lunedì, giugno 22, 2020
Il ritmo della denuncia
Riporto l'articolo che ho pubblicato sul MANIFESTO di sabato scorso nella rubrica Alias/Ultrasuoni curata da Francesco Adinolfi.
Quello che é accaduto e sta accadendo negli Stati Uniti, come conseguenza del brutale omicidio di George Floyd é un'amara prosecuzione di una storia millenaria in cui il potere abusa dei propri mezzi di coercizione nei confronti del cittadino, attraverso una forza intermediaria chiamata a reprimere il dissenso. Talvolta, come nel caso americano, accanendosi senza ragione.
Gian Maria Volonté nel 1970 in “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”, di Elio Petri, nei panni del “Dottore”, evocava, in un delirio di onnipotenza, un tratto inquietante che risuona sinistro di fronte ai noti fatti: “Ad altri spetta il compito di curare e di educare. A noi il dovere di reprimere! La repressione é il nostro vaccino! Repressione è civiltà!”.
L'era tecnologica ci permette, per fortuna, di documentare molto più agevolmente abusi e soprusi e denunciarli.
In passato ci si poteva basare solo sulle testimonianze dei presenti, difficilmente impugnabili di fronte a chi gestiva il potere.
Non di rado la denuncia era affidata agli artisti che attraverso scritti, opere d'arte, canzoni fotografavano e tramandavano l'evento. Nella successiva lista una panoramica di canzoni che hanno segnato vari aspetti della repressione del potere: quello razziale, quello razzista, politico, sociale.
Billie Holyday – Strange fruit
Uno dei primi brani ad essere drammaticamente esplicito sul razzismo che pervadeva gli Stati Uniti. Era il 1939 e il problema dei diritti civili non era tra le priorità. Anche se la segregazione e ogni tipo di abuso nei confronti della popolazione nera erano la normalità quasi ovunque.
Il brano fu scritto da Abel Meeropol, sotto falso nome, in quanto membro del partito comunista americano. Billie Holiday ne fu l'interprete, per la prima volta in quell'anno, al Café Society di New York, l'unico che accettava una clientela mista. A lungo ostracizzato divenne lentamente un inno contro le violenze razziste in America. Nel 2000 il “Time” lo dichiarò “Monumento
musicale del secolo”. La stessa rivista che 60 anni prima lo aveva bollato come “propaganda in musica”. Lo strano frutto sono i neri impiccati agli alberi del Sud degli States
“Gli alberi del Sud danno uno strano frutto/ Sangue sulle foglie e sangue alle radici / Neri corpi impiccati oscillano alla brezza del Sud. Uno strano frutto pende dai pioppi / Una scena bucolica del valoroso Sud, Gli occhi strabuzzati e le bocche storte / Profumo di magnolie, dolce e fresco, Poi improvviso l’odore di carne bruciata.”
Nina Simone – Mississipi Goddamn
Nina Simone ha avuto una vita tribolata e instabile ma artisticamente é sempre stata tremendamente lucida e concreta, rischiando la carriera (a causa dei boicottaggi subiti in America dall'industria discografica a causa del suo impegno per i diritti civili).
Nel 1964 incide “Mississippi Godammn”, una cruda invettiva all'indomani dell'uccisione a Birmingham, in Alabama, in un attentato dinamitardo in una chiesa Battista, di quattro bambini di colore.
Il brano venne respinto da moltissime radio e spesso restituito alla casa discografica spezzato a metà. Le parole non lasciavano spazio a doppi sensi: “Picchettaggi / bambini sulle brande dell'ospedale da campo/ e poi provano a dire che è un complotto comunista / tutto quel che voglio è uguaglianza / per la mia sorella, per il mio fratello, per la mia gente e per me” E ancora: “Tutta questa nazione è piena di menzogne e morirete tutti quanti, morirete come mosche/ io non mi fido più di voi di voi che continuate a dire. Vacci piano!”.
Nina dichiarò che quando senti la notizia la prima cosa che le venne in mente fu di prendere la sua pistola e uccidere il primo bianco che avesse incontrato per strada.
Sam Cooke – A change is gonna come
Un brano uscito solo dopo la sua morte, avvenuta in tragiche circostanze nel dicembre del 1964, e diventato tra i più significativi per il movimento per i diritti civili.
