Nel nuovo numero di CLASSIC ROCK intervisto Mick Harvey (ex Bad Seeds), Alioscia Bisceglie dei Casino Royale e Little Albert.
Recensisco gli album di A Toys Orchestra, Little Albert, Galileo 7, Smalltown Tigers, Real Estate, Circus Punk, The Snuts, Modern Stars, Kreky, Bebaloncar, NuovoNormale, Bella Brown and the Jalous Lovers, "Dainamaita" dei Casino Royale.
sabato, marzo 30, 2024
venerdì, marzo 29, 2024
Marzo 2024. Il meglio
A un quarto dell'anno abbiamo ottime cose da segnalare.
Dall'estero Bella Brown and the Jealous Lovers, Les Amazones d'Afrique, Liam Gallagher & John Squire, Mooon, Dandy Warhols, Michelle David & True Tones, Yard Act, Kula Shaker, Kim Gordon, Real Estate, Black Crowes, Tibbs, Idles, New Mastersounds, Mo Troper, Galileo 7 e Popincourt.
Tra gli italiani A Toys orchestra, Rudy Bolo, La Crus, The Devils, Enri Zavalloni, Any Other, Bebaloncar, Smalltown Tigers, Paolo Zangara, Pier Adduce e Paolo Benvegnù.
BLACK CROWES - Happiness bastards
Il ritorno dei Robinson Bros non tradisce le attese. Consueto southern rock tinto di funk, soul, Stones, Stax, 70's hard, blues. Ma quanta classe, energia, groove. Hanno pochi rivali in questo ambito.
MICHELLE DAVID & the TRUE-TONES - Brothers and sisters
Michelle David, cresciuta a New York, fin dall'età di quattro anni voce in cori gospel, poi in giro per il mondo con il musical di Broadway “Mama” e con altre opere teatrali, infine in studio a fianco di Diana Ross.
Si trasferisce in Olanda dove incomincia una carriera con i locali True-Tones con cui incide sei album, calca i palchi di mezza Europa, conquista premi e riconoscimenti. Approdano alla nostra Record Kicks con il loro infuocato funk soul, rhythm and blues, blues e una costante tinta gospel su ogni brano e un album nuovo di zecca con dodici brani autografi. Una fusione ammaliante, esplosiva, vincente.
NEW MASTERSOUNDS - Old school
La band di Leeds, attiva da un quarto di secolo e con una ventina di incisioni alle spalle, torna con la consueta formula (vincente) a base di funk soul strumentale con l'organo Hammond in primo piano, tra Meters e Booker T & the Mg's. Dieci brani coinvolgenti, ritmicamente travolgenti, suonati (benissimo) con palese gusto e divertimento, per un album super grooovy!
YARD ACT - Where's my Utopia?
Sono da apprezzare le band/gli artisti che osano sparigliare fin da subito le carte.
Gli YARD ACT erano paladini del post punk, così tanto in auge ora.
Consapevoli che la formula è già superata e forse ha stancato, nel nuovo, secondo, album virano verso un sorprendente mix di funk, dance, hip hop, Beck, sound Baggy (Happy Mondays di "Kinky afro") e tanto altro.
Molto accattivante, gustoso, groovy.
Transitorio probabilmente ma complimenti per l'ardire.
KIM GORDON - The collective
Album disturbante, sperimentale, techno noise, rap, pesante come una stufa di ghisa, personale fotografia della società marcescente che ci circonda. Foto perfettamente a fuoco, terribilmente fedele alla realtà.
LIAM GALLAGHER & JOHN SQUIRE - s/t
Quello che ci si poteva aspettare dalla liason artistica di Liam e John non poteva che convergere in queste dieci canzoni. Prevedibilmente un sapiente e gradevole mix di umori Britpop, rock 'n' roll, sapori Sixties, la voce miagolosa di Liam, la chitarra solida, non di rado Hendrixiana, di John. C'è un imprevisto torrido rock blues ("I'm a wheel"), il riff beatlesiano di "I'm bored", un po' di psichedelia sparsa, una traccia glam hardeggiante alla Humble Pie come "You're not the only one". La scrittura è decisamente ottima, di alto livello, l'ascolto piacevolissimo per chi ha apprezzato le precedenti avventure dei due.
KAISER CHIEFS - Easy Eight Album
E' un peccato che la band di Leeds si sia progressivamente persa per strada, a sbracciarsi ora in una palude pop funk dance di sapore Duran Duran in tono minore e con imitazioni ritmiche del Bowie di "Let's dance".
Brani molto curati, talvolta efficaci ma sempre in un limbo di anonimato.
DANDY WARHOLS - Rockmaker
Ottimo il nuovo della band che mischia con grande gusto, energia, potenza e sfacciataggine rock, psichedelia, suoni garage, pop, elettronica. Ad aiutarli anche Slash, Debbie Harry e Frank Black dei Pixies. Le canzoni funzionano, divertono, pulsano e spesso esplodono in mano. Frizzante e cool.
DEE C. LEE - Just something
Torna a 26 anni dall'ultimo album DEE C. LEE, pubblicato dalla Acid Jazz Records.
L'ex voce degli Style Council (anche con Wham! e Animal Nightlife oltre che con una buona carriera solista), sfodera un timbro maturo, suadente, sempre pieno di classe e un sound soul funk jazzy, elegante e raffinatissimo, che riporta immediatamente alla "band madre".
In un paio di brani c'è anche Mick Talbot e uno lo compone Leah Weller (figlia di Paul e Dee).
Due ottime cover, 'Be There In The Morning’ di Renee Geyer e 'I love you" di Weldon Irvine.
Cool & groovy.
THE GALILEO 7 - You me and reality
Il quinto album della band inglese, guidata da Alan Crockford (Prisoners, JTQ, Prime Movers etc), conferma la qualità artistica del quartetto e la bontà della scelta stilistica, che guarda alla seconda metà dei Sixties tra momenti garage beat, freakbeat, la psichedelia che caratterizzava band come gli Who o i Move ma anche l'impeto ritmico anni 90 dei Dodgy. Belle canzoni, tanta energia, ottimo album.
UNCLAIMED - Creature of Maui Loon
Il mondo del garage punk piange la recente scomparsa di Shelley Ganz, uno dei capostipiti del ritorno di quei suoni ed estetica, mutuati dagli anni Sessanta più oscuri, in cui certe band non si accontentavano di imitare Beatles o Stones ma inasprivano il sound fino a farlo diventare distorto, ruvido, selvaggio, isterico. Già nel 1980 si tuffò in quel mondo dimenticato con i suoi Unclaimed, diventando un referente e mito. Durarono poco e solo recentemente Ganz si era rimesso in gioco incidendo un nuovo album con una rinnovata formazione della band, rimanendo fedele al più classico dei suoni Sixties, pur svoltando verso una dimensione folk psichedelica, con echi Byrds e accenni surf. Un eccellente epitaffio a un'indimenticabile leggenda.
THE THINGS - Coloured Heaven
Compie quaranta anni l'esordio dei Things, una delle band più sottovalutate del cosiddetto Paisley Underground di cui Dream Syndicate, Rain Parade, True West furono i principali esponenti. I Things uscirono nello stesso periodo ma restarono su posizioni più oltranziste e revivaliste, non indulgendo troppo alla modernità, saldi nei legami con i mid Sixties in pieno groove jangle tra Byrds e Buffalo Springfield. Band deliziosa da riscoprire, grazie alla ristampa di Misty Lane Records.
MOOON - III
Terzo album per la band olandese, immersa come sempre in atmosfere freakbeat, garage, psichedeliche, profondamente Sixties (con qualche puntata nel decennio successivo). Divertenti, a tratti travolgenti.
NABAT - Innacustic
Nato occasionalmente durante la pandemia, il progetto acustico dei Nabat, paradossalmente una delle band più incendiarie e rabbiose della Penisola, è proseguito dando grandi frutti, di cui troviamo finalmente traccia tangibile in questo CD. Dodici brani con la voce (e armonica) inconfondibile di Steno affiancata dalla chitarra acustica di Marco Farini in cui si passa attraverso i classici della band (da "Scenderemo nelle strade" a "Nichilistaggio" e "Asociale Oi!") e due novità come "Fuori dal ghetto" e "Questa notte a mezzanotte", cover italiana di "Midnight special", blues tradizionale portato alla notorietà da Leadbelly. Le canzoni funzionano tremendamente bene in chiave country blues e non perdono mai lo spessore originario ma in certi frangenti acquistano ancora più vigore e significato. Eccellente.
INDIGESTI - Ristampe
La F.O.A.D. Records, in collaborazione con la band ristampa l’intera discografia degli INDIGESTI dal 1982 al 1987.
– “Sguardo realtà” gatefold 2xLP (con un intero LP extra di contenuti inediti 1982-83) mai uscito in vinile.
– “Osservati dall’inganno” gatefold LP (riacquisito e masterizzato dalla bobina originale).
– Live in Lübeck 02.09.1987” Gatefold LP+7” (contenente un bonus EP con tracce rare/inedite) mai uscito in vinile.
Il tutto arricchito da libretti con interviste, foto, flyer e grafiche dell’epoca.
Impressionante riascoltare la violenza sonora della band, un incrocio di Germs, Zero Boys e Bad Brains, arricchito da una tale personalità da fare diventare gli Indigesti un riferimento per l'hardcore punk di tutto il mondo.
Il tutto corredato da testi visionari, amari, introspettivi.
La band suonava benissimo, potentissima, acida, spietata.
THE CHISEL - What a fucking nightmare
Anche con il secondo album la band inglese continua la sua opera di distruzione sonora con un mix devastante di hardcore e punk primordiale, violentissimo, urlato, scorticante. Sedici brani in trentasei minuti, nessun prigioniero, rabbia e disprezzo. Uno dei rari album punk fedeli allo spirito che fu.
LA CRUS - Proteggimi da ciò che voglio
Trascorsi vent'anni dall'ultima uscita discografica tornano i LA CRUS.
In "Proteggimi da ciò che voglio" ci sono otto brani inediti e due rifacimenti di loro vecchi brani con ospiti illustri (Carmen Consoli e Colapesce/Dimartino).
Il tratto dominante è l'immediata riconoscibilità del loro sound, un marchio di fabbrica che mette insieme la canzone d'autore più profonda (Tenco, Ciampi - vedi l'omaggio implicito del blues "Mangia dormi lavora ripeti" che richiama il suo "Andare camminare lavorare" - Bindi, Endrigo), con elettronica, post wave, pop ("Discronia").
Una pregevole conferma.
A TOYS ORCHESTRA - Midnight again
Una delle band più rappresentative della scena italiana, firma l'ottavo album, a sei anni dall'ultima uscita, un ulteriore passo in avanti in una maturazione da fuoriclasse. Un'anima soul, blues, quasi gospel. Ogni tanto sbucano il Lou Reed, il Jeff Buckley o il Leonard Cohen più introversi, addirittura Ray Davies e i Kinks. Impressionano la capacità compositiva ed evocativa, la padronanza creativa e il livello artistico dell'album. Resterà tra i migliori dell'anno, senza dubbio.
THE DEVILS - Let the world burn down
Il quinto album del duo napoletano (incluso il live dello scorso anno) si avvale della preziosa produzione di Alain Johannes (Chris Cornell, PJ Harvey, Queens Of The Stone Age) che ne esalta la potenza sonora, senza togliere nulla al consueto assalto sonoro selvaggio e primitivo. La formula è come sempre un riuscito cocktail di rock 'n' roll a tinte hard (dalle parti di White Stripes, Jack White e Black Keys), deep blues, punk, un'anima rockabilly (vedi la cover dei troppo dimenticati Crazy Cavan 'n' the Rhythm Rockers) e un taglio rock blues che guarda a cavallo di Sessanta e Settanta. Un album maturo, dal taglio internazionale, che esplode di energia in ogni canzone. Travolgenti!
LITTLE ALBERT - The road not taken
Uno dei chitarristi più espressivi del consesso rock blues italiano attuale, membro degli eccellenti Messa (spettacolare band psych/hard/stoner), firma il secondo album solista dopo il più che ottimo esordio con Swamp King di quattro anni fa. Rock blues classico, uno stile chitarristico che va dal Mike Bloomfield di Supersession a Johnny Winter, l'Alvin Lee solista, Steve Ray Vaughan. Tecnica di prim'ordine, gli appassionati apprezzeranno tantissimo.
MARK and the CLOUDS – Machines can’t hear you
Marco Magnani ha un curriculum di tutto rispetto alle spalle (dagli Avvoltoi alla band di Arthur Brown) e con la sua nuova creatura firma ora il quarto album. Il contesto è fedele ai suoi gusti e alle origini artistiche, ben radicate nei suoni dei Sixties. La band spazia tra le mille anime degli anni Sessanta passando da Beatles a elementi folk, freakbeat, spediti pop beat. Al suo fianco vari ospiti, a sua disposizione una lunga serie di strumenti e strumentisti che rendono l’album ancora più variegato e colorato.
THOMAS GREENWOOD and the TALISMANS - Ateş
Thomas Mascheroni (già chitarra e voce della band stoner bergamasca Humulus) in arte Thomas Greenwood, con i suoi Talismans confeziona uno splendido album (il secondo dopo "Ritual" dello scorso anno) di ispirazione psichedelica, a cavallo tra Sessanta e Settanta ma che non indulge in revival o nostalgia ma propone un sound attuale e non risparmia qualche occhiata alla post wave anni Ottanta e ad asperità stoner. Notevole.
HERSELF – Spoken unsaid
L’attività del polistrumentista palermitano Gioele Valenti si divide tra varie creature musicali, JuJu e Herself in particolare, che da anni gli procurano ottime soddisfazioni tra Italia ed Europa. Il nuovo album di Herself è un accattivante susseguirsi di atmosfere inquietanti, sospese, malinconiche, a tratti perfino minacciose e urticanti. Ci sono momenti di quiete psichedelica, altri più abrasivi e pulsanti che riportano a nomi come Sparklehorse, Pavement, Mercury Rev (per i quali, non a caso ha aperto il tour italiano del 2019). La particolarità saliente è il condensato di creatività e personalità che si respira nell’album, dal grande respiro internazionale. Materia di primissima qualità.
THE BRIGHTEST ROOM – s/t
Terzo album per la band milanese (guidata da Valerio ex Impulsive Youth e tanto altro), composta da veterani della scena rock e alternative locale. Cambio recente di line up e nuove forze che aggiungono energia e potenza a dieci brani power pop, con tiro punk e influenze Sixties. A tratti ricordano band come Buzzcocks e Squeeze ma la scrittura è sempre matura, fresca e personale, soprattutto nella dimensione live. Da seguire.
ORGAN SQUAD - I'll get you (boogaloo) / Hold on
Nuovo singolo per il quartetto modenese, come sempre alle prese con un Hammond sound che guarda ai classici riferimenti del genere (da Booker T and the Mg's al primo James Taylor Quartet e ai Corduroy) ma con un'energia e un tiro garage beat. A fianco della facciata A"I'll get you (boogaloo)", perfettamente in linea con le suddette influenze, una bellissima e riuscita versione del (purtroppo) oscuro classico "Hold on" dei Fleurs de Lys (originariamente cantato dalla vocalist sudafricana Sharon Tandy). In trepida attesa di un album!
AA.VV. - Africamore - The Afro-funk side of Italy (1973-1978)
Interessantissima operazione della Four Flies Records (etichetta specializzata in colonne sonore e musiche per sonorizzazioni realizzate in Italia tra la fine degli anni Cinquanta e la metà degli anni Ottanta, oltre a nuove produzioni nu soul) che recupera una serie di brani italiani tra soul funk, proto disco, afrobeat.
Il risultato è spettacolare, dai Chrisma che compongono con Vangelis "Amore", accompagnati dagli Osibisa mentre Augusto Martelli & the Real McCoys sfodera un irresistibile funk di sapore James Brown in "Calories". Lara Saint Paul ci porta nel tribalismo minimale di "Voodoo Lady", Ramasandiran Somusunduran travolge con i prepotenti ritmi highlife di "Contrabbando di fagioli" (composto dal fratello di Vittorio De Scalzi dei New Trolls, Aldo), gli African Revival rifanno "Soul makossa" di Manu Dibango.
Uno stupendo spaccato di un'epoca pionieristica che produceva musica spettacolare.
ASCOLTATO ANCHE:
SHEER MAG (qualche buon pezzo ma genericamente un pop rock dimenticabile), NEW VISIONARIES (soul e funk strumentali, con un'impostazione lounge. Carino e innocuo sottofondo), SOUL SUGAR (reggae soul di classe e grande groove), NESTOR ALVAREZ (latin funk di ottimo livello), ANGELO OUTLAW (jazz funk soul strumentale, molto gradevole), Thee SINSEERS (ottimo rhythm and blues, blues e mellow soul da LA).
LETTO
Subbaculture #11
E' uscito il numero 11 di una delle riviste/fanzine più interessanti in circolazione: SUBBACULTURE.
300 copie numerate, 80 pagine in cui si parla in maniera approfondita, colta, minuziosa, di aspetti di varie sottoculture (mod e skinhead e dintorni, in particolare).
