martedì, novembre 30, 2021
Novembre 2021. Il meglio del mese
Siamo agli sgoccioli del 2021.
Tante buone cose da segnalare:: Jon Batiste, Sleaford Mods, Bobby Gillespie & Jenny Beth, Paul Weller, Damon Albarn, Dewolff, Sault, Specials, The Lathums, Damon Locks Monument Ensemble, The Coral, Howlin Rain, Curtis Harding, Sons Of Kemet, Mdou Moctar, Little Simz, Kojo Jean & the Tonics, Teenage Fanclub,Tom Jones, Chrissie Hynde, Adrian Younge, Flyte, Jay Nemor Electrified, Myles Sanko, Billy Nomates, Alan Vega, Django Django, Aaron Frazer, Bamboos, Arlo Parks, Shame, Vaudou Game, Les Filles De Illighadad, Steve Gunn, Billy Bragg.
In Italia: Andrea Chimenti, Radio Days, Nicola Conte/Gianluca Petrella, A/lpaca, Casino Royale, Gang, SLWJM, Homesick Suni, Bachi da Pietra, Joe Perrino, Amerigo Verardi, Les Flaneurs, The Smoke Orchestra, Homesick Suni, Wendy?!, Gli Ultimi, Gianluca Secco, Heat Fandango, Marianna D'Ama, The Breakbeast.
DAMON ALBARN - The Nearer The Fountain, More Pure The Stream Flows
Realizzato durante il lockdown, ispirato dagli orizzonti islandesi, il nuovo album di Albarn è inevitabilmente riflessivo, sospeso, introverso, struggente.
Damon è una della rare menti musicali (e non solo) in circolazione baciate dalla genialità, mai banale, sempre "in progress", alla ricerca di qualcosa di nuovo.
Ogni suo lavoro va inteso come componente di un progetto artistico più ampio, che abbraccia mille influenze e riferimenti.
E "The nearer..." rientra in questo concetto.
Ed è pure molto bello.
CURTIS HARDING - If words were flowers
Davvero ottimo il nuovo album del soul man americano che si sa destreggiare in perfetto equilibrio tra vintage e new soul, mantenendo un profilo distintivo e personalissimo. Canzoni eccellenti, arrangiamenti di grande eleganza ma mai ridondanti, tra i migliori "black album" dell'anno.
The GREASE TRAPS - Solid ground
Esordio con i fiocchi per la nostra miniera di gemme preziose, la Record Kicks, della band americana, registrato al Transistor Sound di Kelly Finnigan e mixato da Sergio Rios degli Orgone.
Deep funk che viaggia tranquillamente tra Curtis Mayfield e il primo Gil Scott Heron, arrangiamenti di fiati superbi, ricerca sonora certosina, groove a non finire. Notevole.
JAMIE AND THE NUMBERS - You don't love me
Dopo una serie di 45 giri la band neo zelandese approda al primo album con un grande e potente soul sound, spesso vicino e fedele al miglior Northern Soul. Spaccano con la cover soul funk rock di "The seeker" degli Who, quella sorprendente e riuscitissima di "Boys don't cry" dei Cure ma c'é anche una bella "Shout to the top" degli Style Council in semi acustico e tante altri stupendi gioielli.
Grande disco.
THE EXCITEMENTS - Keepin' on
Persa la voce storica di Koko Jean, trovata una degna sostituta, la band spagnola torna con un nuovo album in cui si propone con la consueta classe, eleganza, a base di soul, funk, rhythm and blues di spessore. Divertimento, groove, energia a profusione. Eccellenti.
SILK SONIC - An evening with
Bruno Mars e Anderson .Paak si sono divertiti un sacco a fare il verso a Stevie Wonder, Prince, il tardo Sly Stone e altre icone della black music. Da talentuosi quali sono lo fanno ovviamente bene e con gusto ma il senso di artefatto è costatemente presente. E se fai soul senza anima manca qualcosa...
TENDERLONIOUS - Still Flute
Uno splendido connubio di house, jazz, electro funk, elettronica, suonato e prodotto con rara eleganza. Groove ipnotico, tonalità talvolta ambient, influenze asian/indiane. Originale e di enorme personalità .
RICHARD ASHCROFT - Acoustic Hymns Vol. 1
Un viaggio semi acustico e orchestrale tra Verve e carriera solista con ottimi riarrangiamenti, l'ospitata di Liam Gallagher, buoni spunti per i fan.
NATHANIEL RATELIFF and the NIGH SWEATS - The future
Terzo album per la band americana. Southern rock, soul, blues, The Band, Van Morrison. Gli amanti del "buon vecchio rock dei 70" apprezzeranno.
TY CAUSEY - U-Turn
Dall'Indiana una voce calda e un soft funk sinuoso che miscela molto bene l'old school vintage in chiave Al Green con elementi alla Prince. Niente di superlativo ma l'ascolto è gradevolissimo e intrigante.
The DAPTONE Super Soul Revue – Live at The Apollo
Registrato nel corso di tre serate al mitico Apollo Theatre di Harlem, New York nel dicembre 2014, arriva un triplo album in vinile che celebra una delle migliori etichette di new soul in circolazione, la Daptone.
Che schiera il suo meglio, dai compianti Sharon Jones e Charles Bradley ai Sugarmen Three, Menahan Street Band fino al gospel ruvidissimo delle Como Mamas, con gran finale tutti insieme a cantare una versione super funk di "Family affair" di Sly and the Family Stone. Esibizioni di un'intensità rara, semplicemente un album INDISPENSABILE.
AA.VV. - Golden Rules
Prima compilation dell'etichetta tedesca (Golden Rules) che mette insieme band funk, soul, rhythm and blues, vrai grooves con band provenienti da Mosca, Amburgo, Parigi, New York, Londra, Barcellona, Nashville.
Un perfetto assaggio del loro catalogo che valorizza la nuova scena soul funk mondiale. Spettacolare Gizelle Smith, grandi i Soul Surfers, notevole Laura Llorens ma suona tutto più che bene.
ROBERT PLANT / ALISON KRAUSS - Raise the roof
14 anni dopo il primo pluripremaito album insieme tornano insieme l'ex Zep Robert Plant e la 27 volte vincitrice di un Grammy Award Alison Krauss. 13 cover scelte con cura (Merle Haggard, Allen Toussaint, Everly Brothers, Bert Jansch) e un inedito. Mood semiacustico tra country, rockabilly, folk. Piacevolissimo.
THE IDLES - The crawler
Trovo interessante e intrigante la proposta degli IDLES ma i miei gusti rimangono abbastanza lontani da un'abrasione sonora/cattiveria/assalto verbale etc che avverto come risaputi, un po' scontati, omogeneizzati, prevedibili.
GEESE - Projector
L'esordio della band New Yorkese ricalca le coordinate di band come Idles o Fontaines DC, tra sonorità aggressive, ritmiche scomposte, chitarre sferraglianti.
Non male seppur poco personali.
THE FILTHY SIX - Soho filth
Gustoso soul jazz strumentale tra Jimmy Smith e Booker T and the Mg's, di gusto perfettamente e totalmente 60's con un Hammond in gran spolvero.
PAOLO TOFANI - Indicazioni vol.2
Uno dei chitarristi più geniali e d'avanguardia su cui l'Italia abbia potuto da sempre contare. Anima degli Area (il più grande gruppo italiano in assoluto) e poi alle prese con molteplici esperienze soliste.
Il nuovo lavoro,seguito del suo album ‘Indicazioni’ del 1977, è registrato in totale autonomia, frutto di pura improvvisazione e propone una modalità nuova e alternativa dell'uso della chitarra, grazie all'utilizzo della Shyama Trikanta, strumento da lui progettato e costruito.
Paolo Tofani continua a darci "Indicazioni" verso cui portare creatività, avanguardia, sperimentazione. Un lavoro difficile ma stimolante e suggestivo.
THE BREAKBEAST - Monkey riding God
Sergio Pomante (Sudoku Killer, String Theory, ex-Ulan Bator) al sax, Alessandro Vagnoni (Bologna Violenta, Ronin, Drovag) alla batteria e Mario di Battista (La Mala Sementa, Ulan Bator) al basso e alla voce sono i protagonisti di questo nuovo progetto molto stimolante, aperto, sperimentale, in cui confluiscono funk, rock, jazz, hip hop, sperimentazione, Morphine, James Chance, Primus, un approccio cinematografico, un pizzico di Calibro 35. Originali, personalità enorme, tanto groove.