Ispirato da “Blowin in th wind” di Bob Dylan e da uno sgradevole e umiliante “incidente” occorso a lui e alla sua band in Lousiana quando fu loro rifiutato l'ingresso all'Holyday Inn dopo un concerto, nonostante la prenotazione, per il colore della pelle.
Spostatisi in altro motel trovarono ad attenderli la polizia che li arrestò per turbativa della quiete.
“Ci sono stati momenti in ho pensato che non ce l’avrei fatta a lungo / Ma ora penso di poter resistere / Ed è passato tanto, ma tanto di quel tempo /Ma so che ci sarà un cambiamento, sì che ci sarà. “
Jimmy Cliff – They harder they come
Nella cultura reggae la tematica dell'oppresione é ricorrente e le canzoni a tema particolarmente numerose.
A rappresentanza, un brano epocale come quello di Jimmy Cliff, uno dei grandi del sound giamaicano, titolo dell'omonimo film del 1973.
“E continuo a combattere per quello che voglio / anche se so che quando sei morto non puoi più farlo / Preferisco essere un uomo libero nella tomba piuttosto che vivere come una marionetta o come uno schiavo”
Junior Murvin - Police and thieves
Registrata nel 1976 nello studio di uno dei Re della musica reggae e dub, Lee Scratch Perry, a Kingston, Giamaica, è una canzone che descrive la situazione nel paese, funestato da continui scontri tra le gang di strada e la polizia che reagiva con estrema brutalità. rendendo la vita difficile e insicura in tutto il paese.
“Tutti gli operatori di pace / si trasformano in ufficiali di guerra...Tutti i crimini commessi ogni giorno, nessun prova a fermarli in nessun modo”.
Joe Strummer e Paul Simonon ascoltarono la canzone durante le rivolte del Carnevale di Notting Hill del 1976, a cui erano presenti e in cui “Police and thieves” divenne una specie di inno. L'anno successivo la incisero in versione punk nell'album d'esordio dei Clash.
The Equals – Police on my back
Gli Equals sono stati tra i primi (e pochissimi, fino alla fine degli anni 70), gruppi multirazziali inglesi. Eddy Grant, che ebbe successivamente successo in chiave solista con un ottimo reggae pop, scrisse questo contagioso pop soul nel 1967, in reazione a quanto avveniva in SudAfrica dove la repressione dell'apartheid raggiungeva livelli sempre più elevati.
Il brano descrive la costante fuga, ogni giorno della settimana, di un ragazzo nero, inseguito dalla polizia che gli spara.
E durante la corsa si chiede sconsolato “Cosa ho fatto?”. Nel 1980 i Clash la riprenderanno nel monumentale “Sandinista!” in uno dei rari brani ancora influenzati dal punk dell'album, con Mick Jones alla voce.
Clash – Guns of Brixton
Spesso criticati per un'eccessiva disinvoltura e superficialità nell'abbracciare cause senza troppi approfondimenti, é innegabile che i Clash abbiano lasciato una lunga serie di canzoni socio/politicamente molto significative che parlano di oppressione, razzismo, imperialismo, ingiustizie, disoccupazione e tanto altro.
“Guns of Brixton” (tra i pochi composti e cantati dal bassista Paul Simonon) é, nella sua ingenua immediatezza, tra i più significativi e noti. Negli anni 70 la vita nel quartiere nero di Londra non era facile e anche piuttosto pericolosa.
I Clash mettono in scena la storia di un migrante giamaicano (con riferimento all'Ivanhoe del film “They harder they come”, - citato nel testo - ovvero Vincent Martin, criminale giamaicano definito il “Rude Boy originale”) deciso a rispondere con le armi all'arrivo della polizia a casa.
The Ruts – S.U.S.
La favolosa punk band inglese, guidata dal compianto Malcom Owen, incise la minacciosa “S.U.S” nel 1979.
Le Sus Laws erano leggi inglesi che consntivano alla polizia il potere di fermare, perquisire e fermare una “Sus-pect person” per il solo fatto di avere un atteggiamento sospetto, in odore di reato.