Bellissima e dettagliatissima l'intervista a David Storey, il grafico della 2Tone Records, interessantissima quella a Tim Wells sulla cultura skinhead.
Si parla anche del film "Babylon", della moda degli skaters negli 80, delle radici del Mod e Skinhead "revival" a fine anni 70 (con particolari e distinguo perfettamente azzeccati), dell'importanza dell'amico e poeta Dave Waller sulla scrittura di Paul Weller, delle fanzine inglesi tra il 1977 e il 1980 e tanto, tanto altro.
Ne scrivono David Storey, Mathew Worley, Paul 'Smiler' Anderson, Tim Wells, Mark Hinds Peter Jachimiak e Ian Trowell.
YOU HAD TO GET INVOLVED TO BE INVOLVED.
Per averlo
https://subbaculture.bigcartel.com/product/subbaculture-11
Marco Fazzini e Roberto Jacksie Saetti - Mingle with the Universe
Dalle nostre parti ERIC ANDERSEN ha sempre avuto poca risonanza, se non in un agguerrito e fedele nucleo di fan, che lo ha spesso portato in tour, ci ha lavorato (il violinista Michele Gazich in particolare), lo ha seguito lungo tutta la lunga e gloriosa carriera.
Il suo primo album è del 1965, ha collaborato con mostri sacri come Bob Dylan, Lou Reed, Joni Mitcehll, James Taylor, Andy Warhol, Rick Danko della Band.
Talvolta circostanze sfortunate ne hanno fermato la carriera che però conta una serie di piccoli gioielli come "Blue river" e "Ghosts Upon the Road".
In questo libro (in italiano e inglese) sono raccolte una lunga intervista sulla sua carriera, la traduzione di alcune delle canzoni più famose, suoi scritti esclusivi e varie testimonianze di chi ha lavorato e collaborato con lui.
Un eccelente modo per (ri)scoprirlo.
Edi Kermit Toffoli - Provincial punk. Le avventure di un giovane punk nell'Italia dei primi anni ottanta
Essere punk (o da quelle parti) in Italia a fine anni Settanta e per buona parte degli anni Ottanta era un bel problema.
Che si amplificava esponenzialmente vivendo in provincia.
Edi Kermit Toffoli fu uno dei primissimi a vestire quegli abiti scomodi a Gemona, nel Friuli profondo, da poco devastato dal terremoto.
Il libro (corredato da suggestive foto d'epoca) racconta quegli anni febbrili e incerti, la sua attività artistica (e vita) precaria con i Mercenary God e The Sex, le illusioni, le delusioni, la violenza, ma anche il divertimento, la passione, la gioia di vivere ai margini (Outside of society, that's where I want to be - Patti Smith Group da "Rock n roll nigger"), lo straniamento di fronte all'arrivo del rigore dell'hardcore.
Alla fine troverà una strada più sicura, diventerà autore (per i Nomadi) e musicista (Cleverness e professionismo da solista).
Un'ulteriore testimonianza di un'epoca, dalla quale escono sempre più ricordi e documenti, a dimostrazione della vitalità scomposta e anarcoide che c'era ai tempi anche da noi.
Michael Muhammad Knight - Islam Punk
Pubblicato in Usa nel 2009 (con il titolo "The Taqwacores", l'anno dopo in Italia con il palese riferimento al brano dei CCCP, è un divertentissimo resoconto della vita di una stramba e immaginaria comunità di Buffalo, composta da punk musulmani, devoti ad Allah e al Corano ma, allo stesso tempo, amanti dei piaceri comuni (sesso, droga, alcol, punk) che male si accoppiano con i precetti sacri.
Il culmine arriverà con un concerto di band taqwacore che si sublimerà in una serie di eventi inaspettati.
Divertentissimo e a suo modo geniale.
Il libro fece nascere una piccola scena hardcore che si ispirò alle sue pagine con nomi (marginali) come The Kominas, 8-bit, Vote Hezbollah Diacritical e Secret Trial Five.
Linus #3
Spettacolare numero di LINUS con speciale dedicato a GIGI RIVA.
Ci sono scritti mozzafiato di Gianni Brera (veramente spettacolare), Gianni Mura, Giuseppe Sansonna, Giorgio Porrà, Gigi Garanzini, fumetti dedicati a Gigi e foto rare e spettacolari. In mezzo decine di aneddoti, alcuni dei quali poco conosciuti.
Per i tifosi del CAGLIARI come il sottoscritto difficile trattenere la commozione ma la lettura è ugualmente consigliatissima a chiunque apprezzi il concetto di CALCIO, nella sua accezione più pura.
COSE VARIE
° Ogni giorno mie recensioni italiane su www.radiocoop.it (per cui curo ogni settimana un TG video musicale - vedi pagina FB https://www.facebook.com/RadiocoopTV/).
° Ogni domenica "La musica ribelle", una pagina sul quotidiano "Libertà"
° Ogni mese varie su CLASSIC ROCK.
° Ogni sabato un video con aggiornamenti musicali sul portale https://www.facebook.com/goodmorninggenova
° Sulle riviste/zines "GIMME DANGER" e "GARAGELAND"
° Periodicamente su "Il Manifesto" e "Vinile".
IN CANTIERE
Venerdì 12 aprile ore 18.30
Torino
LAB
Piazza Vittorio Veneto 13, Turin, Italy
Presentazione del libro "Quadrophenia" sullo storico disco degli Wh. A seguire aperitivo Mod Disco con il meglio del Soul,R&B,Ska,Mod’79 con I djs di piazza Statuto. Cibo e bevande prelibati a prezzo popolare. Ingresso libero e divertimento obbligatorio.
Un'eccezione dalla nostra pausa per la doverosa partecipazione al Primo Festival della nostra label Area Pirata, sabato 11 maggio.
La festa inizierà alle 18.30 con la presentazione dei libri "No More Pain" e "Dalla Parte Del Torto": ANTONIO CECCHI (C.C.M.) e DOME LA MUERTE C.C.M. / Not Moving) ci parleranno delle loro biografie.
Dalle 21 si avvicenderanno sul palco:
DEATH WISHLIST - che ci presenteranno il loro debutto in uscita ad Aprile
SMALLTOWN TIGERS - fresche di uscita, dopo aver girato l'Europa in compagnia dei Damned e al rientro dal tour inglese!
CUT - una band che tutto il mondo ci invidia e delle bombe atomiche dal vivo!!!
NOT MOVING L.T.D. - davvero hanno bisogno di una presentazione?!
A seguire DJ set di Mr. DOME LA MUERTE.
Sarà presente un bel camioncino che ci sfamerà tutti!!!
E naturalmente vari stand ad accogliervi (tra cui Noi)!
Il tutto al GOB - Ganz of Bicchio - Circolo ARCI di Bicchio Viareggio.
I posti sono limitati (150 ingressi disponibili), ingresso 10€ con tessera Arci per cui si consiglia il preordine alla mail apirata@areapirata.com
Dall'estero Bella Brown and the Jealous Lovers, Les Amazones d'Afrique, Liam Gallagher & John Squire, Mooon, Dandy Warhols, Michelle David & True Tones, Yard Act, Kula Shaker, Kim Gordon, Real Estate, Black Crowes, Tibbs, Idles, New Mastersounds, Mo Troper, Galileo 7 e Popincourt.
Tra gli italiani A Toys orchestra, Rudy Bolo, La Crus, The Devils, Enri Zavalloni, Any Other, Bebaloncar, Smalltown Tigers, Paolo Zangara, Pier Adduce e Paolo Benvegnù.
BLACK CROWES - Happiness bastards
Il ritorno dei Robinson Bros non tradisce le attese. Consueto southern rock tinto di funk, soul, Stones, Stax, 70's hard, blues. Ma quanta classe, energia, groove. Hanno pochi rivali in questo ambito.
MICHELLE DAVID & the TRUE-TONES - Brothers and sisters
Michelle David, cresciuta a New York, fin dall'età di quattro anni voce in cori gospel, poi in giro per il mondo con il musical di Broadway “Mama” e con altre opere teatrali, infine in studio a fianco di Diana Ross.
Si trasferisce in Olanda dove incomincia una carriera con i locali True-Tones con cui incide sei album, calca i palchi di mezza Europa, conquista premi e riconoscimenti. Approdano alla nostra Record Kicks con il loro infuocato funk soul, rhythm and blues, blues e una costante tinta gospel su ogni brano e un album nuovo di zecca con dodici brani autografi. Una fusione ammaliante, esplosiva, vincente.
NEW MASTERSOUNDS - Old school
La band di Leeds, attiva da un quarto di secolo e con una ventina di incisioni alle spalle, torna con la consueta formula (vincente) a base di funk soul strumentale con l'organo Hammond in primo piano, tra Meters e Booker T & the Mg's. Dieci brani coinvolgenti, ritmicamente travolgenti, suonati (benissimo) con palese gusto e divertimento, per un album super grooovy!
YARD ACT - Where's my Utopia?
Sono da apprezzare le band/gli artisti che osano sparigliare fin da subito le carte.
Gli YARD ACT erano paladini del post punk, così tanto in auge ora.
Consapevoli che la formula è già superata e forse ha stancato, nel nuovo, secondo, album virano verso un sorprendente mix di funk, dance, hip hop, Beck, sound Baggy (Happy Mondays di "Kinky afro") e tanto altro.
Molto accattivante, gustoso, groovy.
Transitorio probabilmente ma complimenti per l'ardire.
KIM GORDON - The collective
Album disturbante, sperimentale, techno noise, rap, pesante come una stufa di ghisa, personale fotografia della società marcescente che ci circonda. Foto perfettamente a fuoco, terribilmente fedele alla realtà.
LIAM GALLAGHER & JOHN SQUIRE - s/t
Quello che ci si poteva aspettare dalla liason artistica di Liam e John non poteva che convergere in queste dieci canzoni. Prevedibilmente un sapiente e gradevole mix di umori Britpop, rock 'n' roll, sapori Sixties, la voce miagolosa di Liam, la chitarra solida, non di rado Hendrixiana, di John. C'è un imprevisto torrido rock blues ("I'm a wheel"), il riff beatlesiano di "I'm bored", un po' di psichedelia sparsa, una traccia glam hardeggiante alla Humble Pie come "You're not the only one". La scrittura è decisamente ottima, di alto livello, l'ascolto piacevolissimo per chi ha apprezzato le precedenti avventure dei due.
KAISER CHIEFS - Easy Eight Album
E' un peccato che la band di Leeds si sia progressivamente persa per strada, a sbracciarsi ora in una palude pop funk dance di sapore Duran Duran in tono minore e con imitazioni ritmiche del Bowie di "Let's dance".
Brani molto curati, talvolta efficaci ma sempre in un limbo di anonimato.
DANDY WARHOLS - Rockmaker
Ottimo il nuovo della band che mischia con grande gusto, energia, potenza e sfacciataggine rock, psichedelia, suoni garage, pop, elettronica. Ad aiutarli anche Slash, Debbie Harry e Frank Black dei Pixies. Le canzoni funzionano, divertono, pulsano e spesso esplodono in mano. Frizzante e cool.
DEE C. LEE - Just something
Torna a 26 anni dall'ultimo album DEE C. LEE, pubblicato dalla Acid Jazz Records.
L'ex voce degli Style Council (anche con Wham! e Animal Nightlife oltre che con una buona carriera solista), sfodera un timbro maturo, suadente, sempre pieno di classe e un sound soul funk jazzy, elegante e raffinatissimo, che riporta immediatamente alla "band madre".
In un paio di brani c'è anche Mick Talbot e uno lo compone Leah Weller (figlia di Paul e Dee).
Due ottime cover, 'Be There In The Morning’ di Renee Geyer e 'I love you" di Weldon Irvine.
Cool & groovy.
THE GALILEO 7 - You me and reality
Il quinto album della band inglese, guidata da Alan Crockford (Prisoners, JTQ, Prime Movers etc), conferma la qualità artistica del quartetto e la bontà della scelta stilistica, che guarda alla seconda metà dei Sixties tra momenti garage beat, freakbeat, la psichedelia che caratterizzava band come gli Who o i Move ma anche l'impeto ritmico anni 90 dei Dodgy. Belle canzoni, tanta energia, ottimo album.
UNCLAIMED - Creature of Maui Loon
Il mondo del garage punk piange la recente scomparsa di Shelley Ganz, uno dei capostipiti del ritorno di quei suoni ed estetica, mutuati dagli anni Sessanta più oscuri, in cui certe band non si accontentavano di imitare Beatles o Stones ma inasprivano il sound fino a farlo diventare distorto, ruvido, selvaggio, isterico. Già nel 1980 si tuffò in quel mondo dimenticato con i suoi Unclaimed, diventando un referente e mito. Durarono poco e solo recentemente Ganz si era rimesso in gioco incidendo un nuovo album con una rinnovata formazione della band, rimanendo fedele al più classico dei suoni Sixties, pur svoltando verso una dimensione folk psichedelica, con echi Byrds e accenni surf. Un eccellente epitaffio a un'indimenticabile leggenda.
THE THINGS - Coloured Heaven
Compie quaranta anni l'esordio dei Things, una delle band più sottovalutate del cosiddetto Paisley Underground di cui Dream Syndicate, Rain Parade, True West furono i principali esponenti. I Things uscirono nello stesso periodo ma restarono su posizioni più oltranziste e revivaliste, non indulgendo troppo alla modernità, saldi nei legami con i mid Sixties in pieno groove jangle tra Byrds e Buffalo Springfield. Band deliziosa da riscoprire, grazie alla ristampa di Misty Lane Records.
MOOON - III
Terzo album per la band olandese, immersa come sempre in atmosfere freakbeat, garage, psichedeliche, profondamente Sixties (con qualche puntata nel decennio successivo). Divertenti, a tratti travolgenti.
NABAT - Innacustic
Nato occasionalmente durante la pandemia, il progetto acustico dei Nabat, paradossalmente una delle band più incendiarie e rabbiose della Penisola, è proseguito dando grandi frutti, di cui troviamo finalmente traccia tangibile in questo CD. Dodici brani con la voce (e armonica) inconfondibile di Steno affiancata dalla chitarra acustica di Marco Farini in cui si passa attraverso i classici della band (da "Scenderemo nelle strade" a "Nichilistaggio" e "Asociale Oi!") e due novità come "Fuori dal ghetto" e "Questa notte a mezzanotte", cover italiana di "Midnight special", blues tradizionale portato alla notorietà da Leadbelly. Le canzoni funzionano tremendamente bene in chiave country blues e non perdono mai lo spessore originario ma in certi frangenti acquistano ancora più vigore e significato. Eccellente.
INDIGESTI - Ristampe
La F.O.A.D. Records, in collaborazione con la band ristampa l’intera discografia degli INDIGESTI dal 1982 al 1987.
– “Sguardo realtà” gatefold 2xLP (con un intero LP extra di contenuti inediti 1982-83) mai uscito in vinile.
– “Osservati dall’inganno” gatefold LP (riacquisito e masterizzato dalla bobina originale).
– Live in Lübeck 02.09.1987” Gatefold LP+7” (contenente un bonus EP con tracce rare/inedite) mai uscito in vinile.
Il tutto arricchito da libretti con interviste, foto, flyer e grafiche dell’epoca.
Impressionante riascoltare la violenza sonora della band, un incrocio di Germs, Zero Boys e Bad Brains, arricchito da una tale personalità da fare diventare gli Indigesti un riferimento per l'hardcore punk di tutto il mondo.
Il tutto corredato da testi visionari, amari, introspettivi.
La band suonava benissimo, potentissima, acida, spietata.
THE CHISEL - What a fucking nightmare
Anche con il secondo album la band inglese continua la sua opera di distruzione sonora con un mix devastante di hardcore e punk primordiale, violentissimo, urlato, scorticante. Sedici brani in trentasei minuti, nessun prigioniero, rabbia e disprezzo. Uno dei rari album punk fedeli allo spirito che fu.
LA CRUS - Proteggimi da ciò che voglio
Trascorsi vent'anni dall'ultima uscita discografica tornano i LA CRUS.
In "Proteggimi da ciò che voglio" ci sono otto brani inediti e due rifacimenti di loro vecchi brani con ospiti illustri (Carmen Consoli e Colapesce/Dimartino).
Il tratto dominante è l'immediata riconoscibilità del loro sound, un marchio di fabbrica che mette insieme la canzone d'autore più profonda (Tenco, Ciampi - vedi l'omaggio implicito del blues "Mangia dormi lavora ripeti" che richiama il suo "Andare camminare lavorare" - Bindi, Endrigo), con elettronica, post wave, pop ("Discronia").
Una pregevole conferma.
A TOYS ORCHESTRA - Midnight again
Una delle band più rappresentative della scena italiana, firma l'ottavo album, a sei anni dall'ultima uscita, un ulteriore passo in avanti in una maturazione da fuoriclasse. Un'anima soul, blues, quasi gospel. Ogni tanto sbucano il Lou Reed, il Jeff Buckley o il Leonard Cohen più introversi, addirittura Ray Davies e i Kinks. Impressionano la capacità compositiva ed evocativa, la padronanza creativa e il livello artistico dell'album. Resterà tra i migliori dell'anno, senza dubbio.