ANDREA CHIMENTI - Il deserto, La notte, Il mare
Decimo album in studio per l’ex voce dei Moda. Undici inediti dal portamento solenne, autorevole, romantico, con l'aiuto di alcuni ospiti prestigiosi come David Jackson dei Van Der Graaf Generator, Ginevra di Marco, Antonio Aiazzi (Litfiba) Fabio Galavotti (Moda), Francesco Magnelli (CSI e CCCP).
Elegante e poetica canzone d'autore che va a braccetto con retaggi new wave, echi di Bowie e l'influenza della scrittura di Nick Cave. Come sempre il livello è altissimo.
Ma c'è tanto altro, compresi arrangiamenti superbi, curatissimi, canzoni stupende, gusto per la sperimentazione e per il "saper osare".
PAOLO APOLLO NEGRI - Escribir lo imposible
Elegante e raffinata colonna sonora dell’omonimo film spagnolo scritto e diretto da Simone G.Saibene, composta ed eseguita da Paolo Apollo Negri, tastierista dalle mille esperienze passate, presenti (e sicuramente future). Il contesto cool jazz (che riporta all’Herbie Hancock degli anni Sessanta) è perfetto per accompagnare immagini e già di per sé evocativo e molto gradevole all’ascolto. Brevi pennellate, suonate e arrangiate con maestria.
FIREWORKS BANQUET – Nothing Really Important
Il quartetto sardo all’esordio con un poderoso album chitarristico, aspro e crudo. I riferimenti spaziano tra psichedelia, Paisley Underground, viaggi dalle parti di True West, Thin White Rope e Giant Sand e un abbraccio frequente al miglior Brit Pop. Arrangiamenti essenziali, album ben curato, ottimo lo spessore compositivo. Un nome da tenere d’occhio.
CARLO MASU E LE OSSA - Ombre di un corpo estraneo
Il grande chitarrista dei Cut all’esordio solista con un progetto che lo vede affiancato da membri di IOSONOUNCANE (dal vivo), Eveline e The Crazy Crazy World of Mr. Rubik. Sound brumoso, decadente, oscuro che conserva l’abrasione della band madre ma percorre strade più melodiche e sperimenta con progressioni e pause ritmiche tra jazz e post rock. Tanta personalità, grandi canzoni, un progetto interessantissimo.
THE BROKERS AND THE WALL STREET BAND - s/t
Progetto musicale a cura di Giuliano Taviani e Carmelo Travia insieme a Diana Tejera che omaggia la tradizione garage punk con riferimenti agli X e ai Velvet Underground. I tre brani scorrono velocemente, immediati, efficaci, lasciandoci in trepida attesa di un album.
POORWHITE - Echoes of Spoon River-Part 1-The Hill
Il cantautore bolognese ci porta in meandri, rigorosamente acustici tra Lo-fi, Barrettiani (in particolare), psichedelici, con uno sguardo a Brian Wilson, Beck, il primo Sufjan Stevens, perfino a Noel Gallagher. Bello e molto particolare.
ASCOLTATO ANCHE:
DIANA ROSS (pop super patinato, grande voce ma scarsa sostanza), THEO CROCKER (ottimo new spiritual jazz)
LETTO
MASSIMO ZAMBONI - La trionferà.
Un suggestivo, a tratti (solo apparentemente) nostalgico, viaggio nel comunismo emiliano, con la natìa Cavriago protagonista, il cui nome arrivò perfino a Lenin (il cui busto campeggia ancora orgogliosamente nell'omonima piazza), da pionieristici sostenitori della Rivoluzione Sovietica.
Zamboni, che scrive non bene ma benissimo, cita nomi, fatti, dati e date e ci immerge in un "amarcord" a tratti veramente felliniano, che rende alla perfezione il concetto del comunismo da certe parti.
"Essere comunisti era prima di tutto un sentimento: sapere di essere dalla parte giusta del mondo".
A metà libro lui stesso diventa protagonista, dall'infanzia, all'adolescenza, all'iscrizione alla FGCI, le Feste dell'Unità (quelle Feste dell'Unità emiliane!!!) e poi il rumore delle armi, la crisi, la progressiva triste decadenza e caduta mentre impazza il successo artistico e mediatico dei suoi CCCP-Fedeli alla Linea.
"Arriva il momento di smobilitare e prende forme pratiche che fanno ancora più male di quelle politiche...pezzo dopo pezzo se ne vanno i gioielli di famiglia, acquistati grazie alla dedizione e ai sacrifici di migliaia di militanti.
Non si tratta solo di una compravendita immobiliare.
E' un mondo che si sgretola all'incanto."
Rimane l'ideale che si perde nel vento e nel tempo ma che, prima o poi, trionferà:
"La trionferà, certo che trionferà.
E se non saremo noi a vederla trionfare e se non sarà nei tempi a venire o non sarà da noi e avrà altri nomi forse, altri modi, chissà dove, decento, trecento, mille anni, vedrete: la trionferà".
Il libro è stupendo, (ri)apre ferite nel cuore di chi ci ha creduto e rimane tutt'ora affascinato e ancorato a quell'idea, traballante, mal applicata ma potenzialmente perfetta.
"Quella parola, COMUNISTA, che altrove evoca scenari di grigiore e vessazione (in Emilia) si è andata a coniugare a una capacità pratica di sogno e fantasia che altrettanto ha avuto pochi eguali.
Nessuna dittatura del proletariato, nessuna minaccia alle proprietà, nessuna incompatibilità con le classi medie. Tentata egemonia di pensiero, non totalitarismo. Condiscendenza verso l'iniziativa privata, non statalismo. Transito e apertura culturale, non reticolati.
Questa attitudine ha formato il carattere umano di un'estesa area geografica, distinguendola dalle altre, dandole un volto e un noime proprio riconosciuti e riconocibili.
Siamo stati comunisti nel non avere attuato il comunismo".
PETER CULSHAW - Clandestino. Alla ricerca di Manu Chao
Personaggio spesso dimenticato, soprattutto a causa della sua ritrosia a seguire i metodi tradizionali della discografia, che vuole album pubblicati a cadenza regolare, tour di supporto, video, concerti, promozione televisiva, radiofonica, via web.
Manu Chao rimane però vivo e pulsante nei cuori di chi lo ha sempre apprezzato, si è entusiasmato ai concerti dei Mano Negra, sua prima band, tra i migliori live act di sempre (un loro concerto cancella, nella memoria, il 99% delle migliaia a cui ho assistito nella mia ormai lunga vita) ma anche alle sue esibizioni soliste, sempre generose, empatiche, gioiose, spettacolari.
Dice bene Peter Culshaw nel libro appena uscito, “Clandestino. Alla ricerca di Manu Chao” prima biografia autorizzata pubblicata da Castello Editore nella collana Chinaski:
“Per una schiera di disadaddati che non accetta il mondo così come è e per gli emarginati per i quali lotta, Manu Chao rappresenta un raggio di speranza.
Una star internazionale che combatte contro la globalizzazione, un uomo che vive con lo zaino in spalla ma ha guadagnato milioni di euro, un propagandista che rifiuta le interviste.
La reputazione di Manu Chao è stata basata sulla sua grade onestà e integrità morale”.
Nasce nel 1961 a Parigi da una famiglia colta, antagonista, attivista, schierata a sinistra e con principi ben saldi. Manu si muove tra banlieues e situazioni alternative, non sempre in condizioni facili. Nei primi anni Ottanta Parigi era un luogo diviso, fatiscente e spesso pericoloso. Gli antichi quartieri della classe lavoratrice erano disseminati di edifici abbandonati, fabbriche deserte e officine dismesse. Una tragedia per le famiglie di operai che abitavano lì da generazioni.
Si appassiona al rock 'n' roll e al pub rock dei Dr. Feelgood ma viene fulminato, nel 1981, da un concerto dei Clash, in cui, a fianco di punk e rock suonano anche reggae, soul, funk e tanto altro. La sua band, Joint de Culasse, le esibizioni per strada come busker, le occupazioni, i centri sociali gli diventano stretti, cerca altre strade con nuovi gruppi e influenze, per esaudire il desiderio di un' aria artistica più fresca. Ci prova con gli Hot Pants e con i Los Carayos.
Alle nuove suggestioni punk e ibridazioni varie aggiunge anche la tradizione ispanica e latina, tra flamenco e rumba ma anche ska, swing, country, folk francese e tanto altro. Le basi per il suo timbro stilistico crescono e si arricchiscono.
“Chuck Berry, Lou Reed, i Clash erano i miei professori. Poi si aggiunse anche Edith Piaf e Jacques Brel, i miei professori di francese.”