Soprattutto alla fine degli anni 70 divennero motivo di arresti indiscriminati, soprattutto a danno degli immigrati di colore, causando numerose rivolte a causa di varie, palesi, ingiustizie.
“In fondo alla strada stavo aspettando un bus / Arriva questo poliziotto, mi danno il SUS / Hanno detto 'Penso che tu sia nel nostro dossier. è meglio che vieni con noi per un po' / È meglio che vieni con noi e non fare storie. Ti abbiamo nel SUS”
Marvin Gaye – What's goin on?
Ispirato da una canzone composta dal membro dei Four Tops (che si rifiutarono di inciderla) Obie Benson, scioccato dalla brutalità della polizia nei confronti di chi manifestava contro la guerra in Vietnam, Marvin Gaye lasciò il mondo dorato delle love songs per abbracciare l'impegno sociale.
“What's goin on” dà il titolo all'album epocale del 1971 e nella canzone si chiede attonito cosa sta succedendo all'America del tempo con giovani mandati a morire in guerra mentre chi protesta viene represso con brutalità.
Crosby, Stills, Nash an Young - Ohio
Il 4 maggio del 1970 in Ohio una manifestazione contro l'espansione della guerra dal Vietnam alla Cambogia fu brutalmente dispersa dalla Guarda Nazionale che sparò su una folla pacifica di studenti uccidendone quattro e ferendone nove.
Neil Young scrisse immediatamente una canzone sull'evento, provata e incisa in pochi giorni dalla band e pubblicata poche settimane dopo (sul retro del 45 giri un brano di Stephen Stills, altrettanto polemica contro la guerra, “Find the cost of freedom”).
Un'interpretazione intensa, con l'ipnotico coro “Quattro morti in Ohio”, destinata a diventare una delle canzoni di protesta più iconiche.
Bruce Springsteen – American skin
Nel 1999, un migrante Guineano, Madou Diallo, fu ucciso da quattro agenti della polizia new yorkese con 19 colpi di arma automatica (su 41 esplosi) mentre rientrava a casa, perché sospettato di essere un violentatore.
In “American skin” (inizialmente registrata solo live, poi inserita in “High Hopes”) Bruce Springsteen, ripete la frase 41 shots (41 colpi), dedicando il brano alla tragica vicenda.
Che viene citata in numerosi altri brani dei più svariati gruppi, dai Public Enemy a Wyclef Jean (con l'esplicita “Diallo”), Erikah Badu, Strokes (“New York City Cops” è ispirata all'omicidio).
Sinead O' Connor – Black boys on Moped
Colin Roach era un ventunenne inglese di colore, morto per un colpo di pistola all'entrata di una stazione di polizia di Stoke Newington, già al centro di inchieste e proteste per numerosi atti di discriminazione razziale e arresti ingiustificati di persone nere.
Il caso venne derubricato, contro ogni evidenza, come suicidio. La cantautrice irlandese dedicò al giovane l'intero album “I do not want what I haven't got” e in particolare la canzone “Black boys on Moped”.
Colin viene citato anche dagli Specials AKA nel brano “Birightlights”.
Stiff Little Fingers – Alternative Ulster
Diversa da quelle razziali la discriminazione violenta e brutale subita dai Nord Irlandesi dalle truppe britanniche di occupazione, tra storiche rivalità tra Cattolici e Protestanti, attentati, morti, stragi.
L'esordio degli Stiff Little Fingers di Belfast parla drammaticamente di quello che viveano i giovani del luogo a fine anni 70.
“Dai un’occhiata a dove vivi / Hai l’esercito per le strade /E il cane poliziotto della repressione sta abbaiando ai tuoi piedi / È questo il tipo di posto dove vuoi vivere? / È qui che vuoi essere? / Sarà questa la sola vita che avremo? Quello di cui abbiamo bisogno é un Ulster alternativo / Afferralo e cambialo, è tuo”.
N.W.A. - Fuck tha police
Una delle canzoni più iconiche del rap, nata per condannare il comportamento spesso razzista della polizia della loro città, Compton, nella contea di Los Angeles.
“Hanno l'autorità di uccidere una minoranza...pensano che ogni “nigga” venda droghe”. Pare che “Fuck tha police” sia una delle scritte più frequenti sui muri di ogni città americana.
