martedì, giugno 30, 2020

Giugno 2020. Il meglio



Procede bene l'anno con Igorrr, X, The Ranch, Bob Dylan, Liam Gallagher, Lux Hotel, Real Estate, Gerry Cinnamon, Christian McBride, Gil Scott Heron/Makaya McCraven, Devonns, Soul Motivators, Isobel Campbell, Monophnics, Black casino and the Ghost, Martha High and the Italian Royal Family, Crowd Company, Ben Watt. Moses Boyd, Shabaka and the Ancestors, Jazz Sabbath, Field Music.

Per l'Italia Calibro 35, Ritmo Tribale, Lilac Will, Mother Island,Rosalba Guastella, Dining Rooms, Dalton, Puglia, Era Serenase, Ok Bellezza, Caltiki e Handshake.


BOB DYLAN - Rough and rowdy ways
“I was born on the wrong side of the railroad track/Like Ginnsberg, Corso and Kerouac”
In una riga la storia di una vita.
Difficile fare meglio. Ma lui é Bob Dylan. Che scrive il miglior album da un sacco di tempo.
Dolente crudo blues decadente. E la sua voce, le sue liriche.
Poi c'è "Murder most foul" (http://tonyface.blogspot.com/2020/03/bob-dylan-murder-most-foul.html).
17 minuti per un'opera che travalica ogni concetto musicale e mette la pietra tombale sul secolo scorso.
Troppo importante.

LIAM GALLAGHER "MTV Unplugged"
Spesso irriso e sbeffeggiato, sicuramente sottovalutato, OUR KID si é lentamente (ri)costruito una dignità artistica di valore.
Adorato in UK, esce ora con un live semi acustico, ‘MTV Unplugged’', con orchestra e coro gospel. Quattro brani degli Oasis e sei suoi (in questa "Sad Song" con l'ex sodale Bonehaed) e un album, per noi FAN, denso, commovente, intenso.
Bella LIAM!

SPITFIRES - Life worth living
Al quarto album la band di Billy Sullivan si affida all'ex produttore di Weller, Simon Dine e all'Acid Jazz Records per rifinire meglio sound e direzione.
Molti i brani che guardano allo ska o più che altro alle sue ritmiche, frequente l'uso dei fiati, un gusto marcatamente Brit Pop (dalle parti dei Kaiser Chiefs ma soprattutto spesos vicino agli Ordinary Boys).
Le canzoni ci sono, la personalità anche, energia da vendere, un buon album anche se suona "di transizione".
Sono maturati, cresciuti, possiamoa spettarci grandi cose.

LILAC WILL – Tales from the sofa
Mai un termine come delizioso é più appropriato se accostato all’esordio della band di Latina. Che ci avvolge in delicate ballate folk acustiche color pastello, dal gusto autunnale, romantiche e malinconiche ma allo stesso tempo spensierate e piene di aria fresca e raggi di sole. Tra Any Other ai Kings of Convenience e uno sguardo al folk inglese dei 70 in odore di Fairport Convention, un mondo di belle sensazioni.

CRISTIANO GODANO - Mi ero perso il cuore
Esordio solista per il leader dei Marlene Kuntz, tra le band più seguite, importanti e rispettate della scena alt italiana. I tredici brani ci portano in una dimensione acustica, molto introspettiva, stilisticamente sospesa, che guarda compositivamente a una delle preferenze artistiche di Godano, Neil Young. Rispetto alla band "madre" é il cantato a risaltare e ad evidenziarsi. Una dimensione nuova e molto intrigante, un capitolo inedito che apre a nuove direzioni e prospettive, sicuramente interessantissime.

ROSALBA GUASTELLA - My little songs
Eccellente esordio per la musicista, cantante, autrice torinese, già voce dei No Strange. Un album in cui spazia, in un ambito prevalentemente semi acustico, da tonalità blues al folk psichedelico a cenni jazzy. Voce calda e avvolgente, curioso incrocio tra Sandy Denny e Pj Harvey, brani di pura eccellenza compositiva. Un album atipico nel panorama italiano, dal respiro assolutamente internazionale e di rara efficacia.

ROSE CITY BAND - Summerlong
Ripley Johnson dei Wooden Shjips e Moon Duo si vuole divertire al pub il giovedì sera e decide di formare una band ad hoc.
E tira fuori questo nuovo gioiello di country psichedelico, solare, estivo, rinfrescante.
L'ideale per una serata afosa senza calcio in tv.

ROLLING BLACKOUTS COASTAL FEVER - Sideways to new Italy
Jingle jangle pop di ampio respiro, un bel po' di 80 e 60 messi insieme, power pop, belle cose. Un bel disco, il secondo, per la band australiana.

DON BRYANT - You make me feel
La vecchia roccia del rhythm and blues torna con un album caldo e solido di southern soul, intense ballate, grandi e saltellanti brani mid tempo. Per gli amanti del genere c'è di che divertirsi.

IGGY POP - Bowie Years BoxSet
Di come l'industria discografica stia raschiando sempre più il fondo. Un box con le solite rimasterizzazioni: i due album "Idiot" e "Lust for life" della copia Iggy/Bowie e il live del 1977 "TvEye".
Il resto sono registrazioni inascoltabili di tre concerti del 1977, qualche outtake, mix differenti.
Ovvero roba inutile e insignificante.

KLASSE KRIMINALE - Vico dei ragazzi
Con i Nabat hanno fatto la storia dello street punk e della Oi! Music italiana, colonna sonora ideale per la scena skinhead. Attivi dal 1985, una quindicina di incisioni alle spalle, si ripresentano con un album durissimo e crudo in cui si intrecciano brani in odore di primi Clash e Stiff Litte Fingers, testi politici e una potenza sonora comune a pochi.

MAMA HOPE - Space cake
Un sinuoso album di deep nu soul, debitore al groove e alle movenze di Erikah Badu e Macy Gray. Amal Harbaoui and Lucio Cavallari confezionano un piccolo gioiello di melodia, umori black e tropicali, con l'anima piena di suggestioni che furono care a Nina Simone. Uno sguardo al futuro con le radici salde nella tradizione del miglior black sound.

SLEAFORD MODS - ALl that glue
Una doverosa compilation che per gli iniziati é un perfetto modo per entrare nel mondo greve e spietato della band di Nottingham. Con aggiunta di remix, rarità etc.
Sempre devastanti.

SPACEY JANE – Sunlight
Esordio per il quartetto australiano tra jingle jangle pop, un po' Feelies, un pizzico di Smiths, le chitarre di Courtney Barnett, tanta energia e altrettanta freschezza. Molto piacevole.

CLAUDIO CONTI - Frail Boats
Maturo, sognante, curato. Il terzo album di Claudio Conti é un gioiellino di atmosfere di gusto psichedelico, mischiate alla canzone d'autore. Si viaggia tra i Beatles tardo 60, Paisley Underground (dalle parti dei Rain Parade), le melodie di Al Stewart, il primo prog melodico ("Moonchild" dei King Crimson o i Caravan come riferimento). Personale, originale, notevole.

BAG OF SNACKS - Paper girls
La band di Alessandria sforna un eccellente album di hardcore old style e punk rock dal sapore Ramones meet Social Distortion. Suonato con attitudine, gusto, grandi canzoni, suoni perfetti e un tiro invidiabile.
Il tutto corredato da un prezioso vinile inciso solo su un lato e l'altro serigrafato riservato alla "copertina" a cura di Delicatessen. Dedicato alle “ragazze di carta” ossia le eroine dei fumetti erotico / porno dagli anni ’70 di Gesebel ai ’90 di Kerry Kross.

ASCOLTATO ANCHE
LEXSOUL DANCEMACHINE (disco funk con influenze elettroniche dall'Estonia. Discreto), SMOOVE AND TURREL (dance disco funk con un tocco di Jamiroquai), NATALIE SLADE (soul, hip hop, nu jazz. Interessante), BLUEY (softo soul funk dal leader degli Incognito)

LETTO

WOODY ALLEN - A proposito di niente
Un'autobiografia godibilissima, ovviamente ricca delle sue battute spiazzanti, ciniche, spietate, nichiliste e della sua consueta autoironia.
Indulge eccessivamente sul devastante rapporto con Mia Farrow, in una, a volte stucchevole (seppur comprensibile), autodifesa, si auto compiace di farci sapere quante (belle) donne si é portato a letto, divertenti i siparietti sui rapporti con personaggi famosi, ribadisce ogni due pagine il suo sconfinato amore e devozione a Soon Yi e ci si perde spesso in una sfilza di nomi non del tutto (o per niente) noti in Italia.
La lettura è comunque piacevolissima, spesso strappa risate da lacrime, e interessantissima.
Un dei più importanti registi contemporanei, piacciano o meno i suoi film.

ROTE ZORA - Mutate or die
La Mutoid Waste Company è stata ed é una delle esperienze più innovative, creative, surreali ma altrettanto pragmatiche e inserite nel contesto sociale attuale, degli ultimi decenni.
Artisti di strada, itineranti, alla ricerca di un modello di vita alternativo a quello capitalista/consumistico imperante che la Tatcher (nacquero nei primi 80 in Inghilterra proprio in reazione alle sue modalità politico sociale che smantellarono il welfare in Gran Bretagna) espresse nel peggiore dei modi, aprendo la strada alla devastazione sociale attuale.
Attraverso il riutilizzo di materiale diventato rifiuto costruirono ingegnose e spettacolari macchine ma soprattutto un'identità e un modello di vita nuovo.
Viviamo secondo la mutazione per dimostrare ogni giorno che uno stile di vita alternativo è possibile. (Emma)
Alla base il concetto del Do It Yourself e il No Future mutuati dal primo punk, trasportati in una difficile e complessa vita reale.
I Mutoid erano allora all'avanguardia perché avevano posto l'accento sul concetto del DIY, riciclando tutta la merda che la società capitalista buttava via per farla diventare opera d'arte, quando nessuno ci aveva mai pensato.
Il DIY rimane un'idea e un incredibile stimolo per i giovani ma anche per tutti i lavoratori del mondo.
(Marco Philopat).
Trovarono "casa" a Sant'Arcangelo di Romagna dove tutt'ora la loro comunità MUTONIA risiede.
Il libro ne descrive alla perfezione e con passione le vicende attraverso le testimonianze dei diretti protagonisti e un compendio fotografico che ne riassume bene lo spirito.
I MUTOID mettono al bando la neonata cultura dell'usa e getta, in virtù di una cultura che potremmo chiamare dell'usa e riusa.
I rifiuti prendono sembianze zoomorfe e antropomorfe, i veicoli diventano fantasmagorici mezzi di trasporto o bizzarre case su ruote, mentre gli edifici abbandonati vengono occupati per viverci dentro.
Se il pezzo di rottame può essere metafora di decadimento umano e isolamento sociale, le sculture di scarti mutanti traducono per contrappasso la condizione di rifiuto umano nell'attitudine alla negazione dei valori veicolati dal capitalismo (come privatizzazione, subordinazione e alienazione) e nel rigetto del sincopatico ritmo di vita ed economico del PRODUCI, CONSUMA, CREPA.

Andai a Mutonia nei primi anni 90 e rimane una delle esperienze più particolari e suggestive che abbia mai fatto...

AA.VV. - UNCUT The Ultimate Music Guide - PAUL WELLER
Numero speciale di "Uncut" - Ultimate Guide Series, dedicato a PAUL WELLER.
146 pagine che ripercorrono album per album tutta la sua carriera dai Jam a "On sunset" con interviste e recensioni d'epoca, una sua introduzione allo speciale, curiosità e un buon supporto fotografico (pur se con poche rarità).
Praticamente un libro.