THE DEVILS - Let the world burn down
Il quinto album del duo napoletano (incluso il live dello scorso anno) si avvale della preziosa produzione di Alain Johannes (Chris Cornell, PJ Harvey, Queens Of The Stone Age) che ne esalta la potenza sonora, senza togliere nulla al consueto assalto sonoro selvaggio e primitivo. La formula è come sempre un riuscito cocktail di rock 'n' roll a tinte hard (dalle parti di White Stripes, Jack White e Black Keys), deep blues, punk, un'anima rockabilly (vedi la cover dei troppo dimenticati Crazy Cavan 'n' the Rhythm Rockers) e un taglio rock blues che guarda a cavallo di Sessanta e Settanta. Un album maturo, dal taglio internazionale, che esplode di energia in ogni canzone. Travolgenti!
LITTLE ALBERT - The road not taken
Uno dei chitarristi più espressivi del consesso rock blues italiano attuale, membro degli eccellenti Messa (spettacolare band psych/hard/stoner), firma il secondo album solista dopo il più che ottimo esordio con Swamp King di quattro anni fa. Rock blues classico, uno stile chitarristico che va dal Mike Bloomfield di Supersession a Johnny Winter, l'Alvin Lee solista, Steve Ray Vaughan. Tecnica di prim'ordine, gli appassionati apprezzeranno tantissimo.
MARK and the CLOUDS – Machines can’t hear you
Marco Magnani ha un curriculum di tutto rispetto alle spalle (dagli Avvoltoi alla band di Arthur Brown) e con la sua nuova creatura firma ora il quarto album. Il contesto è fedele ai suoi gusti e alle origini artistiche, ben radicate nei suoni dei Sixties. La band spazia tra le mille anime degli anni Sessanta passando da Beatles a elementi folk, freakbeat, spediti pop beat. Al suo fianco vari ospiti, a sua disposizione una lunga serie di strumenti e strumentisti che rendono l’album ancora più variegato e colorato.
THOMAS GREENWOOD and the TALISMANS - Ateş
Thomas Mascheroni (già chitarra e voce della band stoner bergamasca Humulus) in arte Thomas Greenwood, con i suoi Talismans confeziona uno splendido album (il secondo dopo "Ritual" dello scorso anno) di ispirazione psichedelica, a cavallo tra Sessanta e Settanta ma che non indulge in revival o nostalgia ma propone un sound attuale e non risparmia qualche occhiata alla post wave anni Ottanta e ad asperità stoner. Notevole.
HERSELF – Spoken unsaid
L’attività del polistrumentista palermitano Gioele Valenti si divide tra varie creature musicali, JuJu e Herself in particolare, che da anni gli procurano ottime soddisfazioni tra Italia ed Europa. Il nuovo album di Herself è un accattivante susseguirsi di atmosfere inquietanti, sospese, malinconiche, a tratti perfino minacciose e urticanti. Ci sono momenti di quiete psichedelica, altri più abrasivi e pulsanti che riportano a nomi come Sparklehorse, Pavement, Mercury Rev (per i quali, non a caso ha aperto il tour italiano del 2019). La particolarità saliente è il condensato di creatività e personalità che si respira nell’album, dal grande respiro internazionale. Materia di primissima qualità.
THE BRIGHTEST ROOM – s/t
Terzo album per la band milanese (guidata da Valerio ex Impulsive Youth e tanto altro), composta da veterani della scena rock e alternative locale. Cambio recente di line up e nuove forze che aggiungono energia e potenza a dieci brani power pop, con tiro punk e influenze Sixties. A tratti ricordano band come Buzzcocks e Squeeze ma la scrittura è sempre matura, fresca e personale, soprattutto nella dimensione live. Da seguire.
ORGAN SQUAD - I'll get you (boogaloo) / Hold on
Nuovo singolo per il quartetto modenese, come sempre alle prese con un Hammond sound che guarda ai classici riferimenti del genere (da Booker T and the Mg's al primo James Taylor Quartet e ai Corduroy) ma con un'energia e un tiro garage beat. A fianco della facciata A"I'll get you (boogaloo)", perfettamente in linea con le suddette influenze, una bellissima e riuscita versione del (purtroppo) oscuro classico "Hold on" dei Fleurs de Lys (originariamente cantato dalla vocalist sudafricana Sharon Tandy). In trepida attesa di un album!
AA.VV. - Africamore - The Afro-funk side of Italy (1973-1978)
Interessantissima operazione della Four Flies Records (etichetta specializzata in colonne sonore e musiche per sonorizzazioni realizzate in Italia tra la fine degli anni Cinquanta e la metà degli anni Ottanta, oltre a nuove produzioni nu soul) che recupera una serie di brani italiani tra soul funk, proto disco, afrobeat.
Il risultato è spettacolare, dai Chrisma che compongono con Vangelis "Amore", accompagnati dagli Osibisa mentre Augusto Martelli & the Real McCoys sfodera un irresistibile funk di sapore James Brown in "Calories". Lara Saint Paul ci porta nel tribalismo minimale di "Voodoo Lady", Ramasandiran Somusunduran travolge con i prepotenti ritmi highlife di "Contrabbando di fagioli" (composto dal fratello di Vittorio De Scalzi dei New Trolls, Aldo), gli African Revival rifanno "Soul makossa" di Manu Dibango.
Uno stupendo spaccato di un'epoca pionieristica che produceva musica spettacolare.
ASCOLTATO ANCHE:
SHEER MAG (qualche buon pezzo ma genericamente un pop rock dimenticabile), NEW VISIONARIES (soul e funk strumentali, con un'impostazione lounge. Carino e innocuo sottofondo), SOUL SUGAR (reggae soul di classe e grande groove), NESTOR ALVAREZ (latin funk di ottimo livello), ANGELO OUTLAW (jazz funk soul strumentale, molto gradevole), Thee SINSEERS (ottimo rhythm and blues, blues e mellow soul da LA).
LETTO
Subbaculture #11
E' uscito il numero 11 di una delle riviste/fanzine più interessanti in circolazione: SUBBACULTURE.
300 copie numerate, 80 pagine in cui si parla in maniera approfondita, colta, minuziosa, di aspetti di varie sottoculture (mod e skinhead e dintorni, in particolare).
Bellissima e dettagliatissima l'intervista a David Storey, il grafico della 2Tone Records, interessantissima quella a Tim Wells sulla cultura skinhead.
Si parla anche del film "Babylon", della moda degli skaters negli 80, delle radici del Mod e Skinhead "revival" a fine anni 70 (con particolari e distinguo perfettamente azzeccati), dell'importanza dell'amico e poeta Dave Waller sulla scrittura di Paul Weller, delle fanzine inglesi tra il 1977 e il 1980 e tanto, tanto altro.
Ne scrivono David Storey, Mathew Worley, Paul 'Smiler' Anderson, Tim Wells, Mark Hinds Peter Jachimiak e Ian Trowell.
YOU HAD TO GET INVOLVED TO BE INVOLVED.
Per averlo
https://subbaculture.bigcartel.com/product/subbaculture-11
Marco Fazzini e Roberto Jacksie Saetti - Mingle with the Universe
Dalle nostre parti ERIC ANDERSEN ha sempre avuto poca risonanza, se non in un agguerrito e fedele nucleo di fan, che lo ha spesso portato in tour, ci ha lavorato (il violinista Michele Gazich in particolare), lo ha seguito lungo tutta la lunga e gloriosa carriera.
Il suo primo album è del 1965, ha collaborato con mostri sacri come Bob Dylan, Lou Reed, Joni Mitcehll, James Taylor, Andy Warhol, Rick Danko della Band.
Talvolta circostanze sfortunate ne hanno fermato la carriera che però conta una serie di piccoli gioielli come "Blue river" e "Ghosts Upon the Road".
In questo libro (in italiano e inglese) sono raccolte una lunga intervista sulla sua carriera, la traduzione di alcune delle canzoni più famose, suoi scritti esclusivi e varie testimonianze di chi ha lavorato e collaborato con lui.
Un eccelente modo per (ri)scoprirlo.
Edi Kermit Toffoli - Provincial punk. Le avventure di un giovane punk nell'Italia dei primi anni ottanta
Essere punk (o da quelle parti) in Italia a fine anni Settanta e per buona parte degli anni Ottanta era un bel problema.
Che si amplificava esponenzialmente vivendo in provincia.
Edi Kermit Toffoli fu uno dei primissimi a vestire quegli abiti scomodi a Gemona, nel Friuli profondo, da poco devastato dal terremoto.
Il libro (corredato da suggestive foto d'epoca) racconta quegli anni febbrili e incerti, la sua attività artistica (e vita) precaria con i Mercenary God e The Sex, le illusioni, le delusioni, la violenza, ma anche il divertimento, la passione, la gioia di vivere ai margini (Outside of society, that's where I want to be - Patti Smith Group da "Rock n roll nigger"), lo straniamento di fronte all'arrivo del rigore dell'hardcore.
Alla fine troverà una strada più sicura, diventerà autore (per i Nomadi) e musicista (Cleverness e professionismo da solista).
Un'ulteriore testimonianza di un'epoca, dalla quale escono sempre più ricordi e documenti, a dimostrazione della vitalità scomposta e anarcoide che c'era ai tempi anche da noi.
Michael Muhammad Knight - Islam Punk
Pubblicato in Usa nel 2009 (con il titolo "The Taqwacores", l'anno dopo in Italia con il palese riferimento al brano dei CCCP, è un divertentissimo resoconto della vita di una stramba e immaginaria comunità di Buffalo, composta da punk musulmani, devoti ad Allah e al Corano ma, allo stesso tempo, amanti dei piaceri comuni (sesso, droga, alcol, punk) che male si accoppiano con i precetti sacri.
Il culmine arriverà con un concerto di band taqwacore che si sublimerà in una serie di eventi inaspettati.
Divertentissimo e a suo modo geniale.
Il libro fece nascere una piccola scena hardcore che si ispirò alle sue pagine con nomi (marginali) come The Kominas, 8-bit, Vote Hezbollah Diacritical e Secret Trial Five.
Linus #3
Spettacolare numero di LINUS con speciale dedicato a GIGI RIVA.
Ci sono scritti mozzafiato di Gianni Brera (veramente spettacolare), Gianni Mura, Giuseppe Sansonna, Giorgio Porrà, Gigi Garanzini, fumetti dedicati a Gigi e foto rare e spettacolari. In mezzo decine di aneddoti, alcuni dei quali poco conosciuti.
Per i tifosi del CAGLIARI come il sottoscritto difficile trattenere la commozione ma la lettura è ugualmente consigliatissima a chiunque apprezzi il concetto di CALCIO, nella sua accezione più pura.
COSE VARIE
° Ogni giorno mie recensioni italiane su www.radiocoop.it (per cui curo ogni settimana un TG video musicale - vedi pagina FB https://www.facebook.com/RadiocoopTV/).
° Ogni domenica "La musica ribelle", una pagina sul quotidiano "Libertà"
° Ogni mese varie su CLASSIC ROCK.
° Ogni sabato un video con aggiornamenti musicali sul portale https://www.facebook.com/goodmorninggenova
° Sulle riviste/zines "GIMME DANGER" e "GARAGELAND"
° Periodicamente su "Il Manifesto" e "Vinile".
IN CANTIERE
Venerdì 12 aprile ore 18.30
Torino
LAB
Piazza Vittorio Veneto 13, Turin, Italy
Presentazione del libro "Quadrophenia" sullo storico disco degli Wh. A seguire aperitivo Mod Disco con il meglio del Soul,R&B,Ska,Mod’79 con I djs di piazza Statuto. Cibo e bevande prelibati a prezzo popolare. Ingresso libero e divertimento obbligatorio.
Un'eccezione dalla nostra pausa per la doverosa partecipazione al Primo Festival della nostra label Area Pirata, sabato 11 maggio.
La festa inizierà alle 18.30 con la presentazione dei libri "No More Pain" e "Dalla Parte Del Torto": ANTONIO CECCHI (C.C.M.) e DOME LA MUERTE C.C.M. / Not Moving) ci parleranno delle loro biografie.
Dalle 21 si avvicenderanno sul palco:
DEATH WISHLIST - che ci presenteranno il loro debutto in uscita ad Aprile
SMALLTOWN TIGERS - fresche di uscita, dopo aver girato l'Europa in compagnia dei Damned e al rientro dal tour inglese!
CUT - una band che tutto il mondo ci invidia e delle bombe atomiche dal vivo!!!
NOT MOVING L.T.D. - davvero hanno bisogno di una presentazione?!
A seguire DJ set di Mr. DOME LA MUERTE.
Sarà presente un bel camioncino che ci sfamerà tutti!!!
E naturalmente vari stand ad accogliervi (tra cui Noi)!
Il tutto al GOB - Ganz of Bicchio - Circolo ARCI di Bicchio Viareggio.
I posti sono limitati (150 ingressi disponibili), ingresso 10€ con tessera Arci per cui si consiglia il preordine alla mail apirata@areapirata.com
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Il meglio del mese
giovedì, marzo 28, 2024
Eugenio Finardi
Ogni mese la rubrica GET BACK ripropone alcuni dischi persi nel tempo e meritevoli di una riscoperta.
Le altre riscoperte sono qui: http://tonyface.blogspot.it/search/label/Get%20Back
Speciale EUGENIO FINARDI
Non gettate alcun oggetto dai finestrini (1975)
L'esordio non ancora perfettamente a fuoco: canzone d'autore, rock duro, sperimentazione, jazz rock, musicisti eccelsi come Hugh Bullen al basso, Walter Calloni alla batteria, Lucio "Violino" Fabbri al violino e il sottovalutato Alberto Camerini alla chitarra.
Testi duri e diretti contro capitalismo, servizio militare, padroni (il classico popolare "Saluteremo il signor padrone"). Compone la ballata "La storia della mente" con Claudio Rocchi e a collaborare c'è anche Franc Jonia (Franco Battiato sotto falso nome). Sugo (1976)
Diesel (1977)
Due gioielli di rara bellezza e spessore, tra le migliori espressioni ("Sugo" in particolare) del rock italiano anni Settanta (ma non solo).
Nel primo brani immortali come "Musica ribelle", "La radio", "La CIA", il jazz rock di "Quasar", il rock rabbioso di "Soldi", l'intimismo di "Oggi ho imparato a volare".
La band è anora una volta eccelsa con Lucio Fabbri, Alberto Camerini, Hugh Bullen e Walter Calloni, oltre a Patrizio Fariselli, Ares Tavolazzi e Paolo Tofani degli Area e Claudio Pascoli (Battisti, PFM, Fossati, poi De André etc).
"Diesel" compie un passo in avanti. Prodotto da Paolo Tofani, ripropone la line up del precedente lavoro.
Il sound è più vario, dal rock diretto di "Tutto subito" a elementi jazz rock (la lunga "Non diventare grande mai" con la chitarra di Tofani a fare faville).
Testi di grande livello che vanno da analisi del convulso periodo "rivoluzionario" all'uso dell'eroina, ormai piaga sociale, la famosa "Scimmia", la guerra in Vietnam ("Giai phong"), il sistema scolastico ("Scuola"). Su tutto la stupenda ballata "Non è nel cuore".
Blitz (1978)
Roccando e rollando (1979)
Piuttosto criticati ai tempi, con l'imputazione di un disimpegno e allegerimento. In realtà Finardi mantiene saldo il legame con la realtà circostante, pur concedendosi a sonorità più easy (soprattutto in "Roccando e rollando") e ottenendo successo (e Festivalbar) con "Extraterrestre" nel primo e "15 bambini" nel secondo (album più debole e meno incisivo).
La carriera di Finardi prosegue con album sempre di buon livello, ricchi di spunti e volontà di sperimentare e cambiare, collaborando spesso con altri artisti e addentrandosi in vari generi musicali.
Anima Blues (2005)
Da sempre innamorato di blues e rock n roll, sforna un album (e un progetto che lo porterà in giro in Italia per oltre 100 concerti) a base di puro (rock) blues.
11 brani suoi, una cover di W.Dixon “Spoonful”, il mago dell’Hammond Pippo Guarnera al fianco, un tiro invidiabile, groove e anima da vendere.
Fibrillante (2014)
Dieci nuovi brani composti da Eugenio (con Giovanni “Giuvazza” Maggiore), coprodotti con Max Casacci dei Subsonica e che si avvale delle collaborazioni di Manuel Agnelli, Patrizio Fariselli degli Area, l’ex PFM Vittorio Cosma, alcuni dei Perturbazione.
Un ritorno duro, in cui Finardi impugna i problemi quotidiani con il piglio battagliero di sempre, sferza, picchia forte e diretto.
Lo ha definito un ”album di lotta” e quello è.
In ogni brano c’è un’attualità spiazzante, storie quotidiane, disoccupazione, liberismo che uccide, separazioni (la minimale “Storia di Franco”, algido e aspro ritratto di una condizione di tanti).
Il tutto coronato da un sound moderno e fresco, rock cantautorale di primissima qualità (bellissimo il 60’s folk quasi jingle jangle della title track), espliciti riferimenti sonori agli esordi ma espresso con una maturità, un piglio autorevole di chi ha fatto la storia e si ripresenta a muso duro, senza paura e con una classe comune a pochi.
