mixer.
E’ un mondo fondato sulla radio.
In città la radio è un elemento centrale del panorama, tanto quanto i palazzi, i camion, i cartelli stradali e la gente per strada... Quello che non passano mai è il rap. Ma l’hip hop è ormai nelle strade. Quegli stereo boombox non sparano solo la musica delle radio. I mixtape trionfano”
.

E’ in questo clima che i tre ragazzini crescono.
Non solo artistico e musicale ma anche sociale.
New York è una città in bilico, allo stremo.
“Per anni dalla fine della guerra è stata sempre più lasciata in mano ai poveri.
Interi distretti sono stati abbandonati, interi isolati dati al fuoco. I servizi sociali funzionano a malapena, le strade sono luride e piene di spazzatura.
Le droghe si mangiano la città a una velocità incredibile.
Eroina e cocaina sono ovunque e costano pochissimo. Gli amici rubano agli amici. E c’é anche questa nuova malattia, sconosciuta, che inizia a diffondersi tra gli omosessuali. Ma sono proprio questi i motivi per cui la città è diventata il luogo ideale per artisti e musicisti, per i giovani che cercano di combinare qualcosa e sono disposti a rinunciare alle proprie abitudini e a ogni regola del buonsenso”
.

E’ una vita dura, difficile e pericolosa ma questi giovani surfer di un’esistenza spericolata cavalcano le onde più alte e impervie e faticosamente ce la fanno. I Beastie Boys lasciano l’hardcore, incominciano a frequentare il “Negril”, nel West Village, un locale reggae che si vota all’hip hop, dove si vedono Terry Hall degli Specials, Billy Idol, il DJ Don Letts alla ricerca di nuove idee e suoni, scoprono Afrika Bambaataa, “il primo che vedemmo prendere piccole porzioni da una serie di dischi e mixarle insieme per farne una canzone completamente nuova, creata da lui. Una micidiale combinazione di ruoli: curatore, improvvisatore, musicista. Piuttosto comune oggi ma ai tempi non avevamo mai visto né sentito qualcosa del genere”.

Iniziano a lavorare sulla nuova dimensione di band hip hop, provano (e vivono) in situazioni più che disagiate e trovano il battesimo di fuoco in un tempio del rap come il “Disco Fever”, culla del genere.
E’ questa la cosa grandiosa dell’essere adolescenti: ti senti indistruttibile. Stupidità e arroganza battono realismo e paura”.
Inutile dire che il concerto passò inosservato nell’indifferenza del poco pubblico presente. Ma il battesimo era avvenuto.
Approdano alla Def Jam di Rick Rubin e incomincia una nuova storia, ancora lunga e irta di ostacoli, sconfitte e scoramento. Ma nel 1986 con l’esordio di “Licensed to ill” e il brano “(You gotta) Fight for your right (to party)”, con tanto di video che passa a ripetizione su MTV ottengono il grande successo e la possibilità di andare in tour con nomi come Run DMC e Madonna.

I testi sono scanzonati ma anche estremi e decisamente “sopra le righe” quando fanno riferimenti pesantemente sessisti e omofobi di cui si pentiranno e per cui non esiteranno successivamente a scusarsi:
“Non ci sono scuse. Ma il tempo ha sanato la nostra stupidità. Abbiamo imparato e sinceramente cambiato dagli anni Ottanta. Speriamo vogliate accettare queste scuse tanto attese”.

La band ha il grande pregio di non adagiarsi sugli schemi che hanno dato loro il successo ma di osare immediatamente e andare oltre, riprendendo in mano gli strumenti e spostando con “Paul’s Boutique” il sound verso soul e funk e con il successivo “Check your head” spingendosi, con venti brani, a jazz, hardcore, sperimentazione, funk, rap.
Una caratteristica che sarà il filo conduttore delle opere successive, in cui non ci saranno mai limiti alla loro grande creatività.

“Hello Nasty” nel 1998 li consacrerà ulteriormente, con primi posti in vari paesi del mondo e milioni di copie vendute.
Il tutto sotto il loro totale controllo artistico, grazie all’etichetta che fondano, la Grand Royal, e con la quale portano avanti lo spirito autoproduttivo delle origini. Come dice nel libro il regista, che ha collaborato a lungo con la band, Spike Jonze:
“Non incidevano solo, creavano mondi. Hanno sempre fatto a modo loro. Non c’era nessuno di un’etichetta discografica a dirgli cosa fare. I Beastie Boys andavano per la loro strada e quando finivano un lavoro – le foto, il video, l’album – consegnavano tutto alla casa discografica”.

Interessante anche l’evoluzione e il cambiamento sistematico della loro estetica che ha spesso precorso le mode e le tendenze, che assemblavano dalla strada.
Significativa la scelta per incidere “Mix Up” del 2007 in cui abbracciano un funk soul jazz strumentale.
“Se avete intenzione di incidere un album strumentale dovete vestirvi in maniera adeguata, come dei jazzisti. Gli abiti che indossate sono importanti, cazzo”.
E così fecero, ogni giorno in studio di registrazione.
Un brutto male portò via Adam Yauch nel 2012 e il suo ricordo è malinconicamente costante nel libro.