IGOR RIGHETTI - Alberto Sordi segreto
Nel centenario della nascita fioccano le pubblicazioni su ALBERTO SORDI.
Questa, a cura del giornalista e cugino di Sordi, Igor Righetti, promette, dal titolo, rivelazioni e particolari inediti.
In realtà c'è ben poco di cui già non si sapesse e di particolarmente rilevante.
Un po' fastidiosi i reiterati attacchi a Nino Manfredi e Carlo Verdone e altrettanto superflui i numerosi riferimenti alla propria attività da parte dell'autore (incluso il CD con canzone dedicata a Sordi composta sempre dallo scrivente).
Anche per i fan poco utile e interessante.
Caldamente SCONSIGLIATO.

COSE VARIE
Ogni giorno mie recensioni italiane su www.radiocoop.it, ogni domenica "La musica ribelle", una pagina sul quotidiano "Libertà", ogni mese varie su CLASSIC ROCK.
Periodicamente su "Il Manifesto".

IN CANTIERE
Tutto ancora fermo, anche se si intravedono spiragli.
I progetti non mancano: entro l'anno un paio di nuovi LIBRI (tra cui una sorpresa molto particolare), uno a cui ho collaborato attivamente, una ristampa, un altro agli inizi del 2021.
Si lavora intanto a un nuovo disco.

lunedì, giugno 29, 2020

Get Back. Dischi da (ri)scoprire



Ogni mese la rubrica GET BACK ripropone alcuni dischi persi nel tempo e meritevoli di una riscoperta. Le altre riscoperte sono qui:
http://tonyface.blogspot.it/search/label/Get%20Back

Questo mese uno sguardo ad alcuni album di Black Music dei 70 che guardavano all'impegno socio politico.



SYL JOHNSON - Is It Because I'm Black?
Superlativo album funk soul del 1970 dalle istanze impegnate, vedi l'iconica title track in cui si chiede se quello che gli capita è "solo perché sono nero?".
C'è anche una grande versione di "Come together" dei Beatles e un'altra canzone come "Talking about freedom" che definisce i contorni del suo approccio lirico.
Uno che ha suonato in precedenza con Magic Sam, Billy Boy Arnold, Junior Wells, Howlin' Wolf e Jimmy Reed.
Album stupendo.



CURTIS MAYFIELD - There's No Place Like America Today
L'iconica, ironica, copertina che titola quanto l'America sia il miglior posto in cui vivere, a fronte di una fila di persone probabilmente disoccupate, sovrastate da un cartellone con la classica famiglia bianca in viaggio per una vacanza, riassume parte del contenuto dell'album. Una riflessione sui mali degli States di metà anni 70, tra diffusione delle armi (con la solita trafila di morti, prevalentemente neri) a riflessioni sulla miseria nelle città.
Non é il miglior Mayfield ma l'album è ancora ad altissimi livelli e la sua classe immutata.



O'JAYS - Ship Ahoy
Nel 1973 anche gli O' Jays (già famosi per il classico “Love train”) si indirizzano verso tematiche dai connotati politici e impegnati (alternati a superbe love songs) in un concept sullo schiavismo.
Rhythm and blues, funk, cupi brani gospel soul sono un sofferto specchio della black music dei primi 70’s.



BILLY PAUL - 360 Degrees
Ottimo mellow soul targato 1972 in cui é contenuta la controversa funk song "Am I Black Enough for You?" che venne boicottata da molte radio per il messaggio troppo esplicito e che gli attirò numerose critiche per essersi discostato troppo dal solito sound e testi più spensierati.
Lo stesso Billy Paul rimarcò che il brano gli venne imposto dalla casa discografica per essere al passo con i tempi in cui tanti incidevano canzoni più impegnate. Rimane comunque un album gradevolissimo.

domenica, giugno 28, 2020

Surrender To The Rhythm: The London Pub Rock Scene Of The Seventies



71 brani di altrettanti artisti in tre CD a rappresentare la scena PUB ROCK e affini inglese dei 70, in tutte le sue variabili. Dal rhythm and blues, al rock 'n' roll, al glam, al proto punk e un po' di crudo funk.

Qualche nome più che noto: Dr Feelgood, i Jam con "Slow down", Squeeze, Elvis Costello, Status Quo, Moot the Hopple, Eddie and the Hot Rods, Inmates, Dave Edmunds, Chris SPedding, i 101's ers di Joe Strummer, Ian Dury. Graham Parker, Thin LIzzy, Merton Parkas.

Per chi non è cultore di quei suoni sarà un piacere scoprire gruppi come Count Bishops, Brinsley Schwarz, Darts, Snif n Tears (la loor "Driver's Seat" la riprendemmo con i Not Moving nel 1988), i favolosi Legend, i Gorillas, gli Eggs Over Easy, gli Heavy Metal Kids.

Era la musica della Working Class, che si ascoltava nei pub o su qualche 45 giri.
Semplice, grezza, immediata, facile.

sabato, giugno 27, 2020

Paul Weller su "Uncut"



Numero speciale di "Uncut" - Ultimate Guide Series, dedicato a PAUL WELLER.
146 pagine che ripercorrono album per album tutta la sua carriera dai Jam a "On sunset" con interviste e recensioni d'epoca, una sua introduzione allo speciale, curiosità e un buon supporto fotografico (pur se con poche rarità).
Praticamente un libro.



Tante cose nel nuovo numero di Classic Rock Italia.

Intervisto Steve Wynn, recensisco "On sunset" di PAUL WELLER e poi l'album acustico sempre di Steve Wynn, il nuovo dei PRETENDERS, i "Dry Demos" di PJ HARVEY, gli album di Gerry Cinnamon, dei Dalton (Dalton Bootboys), quello di Shabaka Hutchings and the Ancestors, del James Taylor Quartet, di Izo Fitzroy, dei BrownOut, dei Devonns, dei Palaye Royale, il grande lavoro di Puglia, quello dei Caltiki, di Danzig, dei The Dirtyhands, di Paolo Rig8.
E poi le ristampe della Garland Records sui 60's garage dell'Oregon e il libro "Scrivere di musica" di Rossano Lo Mele.
Poi si parla di "Let it be" dei Beatles, di "Closer" dei Joy Division, di Little Richards, The X, T.Rex etc etc etc...

venerdì, giugno 26, 2020

Anomalie degli anni 60 beat italiani



A cura di GIAMPAOLO MARTELLI che da anni porta avanti con le serate "Gli anni del Piper" un recupero del patrimonio beat italiano dei 60's.

Anomalie degli anni 60. I pezzi che non ti aspetti.
Cose strane accadute nell'italietta nostra durante gli anni sessanta.
Accanto a personaggi e gruppi beat piu' conosciuti hano visto la luce alcuni dischi curiosi e singolari.

Vi ricordate la Gigliola Cinquetti che non aveva l'età? Ve la sareste mai immaginata in un prepotente Rhythm n soul come 'Zero in amore' ?
https://www.youtube.com/watch?v=R9ll2JTDOXU

Oppure il romantico Tony Dallara che nel 1965 propone inopinatamente 'Stavolta no', cover di quella "Long after tonight it's all over" di Jimmy Radcliff, brano simbolo del northern soul che faceva parte del trittico di chiusura ( insieme a I 'm on my way e time will pass you by) delle serate del Wigan Casino.
https://www.youtube.com/watch?v=0qmsV9eyMUM

Restando sempre in tema soul che dire della sofferta ' Nella mia mente la tempesta' di Mino Reitano?
Clamoroso e riuscitissimo mid-tempo.
https://www.youtube.com/watch?v=HGM4Byd577s

Capolavoro del cosidetto popcorn è poi 'Coccodrillo' del 1963, dalla voce piena e potente di Ornella Vanoni alle prese con "Whirpool" della regina rockabilly Wanda Jackson.
https://www.youtube.com/watch?v=XVdKUcV1hBI

Mentre il piccolo Antonio Ciacci, alias Little Tony nel 1967 si confronta con "It's not unusual" di Tom Jones ribattezzata 'Non è normale' di cui decadi dopo si ricorderanno i Ridillo.
https://www.youtube.com/watch?v=9zMXWhL5PXY

Seppur straniero Claude Francois, di madre italiana comunque, ebbe un certo successo anche da noi, in particolare col 45 giri 'Se torni tu' il cui retro era 'Come sempre', versione italiana della sua "Comme d'habitude", brano ispirato a una melodia di Jacques Revaux cui rifece il testo per esprimere la propria disperazione per essere stato lasciato dall'attrice e cantante France Gall.
Il pezzo folgoro' Paul Anka che lo tradusse in inglese e lo cedette a un riluttante Frank Sinatra che lo pubblico' col titolo "My way".
https://www.youtube.com/watch?v=foDxIUNP6y8

In quegli anni i giovani italiani facevano una (prima) timida conoscenza con sostanze varie, ne fa una gioiosa quanto inaudita cronaca la misteriosa Gianna (ma in alcune copie appare come Jovanka) che, nel 1965 nel lato B del trascurabilissimo tango svizzero, propone la quasi cabarettistica e irresistibile 'Cocaina'.
https://www.youtube.com/watch?v=b5B4cFr1_I8

Di sostanze si occupa anche il celebre Nino Ferrer nell'Augeriano 'Cannabis'. Singolarissimo pezzo per oltre metà strumentale,che si apre con un groove ipnotico e avvincente prima di ospitare uno sferzante testo, in francese, dalle forti tinte antimilitariste.
https://www.youtube.com/watch?v=4ZTjSisCDvw

Di segno opposto il brano dei toscani Planetari che, nel 1967, con un suadente Rhythhm 'n' blues (direttamente ispirato da "Papa's got a brand new bag" di James Brown) illustrano le conseguenze negative del consumo di sostanze nella loro 'Non ti drogare'.
https://www.youtube.com/watch?v=y80oyheFS8g

Clamorosamente bastian contrari i Liars che si producono in 'Estremo Oriente', proto-garage del 1967 dal testo prepotentemente controcorrente nel contesto vagamente flower power del beat italiano. Il pezzo infatti è sfacciatamente a sostegno dell' intervento americano in Vietnam contro il pericolo giallo (rosso).
https://www.youtube.com/watch?v=ZWI_5wjK9fA

Nel 1969 un giovanissimo Franco Battiato scrive un piccolo capolavoro che verrà cantato dalle sorelle Flavia e Rosanna Baldassarre che in questo caso si presentano col nome de Le Metamorfosi. Di loro si sa poco, faranno le coriste nell'album "Ys" del Balletto di Bronzo insieme a Giuni Russo che allora si faceva chiamare ancora Giuni Romeo.
Il brano titolato 'Scusa eh' dai toni distintamente psichedelici rappresenta una sorta di sacro graal per i collezionisti.
https://www.youtube.com/watch?v=BIVxWz2wHJg

Chiudiamo con un pezzo edito solo in formato flexi disc 'Sotto di noi', incredibile esempio di soul jazz distribuito dalla Michelin per promuovere le proprie gomme modello Zx senza indicare compositore ed interpreti.
https://www.youtube.com/watch?v=hJ8VHA85UqY

giovedì, giugno 25, 2020

Wall of Voodoo - Mexican Radio



Uno dei brani più iconici degli anni '80 dall'inaspettato successo radiofonico per una mezza casualità.

Uscito come singolo all'inizio del 1983 (e ignorato dalle radio) con un video realizzato con pochi soldi ma particolarmente suggestivo e divertente, sfruttò il recente lancio di MTV che, a corto di materiale, incominciò a trasmetterlo con molta frequenza, tanto da farlo diventare una piccola hit (58° posto in Usa, 64° in Inghilterra, poco più in alto in Canada e Australia).
A dispetto che fossero una "electronic, avant-garde underground band. Because that's what we were."
(Stan Ridgway)

L'ispirazione per il testo nacque dall'abitudine di Stan Ridgway di sintonizzarsi su qualche radio messicana (all'inizio del brano ci sono registrazioni da trasmissioni captate dal vicino paese) e di ripetere "I'm on a mexican radio".
La versione demo era un continuo ripetere quella frase dall'inizio alla fine...