Disco commovente, che prende alla gola e mette in un colpo solo in riga migliaia di arroganti “nuove leve”.
Brani spesso severi e rigorosi ma anche pieni di anima, energia, tranquilla determinazione.
Rimane infine da annotare quella che è forse la particolarità principale del disco: la voce.
Inconfondibile, riconoscibilissima, di Eugenio, che canta, parla, declama, ferma, minacciosa, autorevole, BELLA.
La classe, la maturità, l’esperienza di un GRANDE della musica, perfettamente mixata con la freschezza della generazione “rock” successiva, ammantata da un sound attuale.
Un capolavoro destinato a rimanere.
Le altre riscoperte sono qui: http://tonyface.blogspot.it/search/label/Get%20Back
Speciale EUGENIO FINARDI
Non gettate alcun oggetto dai finestrini (1975)
L'esordio non ancora perfettamente a fuoco: canzone d'autore, rock duro, sperimentazione, jazz rock, musicisti eccelsi come Hugh Bullen al basso, Walter Calloni alla batteria, Lucio "Violino" Fabbri al violino e il sottovalutato Alberto Camerini alla chitarra.
Testi duri e diretti contro capitalismo, servizio militare, padroni (il classico popolare "Saluteremo il signor padrone"). Compone la ballata "La storia della mente" con Claudio Rocchi e a collaborare c'è anche Franc Jonia (Franco Battiato sotto falso nome). Sugo (1976)
Diesel (1977)
Due gioielli di rara bellezza e spessore, tra le migliori espressioni ("Sugo" in particolare) del rock italiano anni Settanta (ma non solo).
Nel primo brani immortali come "Musica ribelle", "La radio", "La CIA", il jazz rock di "Quasar", il rock rabbioso di "Soldi", l'intimismo di "Oggi ho imparato a volare".
La band è anora una volta eccelsa con Lucio Fabbri, Alberto Camerini, Hugh Bullen e Walter Calloni, oltre a Patrizio Fariselli, Ares Tavolazzi e Paolo Tofani degli Area e Claudio Pascoli (Battisti, PFM, Fossati, poi De André etc).
"Diesel" compie un passo in avanti. Prodotto da Paolo Tofani, ripropone la line up del precedente lavoro.
Il sound è più vario, dal rock diretto di "Tutto subito" a elementi jazz rock (la lunga "Non diventare grande mai" con la chitarra di Tofani a fare faville).
Testi di grande livello che vanno da analisi del convulso periodo "rivoluzionario" all'uso dell'eroina, ormai piaga sociale, la famosa "Scimmia", la guerra in Vietnam ("Giai phong"), il sistema scolastico ("Scuola"). Su tutto la stupenda ballata "Non è nel cuore".
Blitz (1978)
Roccando e rollando (1979)
Piuttosto criticati ai tempi, con l'imputazione di un disimpegno e allegerimento. In realtà Finardi mantiene saldo il legame con la realtà circostante, pur concedendosi a sonorità più easy (soprattutto in "Roccando e rollando") e ottenendo successo (e Festivalbar) con "Extraterrestre" nel primo e "15 bambini" nel secondo (album più debole e meno incisivo).
La carriera di Finardi prosegue con album sempre di buon livello, ricchi di spunti e volontà di sperimentare e cambiare, collaborando spesso con altri artisti e addentrandosi in vari generi musicali.
Anima Blues (2005)
Da sempre innamorato di blues e rock n roll, sforna un album (e un progetto che lo porterà in giro in Italia per oltre 100 concerti) a base di puro (rock) blues.
11 brani suoi, una cover di W.Dixon “Spoonful”, il mago dell’Hammond Pippo Guarnera al fianco, un tiro invidiabile, groove e anima da vendere.
Fibrillante (2014)
Dieci nuovi brani composti da Eugenio (con Giovanni “Giuvazza” Maggiore), coprodotti con Max Casacci dei Subsonica e che si avvale delle collaborazioni di Manuel Agnelli, Patrizio Fariselli degli Area, l’ex PFM Vittorio Cosma, alcuni dei Perturbazione.
Un ritorno duro, in cui Finardi impugna i problemi quotidiani con il piglio battagliero di sempre, sferza, picchia forte e diretto.
Lo ha definito un ”album di lotta” e quello è.
In ogni brano c’è un’attualità spiazzante, storie quotidiane, disoccupazione, liberismo che uccide, separazioni (la minimale “Storia di Franco”, algido e aspro ritratto di una condizione di tanti).
Il tutto coronato da un sound moderno e fresco, rock cantautorale di primissima qualità (bellissimo il 60’s folk quasi jingle jangle della title track), espliciti riferimenti sonori agli esordi ma espresso con una maturità, un piglio autorevole di chi ha fatto la storia e si ripresenta a muso duro, senza paura e con una classe comune a pochi.
Disco commovente, che prende alla gola e mette in un colpo solo in riga migliaia di arroganti “nuove leve”.
Brani spesso severi e rigorosi ma anche pieni di anima, energia, tranquilla determinazione.
Rimane infine da annotare quella che è forse la particolarità principale del disco: la voce.
Inconfondibile, riconoscibilissima, di Eugenio, che canta, parla, declama, ferma, minacciosa, autorevole, BELLA.
La classe, la maturità, l’esperienza di un GRANDE della musica, perfettamente mixata con la freschezza della generazione “rock” successiva, ammantata da un sound attuale.
Un capolavoro destinato a rimanere.
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Get Back
mercoledì, marzo 27, 2024
Michael Muhammad Knight - Islam Punk
Pubblicato in Usa nel 2009 (con il titolo "The Taqwacores"), l'anno dopo in Italia con il palese riferimento al brano dei CCCP, è un divertentissimo resoconto della vita di una stramba e immaginaria comunità di Buffalo, composta da punk musulmani, devoti ad Allah e al Corano ma, allo stesso tempo, amanti dei piaceri comuni (sesso, droga, alcol, punk) che male si accoppiano con i precetti sacri.
Il culmine arriverà con un concerto di band taqwacore che si sublimerà in una serie di eventi inaspettati.
Godibilissimo e a suo modo geniale.
Il libro fece nascere una piccola scena hardcore ,che si ispirò alle sue pagine, con nomi (marginali) come The Kominas, 8-bit, Vote Hezbollah Diacritical e Secret Trial Five.
Dal libro fu tratto un omonimo film.
Trailer:
https://www.youtube.com/watch?v=yt36AzQ6INU
Film intero:
https://www.youtube.com/watch?v=EyIyz9e-wzU
Un doc sulla scena Taqwacore:
https://www.youtube.com/watch?v=uMw-A0c06Ig&t=285s
Il nostro gruppo comprendeva un fornicatore ubriacone con il mohawk, un tossico con il mohawk, un omosessuale e me, qualunque cosa fossi. Umar era l'unico vero musulmano.
Punk rock significa musica deliberatamente volgare, abbigliamento deliberatamente volgare, linguaggio delibearatamente volgare e comportamento deliberatamente volgare.
Signifca scavarsi la fossa da soli quando si tratta di qualunque aspettativa la società avrà mai nei tuoi confronti, ma continuare ad andarne fiero, amando se stessi e in qualche modo creando una comunità.
Il taqwacore è l'applicazione di questa virtù all'Islam.
Ero circondato da musulmani deliberatamente volgari ma amavano Allah con una passione da svitati che sfuggiva al sonnecchioso ritualismo decerebrato e agli stupidi Islam divistici secondo cui il nostro den aveva una superiorità morale intrinseca grazie alla quale il mondo era una nostra legittima proprietà.
Michael Muhammad Knight
Islam Punk
Newton Compton Editori
317 pagine
5 euro
Il culmine arriverà con un concerto di band taqwacore che si sublimerà in una serie di eventi inaspettati.
Godibilissimo e a suo modo geniale.
Il libro fece nascere una piccola scena hardcore ,che si ispirò alle sue pagine, con nomi (marginali) come The Kominas, 8-bit, Vote Hezbollah Diacritical e Secret Trial Five.
Dal libro fu tratto un omonimo film.
Trailer:
https://www.youtube.com/watch?v=yt36AzQ6INU
Film intero:
https://www.youtube.com/watch?v=EyIyz9e-wzU
Un doc sulla scena Taqwacore:
https://www.youtube.com/watch?v=uMw-A0c06Ig&t=285s
Il nostro gruppo comprendeva un fornicatore ubriacone con il mohawk, un tossico con il mohawk, un omosessuale e me, qualunque cosa fossi. Umar era l'unico vero musulmano.
Punk rock significa musica deliberatamente volgare, abbigliamento deliberatamente volgare, linguaggio delibearatamente volgare e comportamento deliberatamente volgare.
Signifca scavarsi la fossa da soli quando si tratta di qualunque aspettativa la società avrà mai nei tuoi confronti, ma continuare ad andarne fiero, amando se stessi e in qualche modo creando una comunità.
Il taqwacore è l'applicazione di questa virtù all'Islam.
Ero circondato da musulmani deliberatamente volgari ma amavano Allah con una passione da svitati che sfuggiva al sonnecchioso ritualismo decerebrato e agli stupidi Islam divistici secondo cui il nostro den aveva una superiorità morale intrinseca grazie alla quale il mondo era una nostra legittima proprietà.
Michael Muhammad Knight
Islam Punk
Newton Compton Editori
317 pagine
5 euro
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Libri
lunedì, marzo 25, 2024
Kurt Cobain
Riprendo l'articolo pubblicato ieri per il quotidiano "Libertà" di Piacenza.
Sono passati trent'anni da quando, il 5 aprile 1994, se ne andava uno degli ultimi eroi/martiri del rock.
Kurt Cobain aveva ventisette anni e decise di togliersi di mezzo, all'apice del successo e della popolarità, schiacciato da sé stesso e dai suoi demoni (ovviamente, come ormai tristemente accade in questi casi, sono state numerose le teorie speculative che hanno cercato di escludere il suicidio, imputando la sua morte al volere e all'avidità della moglie Courtney Love, ma qui siamo nel consueto sciacallaggio postumo).
“Too much too soon” intitolarono il loro secondo album i New York Dolls di Johnny Thunders sorta di padre putativo, sia artisticamente che nello stile di vita, di Kurt: troppo e troppo presto.
Probabilmente non era quello che desiderava e interessava al chitarrista dei Nirvana. Si sparò con un fucile nel garage della sua casa di Seattle, lasciando una lettera d'addio in cui citava, in conclusione, una drammatica frase di Neil Young, preceduta da altre parole piuttosto chiare sulla sua tragica decisione:
Mi è andata bene, molto bene durante questi anni, e ne sono grato, ma è dall’età di sette anni che sono avverso al genere umano. Solo perché a tutti sembra così facile tirare avanti ed essere empatici. Penso sia solo perché io amo e mi rammarico troppo per la gente. Grazie a tutti voi dal fondo del mio bruciante, nauseato stomaco per le vostre lettere e il supporto che mi avete dato negli anni passati. Io sono un bambino incostante, lunatico! E non ho più nessuna emozione, e ricordate, è meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente.
L'infanzia e la prima adolescenza sono traumatiche per un ragazzo dalla spiccata sensibilità.
Segnato profondamente dalla separazione dei genitori, soprattutto in una città provinciale di 15.000 abitanti nel profondo nord ovest americano, quasi ai confini con il Canada, dove non succedeva nulla e tutti conoscevano tutti. Ne diede testimonianza in una registrazione parlata, finita poi nell'album “Montage of Heck: the home recordings”, colonna sonora dell'omonimo documentario di Brett Morgen del 2015:
“(Vivevo) in una comunità che sottolinea le storie sessuali maschili in maniera “macho” come il punto culminante di ogni conversazione. Ero un ragazzino sottosviluppato, immaturo e grasso, che non scopava mai ed era costantemente molestato! Oh, povero ragazzino! Mi dava fastidio, probabilmente ancora di più perché ero arrapato e spesso dovevo inventare storie del genere. Questo tipico problema puberale era in effetti il massimo dei miei problemi, insieme a quello con mio padre e la matrigna. Sai, la tipica storia della matrigna cattiva. Mi sono trasferito sia dai nonni che da quattro gruppi di zie e zii. E così via nel corso dell'anno. In terza media mia madre non aveva altra scelta che accogliermi, perché mio padre ha fatto le valigie, mi ha accompagnato a casa sua la mattina e mi ha lasciato lì.”
Fin da piccolo è appassionato di musica, suona il pianoforte, percussioni e infine scopre la chitarra.
E' ambidestro ma sceglie di suonare mancino per essere più originale e distintivo. Segue il consueto percorso di scoperta della musica rock, partendo dai Beatles per passare poi all'hard di Led Zeppelin e Deep Purple e approdare infine al punk di Clash, Ramones e Sex Pistols.
Lascia la casa materna e se ne va a vivere da solo, addentrandosi sempre di più nella musica e nell'arte, raggranellando un po' di soldi con lavori precari, conoscendo nuovi amici e incominciando ad apprezzare droghe e alcol.
Alla fine degli anni Ottanta forma una serie di band e, dopo i tradizionali cambi di formazione, nel 1987 nascono i Nirvana: “Nirvana significa liberazione dal dolore, dalla sofferenza e dal mondo esterno e questo si avvicina al mio concetto di punk”.
La band si segnala subito per la sua irruenza sonora e sul palco. Le prime testimonianze sonore sono acide, dure, abrasive, punk misto a sferzate hard rock, ben riassunte nel singolo “Love buzz” e nell'album, ancora molto acerbo, “Bleach”.
Il 26 novembre del 1989 ero al “Bloom” di Mezzago, storico e prestigioso locale a una quarantina di kilometri da Milano.
Conoscevo poco la band ma avevo molta curiosità per questo nuovo fenomeno di cui si incominciava a parlare in America, il grunge. C'era poca gente, poco più di un centinaio di persone.
I Nirvana suonavano con i Tad ma Kurt Cobain fu costretto a sostituire Tad Doyle, il loro corpulento chitarrista, che era collassato poco prima del concerto e dormiva appoggiato a una cassa dell'impianto, senza che nessuno riuscisse a rimetterlo in sesto.
Immaginai una sbronza colossale o peggio ma pare che sorprendentemente, fosse a causa di una “overdose” di cappuccini (una dozzina in un'ora!), che lo avessero steso (unita a stanchezza e qualche altra “sostanza”).
Entrambe le esibizioni furono caotiche, rumorose, poco incisive e sostanzialmente deludenti. Con grande senso critico e innata preveggenza sentenziai al mio compagno di viaggio Enrico: “di questi tra un anno non parlerà più nessuno”.
Due anni dopo uscì infatti “Nevermind”.
A fianco di Kurt e del bassista Chris Novoselic c'era ora Dave Grohl (poi leader dei Foo Fighters).
Prodotto da Butch Vig, sbancò inaspettatamente le classifiche di mezzo mondo, in America spodestò dal primo posto Michael Jackson e ad oggi ha superato i 25 milioni di copie vendute.
Spinto dal singolo “Smells like teen spirit” portò per la prima volta il rock alternativo, figlio diretto del punk e dell'antagonismo sonoro, ai vertici delle classifiche americane e di molti altri luoghi nel globo.
Esplode il grunge, Kurt Cobain diventa un riferimento generazionale, un portavoce giovanile, un faro che catalizza il disagio della gioventù degli anni Novanta.
Non ha un look, capelli lunghi, barba incolta, camiciona di flanella, jeans larghi, scarpe da ginnastica sfondate.
E' il ragazzo della porta accanto, quello un po 'strano, dimesso, solitario, perfino un po 'sfigato, incarna l'immagine di milioni di ragazzi e ragazze. Ha però la capacità di comporre divinamente e soprattutto scrivere alla perfezione del disagio della sua generazione di cui è coetaneo.
Il successo lo travolge, non riesce a gestirlo, soprattutto in relazione al suo idealismo che mal si concilia con il ruolo di rockstar strapagata e adorata in tutto il mondo. In più la dipendenza dall'eroina e da altri stupefacenti non aiutano di certo.
Ancora meno la burrascosa relazione iniziata con Courtney Love, cantante delle Hole, anch'essa dedita ad abusi di ogni tipo. Nemmeno la nascita della figlia Frances Bean calmerà gli istinti autodistruttivi della coppia.
L'ultimo album della band “In Utero” (la prima scelta per il titolo era “Odio me stesso e voglio morire” ma Cobain fu dissuaso dalla scelta decisamente troppo estrema, per quanto lui l'avesse pensata in chiave auto ironica) è un tentativo di guardare musicalmente in una direzione più vicina alle origini, meno “raffinata” rispetto a “Nevermind”.
Avrà ugualmente un grande successo, non cambiando però lo stato psicologico di Kurt, ormai alla deriva. Alla fine del 1993 i Nirvana registrano un concerto acustico negli studi di MTV (l'album verrà pubblicato un anno dopo, postumo), stupenda testimonianza della qualità compositiva di Cobain, che si cimenta anche in alcune strazianti cover di blues.
Nel marzo del 1994 durante un soggiorno a Roma viene ricoverato in ospedale per overdose. Un mese dopo viene ritrovato il suo cadavere in casa e nel suo corpo notevoli quantità di eroina. La sua scomparsa scosse tutto il mondo musicale.