Ci vorrà ancora un po' di pazienza, tentativi, frustrazioni, limature, ricerche di compagni di viaggio ma alla fine La Mano Negra diventà realtà.
Un nome suggestivo, accattivante e da fuorilegge (mutuato da un'organizzazione anarchica operante in Andalusia e da un gruppo di ispanici che nel New Mexico lottavano per i diritti per acqua e terra).
Recluta alcuni membri dei Casse Pieds (che fecero tappa negli anni Ottanta anche a Piacenza, al “Caprice”, con un concerto travolgente) e incomincia la consueta trafila di concerti, registrazioni, piccoli tour, salti nel vuoto, notti insonni o trascorse su un sedile del furgone, neanche un centesimo in tasca, locali sudici e dimenticati, pranzi e cene saltati o, eufimisticamente, poco abbondanti e saporiti.
Ma riescono a trovare un contratto discografico e approdare al primo album, nel 1988, intitolato come il “genere” che sarà il loro marchio di fabbrica e di tanti altri gruppi che si rifanno alle stesse matrici.
Ovvero un miscuglio di mille influenze che attingono da generi classici come rock, blues, country, altri, ai tempi, innovativi come il punk e ancora jazz, suoni latini, rockabilly, ska, reggae:
Patchanka.
“Patchanka è un suono selvaggio per cuori solitari e cani randagi. Il nome deriva da Pachanga, una danza cubana degli anni Cinquanta ma anche dall'inglese “patchwork”, letteralmente “manufatto che consiste nell'unione, tramite cucitura, di diverse parti di tessuto.”
E' un manifesto di quello che sarà la carriera di Manu Chao.
Brani inferiori ai tre minuti, immediati, diretti, tanto quanto i testi, che parlano di periferie, vita di strada e reale.
Fu molto doloroso firmare per il colosso discografico Virgin e lasciare in qualche modo la “naiveté” del circuito indipendente ma necessario, nonostante in molti videro, come sempre, in questo gesto, un tradimento degli ideali. Manu Chao ricorda con molta chiarezza quegli anni:
“Eravamo combattenti che il più delle volte racimolavano un panino e un calcio nel culo dopo tre ore di concerto su un palco. Abbiamo semplicemente dovuto tirarcene fuori.”
“Patchanka” li impone all'attenzione di tutto il mondo.
Vanno in tour in America con Iggy Pop ma ne escono delusi e sconcertati dai rigidi meccanismi di un certo ambiente e decidono di preferire la parte più a sud del continente americano.
Il secondo album “Puta's Fever” è un vero e proprio successo di classifica con singoli come King Kong Five che scala le classifiche e i loro concerti che diventano sempre più travolgenti (e non di rado proseguono sulla strada davanti ai locali o teatri, insieme ai fan improvvisando per ore).
Intraprendono un lungo tour in Sud America, nei barrios più poveri ma anche nei quartieri più disastrati e pericolosi di Parigi, incidono altri due album ma la frenesia di un'attività così veloce e urgente fa esplodere la band.
Nel 1994 i Mano Negra si sciolgono, dopo un rocambolesco giro in treno nei villaggi più dimenticati della Colombia, aprendo la carriera solista di Manu Chao, successiva a un lungo periodo di disperazione e perdizione per la fine di quello che era stata al 100% la sua vita, trascorso in giro per il mondo tra luoghi sperduti, pericolosi quartieri sudamericani, droghe, ricerca di sé stesso.
Il manager dei Mano Negra (probabilmente con le mani nei capelli) affermò che se la band si fosse promossa adeguatamente, invece di impegnarsi in imprese alla Don Chisciotte, come un viaggio in barca lungo l'America Latina (Ramon Chao, padre di Manu, documentò in un fantastico libro, “La Mano Negra in Colombia”, il viaggio del figlio nel paese, tra narcotraffico, guerriglia e un travolgente entusiasmo per la band) e non si fossero sciolti, nel momento più inopportuno, alla vigilia dell'uscita di “Casa Babylon”, il loro album più venduto, sarebbero potuti diventare grandi come gli U2 o i Coldplay.
Nell'aprile 1998 esce l'esordio solista, “Clandestino”.
Accolto tiepidamente diventerà nel giro di un anno il disco francese più venduto di sempre con oltre 5 milioni di copie e proietterà Manu allo status di rockstar planetaria.
La commistione di suoni latini, africani, tzigani, blues, pop, creò un marchio di fabbrica distintivo e immediatamente riconoscibile.
Sarà protagonista in prima persona al G8 di Genova, suonando e partecipando alle proteste, dovrà subire critiche da destra e da sinistra (tra chi lo considerava un “venduto”, a causa del successo ottenuto). Manu continua a suonare, a incidere nuovi dischi, a girare l'Africa e le Americhe, eternamente nomade, appoggiare cause a sfondo sociale, fare beneficenza, dovendo anche combattere contro chi lo sfrutta in tal senso per ottenere concerti gratuiti “camuffando” l'evento come destinato ad aiutare questa o quella causa.
Sono ormai quindici anni che non appare più nel mercato discografico e una decina che non rilascia interviste.
Vive sparso in varie parti del mondo, due mesi in Brasile, un mese a Parigi, un altro a Barcellona.
Periodicamente riappare dal vivo oppure a improvvisare un concerto in qualche bar sperduto, suona a Buenos Aires o tra le dune del deserto algerino per la causa del popolo tuareg Saharawi.
Inafferrabile, “perdido nel corazon della Grande Babylon”, sempre diverso, sempre Manu Chao.
“Non posso cambiare il mondo e neanche il mio paese ma posso cambiare il mio quartiere.
Ci provo.
E' una responsabilità nelle mani di tutti. Non credo a una rivoluzione mondiale che cambi il mondo ma credo in mgliaia di rivoluzioni di quartiere. Questa è la mia speranza.”
Nell'agosto del 2003 fui parte dell'organizzazione del concerto piacentino di Manu Chao a cui ebbi anche l'onore di aprire il concerto con il Link Quartet.
Fu un'esperienza in cui finirono le consuete polemiche politiche, problemi di ogni tipo, alta tensione ma anche un grande successo di pubblico, pacifico e partecipe e l'incontro con una persona tranquilla e disponibile che diede vita a un concerto esplosivo, proseguito poi oltre l'orario di chiusura per organizzatori e alcuni fortunati rimasti nello stadio Daturi.
MALIK AL NASIR - Letters to Gil
E' una storia incredibile quella di Malik Al Nasir.
Una vita destinata a una triste prospettiva, salvata e redenta dalla musica e da un personaggio unico, un intellettuale, artista, poeta, attivista, Gil Scott Heron.
Spesso impropriamente definito il “padre del rap” di cui comunque contribuì a costruire le basi, ispirandosi ai suoi contemporanei Last Poets, nella New York dei primi anni Settanta.
Ma Gil fu molto di più.
Portò avanti una sorta di concetto di “musica totale”, in cui confluivano tutte le sfumature della black music (dal blues al gospel, con cui era nato, fino al soul, al funk, al rhythm and blues) ma anche quelle del sound latino con cui era cresciuto nel quartiere portoricano di Chelsea, nella Big Apple. Una fusion spesso complessa ma sempre accattivante su cui si innestavano testi incredibilmente poetici e politici, colmi di aspro sarcasmo nei confronti delle istituzioni e del potere costituito.
Malik, nato come Mark Trevor Watson a Liverpool, padre della Guyana, madre inglese, visse un'infanzia tranquilla a Toxteth, il quartiere black della città, fino a quando la famiglia si sfasciò e per un furto, in realtà mai commesso, finì, a nove anni, nell'inferno dei riformatori di sua maestà, dove subì soprusi, abusi psicologici e fisici di ogni tipo.
Uscito a 16 anni, con l'unica prospettiva di intraprendere una vita di illegalità (“per lavorare occorrevano referenze e le uniche che avevo io erano anni passati in un carcere minorile e avere la pelle nera in un paese razzista”), si imbatte nella musica di Gil Scott Heron dalla quale rimane affascinato e colpito.
Quando Gil arriva a Liverpool si fionda al concerto.
“Gil ha parlato, ha suonato jazz, era un poeta, ha insegnato. Stava solo cantando una canzone ma era come se fosse parte di un'anima collettiva che viveva nella stanza del locale”.
Riesce a entrare nel backstage, solo per volersi complimentare con il suo idolo.
Ma Gil gli chiede inaspettatamente se lo volesse accompagnare a vedere i luoghi di Toxteth in cui recentemente c'era stata una violenta rivolta della comunità nera contro i metodi violenti e razzisti della polizia.