Il video fu girato in un giorno a Tijuana e in uno studio a Los Angeles.
Alla fine compare una signora che mostra un piatto di fagioli da cui spunta poi la faccia di Stan. I fagioli furono preparati da Bob Casale dei Devo!

https://www.youtube.com/watch?v=eyCEexG9xjw

mercoledì, giugno 24, 2020

Rote Zora - Mutate or die



La Mutoid Waste Company è stata ed é una delle esperienze più innovative, creative, surreali ma altrettanto pragmatiche e inserite nel contesto sociale attuale, degli ultimi decenni.

Artisti di strada, itineranti, alla ricerca di un modello di vita alternativo a quello capitalista/consumistico imperante che la Tatcher (nacquero nei primi 80 in Inghilterra proprio in reazione alle sue modalità politico sociale che smantellarono il welfare in Gran Bretagna) espresse nel peggiore dei modi, aprendo la strada alla devastazione sociale attuale.

Attraverso il riutilizzo di materiale diventato rifiuto costruirono ingegnose e spettacolari macchine ma soprattutto un'identità e un modello di vita nuovo.

Viviamo secondo la mutazione per dimostrare ogni giorno che uno stile di vita alternativo è possibile. (Emma)

Alla base il concetto del Do It Yourself e il No Future mutuati dal primo punk, trasportati in una difficile e complessa vita reale.

I Mutoid erano allora all'avanguardia perché avevano posto l'accento sul concetto del DIY, riciclando tutta la merda che la società capitalista buttava via per farla diventare opera d'arte, quando nessuno ci aveva mai pensato.
Il DIY rimane un'idea e un incredibile stimolo per i giovani ma anche per tutti i lavoratori del mondo.
(Marco Philopat).

Trovarono "casa" a Sant'Arcangelo di Romagna dove tutt'ora la loro comunità MUTONIA risiede.
Il libro ne descrive alla perfezione e con passione le vicende attraverso le testimonianze dei diretti protagonisti e un compendio fotografico che ne riassume bene lo spirito.

I MUTOID mettono al bando la neonata cultura dell'usa e getta, in virtù di una cultura che potremmo chiamare dell'usa e riusa.
I rifiuti prendono sembianze zoomorfe e antropomorfe, i veicoli diventano fantasmagorici mezzi di trasporto o bizzarre case su ruote, mentre gli edifici abbandonati vengono occupati per viverci dentro.
Se il pezzo di rottame può essere metafora di decadimento umano e isolamento sociale, le sculture di scarti mutanti traducono per contrappasso la condizione di rifiuto umano nell'attitudine alla negazione dei valori veicolati dal capitalismo (come privatizzazione, subordinazione e alienazione) e nel rigetto del sincopatico ritmo di vita ed economico del PRODUCI, CONSUMA, CREPA.


Andai a Mutonia nei primi anni 90 e rimane una delle esperienze più particolari e suggestive che abbia mai fatto...

Rote Zora
Mutate or die - In vaiggio con la Mutoid Waste Company
Agenzia X
15 euro

martedì, giugno 23, 2020

Manchester United 1998/99



Per la serie Grandi Stagioni, ALBERTO GALLETTI ci porta a quella indimenticabile del MANCHESTER UNITED del 1998/99.

La storia di Alex Ferguson al Manchester United fu caratterizzata da un iniziale periodo di insuccessi.
Periodo che durò dal giorno del suo arrivo, novembre ’86, fino al giorno in cui vinse il campionato inglese per la prima volta nel maggio ’93; il primo per il club dopo ventisei anni, giocavano ancora Charlton, Law e Best e l’allenatore era Matt Busby.
Sette anni, parecchi.
Oggi in sette anni senza trofei avrebbero già cambiato dieci allenatori, non allora.

Era un altro calcio, c’erano altri dirigenti.

Si sapeva ancora aspettare, si poteva ancora aspettare; che una squadra cambiasse, maturasse, prendesse convinzione di se e riuscisse ad esprimersi.
E non si doveva fronteggiare il vortice economico che oggi avvolge club di questo calibro e non perdona niente perché ogni calo della squadra, ogni flessione, neanche insuccesso, ha ripercussioni economiche negative.

Per chi come me, a quei tempi, seguiva il calcio inglese già da un po, il Manchester United era questa squadra con più tifosi e meno titoli della squadra al tempo egemone in Inghilterra, il Liverpool, che aveva vinto più del doppio (18) degli scudetti (7), e che ispirava più simpatia di questi ultimi, nonostante non avessi ancor ben chiare alcune cose e le simpatie vere fossero altrove.

Ci poteva quindi stare che mi trovassi ad Upton Park un mercoledì sera dell’aprile ’92 ad assistere al recupero contro il West Ham già retrocesso che, se vinto, li avrebbe mandati in testa alla classifica con due partite ancora da giocare.
Segnò un tale Brown e il West Ham vinse una partita molto inglese.
Il Leeds rimase davanti, lo United perse anche il sabato a Liverpool e addio campionato.

Il club chiedeva al manager scozzese di vincere il campionato, ovviamente, e in sei stagioni in carica questa fu la volta che ci andò più vicino. Ci riuscì l’anno dopo, determinante l’arrivo di Cantona dal Leeds a novembre.
Nel ’94 la squadra rivinse il campionato, secondo di fila, non capitava dagli anni ‘50, e la FA Cup ottenendo così il primo double della sua storia.
Per Ferguson il tanto inseguito, e ad un certo punto quasi insperato, successo.
Con i dominatori dei due decenni precedenti ormai in declino, l’unica sfida credibile, in patria, rimaneva quella dell’Arsenal; che vinse il campionato del ’95.

Nel frattempo Ferguson aveva completamente rinnovato l’organico, dando il benservito a parecchi veterani, trovati in squadra al momento del suo arrivo e via via liberati a suon di contratti non rinnovati: Mc Clair e Pallister gli ultimi due in quell’estate ’98; e rimpiazzandoli con una nidiata di giovani provenienti dal settore giovanile, opportunamente miscelati ai vecchi professionistoni di cui si fidava.
In quell’estate ingaggiò l’attaccante Yorke dal Villa e il truce difensore Stam dall’ Ajax; infine arrivò Blomqvist dal Parma come riserva di Giggs. Ferguson rilanciava così la sua sfida ai londinesi, autori del double nel ’98.
La stagione partì male, i gunners fanno a fette lo United (3-0) nel Charity Shield che apre la stagione.
In campionato la forma sembra non arrivare: alla prima di campionato deludente 2-2 casalingo con il Leicester City strappato in extremis dopo aver a lungo patito ed esser finito sotto 0-2, rimedia Beckham al 90’. Questo è tipico di questa squadra e si ripeterà ancora, in frangenti decisivi.
Scialbo pareggio, 0-0, anche il sabato dopo in casa del West Ham.
La visita del sorprendente Charlton, che è primo, ad Old Trafford riporta un po di sereno e quattro gol, a uno.
Tre partite cinque punti: non una gran partenza.

La successiva visita a Londra è disastrosa quanto la prima: campo diverso ma stesso avversario e stesso risultato, 3-0 per l’Arsenal nell’incontro di Highbury del 20 settembre. Dopo sei giornate lo United è undicesimo con otto punti e ha giocato una partita in meno; l’Aston Villa è in testa con 14 punti anche se non sembra credibile in prospettiva trentottesima giornata. L’Arsenal ha due punti e una partita in più dei ragazzi di Ferguson.

Ottobre è un buon mese , dopo la sconfitta di Londra lo United realizza una miniserie positiva, cinque vittorie tra cui il sempre gradito 2-0 casalingo al Liverpool e un convincente 5-1 al rognoso Wimbledon; due i pareggi. Il 14 novembre la classifica dice Aston Villa 28, United 25, Arsenal 24.

La settimana dopo sconfitta netta 3-1 a Hillsborough, ma perdono anche Villa e Arsenal e la situazione in testa rimane immutata con Chelsea, Leeds e West Ham che però si portano ad una lunghezza dai gunners, potrebbe scapparci una lotta per il campionato entusiasmante, sei contendenti.
Non sarà così.

Dicembre è un mese terribile, una sola vittoria, 3-0 al Forest il giorno di S.Stefano oltre a quattro pareggi e una sconfitta, in casa (2-3), contro il MIddlesbrough allenato dal grandissimo ex Brian Robson, che va addirittura sul 3-0 entro l’ora di gioco; non avrei voluto essere uno dei difensori a fine gara quando Ferguson rientrò negli spogliatoi. La classifica continua a piangere: il campionato ha effettuato il giro di boa e dopo 20 partite giocate, l’inaspettato Villa è sempre davanti, 39; s’è fatto largo il Chelsea, 37; davanti ai duellanti Arsenal e United 35; tutto rimediabile ad ogni modo.
Middlesbrough che torna ad Old Trafford il 3 gennaio per il terzo turno di FA Cup . Nuovo spavento quando gli ospiti vanno in vantaggio ad inizio secondo tempo. Questa volta però la reazione c’è e il finale di 3-1 proietta lo United al 4° turno, dove se la vedrà col Liverpool, in casa.

Le ultime stagioni sono state ricche di vittorie per il Manchester United, il trofeo del campionato è finito in bacheca quattro volte nelle ultime sei stagioni, insieme a due FA Cup e a quattro Charity Shield, tuttavia il successo in Europa restava chimerico.

Nell’Europa dei grandi.
Perché nel ‘90/91, alla prima stagione di competizioni europee dopo il bando seguito ai fatti dell’Heysel, lo United si era aggiudicato la Coppa delle Coppe battendo in finale il quotato Barcellona grazie ad una doppietta di Mark Hughes.
Questo trofeo, insieme (soprattutto) alla FA Cup dell’anno precedente, avevano salvato la traballante panchina di Alex Ferguson al tempo sempre in discussione causa mancanza di vittorie.
Quello che manca ora in bacheca è la Coppa dei Campioni, l’unica presente è quella del ’68, anche qui Charlton, Law, Best, Busby…..preistoria.

La storia di Ferguson in Champions League, nel frattempo gli avevano cambiato il nome, non fu in principio ne facile, ne tantomeno felice. Due eliminazioni al primo turno contro Galatasary e poi nel girone dove si qualificò il Goteborg.
La semifinale del ’97 sembrava aver restituito il club ad una giusta dimensione europea, ma l’eliminazione del ’98 nei quarti, per mano del AS Monaco e dello strepitoso gol di Trezeguet a Manchester, pose nuovi pesanti dubbi sull’effettiva consistenza dello spessore europeo della squadra.
L’edizione ‘98/99 prevedeva già una prima fase a gironi.
Lo United era finito nel Gruppo D insieme a Bayern, Barcellona e Brøndby, diciamo pure un pessimo sorteggio; non prima di aver dovuto passare da Lodz (2-0 e 0-0) per il preliminare, visto che l’anno prima era arrivato secondo.

Si giocò da metà settembre ad inizio dicembre; non un periodo di grande forma come abbiamo visto. Due vittorie sonanti contro i danesi (5-2 e 6-2) fruttano i sei punti facili da metter nel sottofondo. Poi ci sono due spettacolari pareggi contro il Barcellona, entrambi per 3-3. Quindi altri due pareggi contro il Bayern , 2-2 e l’ 1-1 in casa che sancisce la qualificazione; qualificazione per la quale però possono ringraziare il Bayern che batte due volte il Barcellona.
Ritroveremo il Bayern (squadra), e Barcellona (città) all’apice di questa stagione.
La seconda fase ad eliminazione diretta prevede i quarti di finale, per lo United il sorteggio ha detto Inter, appuntamento ad Old Trafford ai primi di marzo.

La sconfitta casalinga contro il Middlesbrough di dicembre sarà anche l’ultima, non solo in campionato, ma per tutto il resto della stagione; con gennaio la squadra cambia decisamente passo, sorretta da una condizione che comincia ad arrivare e da una convinzione senza eguali. A metà gennaio infatti, il Leicester City, che aveva causato patemi nella giornata inaugurale, viene demolito in casa propria per 6-2.