Rimane probabilmente una sorta di conclusione della storia del rock, così come lo abbiamo sempre vissuto e immaginato, quello che iniziò negli anni Cinquanta con il riff di “Johnny B.Good” di Chuck Berry, si chiude con quello di “Smells like a teen spirit” dei Nirvana, peraltro direttamente ispirato se non copiato da “More than a feeling” dei Boston.
Il rock sarà da allora in poi una riproposizione di sé stesso, ripartendo significativamente con un'ultima copiatura.
Sono passati trent'anni da quando, il 5 aprile 1994, se ne andava uno degli ultimi eroi/martiri del rock.
Kurt Cobain aveva ventisette anni e decise di togliersi di mezzo, all'apice del successo e della popolarità, schiacciato da sé stesso e dai suoi demoni (ovviamente, come ormai tristemente accade in questi casi, sono state numerose le teorie speculative che hanno cercato di escludere il suicidio, imputando la sua morte al volere e all'avidità della moglie Courtney Love, ma qui siamo nel consueto sciacallaggio postumo).
“Too much too soon” intitolarono il loro secondo album i New York Dolls di Johnny Thunders sorta di padre putativo, sia artisticamente che nello stile di vita, di Kurt: troppo e troppo presto.
Probabilmente non era quello che desiderava e interessava al chitarrista dei Nirvana. Si sparò con un fucile nel garage della sua casa di Seattle, lasciando una lettera d'addio in cui citava, in conclusione, una drammatica frase di Neil Young, preceduta da altre parole piuttosto chiare sulla sua tragica decisione:
Mi è andata bene, molto bene durante questi anni, e ne sono grato, ma è dall’età di sette anni che sono avverso al genere umano. Solo perché a tutti sembra così facile tirare avanti ed essere empatici. Penso sia solo perché io amo e mi rammarico troppo per la gente. Grazie a tutti voi dal fondo del mio bruciante, nauseato stomaco per le vostre lettere e il supporto che mi avete dato negli anni passati. Io sono un bambino incostante, lunatico! E non ho più nessuna emozione, e ricordate, è meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente.
L'infanzia e la prima adolescenza sono traumatiche per un ragazzo dalla spiccata sensibilità.
Segnato profondamente dalla separazione dei genitori, soprattutto in una città provinciale di 15.000 abitanti nel profondo nord ovest americano, quasi ai confini con il Canada, dove non succedeva nulla e tutti conoscevano tutti. Ne diede testimonianza in una registrazione parlata, finita poi nell'album “Montage of Heck: the home recordings”, colonna sonora dell'omonimo documentario di Brett Morgen del 2015:
“(Vivevo) in una comunità che sottolinea le storie sessuali maschili in maniera “macho” come il punto culminante di ogni conversazione. Ero un ragazzino sottosviluppato, immaturo e grasso, che non scopava mai ed era costantemente molestato! Oh, povero ragazzino! Mi dava fastidio, probabilmente ancora di più perché ero arrapato e spesso dovevo inventare storie del genere. Questo tipico problema puberale era in effetti il massimo dei miei problemi, insieme a quello con mio padre e la matrigna. Sai, la tipica storia della matrigna cattiva. Mi sono trasferito sia dai nonni che da quattro gruppi di zie e zii. E così via nel corso dell'anno. In terza media mia madre non aveva altra scelta che accogliermi, perché mio padre ha fatto le valigie, mi ha accompagnato a casa sua la mattina e mi ha lasciato lì.”
Fin da piccolo è appassionato di musica, suona il pianoforte, percussioni e infine scopre la chitarra.
E' ambidestro ma sceglie di suonare mancino per essere più originale e distintivo. Segue il consueto percorso di scoperta della musica rock, partendo dai Beatles per passare poi all'hard di Led Zeppelin e Deep Purple e approdare infine al punk di Clash, Ramones e Sex Pistols.
Lascia la casa materna e se ne va a vivere da solo, addentrandosi sempre di più nella musica e nell'arte, raggranellando un po' di soldi con lavori precari, conoscendo nuovi amici e incominciando ad apprezzare droghe e alcol.
Alla fine degli anni Ottanta forma una serie di band e, dopo i tradizionali cambi di formazione, nel 1987 nascono i Nirvana: “Nirvana significa liberazione dal dolore, dalla sofferenza e dal mondo esterno e questo si avvicina al mio concetto di punk”.
La band si segnala subito per la sua irruenza sonora e sul palco. Le prime testimonianze sonore sono acide, dure, abrasive, punk misto a sferzate hard rock, ben riassunte nel singolo “Love buzz” e nell'album, ancora molto acerbo, “Bleach”.
Il 26 novembre del 1989 ero al “Bloom” di Mezzago, storico e prestigioso locale a una quarantina di kilometri da Milano.
Conoscevo poco la band ma avevo molta curiosità per questo nuovo fenomeno di cui si incominciava a parlare in America, il grunge. C'era poca gente, poco più di un centinaio di persone.
I Nirvana suonavano con i Tad ma Kurt Cobain fu costretto a sostituire Tad Doyle, il loro corpulento chitarrista, che era collassato poco prima del concerto e dormiva appoggiato a una cassa dell'impianto, senza che nessuno riuscisse a rimetterlo in sesto.
Immaginai una sbronza colossale o peggio ma pare che sorprendentemente, fosse a causa di una “overdose” di cappuccini (una dozzina in un'ora!), che lo avessero steso (unita a stanchezza e qualche altra “sostanza”).
Entrambe le esibizioni furono caotiche, rumorose, poco incisive e sostanzialmente deludenti. Con grande senso critico e innata preveggenza sentenziai al mio compagno di viaggio Enrico: “di questi tra un anno non parlerà più nessuno”.
Due anni dopo uscì infatti “Nevermind”.
A fianco di Kurt e del bassista Chris Novoselic c'era ora Dave Grohl (poi leader dei Foo Fighters).
Prodotto da Butch Vig, sbancò inaspettatamente le classifiche di mezzo mondo, in America spodestò dal primo posto Michael Jackson e ad oggi ha superato i 25 milioni di copie vendute.
Spinto dal singolo “Smells like teen spirit” portò per la prima volta il rock alternativo, figlio diretto del punk e dell'antagonismo sonoro, ai vertici delle classifiche americane e di molti altri luoghi nel globo.
Esplode il grunge, Kurt Cobain diventa un riferimento generazionale, un portavoce giovanile, un faro che catalizza il disagio della gioventù degli anni Novanta.
Non ha un look, capelli lunghi, barba incolta, camiciona di flanella, jeans larghi, scarpe da ginnastica sfondate.
E' il ragazzo della porta accanto, quello un po 'strano, dimesso, solitario, perfino un po 'sfigato, incarna l'immagine di milioni di ragazzi e ragazze. Ha però la capacità di comporre divinamente e soprattutto scrivere alla perfezione del disagio della sua generazione di cui è coetaneo.
Il successo lo travolge, non riesce a gestirlo, soprattutto in relazione al suo idealismo che mal si concilia con il ruolo di rockstar strapagata e adorata in tutto il mondo. In più la dipendenza dall'eroina e da altri stupefacenti non aiutano di certo.
Ancora meno la burrascosa relazione iniziata con Courtney Love, cantante delle Hole, anch'essa dedita ad abusi di ogni tipo. Nemmeno la nascita della figlia Frances Bean calmerà gli istinti autodistruttivi della coppia.
L'ultimo album della band “In Utero” (la prima scelta per il titolo era “Odio me stesso e voglio morire” ma Cobain fu dissuaso dalla scelta decisamente troppo estrema, per quanto lui l'avesse pensata in chiave auto ironica) è un tentativo di guardare musicalmente in una direzione più vicina alle origini, meno “raffinata” rispetto a “Nevermind”.
Avrà ugualmente un grande successo, non cambiando però lo stato psicologico di Kurt, ormai alla deriva. Alla fine del 1993 i Nirvana registrano un concerto acustico negli studi di MTV (l'album verrà pubblicato un anno dopo, postumo), stupenda testimonianza della qualità compositiva di Cobain, che si cimenta anche in alcune strazianti cover di blues.
Nel marzo del 1994 durante un soggiorno a Roma viene ricoverato in ospedale per overdose. Un mese dopo viene ritrovato il suo cadavere in casa e nel suo corpo notevoli quantità di eroina. La sua scomparsa scosse tutto il mondo musicale.
Rimane probabilmente una sorta di conclusione della storia del rock, così come lo abbiamo sempre vissuto e immaginato, quello che iniziò negli anni Cinquanta con il riff di “Johnny B.Good” di Chuck Berry, si chiude con quello di “Smells like a teen spirit” dei Nirvana, peraltro direttamente ispirato se non copiato da “More than a feeling” dei Boston.
Il rock sarà da allora in poi una riproposizione di sé stesso, ripartendo significativamente con un'ultima copiatura.
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Heroes
mercoledì, marzo 20, 2024
Indigesti - Ristampe
La F.O.A.D. Records, in collaborazione con la band ristampa l’intera discografia degli INDIGESTI dal 1982 al 1987.
– “Sguardo realtà” gatefold 2xLP (con un intero LP extra di contenuti inediti 1982-83) mai uscito in vinile.
– “Osservati dall’inganno” gatefold LP (riacquisito e masterizzato dalla bobina originale).
– Live in Lübeck 02.09.1987” Gatefold LP+7” (contenente un bonus EP con tracce rare/inedite) mai uscito in vinile.
Il tutto arricchito da libretti con interviste, foto, flyer e grafiche dell’epoca.
Impressionante riascoltare la violenza sonora della band, un incrocio di Germs, Zero Boys e Bad Brains, arricchito da una tale personalità da fare diventare gli Indigesti un riferimento per l'hardcore punk di tutto il mondo.
Il tutto corredato da testi visionari, amari, introspettivi.
La band suonava benissimo, potentissima, acida, spietata.
Personalmente ho organizzato alcuni concerti per loro a Piacenza e visti poi più volte in giro per l'Italia: tra i migliori live act di sempre.
https://www.facebook.com/foadrecords
https://www.facebook.com/indigesti
– “Sguardo realtà” gatefold 2xLP (con un intero LP extra di contenuti inediti 1982-83) mai uscito in vinile.
– “Osservati dall’inganno” gatefold LP (riacquisito e masterizzato dalla bobina originale).
– Live in Lübeck 02.09.1987” Gatefold LP+7” (contenente un bonus EP con tracce rare/inedite) mai uscito in vinile.
Il tutto arricchito da libretti con interviste, foto, flyer e grafiche dell’epoca.
Impressionante riascoltare la violenza sonora della band, un incrocio di Germs, Zero Boys e Bad Brains, arricchito da una tale personalità da fare diventare gli Indigesti un riferimento per l'hardcore punk di tutto il mondo.
Il tutto corredato da testi visionari, amari, introspettivi.
La band suonava benissimo, potentissima, acida, spietata.
Personalmente ho organizzato alcuni concerti per loro a Piacenza e visti poi più volte in giro per l'Italia: tra i migliori live act di sempre.
https://www.facebook.com/foadrecords
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martedì, marzo 19, 2024
Edi Kermit Toffoli - Provincial punk. Le avventure di un giovane punk nell'Italia dei primi anni ottanta
Essere punk (o da quelle parti) in Italia a fine anni Settanta e per buona parte degli anni Ottanta era un bel problema.
Che si amplificava esponenzialmente vivendo in provincia.
Edi Kermit Toffoli fu uno dei primissimi a vestire quegli abiti scomodi a Gemona, nel Friuli profondo, da poco devastato dal terremoto.
Il libro (corredato da suggestive foto d'epoca) racconta quegli anni febbrili e incerti, la sua attività artistica (e vita) precaria con i Mercenary God e The Sex, le illusioni, le delusioni, la violenza, ma anche il divertimento, la passione, la gioia di vivere ai margini (Outside of society, that's where I want to be - Patti Smith Group da "Rock n roll nigger"), lo straniamento di fronte all'arrivo del rigore dell'hardcore.
Alla fine troverà una strada più sicura, diventerà autore (per i Nomadi) e musicista (Cleverness e professionismo da solista).
Un'ulteriore testimonianza di un'epoca, dalla quale escono sempre più ricordi e documenti, a dimostrazione della vitalità scomposta e anarcoide che c'era ai tempi anche da noi.
Edi Kermit Toffoli
Provincial punk. Le avventure di un giovane punk nell'Italia dei primi anni ottanta
Goodfellas Spittle
208 pagine
19 euro
Che si amplificava esponenzialmente vivendo in provincia.
Edi Kermit Toffoli fu uno dei primissimi a vestire quegli abiti scomodi a Gemona, nel Friuli profondo, da poco devastato dal terremoto.
Il libro (corredato da suggestive foto d'epoca) racconta quegli anni febbrili e incerti, la sua attività artistica (e vita) precaria con i Mercenary God e The Sex, le illusioni, le delusioni, la violenza, ma anche il divertimento, la passione, la gioia di vivere ai margini (Outside of society, that's where I want to be - Patti Smith Group da "Rock n roll nigger"), lo straniamento di fronte all'arrivo del rigore dell'hardcore.
Alla fine troverà una strada più sicura, diventerà autore (per i Nomadi) e musicista (Cleverness e professionismo da solista).
Un'ulteriore testimonianza di un'epoca, dalla quale escono sempre più ricordi e documenti, a dimostrazione della vitalità scomposta e anarcoide che c'era ai tempi anche da noi.
Edi Kermit Toffoli
Provincial punk. Le avventure di un giovane punk nell'Italia dei primi anni ottanta
Goodfellas Spittle
208 pagine
19 euro
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Libri
lunedì, marzo 18, 2024
Gigi Riva
“Io sono uno che parla troppo poco, questo è vero. Ma nel mondo c'è già tanta gente
che parla, parla, parla sempre. Che pretende di farsi sentire e non ha niente da dire. Io sono uno che sorride di rado, questo è vero. Ma in giro ce ne sono già tanti che ridono e sorridono sempre. Però poi non ti dicono mai cosa pensano dentro. Io sono uno che non dice chi è la sua donna, questo è vero. Perché non ammiro la gente che prima implora un po' d'amore e poi non appena l'ha avuto lo va a raccontare. Io sono uno che non nasconde le sue idee, questo è vero. Perché non mi piacciono quelli che vogliono andar d'accordo con tutti e che cambiano ogni volta bandiera per tirare a campare”.
E’ un brano di Luigi Tenco, del 1966.
Pare che Gigi Riva lo ascoltasse sempre, talvolta in maniera compulsiva.
Perché Gigi Riva amava la musica dei cantautori, lui con poca cultura alle spalle ma con una sensibilità che lo portava a capire chi, con le sue musiche e soprattutto parole, lo rappresentava.
Aveva vissuto un’infanzia difficile, il padre operaio morto quando aveva nove anni per un incidente sul lavoro, la madre poco tempo dopo, le tre sorelle con vari problemi fisici anche loro.
In casa giravano pochissimi soldi, la famiglia sfiorava la povertà.
Ma era una povertà dignitosa, condivisa con tanti altri nel paese natale, a Leggiuno, in provincia di Varese.
La madre è costretta a mandarlo a fare le medie in vari istituti religiosi, la cui disciplina ferrea e persecutoria lo forgia negativamente, lo rende ancora più chiuso e astioso nei confronti della società.
“Al paese non sapevo di essere povero, si tirava avanti, in collegio me lo fecero subito capire. Ci facevano sentire che eravamo lì per beneficenza, ci obbligavano a pregare per chi regalava il pane, ci imponevano l’obbedienza perché non potevamo permetterci, essendo poveri, nemmeno la vivacità”.
Incomincia a lavorare presto, montando ascensori, dividendosi con i campi da calcio, dove, da subito, eccelle.
Nel 1962 con l’ingaggio al Legnano, in serie C, arrivano i primi gol e qualche soldo, a rendere migliore la vita in casa.
In quel periodo il Cagliari militava in serie B ed essendo molto costosi i viaggi dalla Sardegna, per limitare le spese, giocava, alternativamente, due partite in casa e due in trasferta, facendo base, durante la permanenza in “Continente”, proprio a Legnano, dove i dirigenti rossoblu notarono il nuovo giovane talento, all’epoca diciottenne, e decisero di acquistarlo.
Riva, di fede interista e legatissimo ai suoi luoghi natali, non ne fu particolarmente soddisfatto.
La Sardegna era lontana, una terra ancora poco conosciuta e non sfruttata turisticamente, aspra, socialmente e a livello di infrastrutture ancora in una fase “arretrata”, dove venivano spediti per punizione i militari riottosi e dove la delinquenza costituiva un grave problema. Probabilmente non a caso Gigi finisce in un luogo così affine al suo carattere, pieno di rabbia e malinconia, vittima delle ingiustizie della vita e del potere, anticonformista, chiuso e refrattario alle imposizioni.
“Se non avessi fatto il calciatore sarei un contrabbandiere. Finivano tutti così al mio paese”.
Contribuisce con i suoi gol, la sua potenza, il suo ardimento, alla promozione in Serie A del Cagliari e alla salvezza l’anno successivo e nella stagione 1966/67 diventa capocannoniere con 18 gol.