Malik acconsente e poi invita Gil e la sua band il giorno successivo a pranzo. Non ha un casa, vive in un rifugio per senza tetto, non ha soldi, solo un minimo di sussidio statale.
Racimola quello che può, mette a frutto l'esperienza di cuoco imparata in riformatorio e offre il pranzo a tutta la band in una casa prestatagli da un amico. Alla fine Gil gli allunga 100 sterline ma lui rifiuta, è un regalo che ha voluto fare al suo idolo.
Allora Gil gli chiede se vuole unirsi alla band. “Ma io non so fare niente per una band”.
“Saprai caricare e scaricare un amplificatore da un camion o portare le bacchette al batterista o un cavo al chitarrista”.
Malik diventa così parte della crew di Gil Scott Heron, gira il mondo, impara le tecniche dei fonici e sostanzialmente “facevo tutto quello che non stavano facendo gli altri. Questo era il mio motto”. Gil “vide qualcosa in me che non vedevo in me stesso: il mio potenziale".
Durante i lunghi viaggi il musicista scopre che Malik era semi analfabeta, anche a causa di una forma di dislessia mai curata.
E allora incomincia a insegnargli a leggere e a scrivere, facendo tesoro della sua immensa cultura e di un master in inglese, conseguito all'Università di Lincoln.
Lo introduce ai classici sulla autoconsapevolezza degli afroamericani, ai testi che parlano dei diritti civili da rivendicare, alle poesie di Langton Hughes, ai libri di Zola Neale Hurston, al blues e al soul di Nina Simone e Billie Holiday. Sprona Malik a scrivere e quando riceve le sue prime composizioni gliele corregge, aggiusta, lo consiglia.
“Una mattina mentre eravamo sul tour bus Gil incominciò a leggere ad alta voce i miei scritti. Mi chiese perché avevo usato questa parola e non quella, che cosa volevo dire con questa frase, cosa significa questo concetto. Per la prima volta nella mia vita avevo un insegnante. La cosa è andata avanti per molti anni. Anche quando eravamo lontani scrivevo le mie poesie e gliele mandavo via lettera. E quando ci ritrovavamo in tour lui le tirava fuori e le commentavamo insieme”.
Dopo un po' di tempo Gil lo “licenzia” affinché si trovi un lavoro e incominci a gestire la propria esistenza. Malik sceglie la dura vita del marinaio che lo porta di nuovo in giro per il mondo, subendo ancora una volta il razzismo degli equipaggi delle navi per cui lavorava dove non di rado era l'unico nero. Sfrutta questi lunghi mesi in mare per leggere e scrivere, ascoltare musica, imparare.
Si iscrive successivamente all'università e consegue due lauree, in sociologia e geografia oltre a un diploma post laurea in ricerca sociale e un master in produzione multimediale.
“Ho continuato ad andare in tour con Gil quando ho potuto. Era così fiero di me. La mia laurea era il culmine di tutto ciò che aveva investito in me e io avevo investito in me stesso. Quello che Gil mi ha dato era una ragione per cui vivere.”
Nel 1992 incontra i Last Poets e viene introdotto all'Islam.
Cambia nome e diventa il manager del loro cantante, Jalal, incominciando una proficua carriera in ambito discografico, lavorando anche con Public Enemy, Steel Pulse, Run DMC, Wailers, Wyclef Jean.
Fonda la compagnia di produzione MediaCPR e l'etichetta MCPR Music e anche una band, Malik and the OG's con cui suona e incide dischi. Quando Gil Scott Heron entrò nella sua fase più oscura, fatta di dipendenza, periodi da homeless, finendo poi in prigione, Malik non mancò mai di supportarlo, ricevendo in cambio un nuovo incoraggiamento. Ovvero pubblicare le sue poesie che aveva raccolto in abbondanza nel corso degli anni.
Nel 2004, dopo aver ricevuto un risarcimento dallo stato inglese per le ingiustizie subite nell'adolescenza, fonda una sua casa editrice, la Fore-Word Press, con cui pubblica Ordinary Guy.
E' spesso protagonista di articoli sulla stampa inglese in relazione ai problemi dei rifugiati, all'esclusione sociale, al razzismo. Quando Gil venne finalmente rilasciato dalla prigione, poco prima di morire, nel 2011, Malik riuscì, grazie all'intercessione di Wyclef Jean, a farlo reincontrare con Stevie Wonder, uno degli amici che aveva fatto di tutto per portarlo fuori dalla palude della droga.
La vita di Malik Al Nasir è ora raccolta in un toccante e duro libro autobiografico, da poco pubblicato in Usa e Canada da William Collins Editore, intitolato Letters To Gil.
Una trasformazione umana, sociale, politica.
Il ribaltamento dai giorni in cui, scrive nel libro, quando gli dicevano “Nigger!” rispondeva “Sorry”, frutto della mentalità dell'Inghilterra degli anni Settanta in cui a scuola i bambini di colore venivano irrisi e discriminati in primo luogo dagli stessi insegnanti e trattati come persone inferiori.
La rivalsa postuma contro le politiche del comune di Liverpool che prima lasciava che a Toxteth si aprissero locali per neri senza particolari controlli, per, sostiene Malik, “tenere lontana la comunità black dal centro storico dove risiedeva la borghesia bianca” e che successivamente, con una politica pragmaticamente crudele, sparse chirurgicamente le famiglie nere in altri quartieri per soffocare il senso di unione e solidarietà tra gli immigrati.
Un libro che riassume una storia acre e difficile, attraverso il rapporto tra un maestro e un allievo tenace e sincero che, attraverso l'educazione e l'amore per il prossimo, ha trovato una strada.
“Gil è stata la persona più importante per me durante la mia vita adulta. Grazie, Gil. Mi hai salvato la vita".
LORENZO BRIOTTI - Viva i pirati!
Fenomeno ormai dimenticato e a molti oscuro, quello delle radio "pirata" fu invece di fondamentale importanza per lo sviluppo della Pop Culture degli anni Sessanta, in Inghilterra in particolare, ma che divenne basilare anche per lo sviluppo della nuova musica in tutta Europa.
"Le radio pirata offshore accompagnano lo sviluppo di questa pop culture che mette in discussione i valori della generazione dei genitori che hanno combattuto e sofferto le conseguenza della guerra. Le radio pirata con il loro desiderio di libertà diventeranno uno dei simboli che accompagneranno questa rottura generazionale."
Radio Lussemburgo (in particolare per i giovani italiani), Radio London, Radio Caroline e decine di altre dalla vita breve, pericolosa e tribolata, che trasmettevano da navi e da piattaforme, ruppero il monopolio della paludata BBC, refrattaria all'introduzione di nuovi suoni e tendenze.
E formarono oltre che una generazione di musicisti, un ampio numero di DJ radiofonici (John Peel su tutti).
"La radio pirata è la prima format radio intesa come sistema concettuale e operativo che procede a individuare un segmento di pubblico e a formulare una programmazione adatta. Il segmento di pubblico è quello giovane".
Il libro analizza le origini del fenomeno la sua esplosione e decadenza fino ad analizzare il sorgere delle radio libere/private italiane (anticipate da Radio Montecarlo), con abbondanza di dettagli antropologici, tecnici, culturali.
SERGE LATOUCHE - Limite
Gli uomini hanno già abbandonato il sentiero di una civiltà durevole.
In tempi in cui la cosiddetta "emergenza climatica" è una realtà oltre che drammatica ormai ampiamente conclamata e in cui i principali governi mondiali non fanno sostanzialmente nulla per metterle un freno, anteponendo la crescita economica, può essere utile (ri)leggere questo breve saggio di Latouche (professore di scienze economiche all'Università di Parigi) scritto nell'ormai lontano 2012.
In cui si palesa che "la catastrofe è già tra noi. Viviamo quella che gli specialisti chiamano la sesta estinzione della specie" e che "ormai è chiaro che il nostro modo di vita attuale è senza futuro, che il nostro mondo finirà, che i mari e i fiumi saranno sterili, le terre senza fertilità naturale, l'aria delle città soffocante e la vita un privilegio al quale avranno diritto soltanto gli esemplari selezionati di una nuova razza umana" (André Gorz - Sette tesi per cambiare la vita - 1977).
"Viviamo in una società della crescita.
La società della crescita può essere definita come una società dominata da un'economia della crescita e che tende a esserne interamente permetata.
In questo modo la crescita per la crescita diventa l'obiettivo primordiale, se non il solo dell'economia e della vita.
Produrre di più implica necessariamente consumare di più e per questo è necessario creare all'infinito nuovi bisogni".