Il 24 gennaio il Liverpool rende visita ad Old Trafford per il quarto turno di FA Cup in cerca della prima vittoria sui rivali in nove anni, nonché della prima qualificazione in FA Cup ai danni dei red devils dal 1922. E partono col botto: Owen approfitta di una dormita generale della difesa e insacca di testa dopo due minuti!
Dopo aver condotto una partita all’attacco in cerca del pari, lo United, quando tutto sembrava perduto, resuscita per la prima volta in stagione e trova due gol in zona Cesarini, o meglio fergie Time come comincia ad essere chiamata in Inghilterra, all’88 (Yorke) e al 90’ (Solskjaer, tenere a mente) e un’ insperata vittoria che manda la squadra al quinto turno, il morale alle stelle e gli avversari all’inferno.
Si torna al campionato ed è la volta del Nottingham Forest, disintegrato 8-1 sul proprio terreno con un clamoroso poker di Solskjaer.
È il 6 febbraio: il Villa ha perso terreno a gennaio e ora classifica dice United 50, Chelsea 46, Arsenal 45.

They looked unstoppable.

Lo scontro diretto con l’Arsenal finisce 1-1 e due vittorie nelle due parte seguenti permettono allo United di mantenere il primo posto.
Vittorie che diventano quattro con le due ottenute nel mese di marzo nelle uniche due partite giocate; ritorna la Champions League.
Una doppietta di Yorke da la vittoria allo United sull’Inter nella partita di andata ad Old Trafford; a S.Siro lo United subisce gol al 60’ e quindi la pressione nerazzurra nel tentativo di cercare il gol del pari, Scholes a tempo quasi scaduto infila il pallone dell’ 1-1 che risolve la pratica qualificazione.

Il 3 aprile, dopo quattro vittorie di fila, lo United impatta sul campo del Wimbledon: vanno subito sotto quando su corner a loro favore vengono presi in contropiede da un lunghissimo rilancio del portiere avversario, Phil Neville e Schmeichel pasticciano, ne aprofittano Hartson e Euell, quest’ultimo insacca. Rimedia Beckham a fine primo tempo. Col pari in tasca, la testa va altrove e nel secondo tempo lo United bada a non subire e se ne va da Londra con un pari. Pari anche per l’ Arsenal e primato in classifica salvo.

Ma la testa dicevamo è altrove, mercoledì ad Old Trafford arriva la Juventus, tre volte finalista negli ultimi tre anni, per l‘andata della semifinale di Champions League. Ryan Giggs salva i red devils in pieno recupero infilando il gol dell’ 1-1. La Juventus, specie nel primo tempo, ha avuto in mano la partita e anche occasioni per il raddoppio. Questa ad ogni modo è una squadra che non muore mai e sicuro a Torino venderanno cara la pelle.

A Torino ci sono anch’ io, non vedevo una partita di Coppa dei Campioni da più di dieci anni.
Ricordo l’attesa e l’ emozione nell’avvicinarmi allo stadio e la delusione, mista al solito ‘sempre la stessa storia’, dopo solo dieci minuti di partita, quando Inzaghi mette dentro il 2-0 per la Juve che in quel momento parve chiudere il discorso qualificazione.
Ricordo una bolgia indescrivibile e un certo imbarazzo nel cercare di mascherare che non è che ne facessi proprio parte, mi crollò il mondo addosso.

Ma qui viene fuori la squadra che non muore mai: spalle al muro, con una montagna da scalare, ripartono.
Keane fa un gol di testa formidabile, uno dei migliori che abbia mai visto dal vivo: 1-2.
Siamo solo a metà primo tempo, un altro gol qualificherebbe lo United: c’è vita.
Si, e anche speranza, perché dieci minuti dopo Yorke pareggia, ancora di testa e poi prende un palo clamoroso.
Sono le situazioni che esaltano gli inglesi, che riuscivano a far girare le partite in dieci minuti, e far crollare psicologicamente gli avversari, momentum lo chiamano.
Questa è la seconda volta in stagione che riemergono dall’abisso.

Poi Andy Cole, oh Andy Cole!

Mai amato: prima sbaglia un gol fatto e poi ne fa uno da un angolo difficilissimo, 3-2!
E finale di Coppa dei Campioni dopo 31 anni: storia del calcio inglese.

E io c’ero, dovetti però stare attento a non scoprirmi troppo per evitare di prenderle.
Grandissima partita.
Treble comincia a diventare una parola ricorrente in questo aprile da infarto.
In campionato rifilano un 3-0 allo Sheffield Wednesday nonostante parecchi titolari tenuti a riposo in vista della prima partita contro la Juve, mentre il sabato successivo al trionfo di Torino non va oltre l’ 1-1 ad Elland Road, tradizionalmente uno dei campi più difficili per lo United.
L’ Arsenal, che ne ha fatti sei a Middlesbrough per la prima volta in stagione balza al primo posto (+1) , pur se con una partita giocata in più.
Inoltre, tra le due partite con la Juventus si è giocata la semifinale di FA Cup, avversari, manco a dirlo, l’Arsenal.
E’ una sfida titanica, il turno va al replay con entrambi gli incontri ai supplementari.

Finisce senza reti la prima sfida al Villa Park, le squadre danno vita ad un grande incontro senza riuscire a superarsi. L’arbitro annulla un gol a Keane per fuori gioco.
Quattro giorni dopo, stesso campo, una delle sfide che fecero la storia di questa competizione.
Le squadre giocano una partita di grande livello tecnico, intensità al limite della ferocia e occasioni da ambo le parti.
Segna prima Beckham con un perfetto tiro dal limite che si insacca a mezza altezza.
Pareggia Bergkamp con un altro tiro da lontano che rimbalza davanti a Schmeichel.
Poi Keane viene espulso per doppia ammonizione e l’Arsenal che sembrava in difficoltà prende la supremazia del gioco.
A pochi istanti dal termine la supremazia sembra dare i suoi frutti quando l’arbitro assegna un rigore all’Arsenal per atterramento di Parlour da parte di Phil Neville in area; mancano pochi istanti alla fine dell’incontro.
Sul dischetto va Bergkamp che calcia alla sua destra, Schmeichel, quella sera indeciso sul gol e in un altro paio di occasioni, si riscatta e para.
Si vai ai supplementari, l’Arsenal continua a dominare, ma è lo United che trova il gol con Giggs che recupera palla nella sua metacampo, fila via sulla sinistra bevendosi in velocità mezza squadra con dribbling ubriacanti e una volta in area spara una legnata sotto la traversa per il gol vittoria: maradonesque. Poi ci fu Torino.

Di nuovo in campionato: il primo maggio vincono entrambe; Arsenal 72, United 71 una partita giocata in meno. Il cinque maggio lo United pareggia (2-2) ad Anfield e appaia i rivali, Ferguson accusa l’arbitro di aver favorito il Liverpool. L’Arsenal batte il Tottenham 3-1, i punti di vantaggio dei gunners diventano tre.

9 maggio, sabato, vittoria decisiva a MIddlesbrough, 1-0; nel posticipo del martedì l’Arsenal perde a Leeds 1-0, il giorno dopo lo United pareggia il recupero a Blackburn (0-0): United 76, Arsenal 75. Si va all’ultima giornata. Lo United riceve il Tottenham che va in vantaggio e gela lo stadio.
Beckham prima, e Cole ad inizio secondo tempo segnano i gol che battono un Tottenham bello e mai domo; L’Arsenal batte 1-0 il Villa.

Per il Manchester United è il quinto titolo in sette stagioni!
Prima del primo di questi cinque ne aveva vinti sette nelle precedenti centodieci! E primo trofeo stagionale in bacheca.

Sabato 22 maggio a Wembley tutto pronto per il secondo trofeo stagionale; finale di FA Cup, avversario il Newcastle. Vittoria abbastanza agevole.
Il Newcastle durò meno di dieci minuti, giusto il tempo di un tiro e di un brutto tackle su Keane che deve essere sostituito.
Gli subentra Sheringham che segna un bellissimo gol più o mano al primo pallone toccato.
Scholes ad inizio ripresa sigla il definitivo 2-0.
Secondo trofeo stagionale e terzo ‘double’ in sei stagioni.
Prima del primo di questa serie, nel 1994 non ne avevano mai fatto uno, mai vista una roba simile.
Neanche il tempo di festeggiare perché il mercoledì c’è la finale di Champions League.

Sintetizzo dicendo che i miei tentativi di recuperare un biglietto furono, tanti, tantissimi, costanti, insistenti, fantasiosi e disperati; ma non ci fu nulla da fare.

Ferguson dovette fare i conti con un centrocampo da inventare di sana pianta: assenti Keane, Scholes squalificati. Gioca Butt, soluzione obbligata e Beckham, spostato interno. Giggs va all’ala destra e Blomqvist all’ala sinistra. Yorke e Cole confermati davanti. Io davanti alla tele disapprovai disperato.
Dopo 6’ minuti lo shock, erroraccio di Schmeichel su punizione di Basler che finisce in porta.
Ci risiamo. Quest’anno in ogni partita che contasse qualcosa partono malissimo, sempre con indecisioni dietro. Non mi sbaglio, ma all’inizio sono sempre nervosi.

Il primo tempo, senza essere travolgente è un monologo del Bayern, l’atra finalista, che prende anche un palo e una traversa e sbaglia un altro paio di occasioni-gol clamorose.
Nel secondo tempo ci sono un paio di occasioni, poco pericolose e dopo 70’ la sconfitta sembra certa. Finalmente Ferguson fa qualcosa: toglie Blomqvist e mette Sheringham, Beckham torna all’ala, e meno male.
Ma è ancora Bayern, Scholl fa un pallonetto a Schmeichel, completamente in confusione e fuori posizione, la palla picchia sul palo e il portiere se la ritrova fra le braccia.

Sconfitta sempre più certa e disperazione che ormai ha lasciato il passo alla rassegnazione.
Ferguson continua a parlare con McClaren a bordo campo, e non fa niente, la squadra non si scuote, ma perchè cazzo non toglie quel paracarro di Cole?
Quando mancano si e no dieci minuti finalmente lo toglie, al suo posto Solskjaer che quasi pareggia col primo tiro che fa, Kahn blocca.
Ma di nuovo è il Bayern a essere pericoloso , Jancker in rovesciata prende la traversa; 5’ alla fine, ormai è andata.
C’è un altro tiro di Solskjaer parato facile, poi Collina da tre minuti di recupero.
Lo United guadagna un corner, arriva Schmeichel, come se non avesse già combinato abbastanza casini stasera, il cross è respinto; però un po in troppi, tra i difensori tedeschi, guardano il portiere e quando il tiraccio di Giggs sulla respinta arriva davanti a Sheringham, lui è solo e lo gira senza neanche guardare , la palla incredibilmente finisce in porta. 1-1, è finita. Tiro un dei sospiri più sollevanti della mia vita.

No, sul calcio d’inizio lo United ruba palla e assalta, c’è un ultimo corner.
Batte Beckham (benissimo), Sheringham ci arriva di testa e devia, sulla traiettoria c’è Solskjaer che colpisce di tacco e mette dentro.

2-1!!

Adesso è davvero finita, e una sconfitta quasi certa si è trasformata in una delle vittorie più incredibili mai viste nel giro di due minuti.
Camp Nou in visibilio totale.
I tedeschi distrutti crollano a terra e ci rimangono. Un bel vedere, non c’è che dire.
Si completa cosi un treble storico per il club di Old Trafford, il primo e per ora unico mai ottenuto da una squadra inglese.
E’ stata una squadra strana, molto forte, ma molto particolare.
Parecchio british a pensarci bene. Una squadra dotata di grande carattere la cui forza principale è stata per tutta la stagione (e il periodo fergusoniano), il non mollare mai. Le partite del Villa Park, Torino e Barcellona lo dimostrano ampiamente.
Tre volte spacciati, tre volte resuscitati, l’ultima addirittura dall’oltretomba, e senza i suoi trascinatori a centrocampo per di più.
Chiara l’impronta del tecnico che ha plasmato la squadra, l’intera rosa, a sua immagine e somiglianza. Nei trionfi come nelle contraddizioni.