Approda intanto in Nazionale, subisce il primo grave infortunio da cui si riprende presto e nel 1968 vince l’Europeo, nel 1970 arriva in finale, persa con il Brasile, ai Mondiali del Messico ma soprattutto porta lo scudetto, unica volta nella storia, a Cagliari nel 1970, a fianco di una squadra “operaia”, con pochi campioni e un allenatore unico, quel Manlio Scopigno, detto “il filosofo”, persona colta, bibliofila, perfettamente in linea con lo spirito dei suoi ragazzi. Gli arrivano offerte miliardarie per passare alla Juventus ma rifiuta sempre.
La Sardegna lo ha adottato e lui si è fatto adottare.
Tutti lo amano, lo proteggono, ne condividono carattere e modi. “Quando vedevo la gente che partiva alla 8 da Sassari e alle 11 lo stadio era già pieno, capivo che per i sardi il calcio era tutto.
Ci chiamavano pecorai e banditi in tutta Italia e io mi arrabbiavo. I banditi facevano i banditi per fame, perché allora c’era tanta fame, come oggi purtroppo. Il Cagliari era tutto per tutti e io capii che non potevo togliere le uniche gioie ai pastori. Sarebbe stata una vigliaccata andare via, malgrado tutti i soldi della Juve. Ma io non ho mai avuto il minimo dubbio e non mi sono mai pentito.”
Anche il regista Franco Zeffirelli gli offre una cifra enorme, pare 400 milioni di lire dei tempi (l’equivalente di 3 milioni e mezzo di euro attuali), per essere il protagonista nel ruolo di San Francesco nel suo film “Fratello sole, sorella luna”. “Non mi vedevo proprio a fare l’attore, non ero fatto per recitare”.
Un altro grave infortunio ne compromette la carriera e impedisce al Cagliari, lanciato verso un’altra vittoria, di conquistare il secondo scudetto. Gioca due partite anche al Mondiale del 1974, chiudendo la carriera prima in Nazionale (rimanendo tuttora il capocannoniere con 35 gol in 42 partite) e poi definitivamente con il calcio giocato, restando però nello staff dell’amato Cagliari (successivamente della Nazionale).
“Andare via significava tradire questa gente che mi ha dato tanto, per non dire tutto. E che nei momenti in cui le voci di cessione si infittivano scendeva in piazza per impedire alla società di cedermi e sembrava disposta a buttarsi nel fuoco per me. O meglio, a buttarsi nel fuoco con il Cagliari per me”.
Gigi Riva ha avuto un amore incondizionato per un altro sardo acquisito, Fabrizio De Andrè, di cui adorava i dischi, la poetica, le parole, soprattutto “Preghiera in gennaio”, dedicata, non a caso, alla morte di Luigi Tenco.
Si incontrarono una sola volta, nel settembre del 1969, a Genova (dopo una partita contro contro il Genoa di cui De Andrè era tifosissimo).
Due taciturni che ci mettono un po’ ad aprire bocca, complici qualche whisky e un bel po’ di sigarette (entrambi accaniti fumatori). Alla fine De Andrè gli regalerà una sua chitarra, Riva una sua maglia numero 11.
Si riprometteranno di incontrarsi, soprattutto quando il cantautore prenderà casa in Sardegna. Ma Riva confesserà di essere passato ripetutamente davanti a casa sua ma di non aver mai suonato al campanello per paura di disturbare. A Gigi Riva sono stati dedicati libri, articoli, un film, alcune canzoni e due soprannomi stupendi come “Rombo di tuono” (Gianni Brera) e “Hombre vertical (Gianni Mura).
Per me Gigi Riva è stato un “padre mitologico”, una divinità, intoccabile, assisa sul trono della leggenda. Lo è stato da quel lontano 1969 (quando avevo ancora otto anni) e ancora adesso lo è, in qualche Olimpo o Paradiso a vegliare, sardonico, sulle miserie del mondo con quel suo sguardo distaccato, malinconico, ieratico, severo.
Quando in quell’anno arrivai a Piacenza dalla campagna piacentina, abbandonando campi, canali, fienili, vita selvatica, per quello che mi sembrava un inferno di cemento, discriminato in quanto “campagnolo”, timidamente solitario su una panchina di Piazza Duomo, trovai conforto in un occasionale amico, Massimo, che mi invitò a “giocare a pallone” con lui.
Sfoggiava una maglia della Fiorentina e mi chiese “per chi tenessi”.
Famiglia totalmente juventina in ogni ordine di grado non osai dire niente, per timore di perdere il mio unico, potenziale, amico.
“Va bene, tu sei il Cagliari” (ai tempi rivale per lo scudetto dei “viola”). Diventai “il Cagliari”, mi informai dettagliatamente su chi giocava in questa squadra esotica, lontana, oscura.
Le figurine Panini mi aiutarono, un poster di Gigi Riva troneggiò presto su un muro della mia cameretta.
Ancora più discriminato in quanto campagnolo e tifoso di una squadra del Sud, divenni Campione d’Italia nell’aprile del 1970.
A quel punto fui accettato e mi fecero giocare tutti, io con le calze alle caviglie come Domenghini, provavo a tirare di sinistro come Papà Gigi Riva ma con scarsi risultati, con il destro mi riusciva molto meglio.
Il tempo è passato, tanto tempo, ma quella maglia rossoblu con il numero undici, cucitami da mia mamma ai tempi, è ancora gelosamente custodita, come il gagliardetto commemorativo di quel 1970 “scudettato”.
La fede per il Cagliari immutata, nonostante tutti i tracolli e le tristi vicende sportive.
Sempre malinconici, scontrosi, ai margini, anticonformisti, noi tifosi del Cagliari, abbiamo il nostro personale santo protettore, Gigi Riva.
E’ un brano di Luigi Tenco, del 1966.
Pare che Gigi Riva lo ascoltasse sempre, talvolta in maniera compulsiva.
Perché Gigi Riva amava la musica dei cantautori, lui con poca cultura alle spalle ma con una sensibilità che lo portava a capire chi, con le sue musiche e soprattutto parole, lo rappresentava.
Aveva vissuto un’infanzia difficile, il padre operaio morto quando aveva nove anni per un incidente sul lavoro, la madre poco tempo dopo, le tre sorelle con vari problemi fisici anche loro.
In casa giravano pochissimi soldi, la famiglia sfiorava la povertà.
Ma era una povertà dignitosa, condivisa con tanti altri nel paese natale, a Leggiuno, in provincia di Varese.
La madre è costretta a mandarlo a fare le medie in vari istituti religiosi, la cui disciplina ferrea e persecutoria lo forgia negativamente, lo rende ancora più chiuso e astioso nei confronti della società.
“Al paese non sapevo di essere povero, si tirava avanti, in collegio me lo fecero subito capire. Ci facevano sentire che eravamo lì per beneficenza, ci obbligavano a pregare per chi regalava il pane, ci imponevano l’obbedienza perché non potevamo permetterci, essendo poveri, nemmeno la vivacità”.
Incomincia a lavorare presto, montando ascensori, dividendosi con i campi da calcio, dove, da subito, eccelle.
Nel 1962 con l’ingaggio al Legnano, in serie C, arrivano i primi gol e qualche soldo, a rendere migliore la vita in casa.
In quel periodo il Cagliari militava in serie B ed essendo molto costosi i viaggi dalla Sardegna, per limitare le spese, giocava, alternativamente, due partite in casa e due in trasferta, facendo base, durante la permanenza in “Continente”, proprio a Legnano, dove i dirigenti rossoblu notarono il nuovo giovane talento, all’epoca diciottenne, e decisero di acquistarlo.
Riva, di fede interista e legatissimo ai suoi luoghi natali, non ne fu particolarmente soddisfatto.
La Sardegna era lontana, una terra ancora poco conosciuta e non sfruttata turisticamente, aspra, socialmente e a livello di infrastrutture ancora in una fase “arretrata”, dove venivano spediti per punizione i militari riottosi e dove la delinquenza costituiva un grave problema. Probabilmente non a caso Gigi finisce in un luogo così affine al suo carattere, pieno di rabbia e malinconia, vittima delle ingiustizie della vita e del potere, anticonformista, chiuso e refrattario alle imposizioni.
“Se non avessi fatto il calciatore sarei un contrabbandiere. Finivano tutti così al mio paese”.
Contribuisce con i suoi gol, la sua potenza, il suo ardimento, alla promozione in Serie A del Cagliari e alla salvezza l’anno successivo e nella stagione 1966/67 diventa capocannoniere con 18 gol.
Approda intanto in Nazionale, subisce il primo grave infortunio da cui si riprende presto e nel 1968 vince l’Europeo, nel 1970 arriva in finale, persa con il Brasile, ai Mondiali del Messico ma soprattutto porta lo scudetto, unica volta nella storia, a Cagliari nel 1970, a fianco di una squadra “operaia”, con pochi campioni e un allenatore unico, quel Manlio Scopigno, detto “il filosofo”, persona colta, bibliofila, perfettamente in linea con lo spirito dei suoi ragazzi. Gli arrivano offerte miliardarie per passare alla Juventus ma rifiuta sempre.
La Sardegna lo ha adottato e lui si è fatto adottare.
Tutti lo amano, lo proteggono, ne condividono carattere e modi. “Quando vedevo la gente che partiva alla 8 da Sassari e alle 11 lo stadio era già pieno, capivo che per i sardi il calcio era tutto.
Ci chiamavano pecorai e banditi in tutta Italia e io mi arrabbiavo. I banditi facevano i banditi per fame, perché allora c’era tanta fame, come oggi purtroppo. Il Cagliari era tutto per tutti e io capii che non potevo togliere le uniche gioie ai pastori. Sarebbe stata una vigliaccata andare via, malgrado tutti i soldi della Juve. Ma io non ho mai avuto il minimo dubbio e non mi sono mai pentito.”
Anche il regista Franco Zeffirelli gli offre una cifra enorme, pare 400 milioni di lire dei tempi (l’equivalente di 3 milioni e mezzo di euro attuali), per essere il protagonista nel ruolo di San Francesco nel suo film “Fratello sole, sorella luna”. “Non mi vedevo proprio a fare l’attore, non ero fatto per recitare”.
Un altro grave infortunio ne compromette la carriera e impedisce al Cagliari, lanciato verso un’altra vittoria, di conquistare il secondo scudetto. Gioca due partite anche al Mondiale del 1974, chiudendo la carriera prima in Nazionale (rimanendo tuttora il capocannoniere con 35 gol in 42 partite) e poi definitivamente con il calcio giocato, restando però nello staff dell’amato Cagliari (successivamente della Nazionale).
“Andare via significava tradire questa gente che mi ha dato tanto, per non dire tutto. E che nei momenti in cui le voci di cessione si infittivano scendeva in piazza per impedire alla società di cedermi e sembrava disposta a buttarsi nel fuoco per me. O meglio, a buttarsi nel fuoco con il Cagliari per me”.
Gigi Riva ha avuto un amore incondizionato per un altro sardo acquisito, Fabrizio De Andrè, di cui adorava i dischi, la poetica, le parole, soprattutto “Preghiera in gennaio”, dedicata, non a caso, alla morte di Luigi Tenco.
Si incontrarono una sola volta, nel settembre del 1969, a Genova (dopo una partita contro contro il Genoa di cui De Andrè era tifosissimo).
Due taciturni che ci mettono un po’ ad aprire bocca, complici qualche whisky e un bel po’ di sigarette (entrambi accaniti fumatori). Alla fine De Andrè gli regalerà una sua chitarra, Riva una sua maglia numero 11.
Si riprometteranno di incontrarsi, soprattutto quando il cantautore prenderà casa in Sardegna. Ma Riva confesserà di essere passato ripetutamente davanti a casa sua ma di non aver mai suonato al campanello per paura di disturbare. A Gigi Riva sono stati dedicati libri, articoli, un film, alcune canzoni e due soprannomi stupendi come “Rombo di tuono” (Gianni Brera) e “Hombre vertical (Gianni Mura).
Per me Gigi Riva è stato un “padre mitologico”, una divinità, intoccabile, assisa sul trono della leggenda. Lo è stato da quel lontano 1969 (quando avevo ancora otto anni) e ancora adesso lo è, in qualche Olimpo o Paradiso a vegliare, sardonico, sulle miserie del mondo con quel suo sguardo distaccato, malinconico, ieratico, severo.
Quando in quell’anno arrivai a Piacenza dalla campagna piacentina, abbandonando campi, canali, fienili, vita selvatica, per quello che mi sembrava un inferno di cemento, discriminato in quanto “campagnolo”, timidamente solitario su una panchina di Piazza Duomo, trovai conforto in un occasionale amico, Massimo, che mi invitò a “giocare a pallone” con lui.
Sfoggiava una maglia della Fiorentina e mi chiese “per chi tenessi”.
Famiglia totalmente juventina in ogni ordine di grado non osai dire niente, per timore di perdere il mio unico, potenziale, amico.
“Va bene, tu sei il Cagliari” (ai tempi rivale per lo scudetto dei “viola”). Diventai “il Cagliari”, mi informai dettagliatamente su chi giocava in questa squadra esotica, lontana, oscura.
Le figurine Panini mi aiutarono, un poster di Gigi Riva troneggiò presto su un muro della mia cameretta.
Ancora più discriminato in quanto campagnolo e tifoso di una squadra del Sud, divenni Campione d’Italia nell’aprile del 1970.
A quel punto fui accettato e mi fecero giocare tutti, io con le calze alle caviglie come Domenghini, provavo a tirare di sinistro come Papà Gigi Riva ma con scarsi risultati, con il destro mi riusciva molto meglio.
Il tempo è passato, tanto tempo, ma quella maglia rossoblu con il numero undici, cucitami da mia mamma ai tempi, è ancora gelosamente custodita, come il gagliardetto commemorativo di quel 1970 “scudettato”.
La fede per il Cagliari immutata, nonostante tutti i tracolli e le tristi vicende sportive.
Sempre malinconici, scontrosi, ai margini, anticonformisti, noi tifosi del Cagliari, abbiamo il nostro personale santo protettore, Gigi Riva.
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venerdì, marzo 15, 2024
The Jam - The lost album
I "lost album", quegli album pianificati ma mai realizzati, sono sempre stati materia affascinante e intrigante.
Nel caso specifico in realtà i JAM un lost album non lo hanno mai avuto anche se nel 1978, poco prima della registrazione dell'epico "All Mod Cons" si prefigurò una simile eventualità.
Il precedente "This Is Modern World" non aveva ottenuto un’accoglienza eccessivamente benevola dalla critica e dal pubblico e la preparazione per il nuovo lavoro si era fatta difficoltosa.
Occorreva una svolta.
Ma Paul Weller si trova a fare i conti con una preoccupante mancanza di creatività e il totale coinvolgimento con la propria compagna, Gill Price, lo porta a distaccarsi dal resto del gruppo, pensando anche allo scioglimento della band.
Il produttore Chris Parry, scelto per il nuovo lavoro, liquida i primi demo come inadatti.
Alcuni dei brani sono firmati dal bassista Bruce Foxton a cui dice in faccia: "Non sei un compositore, scordatelo e finché Paul non tornerà a scrivere, di questo progetto non se ne può parlare".
I due singoli usciti tra la fine del 1977 e gli inizi del 1978 non a caso contenevano una versione di un brano dei Kinks, "David Watts" (cantata prevalentemente da Bruce), un paio di discreti episodi firmati da Foxton, "News of the World" e "Innocent Man", e uno trascurabile di Weller "Aunties and Uncles (Impulsive Youths)".
La sola "A Bomb in Wardour Street" lasciava ben sperare, troppo poco però per celare un’inequivocabile impasse creativa.
Per il nuovo album ci sono anche la discreta "The night" di Foxton, in pieno stile 77 (recuperata come B side di "Down the tube station at midnight"), l'energica "Billy Hunt" (poi riregistrata per "All Mod Cons"), due titoli come "I want to paint" e "On sunday morning", di cui non esistono testimonianze sonore e "She's got everything" (stampato su un acetato in possesso di un noto collezionista mod), buona ma non esaltante canzone, tipicamente Jam.
"Come compositore non avevo idee, ero prosciugato. Le canzoni non erano all'altezza degli standard.
Era un brutto periodo per i Jam e i problemi arrivavano principalmente da me. Scrivevo solo canzoni sdolcinate, cercando di essere flashy o arty.
E sappiamo bene che non erano cose che avevano a che fare con i Jam".
(Paul Weller)
Dopo una fase di crisi profonda, Paul torna per un po’ ad abitare con i genitori a Woking, ritrovando, così, tranquillità e ispirazione.
Allontanato Chris Parry e assoldato il nuovo produttore Vic Coppersmith Heaven, i Jam si buttano a capofitto in "All Mod Cons", il primo capolavoro della band.
Registrato a Londra tra il 4 luglio e il 17 agosto 1978 in un clima, ricorda Foxton, “felice e rilassato, soprattutto vedendo che i brani uscivano alla perfezione e ci rendevamo conto che stava succedendo qualcosa di speciale”, porterà i Jam al sesto posto delle chart inglesi, vendendo più di 100.000 copie.
GRAZIE A CPT.STAX per la consulenza.