“La band non si è sciolta. Adam ha avuto il cancro ed è morto. Se non fosse successo, probabilmente staremmo registrando un album mentre state leggendo queste righe”.

sabato, settembre 09, 2023

Appuntamenti

Torniamo con i NOT MOVING LTD siamo always on the road sull'Isola d'Elba (dopo Sicilia e Sardegna ci mancava un'altra isola) al Neverending Festival. https://www.facebook.com/NeverendingMusicFestival

Not Moving LTD
https://www.facebook.com/profile.php?id=100051397366697



Poi si va avanti ancora fino alla fine dell'anno (e poi stop).
ROCK AROUND THE BOOK chiude quest'anno con due serate.

venerdì, settembre 08, 2023

Booker T & the Mg's - McLemore Avenue

Un album particolarissimo, geniale tributo a un disco uscito pochissimo tempo prima, sorta di istant record, eseguita a tempo da primato ma con una capacità interpretativa e rielaborativa superlativa.

Sarà il penultimo lavoro insieme della formazione originale di BOOKER T. and the MG's.
Dopo "Melting pot" la band si sfalderà e nel 1975 Al Jackson Jr. morirà ucciso in una rapina (in circostanze poco chiare).

Quando Booker T ascoltò pr la prima volta "Abbey Road" dei Beatles (uscito il 26 settembre 1969) ne rimase molto impressionato:
"Mi trovavo in California quando ascoltai per la prima volta Abbey Road, e pensai quanto fosse coraggioso da parte loro discostarsi dal loro stile abituale per sperimentare musicalmente nella maniera in cui stavano facendo.
Spingere al limite i propri mezzi e reinventare sé stessi quando non avevano nessun bisogno di farlo. Erano il gruppo numero uno al mondo ma vollero ugualmente rimettersi in gioco.
La musica che produssero era semplicemente incredibile così mi sentii in dovere di renderle omaggio".


Chiamo a sé la band, i favolosi Steve Cropper alla chitarra, Duck Dunn al basso, Al Jackson Jr alla batteria, si sedette all'organo Hammond e poco tempo dopo coverizzarono 13 dei 17 brani di ABBEY ROAD (escludendo "Maxwell's silver hammer", "Oh darling", "Octopus's garden" e "Her majesty") in chiave strumentale (a parte due inconsueti brevissimi interventi vocali in "The end" e "Come together").

L'album fu pubblicato nell'aprile 1970 con una splendida copertina che imitava quella di "Abbey Road" ma con la foto scattata a McLemore Avenue (che diede il titolo all'album), la strada in cui sorgevano gli studi della Stax Records a Memphis, dove il disco fu registrato (oltre ai Wally Heider Studios a Los Angeles).

La versione di "Something" è un capolavoro jazz funk, il resto si divide in tre lunghi medley dei brani di "Abbey Road" senza sempre rispettare la successione originale, ricchi di improvvisazioni, di guizzi geniali a livello di arrangiamento.

Nella ristampa del 2011 sono state aggiunte altre versioni di brani dei Beatles registrate nel corso del tempo (alcune inedite, altre già pubblicate in precedenza):
"You Can't Do That", "Day Tripper", "Michelle","Eleanor Rigby","Lady Madonna".

giovedì, settembre 07, 2023

Thomas Mauceri / Seb Piquet
In search of Gil Scott Heron. The Godfather of rap

"La vita è un cerchio. Finisci sempre da dove sei partito. Non esiste l'altra parte, non c'è via d'uscita."
(Gil Scott Heron)

Gil Scott Heron rimane un faro nella "black culture", un infinito universo di spunti artistici, culturali, musicali, socio/politici.
Un personaggio e un lascito che è necessario continuare ad approfondire, studiare, esaminare con cura, tanto è prezioso il contenuto che ha espresso nella sua convulsa vita.

Questa graphic novel è semplicemente stupenda nel raccontare il sincero e appassionato tentativo di uno studente francese di incontrare Gil per girare un documentario su di lui cercando di vincerne la ritrosia ("non ho nulla di interessante per te, tutto ciò che ho da dire lo dico nei miei testi. Non riesco a capire il motivo di fare un film su di me" lo gela nella prima convesazione telefonica).

Non ce la farà, passando attraverso mille disavventure ma riuscendo però a entrare in un percorso di formazione, culturale e sociale, nel mondo afroamericano, vivendo il drammatico e drastico passaggio da Obama a Trump e continuando a dover fare i conti con discriminazione e razzismo.

Stupendi i disegni, le citazioni, la discografia ragionata e commentata alla fine.

"Penso sia un errore che mi si conosca come il "Godfather of Rap".
Una rivoluzione di qualunque colore sia, succede dentro a te. Una rivoluzione è prima di tutto mentale, arriva dalla mente.
Se vuoi cambiare la tua vita, se vuoi che le cose intorno a te siano diverse, è necessario per prima cosa cambiare il modo in cui pensi."

(Gil Scott Heron)

Thomas Mauceri / Seb Piquet
In search of Gil Scott Heron. The Godfather of rap
Titan Comics
232 pagine
32 euro
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