I protagonisti:
Formazione tipo [Un concetto che aveva già cominciato a svanire (presenze/ gol)]:
1 Peter Schmeichel(56/0)
2 Gary Neville (54/1)
3 Denis Irwin (45/3)
4 Jaap Stam (50/1)
5 Ronny Johnsen (30/3)/Phil Neville (29/1)
6 Roy Keane (53/5)
7 David Beckham (53/9)
8 Paul Scholes (38/11) / Nicky Butt (34/2)
9 Andy Cole (43/24)
10 Ryan Giggs (36/10)
11 Dwight Yorke (48/29)
Allenatore: Alexander Ferguson

Quindi:
Teddy Sheringham (11/5); Jesper Blomqvist (29/1); Ole Gunnar Solskjaer (17/18); Hennin Berg (21/0); Wes Brown (16/0); David May (7/0); Raymond van der Gouw (7/0); John Curtis (4/0); Jonathan Greening (3/0); Jordi Cruyff (2/2); Michael Clegg (3/0)

lunedì, giugno 22, 2020

Il ritmo della denuncia



Riporto l'articolo che ho pubblicato sul MANIFESTO di sabato scorso nella rubrica Alias/Ultrasuoni curata da Francesco Adinolfi.

Quello che é accaduto e sta accadendo negli Stati Uniti, come conseguenza del brutale omicidio di George Floyd é un'amara prosecuzione di una storia millenaria in cui il potere abusa dei propri mezzi di coercizione nei confronti del cittadino, attraverso una forza intermediaria chiamata a reprimere il dissenso. Talvolta, come nel caso americano, accanendosi senza ragione.

Gian Maria Volonté nel 1970 in “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”, di Elio Petri, nei panni del “Dottore”, evocava, in un delirio di onnipotenza, un tratto inquietante che risuona sinistro di fronte ai noti fatti: “Ad altri spetta il compito di curare e di educare. A noi il dovere di reprimere! La repressione é il nostro vaccino! Repressione è civiltà!”.

L'era tecnologica ci permette, per fortuna, di documentare molto più agevolmente abusi e soprusi e denunciarli.
In passato ci si poteva basare solo sulle testimonianze dei presenti, difficilmente impugnabili di fronte a chi gestiva il potere.
Non di rado la denuncia era affidata agli artisti che attraverso scritti, opere d'arte, canzoni fotografavano e tramandavano l'evento. Nella successiva lista una panoramica di canzoni che hanno segnato vari aspetti della repressione del potere: quello razziale, quello razzista, politico, sociale.

Billie Holyday – Strange fruit
Uno dei primi brani ad essere drammaticamente esplicito sul razzismo che pervadeva gli Stati Uniti. Era il 1939 e il problema dei diritti civili non era tra le priorità. Anche se la segregazione e ogni tipo di abuso nei confronti della popolazione nera erano la normalità quasi ovunque.
Il brano fu scritto da Abel Meeropol, sotto falso nome, in quanto membro del partito comunista americano. Billie Holiday ne fu l'interprete, per la prima volta in quell'anno, al Café Society di New York, l'unico che accettava una clientela mista. A lungo ostracizzato divenne lentamente un inno contro le violenze razziste in America. Nel 2000 il “Time” lo dichiarò “Monumento
musicale del secolo”. La stessa rivista che 60 anni prima lo aveva bollato come “propaganda in musica”. Lo strano frutto sono i neri impiccati agli alberi del Sud degli States
“Gli alberi del Sud danno uno strano frutto/ Sangue sulle foglie e sangue alle radici / Neri corpi impiccati oscillano alla brezza del Sud. Uno strano frutto pende dai pioppi / Una scena bucolica del valoroso Sud, Gli occhi strabuzzati e le bocche storte / Profumo di magnolie, dolce e fresco, Poi improvviso l’odore di carne bruciata.”

Nina Simone – Mississipi Goddamn
Nina Simone ha avuto una vita tribolata e instabile ma artisticamente é sempre stata tremendamente lucida e concreta, rischiando la carriera (a causa dei boicottaggi subiti in America dall'industria discografica a causa del suo impegno per i diritti civili).
Nel 1964 incide “Mississippi Godammn”, una cruda invettiva all'indomani dell'uccisione a Birmingham, in Alabama, in un attentato dinamitardo in una chiesa Battista, di quattro bambini di colore.
Il brano venne respinto da moltissime radio e spesso restituito alla casa discografica spezzato a metà. Le parole non lasciavano spazio a doppi sensi: “Picchettaggi / bambini sulle brande dell'ospedale da campo/ e poi provano a dire che è un complotto comunista / tutto quel che voglio è uguaglianza / per la mia sorella, per il mio fratello, per la mia gente e per me” E ancora: “Tutta questa nazione è piena di menzogne e morirete tutti quanti, morirete come mosche/ io non mi fido più di voi di voi che continuate a dire. Vacci piano!”.
Nina dichiarò che quando senti la notizia la prima cosa che le venne in mente fu di prendere la sua pistola e uccidere il primo bianco che avesse incontrato per strada.

Sam Cooke – A change is gonna come
Un brano uscito solo dopo la sua morte, avvenuta in tragiche circostanze nel dicembre del 1964, e diventato tra i più significativi per il movimento per i diritti civili.
Ispirato da “Blowin in th wind” di Bob Dylan e da uno sgradevole e umiliante “incidente” occorso a lui e alla sua band in Lousiana quando fu loro rifiutato l'ingresso all'Holyday Inn dopo un concerto, nonostante la prenotazione, per il colore della pelle.
Spostatisi in altro motel trovarono ad attenderli la polizia che li arrestò per turbativa della quiete.
“Ci sono stati momenti in ho pensato che non ce l’avrei fatta a lungo / Ma ora penso di poter resistere / Ed è passato tanto, ma tanto di quel tempo /Ma so che ci sarà un cambiamento, sì che ci sarà. “

Jimmy Cliff – They harder they come
Nella cultura reggae la tematica dell'oppresione é ricorrente e le canzoni a tema particolarmente numerose.
A rappresentanza, un brano epocale come quello di Jimmy Cliff, uno dei grandi del sound giamaicano, titolo dell'omonimo film del 1973.
“E continuo a combattere per quello che voglio / anche se so che quando sei morto non puoi più farlo / Preferisco essere un uomo libero nella tomba piuttosto che vivere come una marionetta o come uno schiavo”

Junior Murvin - Police and thieves
Registrata nel 1976 nello studio di uno dei Re della musica reggae e dub, Lee Scratch Perry, a Kingston, Giamaica, è una canzone che descrive la situazione nel paese, funestato da continui scontri tra le gang di strada e la polizia che reagiva con estrema brutalità. rendendo la vita difficile e insicura in tutto il paese.
“Tutti gli operatori di pace / si trasformano in ufficiali di guerra...Tutti i crimini commessi ogni giorno, nessun prova a fermarli in nessun modo”.
Joe Strummer e Paul Simonon ascoltarono la canzone durante le rivolte del Carnevale di Notting Hill del 1976, a cui erano presenti e in cui “Police and thieves” divenne una specie di inno. L'anno successivo la incisero in versione punk nell'album d'esordio dei Clash.

The Equals – Police on my back
Gli Equals sono stati tra i primi (e pochissimi, fino alla fine degli anni 70), gruppi multirazziali inglesi. Eddy Grant, che ebbe successivamente successo in chiave solista con un ottimo reggae pop, scrisse questo contagioso pop soul nel 1967, in reazione a quanto avveniva in SudAfrica dove la repressione dell'apartheid raggiungeva livelli sempre più elevati.
Il brano descrive la costante fuga, ogni giorno della settimana, di un ragazzo nero, inseguito dalla polizia che gli spara.
E durante la corsa si chiede sconsolato “Cosa ho fatto?”. Nel 1980 i Clash la riprenderanno nel monumentale “Sandinista!” in uno dei rari brani ancora influenzati dal punk dell'album, con Mick Jones alla voce.

Clash – Guns of Brixton
Spesso criticati per un'eccessiva disinvoltura e superficialità nell'abbracciare cause senza troppi approfondimenti, é innegabile che i Clash abbiano lasciato una lunga serie di canzoni socio/politicamente molto significative che parlano di oppressione, razzismo, imperialismo, ingiustizie, disoccupazione e tanto altro.
“Guns of Brixton” (tra i pochi composti e cantati dal bassista Paul Simonon) é, nella sua ingenua immediatezza, tra i più significativi e noti. Negli anni 70 la vita nel quartiere nero di Londra non era facile e anche piuttosto pericolosa.
I Clash mettono in scena la storia di un migrante giamaicano (con riferimento all'Ivanhoe del film “They harder they come”, - citato nel testo - ovvero Vincent Martin, criminale giamaicano definito il “Rude Boy originale”) deciso a rispondere con le armi all'arrivo della polizia a casa.

The Ruts – S.U.S.
La favolosa punk band inglese, guidata dal compianto Malcom Owen, incise la minacciosa “S.U.S” nel 1979.
Le Sus Laws erano leggi inglesi che consntivano alla polizia il potere di fermare, perquisire e fermare una “Sus-pect person” per il solo fatto di avere un atteggiamento sospetto, in odore di reato.
Soprattutto alla fine degli anni 70 divennero motivo di arresti indiscriminati, soprattutto a danno degli immigrati di colore, causando numerose rivolte a causa di varie, palesi, ingiustizie.
“In fondo alla strada stavo aspettando un bus / Arriva questo poliziotto, mi danno il SUS / Hanno detto 'Penso che tu sia nel nostro dossier. è meglio che vieni con noi per un po' / È meglio che vieni con noi e non fare storie. Ti abbiamo nel SUS”

Marvin Gaye – What's goin on?
Ispirato da una canzone composta dal membro dei Four Tops (che si rifiutarono di inciderla) Obie Benson, scioccato dalla brutalità della polizia nei confronti di chi manifestava contro la guerra in Vietnam, Marvin Gaye lasciò il mondo dorato delle love songs per abbracciare l'impegno sociale.
“What's goin on” dà il titolo all'album epocale del 1971 e nella canzone si chiede attonito cosa sta succedendo all'America del tempo con giovani mandati a morire in guerra mentre chi protesta viene represso con brutalità.

Crosby, Stills, Nash an Young - Ohio
Il 4 maggio del 1970 in Ohio una manifestazione contro l'espansione della guerra dal Vietnam alla Cambogia fu brutalmente dispersa dalla Guarda Nazionale che sparò su una folla pacifica di studenti uccidendone quattro e ferendone nove.
Neil Young scrisse immediatamente una canzone sull'evento, provata e incisa in pochi giorni dalla band e pubblicata poche settimane dopo (sul retro del 45 giri un brano di Stephen Stills, altrettanto polemica contro la guerra, “Find the cost of freedom”).
Un'interpretazione intensa, con l'ipnotico coro “Quattro morti in Ohio”, destinata a diventare una delle canzoni di protesta più iconiche.

Bruce Springsteen – American skin
Nel 1999, un migrante Guineano, Madou Diallo, fu ucciso da quattro agenti della polizia new yorkese con 19 colpi di arma automatica (su 41 esplosi) mentre rientrava a casa, perché sospettato di essere un violentatore.
In “American skin” (inizialmente registrata solo live, poi inserita in “High Hopes”) Bruce Springsteen, ripete la frase 41 shots (41 colpi), dedicando il brano alla tragica vicenda.
Che viene citata in numerosi altri brani dei più svariati gruppi, dai Public Enemy a Wyclef Jean (con l'esplicita “Diallo”), Erikah Badu, Strokes (“New York City Cops” è ispirata all'omicidio).

Sinead O' Connor – Black boys on Moped
Colin Roach era un ventunenne inglese di colore, morto per un colpo di pistola all'entrata di una stazione di polizia di Stoke Newington, già al centro di inchieste e proteste per numerosi atti di discriminazione razziale e arresti ingiustificati di persone nere.
Il caso venne derubricato, contro ogni evidenza, come suicidio. La cantautrice irlandese dedicò al giovane l'intero album “I do not want what I haven't got” e in particolare la canzone “Black boys on Moped”.
Colin viene citato anche dagli Specials AKA nel brano “Birightlights”.