In questi giorni un hacker é entrato nelle frequenze della polizia di Minneapolis e Chicago e ha trasmesso per due minuti la canzone.
Black Flag – Police Story
Raccontano i ragazzi appartenenti alla prima scena hardcore punk americana che la polizia (specialmente quella di Los Angeles e New York) utilizzava i loro concerti per allenarsi allo scontro diretto contro le persone.
Trattandosi in prevalenza di disadattati, spesso senza una casa, famiglie allo sbando, nessun tipo di protezione, le autorità non dovevano temere denunce o rivalse legali.
In ogni caso la polizia di tutto il mondo é sempre stata brutale e repressiva nei confronti della scena punk.
Non stupisce quindi il largo numero di canzoni in questo ambito che parlano del problema e si scagliano contro le forze dell'ordine. In rappresentanza di tutte, una delle migliori espressioni dell'hardcore in assoluto, i californiani Black Flag, guidati dall'iconico Henry Rollins (che nella sua successiva carriera di attore interpreterà più volte anche il ruolo di un poliziotto) nell'album d'esordio “Damaged” del 1981.
“La città di merda é percorsa dai maiali (poliziotti in slang) che portano via i diritti a tutti i ragazzi / Capisci che stiamo combattendo una guerra che non potremo vincere / Loro odiano noi, noi odiamo loro / Mi hanno colpito in testa con un manganello / Non faccio niente, non dico niente gli dico solo di andare affanculo / Quei figli di puttana la pagheranno / Finisco in tribunale, ho commesso il mio crimine / Mettiti in fila, paga la cauzione/ Capisci che stiamo combattendo una guerra che non potremo vincere.”
Body Count – Cop killer
Una delle canzoni più controverse.
L'”ammazza poliziotti” evocato da Ice T in questo suo progetto metal punk viene da lui stesso descritto come un personaggio e non una canzone cantata in prima persona: “Canto la canzone in prima persona interpretando la parte di un personaggio stufo della brutalità della polizia. Io non ho mai ucciso nessun poliziotto. Mi sono sentito di farlo in molte occasioni ma non l'ho mai fatto. Se credete che io sia un "ammazza poliziotti", allora credete anche che David Bowie sia un astronauta”.
Beatles – Blackbird
Una delle migliori composizioni uscite dalle penna di Paul McCartney, incisa nel 1968 nell'”Album Bianco” dal solo Paul, chitarra acustica e voce. Lo stesso McCartney ha spiegato che fu scritta per sostenere il Movimento per i diritti civili americano, in particolare per Rosa Parks, che il 1 dicembre del 1955 salì su un bus e si sedette nella parte riservata ai bianchi, rifiutando poi di spostarsi al fondo dell'automezzo, parte riservata alla gente di colore.
Durante i recenti tour di Paul alle spalle della band, sono state proiettate immagini di Martin Luther King, Rosa Parks e degli scontri con la polizia durante le manifestazioni di protesta.
Gil Scott Heron – The revolution will not be televised
Il manifesto perfetto per ogni rivoluzione. Ovvero un messaggio semplice e diretto per chi lo sa interprtare in maniera corretta: nessuno farà la rivoluzione per te, il suo inizio non sarà trasmesso alla televisione.
Se la vuoi fare, incomincia tu.
“Non c'è nulla di pronto per te, nulla che ti possa aiutare. Devi essere a uscire e a fare le cose. La rivoluzione nasce nella tua mente” (Gil Scott Heron).
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Butterei dentro anche 'Alabama'e 'Southern man' (bellissima la cover di Merry Clayton) di neil Young e 'The death of Emmett Till' di Dylan.
RispondiEliminaCe ne sono a decine...
RispondiEliminaLa vicenda di Emmett Till, vista l'età della vittima, è oltremodo atroce è sconvolgente
RispondiEliminaCharlie
Risalta attraverso queste canzoni l'importanza della musica come strumento di denuncia e di faro su certe vicende. Solo attraverso questi brani ho conosciuto certe (terribili) storie.
RispondiEliminatantissimi i brani, otima selezione Boss
RispondiEliminaC