Noi non distruggiamo il pianeta ma soltanto il nostro ecosistema cioé le nostre possibilità di sopravvivervi.
Indifferente ai nostri eccessi, la Terra continuerà a seguire il suo destino dopo la nostra scomparsa.
A fronte di questa catastrofica situazione Latouche propone un concetto di DECRESCITA, di abbandono del superfluo e di ciò che non è indispensabile.
Per scongiurare l'implosione del sistema è indispensabile un'autolimitazione della dismisura dei modi di produzione e di consumo dominanti, che sono soprattutto quelli delle classi dominanti.
L'autolimitazione si sposta così dal livello della scelta individuale al livello del progetto sociale.
C'è anche un'interessante analisi che riporta al progressivo insorgere dei cosiddetti sovranismi:
"Ogni cultura è per natura etnocentrica. Gli appartenenti a una determinata cultura sono persuasi che i loro valori sono i migliori e che sono quelli dei loro vicini sono meno buoni dei loro, se non cattivi".
ANTONIO G. D’ERRICO – L’uso ingiusto della Giustizia
Massimo Terzi, Presidente del Tribunale di Torino: "Ogni anno finiscono sotto processo 150mila persone che poi verranno assolte. Da quando è entrato in vigore il nuovo codice l'esperienza devastante di subire un processo da innocenti è toccata ad oltre 5 milioni di persone". Verte su queste vicende il libro di D'Errico che raccoglie testimonianze e le vicende di imprenditori, ufficiali delle forze dell’ordine, gente comune, ritrovatisi in una maligno vortice di ingiustizia perpretata proprio da chi doveva loro garantiglierla.
VISTO
ZEROCALCARE - Strappare lungo i bordi
E' molto bello avere un autore, fumettista, intellettuale (esatto, INTELLETTUALE) come ZEROCALCARE che scrive e propone piccoli capolavori come "Strappare lungo i bordi", con la capacità di gestire il difficilissimo equilibrio tra risata (anche grassa) e pura commozione, aprire ferite nuove e antiche, scrivere e rappresentare realtà e attualità in modo, allo stesso tempo, leggero e profondo.
Le sei puntate della serie su Netflix sono irresistibili e da vedere e il tanto criticato romanesco parlato è un'ulteriore aggiunta qualitativa.
Senza dimenticare i costanti riferimenti a quel sottobosco antagonista che continua a vivere, pulsare e (r)esistere in un mondo così difficile e rivoltante.
Per me, stupendo.
COSE VARIE
Ogni giorno mie recensioni italiane su www.radiocoop.it (per cui curo ogni settimana un TG video musicale - vedi pagina FB https://www.facebook.com/RadiocoopTV/).
Ogni domenica "La musica ribelle", una pagina sul quotidiano "Libertà", ogni mese varie su CLASSIC ROCK.
Ogni sabato un video con aggiornamenti musicali sul portale https://www.facebook.com/goodmorninggenova
Periodicamente su "Il Manifesto" e "Vinile".
IN CANTIERE
Un nuovo libro in pubblicazione l'11 gennaio 2022 dedicato al Soul, appena uscito "Crocodile Rock", scritto con Ezio Guaitamacchi per Hoepli, i dettagli qui:
https://tonyface.blogspot.com/2021/11/ezio-guaitamacchi-antonio-bacciocchi.html
Giovedì 28 dicembre all'Hotel Helvetia 17:30 di Porretta terme (BO) Presentazione del libro “Soul” di Antonio Bacciocchi Ed. Diarkos all'interno del PORRETTA SOUL FESTIVAL.
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lunedì, novembre 29, 2021
Beatles - Get Back
Approfondirò successivamente le impressioni sul film "Get Back" di Peter Jackson.
Queste sono le prime conclusioni e sensazioni.
PREMESSA 1.
Il film è pertinenza (quasi) esclusiva degli hardcore fan dei BEATLES.
Solo loro sono in grado di apprezzare, (sopportare), comprendere in pieno, le OTTO ore di film.
Presumibilmente per il resto del mondo le prove, gli scherzi, i dialoghi, i litigi, le improvvisazioni caotiche, le cover raffazzonate risulteranno insignificanti,noiose e inutili.
PREMESSA 2.
Dopo queste riprese i Beatles proseguiranno la carriera per un altro anno, incidendo il capolavoro "Abbey Road" (probabilmente il loro migliore album) e il singolo con gli inediti "The ballad of John & Yoko"/"Old Brown Shoe".
Non si tratta di conseguenza di immagini che documentano la "fine della band".
Il film ha una perfetta logica, poco comprensibile all'inizio.
Ovvero la ricostruzione (inconsapevole), certosinamente dettagliata, del concerto sul tetto del 30 gennaio 1969, che passa attraverso una lunga serie di progetti e idee, progressivamente disattese ed eliminate.
Si parte da un gruppo distrutto, indifferente, annoiato, tenuto in piedi solamente da Paul, alla ritrovata voglia, freschezza, energia dei quattro che recuperano l'unità dei primi tempi e la gioia di stare insieme e di volerlo fare ancora a lungo.
In mezzo giganteggia Macca, per la sua spaventosa capacità creativa, produttiva, ingegnosa nel sapere scrivere e arrangiare.
Infine:
i colori, la naiveté dei protagonisti e di chi sta loro intorno, l'abbigliamento del pubblico del concerto sul tetto, le pettinature, le minigonne, le giacche a tre bottoni, la sensazione di un mondo nuovo che stava per esplodere.
Un incredibile ritratto di un'epoca.
E inoltre:
i Beatles sapevano suonare benissimo, raffinati quandi necessario, duri quando serviva, armonie vocali da brividi, senso del groove innato, Billy Preston sublime a unire la band, una spanna su tutti.
Ultima:
Love Yoko.
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domenica, novembre 28, 2021
Anfiteatro Romano di Piacenza
PIACENZA con il nome di Placentia fu fondata dai Romani nel 218 a.c.
Divenne importante centro commerciale sulla via Emilia oltre che porto fluviale, sorgendo sulle sponde del Po.
A pochi passi dal centro nel 1981 la Soprintendenza archeologica dell’Emilia-Romagna, individua parti delle mura romane e di un grande edificio che deve ritenersi il teatro (o anfiteatro).
Quasi sicuramente con la rara caratteristica di avere gli spalti in legno e le fondamenta in pietra.
La Soprintendente Mirella Marini Calvani la ritiene ‘una scoperta di eccezionale importanza‘.
Nonostante ciò i resti vengono coperti e costruito un palazzo dell'ENEL.
Dopo vari passaggi di proprietà e l'abbattimento del vecchio edificio nel luglio 2014 la giunta comunale dell’amministrazione guidata dal Pd approva un ‘aggiornamento’ del Piano di recupero, con permesso di costruire di nuovo in loco.
Per giustificarsi nei confronti delle numerose proteste di associazioni e cittadini escono varie dichiarazioni che parlano di pochi resti poco significativi.
Smentiti da vecchie foto che testimoniano ben altro e dal Soprintendente regionale Marco Edoardo Minoia:
“La decisione di coprire il reperto con un solettone cementizio … era stata dettata unicamente da ragioni di convenienza economica, non certo da considerazioni sulla qualità dei reperti”.
Manlio Lilli archeologo impegnato nella tutela e valorizzazione del Patrimonio culturale italiano:
“A Piacenza il centro storico insiste sull’antica città romana, sulla quale ci sono studi passati e recenti. I resti erano stati individuati negli anni ‘80 da indagini preliminari dalla Sovrintendenza. Oltre alla cinta muraria, all’esterno di questa, era stato rinvenuto un edificio per spettacoli, probabilmente un teatro. L’identificazione delle mura è certo, questa costruzione, comunque molto imponente, è più dubbia".
Da: https://archivio.piacenza24.eu/64900-ex-enel-negozi-e-appartamenti-su-teatro-romano-larcheologo-uno-scempio/
Ora sui resti sorge un nuovo edificio con uffici e appartamenti.
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sabato, novembre 27, 2021
Crocodile Rock a Milano e Brescia
Presentazioni di CROCODILE ROCK – STORIE, ANEDDOTI, CURIOSITÀ E TUTTO CIÒ CHE UNISCE MUSICA E ANIMALI (Hoepli), la nuova opera editoriale dello scrittore e giornalista musicale EZIO GUAITAMACCHI e del musicista e scrittore ANTONIO BACCIOCCHI, che per la prima volta raccoglie in un libro tutti i legami esistenti tra il mondo della musica e quello degli animali.