Stiff Little Fingers – Alternative Ulster
Diversa da quelle razziali la discriminazione violenta e brutale subita dai Nord Irlandesi dalle truppe britanniche di occupazione, tra storiche rivalità tra Cattolici e Protestanti, attentati, morti, stragi.
L'esordio degli Stiff Little Fingers di Belfast parla drammaticamente di quello che viveano i giovani del luogo a fine anni 70.
“Dai un’occhiata a dove vivi / Hai l’esercito per le strade /E il cane poliziotto della repressione sta abbaiando ai tuoi piedi / È questo il tipo di posto dove vuoi vivere? / È qui che vuoi essere? / Sarà questa la sola vita che avremo? Quello di cui abbiamo bisogno é un Ulster alternativo / Afferralo e cambialo, è tuo”.

N.W.A. - Fuck tha police
Una delle canzoni più iconiche del rap, nata per condannare il comportamento spesso razzista della polizia della loro città, Compton, nella contea di Los Angeles.
“Hanno l'autorità di uccidere una minoranza...pensano che ogni “nigga” venda droghe”. Pare che “Fuck tha police” sia una delle scritte più frequenti sui muri di ogni città americana.
In questi giorni un hacker é entrato nelle frequenze della polizia di Minneapolis e Chicago e ha trasmesso per due minuti la canzone.

Black Flag – Police Story
Raccontano i ragazzi appartenenti alla prima scena hardcore punk americana che la polizia (specialmente quella di Los Angeles e New York) utilizzava i loro concerti per allenarsi allo scontro diretto contro le persone.
Trattandosi in prevalenza di disadattati, spesso senza una casa, famiglie allo sbando, nessun tipo di protezione, le autorità non dovevano temere denunce o rivalse legali.
In ogni caso la polizia di tutto il mondo é sempre stata brutale e repressiva nei confronti della scena punk.
Non stupisce quindi il largo numero di canzoni in questo ambito che parlano del problema e si scagliano contro le forze dell'ordine. In rappresentanza di tutte, una delle migliori espressioni dell'hardcore in assoluto, i californiani Black Flag, guidati dall'iconico Henry Rollins (che nella sua successiva carriera di attore interpreterà più volte anche il ruolo di un poliziotto) nell'album d'esordio “Damaged” del 1981.
“La città di merda é percorsa dai maiali (poliziotti in slang) che portano via i diritti a tutti i ragazzi / Capisci che stiamo combattendo una guerra che non potremo vincere / Loro odiano noi, noi odiamo loro / Mi hanno colpito in testa con un manganello / Non faccio niente, non dico niente gli dico solo di andare affanculo / Quei figli di puttana la pagheranno / Finisco in tribunale, ho commesso il mio crimine / Mettiti in fila, paga la cauzione/ Capisci che stiamo combattendo una guerra che non potremo vincere.”

Body Count – Cop killer
Una delle canzoni più controverse.
L'”ammazza poliziotti” evocato da Ice T in questo suo progetto metal punk viene da lui stesso descritto come un personaggio e non una canzone cantata in prima persona: “Canto la canzone in prima persona interpretando la parte di un personaggio stufo della brutalità della polizia. Io non ho mai ucciso nessun poliziotto. Mi sono sentito di farlo in molte occasioni ma non l'ho mai fatto. Se credete che io sia un "ammazza poliziotti", allora credete anche che David Bowie sia un astronauta”.

Beatles – Blackbird
Una delle migliori composizioni uscite dalle penna di Paul McCartney, incisa nel 1968 nell'”Album Bianco” dal solo Paul, chitarra acustica e voce. Lo stesso McCartney ha spiegato che fu scritta per sostenere il Movimento per i diritti civili americano, in particolare per Rosa Parks, che il 1 dicembre del 1955 salì su un bus e si sedette nella parte riservata ai bianchi, rifiutando poi di spostarsi al fondo dell'automezzo, parte riservata alla gente di colore.
Durante i recenti tour di Paul alle spalle della band, sono state proiettate immagini di Martin Luther King, Rosa Parks e degli scontri con la polizia durante le manifestazioni di protesta.

Gil Scott Heron – The revolution will not be televised
Il manifesto perfetto per ogni rivoluzione. Ovvero un messaggio semplice e diretto per chi lo sa interprtare in maniera corretta: nessuno farà la rivoluzione per te, il suo inizio non sarà trasmesso alla televisione.
Se la vuoi fare, incomincia tu.
“Non c'è nulla di pronto per te, nulla che ti possa aiutare. Devi essere a uscire e a fare le cose. La rivoluzione nasce nella tua mente” (Gil Scott Heron).

domenica, giugno 21, 2020

AA.VV. - Record Kicks Funk Soul Sisters
AA.VV. - Can You Feel That Beat – Funky 45s & Other Rare Grooves
AA.VV. - Eccentric Soul: Twinight's Lunar Rotation
AA.VV. - Good God! Born again funk



AA.VV. - Record Kicks Funk Soul Sisters
Una compilation strepitosa che testimonia del livello eccelso raggiunto dalla "nostra" label, al top del funk soul mondiale.
Da Martha High all'esplosiva apertura di Marta Ren & the Groovelvets, il gospel soul di Hannah Williams, il Link Quartet funkeggiante con Gizelle Smith. Undici brani uno più bello dell'altro.
Grooooovy.



AA.VV. - Can You Feel That Beat – Funky 45s & Other Rare Grooves
Qui si va di funk duro, grezzo, aspro, senza tanti abbellimenti.
Oscuri 45 giri pescati dal dimenticatoio dei 70.
Tante belle cose.



AA.VV. - Eccentric Soul: Twinight's Lunar Rotation
Dalla scena di Chicago a cavallo dei 60 e i 70 una serie di robusti brani rhythm and blues / soul / funk, cantati e suonati con un gusto sopraffino e prodotti dalla Twinight Records. Ci sono anche episodi in stile Stax e Sidney Pinchback in "Soul strokes" ci porta in un soul psichedelico strumentale da brividi mentre i Pieces of Peace ci trascinano in un brano blaxploitation da paura.
Per intenditori.



AA.VV. - Good God! Born again funk
La Numero Uno sforna sempre eccellenti lavori, ricchi di dettagli e che scavano nel più profondo della Black Music. Qui si scandaglia il gospel funk.
Ritmiche torride, brani che pulsano, sporchi e crudi ma ammantati da cori gospel da pelle d'oca che inneggiano al Signore. Impressionante.
Bastino alcuni nomi dei protagonisti: Victory Travelers, Lucy Sister Soul Rogers, Pastor TL Barrett & The Youth For Christ, Inspirational Gospel Singers, Sacred Four, Andrew Wartts & The Gospel Storytellers, Little Chris & The Righteous Singers, Sensational Five Singing Sons.

sabato, giugno 20, 2020

Il Manifesto



Oggi nelle pagine de IL MANIFESTO dedico due pagine alle canzoni che parlano della brutalità del potere e della repressione (in relazione all'omicidio di George Floyd).
Da Nina Simone e Billie Holiday a Equals, Clash, Ruts, Black Flag e tanti altri.

Salt Peanuts, A modo mio


Salt Peanuts Ep.20 #senzamusica non si riparte
Mauro Minervini chiede a vari personaggi sul da farsi per fare ripartire la musica.
Intervengono Paolo Fresu, Andrea Zita, Il Duca, Leopoldo Santovincenzo, Antonio Bacciocchi.

Il podcast:
https://www.spreaker.com/user/radio_beatnik/salt-peanuts-ep-20-senzamusica-non-si-ri?fbclid=IwAR32PgJAphnrLDheGXhJKBh3yQywGhOygu2rLdn8XxIz5rzU_hHieIUYIhk



Nello show di Marco Reverberi " A modo Mio" parlo oggi di Pete Townshend.
https://www.youtube.com/watch?v=mare6qkhyRI

venerdì, giugno 19, 2020

Gabriella Ascari


ilposto-MPT: foto della mostra MUSIC PEOPLE THINGS del 2014 scattate a Il Posto.


fotodiscena: foto di scena ufficiali del Nonantola Film Festival esposte in una mostra tematica nel 2016.


livemusic: foto di concerti ed eventi live


2ddiorama: 1 foto di un lavoro più corposo del 2019 sul Carnevale di Notting Hill segnalato a un evento di fotografia


provedilucenaturale: fa parte di una serie in corso sulla luce naturale che entra nella casa.


abitarelospazio: fa parte del nucleo di partenza di un lavoro sullo spazio della casa e il nostro modo di viverlo.


Autoritratto

Gabriella Ascari é la fotografa "ufficiale" dei Not Moving LTD.
Ci ha seguiti fin dal primissimo concerto e ci ha regalato immagini stupende per le quali non potremo mai ringraziarla abbastanza. Merita la massima considerazione, nella speranza che questo post le sia utile per la sua attività.

Per contatti: https://www.facebook.com/gabriella.ascari.3

Gabriella Ascari (Modena), recupera il suo interesse per la fotografia nel 2005 dedicandosi soprattutto ai live e ai ritratti.
Dal 2014 realizza alcune mostre personali e collettive e nel 2019 si orienta verso la fotografia artistica realizzando diversi progetti personali.

Intervista con Gabriella:

1) Quando e come nasce il tuo rapporto con la fotografia?
Se escludiamo la mia prima macchinetta fotografica, vinta da mia madre con i punti del detersivo, quando ero in 2a elementare, ho realmente ripreso a fotografare poco più di 15 anni fa, con la digitale reflex che mi ha regalato mio fratello, a sua volta appassionato di fotografia. Da lì poi non ho più smesso.
È stato comunque un cammino a strattoni il mio, in cui andavo avanti un pezzo (a imparare, ad approfondire qualche ambito, a capire cosa mi interessava di più) finché non incontravo un muro che dovevo saltare a piè pari introducendo qualcosa di completamente nuovo, per dare aria alla mente e andare avanti.
Un po’ di passioni le ho coltivate fin da subito, come le foto dei live, che ancora mi appassionano, i ritratti, che mi hanno consegnato un modo nuovo per relazionarmi con le persone, e poi la scoperta molto recente della fotografia artistica-creativa che apre orizzonti molto ampi e consente di utilizzare la fotografia come strumento di introspezione e di indagine di sé.
Ah, forse dovevo premettere che, a parte pochissime eccezioni, fotografo per passione e non per lavoro.

2) Che soggetti privilegi?
Come accennavo prima, un ambito che ho frequentato molto in passato e che ancora mi appassiona è quello della musica live, nelle dimensioni da club, forse perché avrei sempre voluto vivere in quel mondo sin da ragazzina ma non ho mai avuto i giri giusti.
Adesso invece ho amici musicisti e condividendo il mio mondo con il loro mi sembra un po’ più di farne parte.
Poi ho avuto la fortuna di incontrare un luogo, l’atelier di due sorelle costumiste che lavorano per il cinema, e un ambiente in cui la musica è una componente centrale insieme alla bellezza in senso lato: dagli abiti e dagli accessori che abitano quegli ambienti, alle stanze e agli oggetti di questa casa del centro storico di Modena che sono scenografie perfette dove basta scattare per cogliere la perfezione estetica. In questo luogo, Il Posto, ho potuto sviluppare la mia passione per i ritratti grazie agli ospiti delle serate musicali e ovviamente ai musicisti.
Poi ho sempre fatto fotografia comunque e dovunque: alle cene, in vacanza, in viaggio, in famiglia, in quelle occasioni in cui nessuno vuole mai farsi fotografare ma poi sono tutti riconoscenti che qualcuno abbia trattenuto quelle memorie per tutti.
Da un paio d’anni invece, il soggetto prediletto sono io. Dopo una serie di lutti in famiglia che si sono conclusi con la perdita di mio marito, ho cercato consciamente di trovare altre strade per sviluppare la mia passione in modo più introspettivo e ho iniziato a usare la fotografia come strumento per indagare pezzi di me. È un viaggio impegnativo ma molto ricco e pieno di sorprese, tramite il quale ho anche iniziato a sviluppare un metodo di lavoro che favorisca e stimoli la creatività, che alla fine è un processo come altri che va stimolato perché continui a dare frutti.