Nel caso specifico in realtà i JAM un lost album non lo hanno mai avuto anche se nel 1978, poco prima della registrazione dell'epico "All Mod Cons" si prefigurò una simile eventualità.
Il precedente "This Is Modern World" non aveva ottenuto un’accoglienza eccessivamente benevola dalla critica e dal pubblico e la preparazione per il nuovo lavoro si era fatta difficoltosa.
Occorreva una svolta.
Ma Paul Weller si trova a fare i conti con una preoccupante mancanza di creatività e il totale coinvolgimento con la propria compagna, Gill Price, lo porta a distaccarsi dal resto del gruppo, pensando anche allo scioglimento della band.
Il produttore Chris Parry, scelto per il nuovo lavoro, liquida i primi demo come inadatti.
Alcuni dei brani sono firmati dal bassista Bruce Foxton a cui dice in faccia: "Non sei un compositore, scordatelo e finché Paul non tornerà a scrivere, di questo progetto non se ne può parlare".
I due singoli usciti tra la fine del 1977 e gli inizi del 1978 non a caso contenevano una versione di un brano dei Kinks, "David Watts" (cantata prevalentemente da Bruce), un paio di discreti episodi firmati da Foxton, "News of the World" e "Innocent Man", e uno trascurabile di Weller "Aunties and Uncles (Impulsive Youths)".
La sola "A Bomb in Wardour Street" lasciava ben sperare, troppo poco però per celare un’inequivocabile impasse creativa.
Per il nuovo album ci sono anche la discreta "The night" di Foxton, in pieno stile 77 (recuperata come B side di "Down the tube station at midnight"), l'energica "Billy Hunt" (poi riregistrata per "All Mod Cons"), due titoli come "I want to paint" e "On sunday morning", di cui non esistono testimonianze sonore e "She's got everything" (stampato su un acetato in possesso di un noto collezionista mod), buona ma non esaltante canzone, tipicamente Jam.
"Come compositore non avevo idee, ero prosciugato. Le canzoni non erano all'altezza degli standard.
Era un brutto periodo per i Jam e i problemi arrivavano principalmente da me. Scrivevo solo canzoni sdolcinate, cercando di essere flashy o arty.
E sappiamo bene che non erano cose che avevano a che fare con i Jam".
(Paul Weller)
Dopo una fase di crisi profonda, Paul torna per un po’ ad abitare con i genitori a Woking, ritrovando, così, tranquillità e ispirazione.
Allontanato Chris Parry e assoldato il nuovo produttore Vic Coppersmith Heaven, i Jam si buttano a capofitto in "All Mod Cons", il primo capolavoro della band.
Registrato a Londra tra il 4 luglio e il 17 agosto 1978 in un clima, ricorda Foxton, “felice e rilassato, soprattutto vedendo che i brani uscivano alla perfezione e ci rendevamo conto che stava succedendo qualcosa di speciale”, porterà i Jam al sesto posto delle chart inglesi, vendendo più di 100.000 copie.
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giovedì, marzo 14, 2024
Punky Reggae Party - Punk e reggae 1977
Riprendo l'articolo che ho scritto sabato scorso per "Il manifesto" nella sezione "Alias".
Nel 1977 la giornalista inglese Vivien Goldman, al lavoro per un articolo per "Sounds" sulle connessioni tra punk e reggae che stavano emergendo nella nuova scena inglese, intervistò Bob Marley e Lee Scratch Perry, di stanza a Londra per registrare "Exodus".
Bob cercava un ambiente più tranquillo dopo essere scampato ad un attentato a Kingston, in Giamaica.
Non che da quelle parti fosse tutto tranquillo (vedi gli scontri al carnevale di Notting Hill) ma sicuramente la vita era un po' più al sicuro.
Vivien portò con sè l'acetato del primo album dei Clash (che uscirà l'8 aprile) e fece ascoltare ai due la versione di "Police and thieves", brano di Junior Murvin che era stato prodotto proprio da Lee Scratch Perry.
All'inizio i due apparvero "spaventati" dalla voce roca di Joe, così in contrasto con il dolce falsetto che caratterizza l'originale.
Bob disse: "E' diverso ma mi piace. I punk sono i reietti della società. Così come i rasta. Anche loro difendono ciò che noi difendiamo".
Poco tempo dopo registrò il brano “Punky Reggae Party” che uscì nel 1977 su 12 pollici, solo in Giamaica.
Divenne poi la B side di "Jamming" e successivamente venne ripresa in versione live in "Babylon by bus" e comparve in numerose compilation.
Il testo fa chiaro riferimento alla scena punk, citando una serie di band dell'epoca, Jam, Damned, Clash, Dr.Feelgood e ripetendo “New wave, sei coraggiosa”.
Lo stupore di Bob Marley era immotivato, in quanto da parecchio tempo la musica caraibica (dal calypso allo ska fino al reggae) era entrata stabilmente nelle orecchie e nella cultura inglese.
Come sostiene Don Letts, DJ e tra i principali responsabili dell'arrivo del reggae nel punk:
"Tra il 1969 e il 1974 i dischi della Trojan Records erano nelle classifiche quasi ogni mese. Una serie senza precedenti di dischi che le persone hanno finito per cantare nei campi di calcio fino ad oggi. Fanno parte del patrimonio culturale dell’Inghilterra. È diventato parte della coscienza del popolo britannico. Forse non per tutti, ma abbastanza da rendere questo posto vivibile."
Don Letts, chiamato, come Dj, a riempire gli spazi vuoti durante i cambi di palco tra i vari gruppi punk che si succedevano sul palco del Roxy Club a Londra, in mancanza di materiale da suonare (il punk era agli albori e dischi ne erano usciti ancora pochi) iniziò a utilizzare brani reggae.
In buona parte sconosciuti ai giovani punk anche se personaggi come Joe Strummer e Paul Simonon (quest'ultimo cresciuto a Brixton) avevano già buona dimestichezza con il genere.
Già alla fine degli anni Cinquanta le decine di migliaia di giamaicani e altri caraibici arrivati in Gran Bretagna (che ben presto scopriranno non essere “madre” ma perfida matrigna) portarono con sé tradizioni culturali e dischi dal ritmo in levare.
Non a caso Georgie Fame and the Blue Flames nei primi anni Sessanta avevano in repertorio alcuni brani ska per allietare le serate dei primi mod londinesi e non esitò ad arruolare Rico Rodriguez, trombonista appena arrivato dalla Giamaica.
“Come musicista era difficile essere riconosciuto se non eri europeo o caucasico.
Quindi quello che facevo era quello che fanno tanti immigrati cioé stare con la mia gente, ma non portava soldi. Ho avuto la mia prima occasione quando ho iniziato a suonare con Georgie Fame. Suonava in un posto chiamato The Roaring Twenties a Carnaby Street. Dopo di che ho iniziato a registrare regolarmente con Laurel Aitken e ho suonato anche con Dandy Livingston. Quei primi anni in Inghilterra li ricordo per lo più come molto duri."
Nel 1964 “My boy lollipop” di Millie Small, dal ritmo classicamente ska, sbanca le classifiche britanniche e americane e istituzionalizza la musica giamaicana.
Nel 1968 nasce la Trojan Records, decisiva nel produrre e importare musica caraibica in Inghilterra, addirittura i Beatles ne prendono spunto per “Obladì Obladà”, la neonata scena skinhead la rende colonna sonora delle sue serate.
L'arrivo del punk fu un catalizzatore per le istanze socio politiche di bianchi e neri che, come dice Marley, si ritrovarono uniti dagli stessi problemi e i medesimi propositi.
Ancora Don Letts: “La cosa interessante era che i giovani bianchi della working class apprezzavano davvero il sound e l'atmosfera anti-establishment dell'intera cosa, amavano le linee di basso e il fatto che i testi parlassero di qualcosa; era come un reportage musicale. L'altra cosa bella è che c'è stato questo interessante scambio culturale. La loro musica incominciò ad essere influenzata da ciò che suonavo al “Roxy”.
Vedi i Clash o quando i Pistols si sciolsero e i Public Image iniziarono, tutto ruotava attorno alla linea di basso.
Le Slits sono un altro grande esempio di crossover reggae punk.
Ciò che il reggae ne ha ricavato è stata l’esposizione, che non è qualcosa da sottovalutare.
All'epoca non era un suono così popolare, ma tre cose lo hanno portato alla ribalta: il film “The Harder They Come”, la scena punk e Bob Marley. Quindi è stata una cosa bellissima vedere queste persone andare avanti comprendendo le nostre differenze, piuttosto che cercare di essere uguali. Sono davvero un prodotto di quello che ora chiamano il “Puny Reggae Party”, una testimonianza della forza della cultura nell’avvicinare le persone. Alla fine degli anni '70 esplode il punk rock, tutta l'etica del Do It Yourself, questa energia così contagiosa dalla quale vuoi essere coinvolto. Non era uno sport per spettatori. Tutti i miei fratelli bianchi presero in mano le chitarre. Anch'io volevo raccogliere qualcosa. Presi una videocamera Super-8, ispirata all'etica punk DIY e iniziai a filmare le band. Poi ho letto sulla stampa musicale: “Don Letts sta girando un film punk rock”.
Ho pensato:
"È una buona idea, lo chiamerò un film".
Quello è stato effettivamente il mio primo film, tutto con la potenza e l'ispirazione del punk rock.”
Il reggae si diffonde presto nella scena punk.
I Clash ne fanno ampio uso, i Police ci costruiscono letteralmente un nuovo sound, in cui all'energia mutuata dal punk uniscono la capacità di renderlo irresistibilmente pop e fruibile, le Slits sperimentano inserendo trame new wave e punk a linee di basso dub, i Members arrivano dal pub rock, inaspriscono il sound verso il punk ma, fedeli al verbo Clash, utilizzano volentieri ritmi in levare.
Nel luglio del 1977, Johnny Rotten, ancora leader dei Sex Pistols chiamato in un'intervista radiofonica a scegliere una serie di brani da trasmettere monopolizza la trasmissione con canzoni reggae.
Quei suoni e ritmi che ritroveremo in abbondanza, scarnificati e scartavetrati nei Public Image LTD, sua successiva incarnazione artistica.
I nord irlandesi Stiff Little Fingers nel furibondo esordio “Inflammable material” del 1979 coverizzano “Johnny Was” di Bob Marley, i Ruts di Malcolm Owen nel primo album “The crack” mischiano irruenza, grande tecnica e tanto dub e reggae (soprattutto nella stupenda “Jah war”).
Non dimenticando il singolo reggae del 1977 di Elvis Costello “Watching the dectives”, l'incedere, dello stesso anno, minaccioso di “Peaches” degli Stranglers, il Joe Jackson di “Sunday papers” e “Beat crazy”.
E la fine dei Settanta ci porta la “rivolta” TwoTone records con Specials, Madness, Selecter, The Beat a riprendere lo ska originale , accelerarlo e fonderlo con l'urgenza punk e riportare quei ritmi, atmosfere in classifica, unendoli spesso a testi militanti.
Uniti alla nascita di una scena reggae autoctona con nomi come Steel Pulse, Aswad, UB40 e alla “dub poetry” di Linton Kwesi Johnson, rendono la musica caraibica parte integrante di quella Britannica.
Per sempre.
Nel 1977 la giornalista inglese Vivien Goldman, al lavoro per un articolo per "Sounds" sulle connessioni tra punk e reggae che stavano emergendo nella nuova scena inglese, intervistò Bob Marley e Lee Scratch Perry, di stanza a Londra per registrare "Exodus".
Bob cercava un ambiente più tranquillo dopo essere scampato ad un attentato a Kingston, in Giamaica.
Non che da quelle parti fosse tutto tranquillo (vedi gli scontri al carnevale di Notting Hill) ma sicuramente la vita era un po' più al sicuro.
Vivien portò con sè l'acetato del primo album dei Clash (che uscirà l'8 aprile) e fece ascoltare ai due la versione di "Police and thieves", brano di Junior Murvin che era stato prodotto proprio da Lee Scratch Perry.
All'inizio i due apparvero "spaventati" dalla voce roca di Joe, così in contrasto con il dolce falsetto che caratterizza l'originale.
Bob disse: "E' diverso ma mi piace. I punk sono i reietti della società. Così come i rasta. Anche loro difendono ciò che noi difendiamo".
Poco tempo dopo registrò il brano “Punky Reggae Party” che uscì nel 1977 su 12 pollici, solo in Giamaica.
Divenne poi la B side di "Jamming" e successivamente venne ripresa in versione live in "Babylon by bus" e comparve in numerose compilation.
Il testo fa chiaro riferimento alla scena punk, citando una serie di band dell'epoca, Jam, Damned, Clash, Dr.Feelgood e ripetendo “New wave, sei coraggiosa”.
Lo stupore di Bob Marley era immotivato, in quanto da parecchio tempo la musica caraibica (dal calypso allo ska fino al reggae) era entrata stabilmente nelle orecchie e nella cultura inglese.
Come sostiene Don Letts, DJ e tra i principali responsabili dell'arrivo del reggae nel punk:
"Tra il 1969 e il 1974 i dischi della Trojan Records erano nelle classifiche quasi ogni mese. Una serie senza precedenti di dischi che le persone hanno finito per cantare nei campi di calcio fino ad oggi. Fanno parte del patrimonio culturale dell’Inghilterra. È diventato parte della coscienza del popolo britannico. Forse non per tutti, ma abbastanza da rendere questo posto vivibile."
Don Letts, chiamato, come Dj, a riempire gli spazi vuoti durante i cambi di palco tra i vari gruppi punk che si succedevano sul palco del Roxy Club a Londra, in mancanza di materiale da suonare (il punk era agli albori e dischi ne erano usciti ancora pochi) iniziò a utilizzare brani reggae.
In buona parte sconosciuti ai giovani punk anche se personaggi come Joe Strummer e Paul Simonon (quest'ultimo cresciuto a Brixton) avevano già buona dimestichezza con il genere.
Già alla fine degli anni Cinquanta le decine di migliaia di giamaicani e altri caraibici arrivati in Gran Bretagna (che ben presto scopriranno non essere “madre” ma perfida matrigna) portarono con sé tradizioni culturali e dischi dal ritmo in levare.
Non a caso Georgie Fame and the Blue Flames nei primi anni Sessanta avevano in repertorio alcuni brani ska per allietare le serate dei primi mod londinesi e non esitò ad arruolare Rico Rodriguez, trombonista appena arrivato dalla Giamaica.
“Come musicista era difficile essere riconosciuto se non eri europeo o caucasico.
Quindi quello che facevo era quello che fanno tanti immigrati cioé stare con la mia gente, ma non portava soldi. Ho avuto la mia prima occasione quando ho iniziato a suonare con Georgie Fame. Suonava in un posto chiamato The Roaring Twenties a Carnaby Street. Dopo di che ho iniziato a registrare regolarmente con Laurel Aitken e ho suonato anche con Dandy Livingston. Quei primi anni in Inghilterra li ricordo per lo più come molto duri."
Nel 1964 “My boy lollipop” di Millie Small, dal ritmo classicamente ska, sbanca le classifiche britanniche e americane e istituzionalizza la musica giamaicana.
Nel 1968 nasce la Trojan Records, decisiva nel produrre e importare musica caraibica in Inghilterra, addirittura i Beatles ne prendono spunto per “Obladì Obladà”, la neonata scena skinhead la rende colonna sonora delle sue serate.
L'arrivo del punk fu un catalizzatore per le istanze socio politiche di bianchi e neri che, come dice Marley, si ritrovarono uniti dagli stessi problemi e i medesimi propositi.
Ancora Don Letts: “La cosa interessante era che i giovani bianchi della working class apprezzavano davvero il sound e l'atmosfera anti-establishment dell'intera cosa, amavano le linee di basso e il fatto che i testi parlassero di qualcosa; era come un reportage musicale. L'altra cosa bella è che c'è stato questo interessante scambio culturale. La loro musica incominciò ad essere influenzata da ciò che suonavo al “Roxy”.
Vedi i Clash o quando i Pistols si sciolsero e i Public Image iniziarono, tutto ruotava attorno alla linea di basso.
Le Slits sono un altro grande esempio di crossover reggae punk.
Ciò che il reggae ne ha ricavato è stata l’esposizione, che non è qualcosa da sottovalutare.
All'epoca non era un suono così popolare, ma tre cose lo hanno portato alla ribalta: il film “The Harder They Come”, la scena punk e Bob Marley. Quindi è stata una cosa bellissima vedere queste persone andare avanti comprendendo le nostre differenze, piuttosto che cercare di essere uguali. Sono davvero un prodotto di quello che ora chiamano il “Puny Reggae Party”, una testimonianza della forza della cultura nell’avvicinare le persone. Alla fine degli anni '70 esplode il punk rock, tutta l'etica del Do It Yourself, questa energia così contagiosa dalla quale vuoi essere coinvolto. Non era uno sport per spettatori. Tutti i miei fratelli bianchi presero in mano le chitarre. Anch'io volevo raccogliere qualcosa. Presi una videocamera Super-8, ispirata all'etica punk DIY e iniziai a filmare le band. Poi ho letto sulla stampa musicale: “Don Letts sta girando un film punk rock”.
Ho pensato:
"È una buona idea, lo chiamerò un film".