SABATO 27 NOVEMBRE ALLE ORE 16.00
PRESSO LA CASCINA NASCOSTA (Viale Emilio Alemagna, 14, 20121 Milano)
EZIO GUAITAMACCHI, ANTONIO BACCIOCCHI E FLAVIO OREGLIO
dialogheranno sui fatti e le curiosità del libro
CONTIBRUTI MUSICALI DI BRUNELLA BOSCHETTI E ANDREA MIRÒ
DOMENICA 28 NOVEMBRE ALLE 17.30 AL BEATLES MUSEUM di Brescia
Sul palco, con Ezio Guaitamacchi e le sue chitarre, la voce di BRUNELLA BOSCHETTI, il talento artistico di ANDREA MIRO’ e la partecipazione di ANTONIO BACCIOCCHI, co-autore di "CROCODILE ROCK”.
Nelle pagina di GOODMORNING GENOVA prosegue il mio excursus sul calcio "strano".
https://www.goodmorninggenova.org/2021/11/25/il-calcio-surreale-di-gheddafi-di-antonio-bacciocchi/
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I me mine
venerdì, novembre 26, 2021
The Times: My Picture Gallery – The Artpop! Recordings, 6CD Box Set
Iconica band degli anni 80, tra mod, beat, artpop, i TIMES hanno sempre vissuto sottotraccia, con scarsi riscontri commerciali ma lasciando album di grandissimo valore e livello.
La band di Edward Ball trova finalmente la giusta considerazione con un box di sei cd che raccoglie gli album ‘Go! With The Times’(del 1980 ma pubblicato solo cinque anni dopo), ‘Pop Goes Art!’ (1982), ‘This Is London’ (1983), ‘Hello Europe’ (1984), ‘Up Against It’ (1986) e ‘Enjoy’ (1986).
Scontata l'aggiunta di bonus e rarità, per un totale di 126 brani che raccontano al meglio la carriera del gruppo.
L'etichetta autogestita di Ed Ball, la Whaaam! Records, fu grande fonte di ispirazione per Alan Mc Gee (che sull'onda dell'esperienza dei Times creò i suoi Biff Bang Pow) nella fondazione della Creation Records, per la quale successivamente i Times hanno inciso parecchi album (pormai però come marchio di fabbrica del solo Ed Ball, che non mancò di incidere anche qualche prova solista).
The Times: My Picture Gallery consente di recuperare la memoria storica di un gruppo molto personale e originale.
I suoni sono piuttosto datati e risentono di una produzione "casalinga" ma la creatività che emerge e i riferimenti profondi e accurati per la cultura Sixties, meritano una rinnovata attenzione.
I Times hanno proseguito discograficamente fino alla fine degli anni 90 per poi scomparire, come lo stesso Ball, dalla circolazione se non per sporadiche apparizioni concertistiche (ricordiamo quella al 45° Raduno Mod di Savona dell'11 aprile 2004 che aprimmo noi con il Link Quartet. Ed Ball si presentò con l'ex Chords Buddy Ascott alla batteria ).
The Times - I Helped Patrick McGoohan Escape
https://www.youtube.com/watch?v=JzUCCl9YaBQ
The Times - Manchester
https://www.youtube.com/watch?v=3n_kfYzG33c
The Times - Miss London
https://www.youtube.com/watch?v=r7-27ekyVfU
The Times - This is London
https://www.youtube.com/watch?v=cpU0dt16ivE
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mercoledì, novembre 24, 2021
The Special Aka and Rhoda Dakar - The boiler
The Special Aka and Rhoda Dakar - The boiler
https://www.youtube.com/watch?v=Va5Rdg3ibBI&t=1s
The Oxford Roadshow (voce live sulla base originale - B side del singolo)
https://www.youtube.com/watch?v=S1xCTS87wEo
The Specials & Rhoda Dakar - The Boiler live 1981 a Toronto
https://www.youtube.com/watch?v=A0_NMPhuin8
In occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne 2021, propongo uno dei brani più crudi e insopportabilmente espliciti sul tema: The Boiler degli Special Aka con Rhoda Dakar.
Fu il primo brano composto dalle Bodysnatchers, prima band di Rhoda Dakar, fino ad allora specializzata solo in cover ska.
La produzione fu affidata a Jerry Dammers degli Specials ma il brano non fu pubblicato.
Solo successivamente a uno dei tanti scioglimenti degli Specials ritrovò la luce sotto il nome di The Special Aka featuring Rhoda Dakar e uscì l'11 gennaio 1982 suonato da Jerry Dammers, John Bradbury, Dick Cuthell (tutti ex Spacials), John Shipley degli Swinging Cats, Nicky Summers (ex Bodysnatchers).
Nonostante il tema molto duro arrivò al 35° posto delle classifiche inglesi.
Il brano parla di una donna, dalla scarsa autostima, tanto da definire sé stessa "una caldaia" (The Boiler) che alla fine di una serata trascorsa a ballare viene violentata in un vicolo dall'uomo che l'aveva invitata fuori.
L'interpretazione di Rhoda è straziante e rende in modo agghiacciante la violenza subita dalla protagonista (il brano fa riferimento allo stupro di una sua amica).
Il brano ricevette scarsa attenzione dalle radio, il video fu trasmesso raramente.
Il testo rende alla perfezione il climax della canzone.
The Boiler
Sabato scorso sono andata a fare shopping
Stavo acquistando qualcosa quando questo ragazzo si è offerto di pagare
Chi è questo fusto? pensai tra me e me
Sono così tanti anni che sono stata lasciata sullo scaffale
Una vecchia caldaia
Poi siamo tornati a piedi lungo la strada principale
E mi sentivo così orgoglioso perché sembrava così pulito
Era un vero uomo duro, duro come vengono
Ha detto che ero figo ma mi sentivo comunque
Una vecchia caldaia
Mi ha chiesto: "Usciamo?", come potevo dire di no?
Ha detto "Ci vediamo alle otto vicino a casa mia"
Con i miei vestiti nuovi addosso e una pettinatura fatta con il phon
Ma nella mia mente sapevo di essere stupida
Una vecchia caldaia
Abbiamo ballato tutta la notte con un "nice steady beat"
Ma i miei capelli sono diventati crespi per il caldo terribile
Il mio mascara colava e anche i miei collant
Confermando ai miei occhi che ero solo
Una vecchia caldaia
Quindi siamo usciti da questo club, caldi e sudati
Perché abbiamo ballato tutta la notte
E lui mi dice "Beh piccola, che fai allora?"
"Beh, penso che potrei prendere un taxi"
"Nah nah, torna a casa mia, vivo qua dietro l'angolo
Puoi andare a casa domattina, no?"
"Beh, non credo, ti conosco solo da un giorno, è un po' presto, che dici?
Dammi uno squillo qualche volta ok?"
E allora inizia ad arrabbiarsi
"Ascolta qui ragazza, ti ho comprato i vestiti che indossavi, ti ho pagato l'ingresso stasera
Ti ho comprato tutti quei drink e tu vuoi andare a casa"
E poi se ne è andato via.
Così gli sono corso dietro, l'ho raggiunto
Ed eccoci qui a camminare per questa strada a circa cento miglia all'ora
A braccetto, senza parlare, un'atmosfera che avresti potuto tagliare con un coltello
Non c'è nessuno in giro, niente per distrarti
Niente auto, nemmeno il solito cane randagio
Faceva freddo e il vento fischiava tra gli alberi
Soffiando giornali sulle mie gambe, così sono inciampata mentre cercavo di stargli dietro
E c'erano tutti questi vicoli e ponti ferroviari, la puzza di piscio
All'improvviso mi ha preso per il braccio
E ha iniziato a trascinarmi in uno di questi vicoli
Poi inizia a colpirmi molto forte in faccia
Mi stava colpendo e mi stringeva
È stato terribile perché era grande e grosso
Mi ha colpito e mi ha strappato i vestiti
Non c'era niente che potessi fare, ero impotente
E poi ha provato a violentarmi, e non c'era niente che potessi fare, davvero
Tutto quello che potevo fare era urlare: nooo...
Malik Al Nasir - Letters to Gil
Riprendo l'articolo che ho firmato sabato scorso per "Il Manifesto".
E' una storia incredibile quella di Malik Al Nasir.
Una vita destinata a una triste prospettiva, salvata e redenta dalla musica e da un personaggio unico, un intellettuale, artista, poeta, attivista, Gil Scott Heron.
Spesso impropriamente definito il “padre del rap” di cui comunque contribuì a costruire le basi, ispirandosi ai suoi contemporanei Last Poets, nella New York dei primi anni Settanta.