3) Esiste ancora la possibilità di essere nuovi nell'ambito della fotografia? Di creare qualcosa di mai visto prima, secondo te?
Credo che l’ambito che è davvero in grado di generare del nuovo e che ha molto a che fare con la fotografia, pur rientrando in realtà a pieno titolo nel più ampio contesto dell’arte in senso lato, è quell’insieme di pratiche che viene definito post-fotografia, cioè l’uso e il riuso di immagini esistenti per creare un’opera nuova che trattiene il significato originale e ve ne sovrappone uno nuovo creandone un terzo, che è il senso dell’opera risultante.
Come dicevo è un mondo più affine all’arte che non alla fotografia, ma è talmente dirompente e versatile, e ha così tante declinazioni -- dall’ambito intimo e personale al commento sociale o politico -- da rappresentare realmente l’ultima frontiera della fotografia.

4) Lilian Bassman non ha esitato a utilizzare Photoshop per le sue ultime produzioni. Cosa ne pensi in proposito?
Photoshop è uno strumento che tutti i fotografi che conosco, amatoriali o professionisti, me inclusa, utilizzano regolarmente.
Lo considero uno strumento, come l’obiettivo che scegli per fare uno scatto o il supporto su cui vai a stampare la foto per ottenere il risultato che vuoi.
L’idea che sia Photoshop a falsificare la fotografia è un’illusione abbastanza ipocrita, perché ogni atto fotografico è una menzogna per il solo fatto di scegliere cosa inserire nell’inquadratura e cosa lasciare fuori.
Poi possiamo discutere nel dettaglio degli usi che se ne fanno e in quali contesti, e allora possiamo trovare delle gradazioni e dei livelli di consenso, ma il purismo integralista contro la tecnologia che avanza direi che non sta più in piedi.

5) I tuoi fotografi di riferimento?
Non ho mai avuto un approccio sistematico alla scoperta degli autori, mi sono sempre considerata piuttosto destrutturata e scombinata in questo senso ma ho degli stimoli esterni che possiamo forse definire dei riferimenti, da Francesca Woodman a Diane Arbus, da Nan Goldin a Cindy Sherman, da Sally Mann a Robert Mapplethorpe fino a fotografi contemporanei che apprezzo moltissimo come ad esempio Lina Scheynius.

6) Dove e quando hai fatto mostre delle tue opere e cosa hai in programma?
Paradossalmente la mia prima mostra è stata una personale, nel 2014, allestita a Il Posto che citavo prima, dal titolo MUSIC PEOPLE THINGS, in cui esponevo gli scatti di 4 anni realizzati in quegli ambienti.
Poi ho fatto un paio di mostre sempre personali ma molto più informali di foto di scena legate al festival di cinema con gara di cortometraggi, il Nonantola Film Festival, che si tiene da anni nel mio piccolo comune. Ho poi esposto dei progetti realizzati nell’ambito di laboratori creativi presentati all’interno di eventi di fotografia del circuito nazionale FIAF, lo scorso anno a Sassoferrato, nelle Marche, e a Carpi in provincia di Modena.
E a fine luglio, a conclusione di un progetto dal titolo HOME, presenterò sul web insieme ad altri autori, all’interno del portale Percorsi Fotosensibili, una mostra allestita in casa con i lavori realizzati, in una sorta di modalità espositiva nuova e interessante che l’esperienza del Covid ha reso praticamente necessaria.
Quanto a me, continuerò a usare me stessa come strumento e soggetto per indagare altri aspetti della mia essenza, nel tentativo illusorio di provare a capire.

giovedì, giugno 18, 2020

Junk Shop Glam



Junk Shop Glam è un termine inventato dal bassista dei Buzzcocks, Tony Barber e da quello dei Lush, Phil King, per indicare quei gruppi e relativi sporadici e dimenticati brani per lo più usciti su 45 giri che abitualmente si trovano a pochi spiccioli nel mercatini dell'usato, i junk shop.

Gruppi come Iron Virgin (peraltro splendida la loro versione di "Jet" degli Wings e perfetta la loro piccola hit "Rebel's rule") , i pur grandi Jook, il Bowiano Brett Smiley, i Damned (non quelli...), i Plod, gli Hector, si muovevano tra classico pop glam, a metà tra Sweet, Slade, Marc Bolan, Bowie e Elton John dei primi 70.

La compilation Velvet Tinmine raccoglie venti brani dal 1973 al 1975 con piccole gemme perfettamente rappresentative del "genere" in questione.

Hector - bye bye bad days
https://www.youtube.com/watch?v=AfTKgAgFzgI

Iron Virgin - Jet
https://www.youtube.com/watch?v=Ff8XEYGrKqA

Brett Smiley - VaVaVa Voom
https://www.youtube.com/watch?v=21U5nOfHIU0

mercoledì, giugno 17, 2020

Vincent Ivanhoe Martin detto Rhyging



Vincent Ivanhoe Martin detto Rhyging é stato un criminale giamaicano, responsabile di rapine e omicidi, diventato un piccolo eroe in patria soprattutto tra le popolazione più povera e disperata.

Soprannominato anche The Original Rude Boy.

Dotato di grande parlantina, audace, irriverente, anti autoritario, venne arrestato ma riuscì a evadere e a tenere in scacco a lungo la polizia, prima di essere ucciso alla fine di una lunga caccia all'uomo nel 1948 all'età di 24 anni.

E' stato immortalato da Prince Buster nel brano "Rhygin" nel 1965 ma é stato soprattutto l'ispirazione per il soggetto del film "They harder they come" interpretato da Jimmy Cliff nel 1972. "Ivan" é citato anche da Paul Simonon in "Guns of Brixton" dei Clash

martedì, giugno 16, 2020

Hajduk - Amburgo 3.2 1980



ALBERTO GALLETTI ci porta in un'altra GRANDE PARTITA DIMENTICATA

HAJDUK SPALATO 3-2 AMBURGO - 1980

Due squadre in cerca di un identità europea di alto livello si trovarono di fronte sulla costa dalmata, in una fredda e ventosa sera di fine inverno, a disputarsi l’accesso alla semifinale di Coppa dei Campioni 1979/80.

L’Amburgo, gigante tedesco addormentato, si era appena risvegliato.
Si trattava dell’unica squadra nella storia del calcio tedesco a non aver mai giocato al di sotto della massima categoria nazionale.
Membro fondatore della Bundesliga nel 1963, non vinceva il campionato dal 1960 quando ancora era frammentato in una miriade di gironi e fasi; ci riuscì di nuovo nel 1979.
L’elezione presidenziale del ’73 fu il punto di svolta nella storia del HSV con la vittoria, a sorpresa, del vulcanico uomo d’affari Peter Krohn che si riproponeva di riportare il glorioso club anseatico ai vertici del calcio tedesco.
Ebbe in proposito tutta una serie di trovate, inclusa una divisa rosa per attirare il pubblico femminile, ma, soprattutto, l’ingaggio del miglior giocatore inglese del momento, Kevin Keegan, nel 1977.

Grazie ai soldi arrivati dal Giappone per il contratto di sponsorizzazione con i giganti dell’industria elettronica Hitachi, Krohn riuscì a strappare Keegan alla concorrenza dei due grandi club spagnoli, che in verità titubarono troppo, offrendogli uno stipendio dieci volte superiore a quello che percepiva a Liverpool.
Quando KKK arrivò ad Amburgo trovò una squadra che veniva da un biennio vincente, il titolo di Dutschemeister continuava a sfuggire ma la squadra, già rinforzata da Krohn fin dal giorno del suo insediamento, si era aggiudicata la Coppa di Germania nel 1976 e la Coppa delle Coppe nel 1977.

La sua prima stagione fu però deludente, si adattò poco e abbastanza male alla nuova realtà.
Titolare fisso, finì spesso per essere un freno per la squadra; l’allenatore non riusciva a metterlo nelle condizioni di esprimersi al meglio e l’ Amburgo, nella Bundesliga ‘77/’78, non andrà oltre un deludente decimo posto.
Krohn, che non era tipo da riflettere troppo sugli eventi, agì d’impulso e licenziò il tecnico.
Al suo posto ingaggiò il santone croato Branko Zebec, allenatore vincente dalle grandi certezze, dai metodi spicci talvolta brutali, e una grande passione per la bottiglia e i contratti molto ben remunerati.
Zebec fece centro al primo tentativo, resuscitando tra l’atro Keegan protagonista di quella prima stagione in Germania tutt’altro che convincente.
Il club, dopo la Coppa Coppe di tre anni prima, cercava ora l’affermazione europea più grande: la Coppa dei Campioni.

Davanti a loro, ben decisi a sbarrargli la strada i campioni jugoslavi dell’Hajduk.

Le cose a Spalato andavano in maniera molto diversa rispetto ad Amburgo, e non poteva essere altrimenti.
La repubblica socialista federativa jugoslava non ammetteva certo pratiche economiche di tipo occidentale, nonostante l’ultima costituzione concessa nel ’74.
Settore giovanile più qualche buon acquisto dalla vicina Bosnia era la ricetta tipica al tempo.
A capo delle operazioni vi era Tomislav Ivic che dal ’73, quando era stato chiamato a sostituire proprio Zebec, aveva cominciato a plasmare la sua squadra. Veniva anch'egli dalle giovanili dove aveva personalmente cresciuto parecchi di quelli che saranno poi i  protagonisti di quel ciclo vincente, gente come Oblak (passato al Bayern), Muzinic, Djordjevic, Buljan (passato proprio all’Amburgo), Surjak, i gemelli Vujovic, Gudelj.
Ora, dopo due anni all’Ajax, dove aveva sostituito Michels e vinto un campionato, era tornato nella sua Spalato per completare l’opera.
Ivic era nato, vissuto e pascolato a Spalato.
Aveva lavorato in fabbrica e giocato per il RNK Spalato, la squadra degli operai e dei portuali, di gran lunga inferiore ai dirimpettai dell’ Hajduk sia per successi ottenuti che per il valore numerico del seguito, ma dalla forte connotazione identitaria locale.
Il RNK era infatti un simbolo per la comunità dei lavoratori di Spalato il cui attaccamento.
Chi vi giocava era un operaio o un portuale così come chi andava a vederli era un’operaio o un portuale. 
Abitavano gli stessi quartieri, le stesse strade, facevano la stessa vita.
I giocatori quando smettevano la tuta alla fine delle otto ore indossavano scarpe, pantaloncini e maglietta per allenarsi.
Chiaro che il legame e il grado di immedesimazione tra squadra e sostenitori fosse fortissimo.

Ivic visse questa vita negli anni ’50, fu uno di quelli che finito il turno in fabbrica andava ad allenarsi. Quando smise e cominciò ad allenare, sempre al RNK, fece sua quell’immedesimazione tra fabbrica e squadra che aveva vissuto cercando di trasfigurarla in campo.

La fabbrica era un’ unità possente. Vi erano macchinari potenti e precisi e uomini che faticavano duro e incessantemente, ripetitivamente e con responsabilità sulla propria individuale mansione per riuscire ad ottenere quello che la fabbrica chiedeva, il prodotto finale.

La trasposizione della fabbrica sul campo da calcio si traduceva  in preparazione atletica durissima per poter sopportare ritmi di gara alti o altissimi, posizioni e ruoli ben definiti con responsabilità ben definite, schemi eseguiti all’infinito per far si che poi in partita tali meccanismi funzionassero al meglio.
Il prodotto finale della fabbrica Hajduk era un calcio aggressivo, d’attacco, impostato su ritmi altissimi.
E vincente, almeno in patria.