Quello è stato effettivamente il mio primo film, tutto con la potenza e l'ispirazione del punk rock.”
Il reggae si diffonde presto nella scena punk.
I Clash ne fanno ampio uso, i Police ci costruiscono letteralmente un nuovo sound, in cui all'energia mutuata dal punk uniscono la capacità di renderlo irresistibilmente pop e fruibile, le Slits sperimentano inserendo trame new wave e punk a linee di basso dub, i Members arrivano dal pub rock, inaspriscono il sound verso il punk ma, fedeli al verbo Clash, utilizzano volentieri ritmi in levare.
Nel luglio del 1977, Johnny Rotten, ancora leader dei Sex Pistols chiamato in un'intervista radiofonica a scegliere una serie di brani da trasmettere monopolizza la trasmissione con canzoni reggae.
Quei suoni e ritmi che ritroveremo in abbondanza, scarnificati e scartavetrati nei Public Image LTD, sua successiva incarnazione artistica.
I nord irlandesi Stiff Little Fingers nel furibondo esordio “Inflammable material” del 1979 coverizzano “Johnny Was” di Bob Marley, i Ruts di Malcolm Owen nel primo album “The crack” mischiano irruenza, grande tecnica e tanto dub e reggae (soprattutto nella stupenda “Jah war”).
Non dimenticando il singolo reggae del 1977 di Elvis Costello “Watching the dectives”, l'incedere, dello stesso anno, minaccioso di “Peaches” degli Stranglers, il Joe Jackson di “Sunday papers” e “Beat crazy”.
E la fine dei Settanta ci porta la “rivolta” TwoTone records con Specials, Madness, Selecter, The Beat a riprendere lo ska originale , accelerarlo e fonderlo con l'urgenza punk e riportare quei ritmi, atmosfere in classifica, unendoli spesso a testi militanti.
Uniti alla nascita di una scena reggae autoctona con nomi come Steel Pulse, Aswad, UB40 e alla “dub poetry” di Linton Kwesi Johnson, rendono la musica caraibica parte integrante di quella Britannica.
Per sempre.
mercoledì, marzo 13, 2024
Linus #3
Spettacolare numero di LINUS con speciale dedicato a GIGI RIVA.
Ci sono scritti mozzafiato di Gianni Brera (veramente spettacolare), Gianni Mura, Giuseppe Sansonna, Giorgio Porrà, Gigi Garanzini, fumetti dedicati a Gigi e foto rare e spettacolari.
In mezzo decine di aneddoti, alcuni dei quali poco conosciuti.
Per i tifosi del CAGLIARI come il sottoscritto difficile trattenere la commozione ma la lettura è ugualmente consigliatissima a chiunque apprezzi il concetto di CALCIO, nella sua accezione più pura.
Ci sono scritti mozzafiato di Gianni Brera (veramente spettacolare), Gianni Mura, Giuseppe Sansonna, Giorgio Porrà, Gigi Garanzini, fumetti dedicati a Gigi e foto rare e spettacolari.
In mezzo decine di aneddoti, alcuni dei quali poco conosciuti.
Per i tifosi del CAGLIARI come il sottoscritto difficile trattenere la commozione ma la lettura è ugualmente consigliatissima a chiunque apprezzi il concetto di CALCIO, nella sua accezione più pura.
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Riviste
martedì, marzo 12, 2024
Subbaculture #11
E' uscito il numero 11 di una delle riviste/fanzine più interessanti in circolazione: SUBBACULTURE.
300 copie numerate, 80 pagine in cui si parla in maniera approfondita, colta, minuziosa, di aspetti di varie sottoculture (mod e skinhead e dintorni, in particolare).
Bellissima e dettagliatissima l'intervista a David Storey, il grafico della 2Tone Records, interessantissima quella a Tim Wells sulla cultura skinhead.
Si parla anche del film "Babylon", della moda degli skaters negli 80, delle radici del Mod e Skinhead "revival" a fine anni 70 (con particolari e distinguo perfettamente azzeccati), dell'importanza dell'amico e poeta Dave Waller sulla scrittura di Paul Weller, delle fanzine inglesi tra il 1977 e il 1980 e tanto, tanto altro.
Ne scrivono David Storey, Mathew Worley, Paul 'Smiler' Anderson, Tim Wells, Mark Hinds Peter Jachimiak e Ian Trowell.
"Finding the "provincial" material was great. The only punk in village. They gave a real insight into how long punk's influence mainteined...and what punk meant away from London's central....they also gave sense of what punk meant to people and how punk evolved in different ways in diffeent places.
A fanzine was certainly easier to do than form a band, though the idea that it was always "cheap" and you couldn't just "do it" perhaps overstates things."
(Matthew Worley, autore del libro "Zerox machine: Punk, post Punk and fanzines in Britain 1976-1988"
"Everything about their initial existence, and in turn proliferation, was born from that EARLY SIXTIES period.
Newness was everything, yesterday was gone, last week worthy of nothing, insisting on forging foward.
As the nation's fortunes shifted in the early seventies that run of ever changing looks and street led style scenes faded, disappeared from view."
Yet both these scenes would reappear as separate entities at the very end of the decade in which their shared lineage had dissolved.
This time around the economic situation bore little resemblence to that of the previous decade.
Unemployment was rising, easy opportunities for youth something from another era.
The idea was dressing up, the desire for a sense of belonging, appeared not as a pace setting view of the times but more as a route out of the humdrum, an alternative to the mainstream and surounding economic failures.
(Mark Hinds)
YOU HAD TO GET INVOLVED TO BE INVOLVED
Per averlo
https://subbaculture.bigcartel.com/product/subbaculture-11
300 copie numerate, 80 pagine in cui si parla in maniera approfondita, colta, minuziosa, di aspetti di varie sottoculture (mod e skinhead e dintorni, in particolare).
Bellissima e dettagliatissima l'intervista a David Storey, il grafico della 2Tone Records, interessantissima quella a Tim Wells sulla cultura skinhead.
Si parla anche del film "Babylon", della moda degli skaters negli 80, delle radici del Mod e Skinhead "revival" a fine anni 70 (con particolari e distinguo perfettamente azzeccati), dell'importanza dell'amico e poeta Dave Waller sulla scrittura di Paul Weller, delle fanzine inglesi tra il 1977 e il 1980 e tanto, tanto altro.
Ne scrivono David Storey, Mathew Worley, Paul 'Smiler' Anderson, Tim Wells, Mark Hinds Peter Jachimiak e Ian Trowell.
"Finding the "provincial" material was great. The only punk in village. They gave a real insight into how long punk's influence mainteined...and what punk meant away from London's central....they also gave sense of what punk meant to people and how punk evolved in different ways in diffeent places.
A fanzine was certainly easier to do than form a band, though the idea that it was always "cheap" and you couldn't just "do it" perhaps overstates things."
(Matthew Worley, autore del libro "Zerox machine: Punk, post Punk and fanzines in Britain 1976-1988"
"Everything about their initial existence, and in turn proliferation, was born from that EARLY SIXTIES period.
Newness was everything, yesterday was gone, last week worthy of nothing, insisting on forging foward.
As the nation's fortunes shifted in the early seventies that run of ever changing looks and street led style scenes faded, disappeared from view."
Yet both these scenes would reappear as separate entities at the very end of the decade in which their shared lineage had dissolved.
This time around the economic situation bore little resemblence to that of the previous decade.
Unemployment was rising, easy opportunities for youth something from another era.
The idea was dressing up, the desire for a sense of belonging, appeared not as a pace setting view of the times but more as a route out of the humdrum, an alternative to the mainstream and surounding economic failures.
(Mark Hinds)
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lunedì, marzo 11, 2024
Casino Royale
Riprendo l'articolo scritto ieri per "Libertà" e dedicato ai CASINO ROYALE e alla recente ristampa del loro "Dainamaita".
I Casino Royale sono stati e sono uno dei progetti più originali e interessanti della scena musicale italiana in assoluto.
Tra le poche realtà nostrane che hanno saputo evolversi costantemente, passando dallo ska e reggae degli esordi, a rock, elettronica, hip hop, dub, assorbendo di volta in volta tendenze e influenze che arrivavano da Inghilterra e Stati Uniti, sapendole dosare nel migliore dei modi in un contesto, come quello nazionale, dove l’abitudine diffusa è quella di importare i modelli stranieri (quasi esclusivamente anglosassoni), senza alcuna personalizzazione.
Hanno collaborato con prestigiosi personaggi come Howie B, Tim Holmes, Mikey Dread (ex sodale dei Clash) tra i tanti, aprendo il tour italiano degli U2 nel 1997, viaggiando con la creatività e anche fisicamente tra Milano e Londra, spostandosi in atmosfere metropolitane, multiculturali e multietniche, ben prima che questa fosse una realtà quotidiana anche in Italia.
La loro attività è stata altalenante, tra momenti di sosta, ripensamenti, sperimentazioni, che non hanno però mai fatto perdere loro un ruolo di primaria importanza nella nostra scena artistica.
Lo conferma la recente ristampa (vinile in tiratura limitata con nuovi remix di due brani), nel trentennale della pubblicazione, di “Dainamaita”, loro quarto album, un'esplosione di ritmi, di funk, dub, rock, tempi (ancora) in levare, hip hop, vero gioiello da rivalutare e valorizzare come merita.
Sono stati tra i primi a intercettare l’esigenza di mischiare musiche e culture, pur partendo da radici inequivocabilmente debitrici al mondo ska, rocksteady, original reggae, soul, che accompagnarono i primi tre album “Soul of ska”, “Jungle Jubilee” e “Ten golden guns” (tra il 1988 e il 1990).
Alioscia Bisceglia, voce della band, unico membro originario della formazione attuale, ricorda quegli esordi.
“Siamo figli della New Wave intesa come moltitudine di nuovi stili o nuove sintesi. Il nostro amore per i Clash ci ha sempre portato a seguire quel filo rosso che legava la nostra passione per quel tipo di contro cultura, schierata, meticcia e antirazzista.
E quel filo ci portato dritti nel mondo del reggae e quindi, andando a ritroso, in quello dello ska, prima e poi quello del reggae giamaicano anni Sessanta. Lo ska agli inizi degli anni Ottanta era arrivato con l’ondata new wave insieme a mille altre cose, dal Rockabilly, al New Romantic, all’elettronica di Sheffield, a quella di Berlino, la No Wave di NYC.
C’era molta curiosità, entusiasmo e fame di novità, non molta consapevolezza delle radici di certi fenomeni, a pochi interessava storicizzare questi fenomeni, che erano anche molto recenti, venivano nella maggior parte dei casi vissuti come tendenze o mode. Io vivevo dei racconti di quelli più grandi, delle storie che mi raccontavano, del loro sapere che “tramandavano” se ti vedevano interessato e appassionato.
Ci ritrovavamo in quel suono così meticcio e trasversale e con entusiasmo ci siamo buttati lì dentro, suonando anche roba italiana classica tipo “Caravan Petrol” di Renato Carosone. Poi abbiamo iniziato ad andare a suonare a Londra e a conoscere la scena europea nei vari Ska Festival.”
La band parte da queste radici ma a un certo punto non si accontenta più di fare riferimento a suoni datati, per quanto stimolanti. Quando arrivano gli anni Novanta il mondo musicale e culturale pulsa di nuove idee, stimoli, tendenze.
Le chitarre inizialmente lasciano il posto a elettronica, rap e musica dal mondo (prima di riprendersi la scena con le distorsioni del grunge). Con “Dainamaita” (1993), “Sempre più vicini” (1995) e “CRX” (1997) la strada dei Casino Royale prende ritmi sempre più complessi, in cui funk, reggae, soul, hip hop, soul si mischiano, le parole continuano a graffiare con una visione ideologico e sociale che va oltre lo slogan o l'invettiva.
Ancora Alioscia:
”Se noi non avessimo cercato di “crescere” ci saremmo accasciati su noi stessi e saremmo diventati un gruppo di cover delle cover delle cover. Non che questa cosa non avrebbe funzionato, perché un pubblico di nostalgici che rimane legato a quello e basta chiaramente c’è stato. Anni dopo il progetto BlueBeaters (in cui membri della band hanno rpseguito a suonare ska) l’ha dimostrato. Ma la fame, l’interesse per il resto era forte, non abbiamo mai rinnegato nulla, nulla di ciò che abbiamo amato. Ma nel nostro mondo si intrecciavano storie di persone a suoni, i nostri gruppi preferiti già mescolavano stili e più che suonare un genere, noi avevamo un’attitudine e non volevamo annoiarci ed essere ripetitivi e secondo noi, almeno per me tornava tutto. E negli anni la storia ci ha dato ragione.
Chi parlava di incoerenza voleva solo romperci il cazzo e forse manco ci capiva tanto, visto che poi abbiamo lasciato campo a dei nuovi gruppi ska il cui prodotto era veramente di dubbio gusto.
Ma per quelli grandi applausi, forse abbiamo creato dei mezzi mostri. Siamo cresciuti con quello e come tanti altri artisti siamo arrivati ad altro partendo da li.
“Dainamaita” è pieno di campionamenti di vinili ska anni Sessanta”.
Nel 1997 lo storico cantante Giuliano Palma, che divideva e alternava il microfono con Alioscia, se ne va per seguire altre strade, rimanendo fedele alle origini ska e intraprendendo poi una carriera più “commerciale” e fruibile.
La band si ferma in un momento di stasi, con la necessità di ripensamenti e di ricostruzione di un progetto così ambizioso e in movimento.
Sarà un percorso lungo e ci vorranno nove anni per il nuovo album “Reale” (2006), prodotto da Howie B e altri cinque per “Io e la mia ombra” (2011) che spostano le coordinate ancora verso nuove direzioni, in cui lo spirito e il suono cambiano di nuovo, cercano strade meno ostiche, guardano a onde più pop ma sempre personali, originali e soprattutto ben riconoscibili.
Nel 2020 l’album/progetto multimediale “Quarantine Scenario” entra in tempo reale nella narrazione dei giorni del lockdown, da cui nasce un cortometraggio diretto da Pepsy Romanoff.
Nel 2021 nuovo cambio di formazione e nuova uscita con l'ep "Polaris", trainato dal singolo "Fermi alla velocità della luce": altro cambio di passo, nuova esplorazione sonora densissima e molto interessante (per avere un'idea dei Casino Royale di oggi basta cercare su Youtube il loro concerto all'OGR di Torino dell'anno scorso: non resterete delusi). "Musica dei tuoi simili" come dice Alioscia durante i concerti per richiamare l'idea della comunità di supporter e fedelissimi che resiste al tempo e anzi aumenta.
La visione del mondo attuale è come sempre lucida..
I Casino Royale guardano con attenzione la loro Milano e quanto ci accade intorno.
Quelle contaminazioni da altre culture che paventavamo e desideravamo, guardando a quanto accadeva a Londra o New York, ora sono una realtà quotidiana in ognuna delle nostre città. Decine, centinaia di uomini e donne portano le loro lingue, usanze, musiche, arte. Come ci confrontiamo e soprattutto, come si rapportano le nuove generazioni?
Alioscia dice:
“ I cambiamenti ci sono e sono positivi. I ragazzi si esprimono più liberamente, hanno meno pregiudizi sull’identità di genere e razza, questa cosa è innegabile. Certo sono spesso nichilisti in un altro modo, sono allineati al mercato, lo condizionano e si fanno circonvenire. Sono molto meno “ideologici” ma hanno spesso un forte senso di “giustizia”. Mi spiace che in questa fruizione della cultura/snack attuale, legata molto al mercato, ai social e al consenso misurato dai like ci sia meno spazio e tempo per il racconto. Io come raccontavo sopra stavo a bocca e orecchie aperte ad ascoltare quelli più grandi me raccontare “la storia” , ora percepisco una rivalsa che non comprendo, una voglia di riscatto che non capisco, una voracità nell’affermarsi che a volte mi spaventa o meglio mi allarma.
Per molti giovani il percorso è individuale e la mira è quello di arrivare in alto quasi ad ogni costo. Questo crea un attitudine individualiste e predatoria che purtroppo è figlia di questi tempi e dei modelli di “progresso” che vengono promossi. Se non arrivi in cima sei un perdente.”
I Casino Royale proseguono e come sempre si mischiano con ciò che accade intorno, si alimentano di nuove cose pur nella precarietà come sottolinea ancora Alioscia:
“Siamo un gruppo “nebulizzato” viviamo tutti vite diverse, in luoghi diversi e ci troviamo tra noi nella nostra moltitudine purtroppo molto di rado. Alcuni suonano per professione, altri hanno progetti paralleli e lavori. Negli ultimi anni con immenso sforzo abbiamo prodotto cose interessanti, con il supporto e la collaborazione di quella che definisco una comunità che si sente legata alla storia ed al percorso di Casino Royale.
Ora è in lavorazione un altro Ep che potrebbe essere finito a breve, ma noi siamo qui a fare a cazzotti con il nostro quotidiano e trovare il tempo per immergersi nella musica è sempre un accadimento raro che ci fa capire quanto siamo stati privilegiati in passato. C’è da dire che quando ci troviamo siamo abbastanza prolifici e che il prossimo lavoro ha già una forma abbastanza definita, sarà secondo me l’ennesima sorpresa.”
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