Ma Gil fu molto di più.
Portò avanti una sorta di concetto di “musica totale”, in cui confluivano tutte le sfumature della black music (dal blues al gospel, con cui era nato, fino al soul, al funk, al rhythm and blues) ma anche quelle del sound latino con cui era cresciuto nel quartiere portoricano di Chelsea, nella Big Apple. Una fusion spesso complessa ma sempre accattivante su cui si innestavano testi incredibilmente poetici e politici, colmi di aspro sarcasmo nei confronti delle istituzioni e del potere costituito.
Malik, nato come Mark Trevor Watson a Liverpool, padre della Guyana, madre inglese, visse un'infanzia tranquilla a Toxteth, il quartiere black della città, fino a quando la famiglia si sfasciò e per un furto, in realtà mai commesso, finì, a nove anni, nell'inferno dei riformatori di sua maestà, dove subì soprusi, abusi psicologici e fisici di ogni tipo.
Uscito a 16 anni, con l'unica prospettiva di intraprendere una vita di illegalità (“per lavorare occorrevano referenze e le uniche che avevo io erano anni passati in un carcere minorile e avere la pelle nera in un paese razzista”), si imbatte nella musica di Gil Scott Heron dalla quale rimane affascinato e colpito.
Quando Gil arriva a Liverpool si fionda al concerto.
“Gil ha parlato, ha suonato jazz, era un poeta, ha insegnato. Stava solo cantando una canzone ma era come se fosse parte di un'anima collettiva che viveva nella stanza del locale”.
Riesce a entrare nel backstage, solo per volersi complimentare con il suo idolo.
Ma Gil gli chiede inaspettatamente se lo volesse accompagnare a vedere i luoghi di Toxteth in cui recentemente c'era stata una violenta rivolta della comunità nera contro i metodi violenti e razzisti della polizia.
Malik acconsente e poi invita Gil e la sua band il giorno successivo a pranzo. Non ha un casa, vive in un rifugio per senza tetto, non ha soldi, solo un minimo di sussidio statale.
Racimola quello che può, mette a frutto l'esperienza di cuoco imparata in riformatorio e offre il pranzo a tutta la band in una casa prestatagli da un amico. Alla fine Gil gli allunga 100 sterline ma lui rifiuta, è un regalo che ha voluto fare al suo idolo.
Allora Gil gli chiede se vuole unirsi alla band. “Ma io non so fare niente per una band”.
“Saprai caricare e scaricare un amplificatore da un camion o portare le bacchette al batterista o un cavo al chitarrista”.
Malik diventa così parte della crew di Gil Scott Heron, gira il mondo, impara le tecniche dei fonici e sostanzialmente “facevo tutto quello che non stavano facendo gli altri. Questo era il mio motto”. Gil “vide qualcosa in me che non vedevo in me stesso: il mio potenziale".
Durante i lunghi viaggi il musicista scopre che Malik era semi analfabeta, anche a causa di una forma di dislessia mai curata.
E allora incomincia a insegnargli a leggere e a scrivere, facendo tesoro della sua immensa cultura e di un master in inglese, conseguito all'Università di Lincoln. Lo introduce ai classici sulla autoconsapevolezza degli afroamericani, ai testi che parlano dei diritti civili da rivendicare, alle poesie di Langton Hughes, ai libri di Zola Neale Hurston, al blues e al soul di Nina Simone e Billie Holiday. Sprona Malik a scrivere e quando riceve le sue prime composizioni gliele corregge, aggiusta, lo consiglia.
“Una mattina mentre eravamo sul tour bus Gil incominciò a leggere ad alta voce i miei scritti. Mi chiese perché avevo usato questa parola e non quella, che cosa volevo dire con questa frase, cosa significa questo concetto. Per la prima volta nella mia vita avevo un insegnante. La cosa è andata avanti per molti anni. Anche quando eravamo lontani scrivevo le mie poesie e gliele mandavo via lettera. E quando ci ritrovavamo in tour lui le tirava fuori e le commentavamo insieme”.
Dopo un po' di tempo Gil lo “licenzia” affinché si trovi un lavoro e incominci a gestire la propria esistenza. Malik sceglie la dura vita del marinaio che lo porta di nuovo in giro per il mondo, subendo ancora una volta il razzismo degli equipaggi delle navi per cui lavorava dove non di rado era l'unico nero. Sfrutta questi lunghi mesi in mare per leggere e scrivere, ascoltare musica, imparare.
Si iscrive successivamente all'università e consegue due lauree, in sociologia e geografia oltre a un diploma post laurea in ricerca sociale e un master in produzione multimediale.
“Ho continuato ad andare in tour con Gil quando ho potuto. Era così fiero di me. La mia laurea era il culmine di tutto ciò che aveva investito in me e io avevo investito in me stesso. Quello che Gil mi ha dato era una ragione per cui vivere.”
Nel 1992 incontra i Last Poets e viene introdotto all'Islam.
Cambia nome e diventa il manager del loro cantante, Jalal, incominciando una proficua carriera in ambito discografico, lavorando anche con Public Enemy, Steel Pulse, Run DMC, Wailers, Wyclef Jean. Fonda la compagnia di produzione MediaCPR e l'etichetta MCPR Music e anche una band, Malik and the OG's con cui suona e incide dischi. Quando Gil Scott Heron entrò nella sua fase più oscura, fatta di dipendenza, periodi da homeless, finendo poi in prigione, Malik non mancò mai di supportarlo, ricevendo in cambio un nuovo incoraggiamento.
Ovvero pubblicare le sue poesie che aveva raccolto in abbondanza nel corso degli anni. Nel 2004, dopo aver ricevuto un risarcimento dallo stato inglese per le ingiustizie subite nell'adolescenza, fonda una sua casa editrice, la Fore-Word Press, con cui pubblica Ordinary Guy.
E' spesso protagonista di articoli sulla stampa inglese in relazione ai problemi dei rifugiati, all'esclusione sociale, al razzismo. Quando Gil venne finalmente rilasciato dalla prigione, poco prima di morire, nel 2011, Malik riuscì, grazie all'intercessione di Wyclef Jean, a farlo reincontrare con Stevie Wonder, uno degli amici che aveva fatto di tutto per portarlo fuori dalla palude della droga.
La vita di Malik Al Nasir è ora raccolta in un toccante e duro libro autobiografico, da poco pubblicato in Usa e Canada da William Collins Editore, intitolato Letters To Gil.
Una trasformazione umana, sociale, politica.
Il ribaltamento dai giorni in cui, scrive nel libro, quando gli dicevano “Nigger!” rispondeva “Sorry”, frutto della mentalità dell'Inghilterra degli anni Settanta in cui a scuola i bambini di colore venivano irrisi e discriminati in primo luogo dagli stessi insegnanti e trattati come persone inferiori. La rivalsa postuma contro le politiche del comune di Liverpool che prima lasciava che a Toxteth si aprissero locali per neri senza particolari controlli, per, sostiene Malik, “tenere lontana la comunità black dal centro storico dove risiedeva la borghesia bianca” e che successivamente, con una politica pragmaticamente crudele, sparse chirurgicamente le famiglie nere in altri quartieri per soffocare il senso di unione e solidarietà tra gli immigrati.
Un libro che riassume una storia acre e difficile, attraverso il rapporto tra un maestro e un allievo tenace e sincero che, attraverso l'educazione e l'amore per il prossimo, ha trovato una strada.
“Gil è stata la persona più importante per me durante la mia vita adulta. Grazie, Gil. Mi hai salvato la vita".
Malik Al Nasir ha un profilo Facebook:
https://www.facebook.com/malik.alnasir
Malik Al Nasir Letters to Gil
William Colllins Editore (www.williamcollinsbooks.com)
300 pagine
20 sterline
29 dollari
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martedì, novembre 23, 2021
Hardcore punk
Ho scritto questo articolo,, uscito ieri, per il quotidiano di Piacenza, "Libertà".
E' un tentativo di spiegare in poche righe a "persone NON informate sui fatti" cosa è stato l'HARDCORE PUNK.
Utilizzando quindi parole semplici e riferimenti non necessariamente specifici.
Quando nel 1977 il punk esplose, mediaticamente e artisticamente, erano davvero in pochi a immaginare che oltre quaranta anni dopo sarebbe stato ancora ricordato, seguito e rimasto vivo e vegeto, con una presenza nella musica e nel costume, magari di nicchia, ma ampiamente consolidata.