Aggressione dell’avversario il più in alto possibile e ribaltamento del fronte d’attacco immediato, il più verticale possibile in modo da liberare il tiro quando gli avversari ancora rincorrevano.
I ruoli ben definiti e sopportati, al pari della disciplina. I compensi ai calciatori buoni ma non esorbitanti rispetto alla realtà circostante. Lo si potrebbe definire senz'altro un calcio di marcata impronta socialista.

L’Hajduk Spalato era in quegli anni un autentico squadrone, sicuramente la miglior squadra jugoslava degli anni ’70/'80, forse la migliore di sempre. Caratterizzato da uno stile di gioco molto tecnico, stile brasiliano, (jugobrasileri li definì un caro amico) anche nella struttura tattica, più 4-2-4 che 4-3-3, abbinato ad una velocità, tenuta atletica e ad una furia agonistica al tempo con pochi eguali in Europa.
Non dimenticando un 5-3-2 che si trasformava in 3-5-2 di assoluta avanguardia.

I successi in patria non erano mancati, quattro titoli nazionali nel ’71, ’74, ’75 e ’79 e cinque coppe di Jugoslavia nel ’72, ’73, ’74, ’76 e ’77 segnarono indelebilmente il calcio jugoslavo di quella decade, non solo in termini di risultati, ma anche in forza delle prestazioni offerte.

In Coppa Campioni però l’Hajudk era fermo ai supplementari di Eindhoven, nei quarti di finale del 1975/76.
In Europa comunque non era comunque mai andato oltre una semifinale, in Coppa Coppe nel ’73, eliminato dal Leeds.
Ivic era convinto che la
sua squadra fosse una delle migliori in Europa, e credeva fermamente di poter vincere la Coppa dei Campioni. Ora, davanti a lui stavano una delle squadre favorite in assoluto e la possibilità di eliminarli. L’impresa richiesta: rimontare l’ 1-0 subito nella partita di andata in Germania.
Anche per i campioni tedeschi i nomi non mancavano: Kaltz, Memering, Magath, Keegan, Hrubesch, Buljan; l’allenatore, Zebec, un ex. Ne uscì fuori un’autentico partitone.

Lo stadio Poljud è pieno imballato, 52.000 gli spettatori che trascinano la squadra con il loro caratteristico tifo infernale.

L’ Hajduk batte e si riversa in avanti grande aggressività.
C’è grande ritmo, pressing, ma anche frenesia e raddoppi sul portatore avversario a metacampo con contrasti ottimamente eseguiti. La frenesia però gioca un brutto scherzo a Primorac che sbaglia a controllare un lungo rinvio di Kaltz nel tentativo di servire Zoran Vujovic di fianco a lui.
Si inserisce Hrubesch che era scattato in avanti, ruba palla, supera Primorac che cerca di tirarlo giù e finisce a terra e poi batte un gran destro che si infila contro il palo a mezz’altezza alla destra del portiere. 1-0 per gli ospiti, sono passati solo due minuti.

L’Hajduk riprende , è una squadra compatta, pressa in modo asfissiante e gioca corto.
Riconquista palla con una certa facilità e si catapulta immediatamente in attacco: pochi tocchi, rapidi e liberare il tiro con quanti meno tocchi possibile; la possibilità di commettere errori diminuisce, condizione fisica eccellente.
Il pressing da frutti, i tedeschi faticano a contenere la spinta e commettono falli; c’è una punizione da trenta metri: tira Surjak, mezzo collo esterno, rasoterra: Kargus si butta e mette in angolo.
Sul corner Magath libera, riprende Muzinic che tira subito, Kargus stavolta vola all’incrocio e sventa; l’entusiasmo e l’incitamento dei tifosi aumentano d’intensità.
Poi Muzinic batte una punizione dal limite lato corto, triangolo di testa in velocità Cop-Surjak-Cop che di nuovo di testa serve Zlatko Vujovic fiondatosi in profondità e appena dentro l’area fa partire un gran diagonale che batte Kargus e fa 1-1.
Boato tellurico ed entusiasmo alle stelle
.

E’ tutto Hajduk adesso, lo stadio è una bolgia. L’arbitro concede un fallo agli slavi in fase difensiva, i quali, invasati, neanche si accorgono o si fermano dandosi un auto-vantaggio e spingono avanti. La palla giunge a Surjak che parte al galoppo, il pubblico, esaltato, esalta. Surjak serve Djordjevic sull’out sinistro e poi scatta all’interno. Djordjevic gli chiude il triangolone in area, Surjak entra palla al piede e punta Kaltz che lo stende: rigore!
E’ passato un minuto dal gol.

Kaltz con calma si porta al centro dell’area dove l’arbitro, fermo come un setter in ‘punta’ indica il dischetto, protesta, e probabilmente ha ragione.
Una decina di fotografi entra in campo per immortalare l’accaduto.
Dal dischetto va Primorac che si fa parare il rigore, un inizio gara disastroso per il valente terzino.
E puntuale arriva uno degli assiomi proverbiali del calcio: gol sbagliato, gol subito.
C’è subito una punizione per l’Amburgo, sul conseguente batti e ribatti di testa la palla finisce sui piedi di Hieronymus al limite dell’area; Hieronymus controlla di destro, fa un gran sombrero a Rozic e poi con la palla che scende calcia al volo di sinistro nell’angolo basso alla destra di Pudar per il 2-1.

Qualificazione molto difficile adesso, serve sempre una vittoria con due gol di scarto, ma metà primo tempo se n’è andato.
L’Hajduk non si arrende, Zlatko Vujovic crossa dall’out di sinistra la palla spiove in area, Kargus smanaccia, accorre Surjak che sulla respinta del portiere tedesco spara una splendida bordata di collo che finisce sull’esterno della rete.

Poi, Amburgo in avanti: cross di Magath, libera la difesa. La palla finisce a Surjak che lancia sulla sinistra Zlatko Vujovic, contropiede travolgente; esce Kargus che lo affronta, bene, appena dentro l’area, e lo ferma. E’ l’ultimo sussulto di un gran primo tempo.

Ripresa: Hrubesch perde palla, Djordjevic fila via e crossa, Zlatko Vujovic ci arriva appena allungando la gamba, blocca Kargus.

Incitamento del pubblico e forcing dell’Hajduk, un cross di Gudelj è deviato in corner. Lo va a battere Surjak: spiovente sul secondo palo dove salta Djordjevic che di testa infila in rete, vana la rovesciata sulla linea di Hidien, è 2-2; boato fenomenale.

E’ solo il 4’ del secondo tempo: si può fare.
L’ Hajduk va in forcing, la difesa dell’Amburgo spazza lontano senza tanti complimenti. Su un’altra azione insistita dei padroni di casa, oltre l’ora di gioco, Kaltz fatica a liberare, tre giocatori jugoslavi sono appostati appena fuori area pronti ad aggredire, recupera palla Muzinic che crossa, respinta di testa, raccoglie Surjak in posizione centrale, questi serve a destra per Krisitevic che tira in corsa, palla sulla schiena di Hidien e in calcio d’angolo. Bell’assalto non c’è che dire, tedeschi sulla difensiva.

Quindi Surjak si invola palla al piede, supera la linea mediana e si allunga troppo la palla, entra Memering in scivolata. E anche Surjak, che riconquista il possesso, si rialza e serve Djordjevic che sprinta largo a sinistra, Kaltz lo chiude in recupero.
Sull’angolo che ne consegue i difensori tedeschi chiedono a quelli davanti di tornare a dar man forte; angolo battuto sul secondo palo, saltano in tre dell’Hajduk ostacolandosi forse un po a vicenda, colpisce Primorac che mette di poco fuori.
Surjak che era infatti messo meglio dietro di lui si dispera col compagno, la folla incita instancabile.
Imposta adesso Kristievic, bel lancio in profondità per Surjak, appostato al limite dell’area, che appoggia al centro , nn c’è nessuno dei suoi.
La prende Hartwig che appoggia per Kaltz, ma sopraggiunge Djordjevic che intercetta il passaggio e tira in corsa, alto.
C’è una strepitosa fucilata di Kristicevic da trentacinque metri che va dritta all’incrocio: Kargus si butta e devia spettacolarmente sopra la traversa.

Ancora Hajduk che conquista palla a centrocampo, Salov evita un paio di avversari e serve in profondità Surjak che controlla in corsa dribblandosi un avversario, scatta verso il fondo e crossa, Kargus blocca in presa alta. Il portiere tedesco serve Keegan con le mani fuori area, l’inglese, che non ha ancora visto palla, dorme; sopraggiunge Zoran Vujovic che gli soffia la sfera e serve il fratello in area sul quale esce Kargus alla disperata.
Che Hajduk!

Altro angolo per i padroni di casa, batte Djordjevic, Kargus non la prende, il pallone lo supera ma nessuno dei due giocatori jugoslavi dietro di lui riesce a toccarla quel tanto che basta per spingerla dentro. Poi un altro tiro di Surjak esce di un paio di metri alla destra di Kargus.
Quindi Nogly batte lungo una punizione per alleggerire la pressione ma la palla torna subito nella sua metacampo. Recupera Kaltz che però la perde, gliela soffia Surjak al limite che da dentro.
Il tiro in corsa supera Kargus in uscita ma un difensore tedesco spazza a due metri dalla linea.
Incontenibili i giocatori di casa: Salov controlla sfugge a un paio di trattenute , poi alla terza l’arbitro fischia una punizione. Sullo spiovente Primorac a centro area salta splendidamente e con un gran colpo di testa batte Kargus, 3-2.
Cinque minuti e un gol per andare in semifinale.

Ultime fasi concitate, i giocatori di casa, stanchi, perdono lucidità; l’Amburgo compie un paio di sortite di alleggerimento.
Ivic in panchina si dispera.
Ultimo assalto: punizione di Maricic per Salov che dal limite tira in porta ma centra Surjak sulla schiena, sul rimpallo ne esce un altro angolo. Probabilmente l’ultimo.

Dalla bandierina va Maricic, Ivic arriva fino a lì per dargli indicazioni sul come battere e incitare quelli in mezzo; ma come spesso accade in questi frangenti Maricic sbaglia il corner, che è corto, un difensore tedesco spazza lontano e l‘arbitro fischia la fine.
Peccato, meritavano.
Il rigore sbagliato da Primorac pesa come un macigno.
E, forse, quel 4-2-4 si prestava troppo facilmente a scoprire il fianco quando si va a tutta birra. Ma un grande Hajduk.

Il pubblico, compattissimo saluta i propri beniamini con cori entusiasti e gran sventolare di bandiere, uno spettacolo.

Grande partita, il tipo di partite che si giocavano al tempo, quando gli incontri di questo livello erano degli avvenimenti, confronti tra diverse scuole calcistiche; ricchi di contenuti tecnici, atletici, persino ideologici, e anche squadre come l’Hajduk Spalato arrivavano a giocarle.

Calcio europeo al suo meglio.


L’Amburgo andrà in finale, dopo aver superato il Real Madrid in semifinale grazie ad una strepitosa rimonta, dove sarà sconfitto dall’ ultra-pragmatico Nottingham Forest.

Spalato, Stadio Poljud - 19 marzo 1980
COPPA DEI CAMPIONI – Quarti di Finale – Ritorno
Hajduk Spalato 3-2 Hamburger SV

NK Hajduk (4-2-4): Pudar; Rozic, Zoran Vujovic, Primorac, Krstievic; Muzinic, Gudelj (62’ Salov); Šurjak, Djordjevic, Zlatko Vujovic, Čop (62’ Maricic).
All. Tomislav Ivic

Hamburger SV (4-3-3): Kargus; Buljan, Kaltz, Hidien, Hieronymus (62’ Nogly); Hartwig, Memering, Magath; Keegan, Hrubesch, Milewski.
All. Branko Zebec

NOTE
Marcatori: 2’ Hrubesch (HSV), 21’ Zl. Vujovic (Haj), 24’ Hieronymus (HSV), 49’ Djordjevic (Haj), 85’ Primorac (Haj)
Arbitro: E. Dörflinger (Svizzera)
Spettatori: 52.000
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