E se già agli esordi le sue emanazioni e contaminazioni erano molteplici - a partire da quella che verrà ben presto definita New Wave, fino alle ibridazioni con pop, reggae, funk - era difficile prevedere che la sua più diretta filiazione sarebbe sfociata in quello che conosciamo oggi come hardcore punk.
Una forma di punk rock esasperata dalla violenza sonora e soprattutto dalla velocità di esecuzione.
Oltre a testi che sublimano il nichilismo originario del punk, si aggiungono connotati politici ancora più estremi e tematiche che fanno riferimento a realtà spesso intrise di disperazione, violenza.
Non pochi dei protagonisti originari della scena americana erano ragazzi e ragazze che vivevano di espedienti, fuggiti da famiglie disastrate, non di rado vittime di abusi di ogni tipo, anche da parte delle forze dell'ordine che, in particolare a Los Angeles, facevano pratica di repressione fisica proprio nei confronti dei giovani punk senza casa (e quindi senza alcuna possibile tutela legale). Altra particolarità che caratterizza la prima scena hardcore è la totale opposizione alle case discografiche ufficiali, a cui viene contrapposta una rigida politica di autoproduzione e di costituzione di piccole etichette autogestite che stampano dischi venduti a basso costo.
L'hardcore punk nasce a cavallo tra la fine dei Settanta e l'inizio degli Ottanta, soprattutto a Los Angeles e New York, per poi espandersi in numerose altre città americane, prima di approdare in un secondo tempo in Europa, dove si sviluppano scene di primaria importanza, ancora prima che in Inghilterra. L'Italia sarà un'eccellenza nell'ambito, creando un carattere sonoro molto personale e distintivo. I primi nomi a scrivere le radici del genere sono Black Flag, Dead Kennedys, Bad Brains, i canadesi DOA (a cui viene attribuito l'origine del nome, grazie al loro album “Hardcore 81” dello stesso anno).
Una peculiarità che rende originale e creativo l'hardcore punk è innanzitutto la grande perizia tecnica di molti dei musicisti delle migliori band.
Che non basano il sound solo sulla velocità e la violenza ma introducono elementi creativi anomali. Ad esempio i riff di chitarra dei Dead Kennedys sono spesso influenzati da scale arabe o da riferimenti alla surf music, i Black Flag (noti anche per dedicare alle prove ore e ore ogni giorno) inseriscono volentieri rimandi al metal e perfino al jazz, i Bad Brains arrivano dalla fusion e amano intervallare il loro furore e la velocità supersonica dei brani con avvolgenti intermezzi reggae, i Germs aprono il loro primo singolo “No God” con l'intro chitarristico di “Roundabout” del gruppo prog degli Yes, da loro amatissimi (a suonarlo Pat Smear, collaboratore dei Nirvana e che entrerà successivamente nei Foo Fighters).
Sono numerosi anche i musicisti che arrivano dal jazz.
Il filo conduttore comune è la repulsione (almeno inizialmente) per il rock classico che era invece alla base del punk che, in buona parte dei casi, rendeva più violente e aggressive le radici rhythm and blues, rock 'n' roll e glam delle loro influenze (vedi Clash, Ramones o Sex Pistols, ad esempio).
Anche l'estetica dei protagonisti è particolarmente distintiva. Pochi giubbotti di pelle o capelli colorati ma look semplice, minimale: magliette, calzoni larghi o corti, teste rasate ma anche capelli lunghi, nessuna concessione “glamour”, pura essenzialità.
E se la droga e gli eccessi sono comuni in molti rappresentanti della scena, si sviluppa anche una frangia cosiddetta “straight edge”, che rifiuta alcol e sostanze e abbraccia una vita salutista.
I prodromi musicali dell'hardcore li troviamo nell'esordio dei Germs, “GI”, del 1979, probabilmente il migliore album di sempre del genere o nei Middle Class ma è dal 1980 che esplode la scena, con nomi, oltre a quelli già citati, come Circle Jerks, Zero Boys, TSOL, Adolescents, a cui si uniranno ben presto centinaia di altri gruppi destinati a fare la storia, dai Bad Religion agli Husker Du, Meat Puppets, Fear, Minor Threat, Social Distortion.
Ognuno con caratteristiche personali e distintive che non di rado caratterizzano la zona di provenienza.
In Inghilterra si distinguono fin da subito Discharge e GBH mentre, come detto, l'Italia riveste un ruolo di primaria importanza.
Il nostro hardcore è serratissimo, cantato in italiano, spesso estremamente politicizzato.
Ed è diverso da quello di tutto il mondo, non ha orpelli produttivi, non è mai levigato e diventa quasi un genere a sé. Suona duro, grezzo, vero, sgangherato ma anche qui abbiamo signori musicisti (molti li ritroveremo successivamente protagonisti di primo piano della musica italiana, da Neffa al produttore Roberto Vernetti).
Nomi come Raw Power, Negazione, Indigesti, Wretched, Impact, Crash Box, Cheetah Chrome Motherfuckers tra i tanti, escono dai confini nazionali e diventano realtà di culto in Europa e America.
Ovunque si creano spazi occupati da giovani ragazzi e ragazze che prendono possesso di edifici dismessi e abbandonati e li trasformano in luoghi di aggregazione, cultura, concerti, solidarietà, eventi, presentazioni di libri, teatro.
Una folla di migliaia di giovani che assorbono un'attitudine rivoltosa, messaggi politici precisi, diretti e senza compromessi, una visione della vita e della società profondamente diverse. Saranno in tanti a trarne beneficio e a vivere successivamente meglio da un punto di vista etico e morale.
Quest'epoca si esaurisce a fine degli anni 80, anche se sono molti i gruppi musicali che ne raccolgono il testimone ma che non riescono più a riproporre la stessa urgenza, sincerità, approccio. L'hardcore punk (vedi nuovi nomi come Green Day, Blink 182, Offspring o NoFx) diventa un surrogato dell'impatto rivoluzionario originale, viene divorato dall'industria discografica e di abbigliamento, liofilizzato e servito su un piatto presentabile e appetibile. Non è una novità.
E' anzi la regola che ciò che nasce dal basso sia semplicemente un “laboratorio” gratuito per la potenziale successiva massificazione, in base a quanto queste nuove tendenze vendano e siano ben recepite dai futuri consumatori.
Fortunatamente nel sottobosco cova ancora una fiamma in cui spontaneità e attitudine si rivelano sporadicamente proponendo nuovi nomi, destinati a rimanere appannaggio di pochi ma che mantengono acceso il fuoco. Sono usciti tantissimi libri che ricordano e dissertano di questo ambito.
Recentemente GoodFellas Edizioni ha pubblicato un librone di oltre 500 pagine, “Virus. Il punk è rumore”, in cui Marco Teatro e Giacomo Spazio raccolgono un'incredibile mole di materiale prodotta dal centro sociale Virus di Milano durante la sua attività, dal 1982 al 1989: volantini, locandine, fogli, fanzine, ritagli di giornale.
L'aspetto più interessante e affine allo spirito originario è che non ci sono analisi sociologica, approfondimenti o pareri personali ma solo ciò che è stato realizzato, nudo e crudo, una foto in bianco ma soprattutto nero di ciò che è stato in quegli anni con tutte le ingenuità, l'approssimazione, la freschezza, l'urgenza, l'irruenza, la cattiveria, la disperazione l'ironia, la rabbia di quei tempi. E' uno dei testi più interessanti in tal senso, che si discosta da quell'infausta modalità ormai consolidata di ricordi dei vari protagonisti (soprattutto americani) in cui si evidenziano solo gli aspetti spettacolari (risse, scontri con la polizia, droghe e fatti incresciosi e sensazionalistici), lasciando l'aspetto e lo spessore culturale in secondo piano (o addirittura non menzionandolo minimamente).
Personalmente ho frequentato spesso il “Virus” e la scena hardcore (sono passati alla “storia” i concerti che organizzavamo a Piacenza all'Osteria di Sacc di via Taverna – ora Chez art – la domenica pomeriggio con i migliori gruppi italiani, proprio per permettere la partecipazione di appassionati quasi tutti minorenni e quindi senza patente, che arrivavano da mezza Italia in treno), suonandoci anche nel 1982 con i “miei” Chelsea Hotel in una tre giorni che raccolse tutti i gruppi italiani, chiamata “Offensiva di primavera”.
Tempi passati e vissuti al 100% e che è giusto cristallizzare nell'epoca in cui avevano un senso ben preciso e il cui revival è tutt'altra cosa.
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Cultura 80's
lunedì, novembre 22, 2021
Zerocalcare - Strappare lungo i bordi
E' molto bello avere un autore, fumettista, intellettuale (esatto, INTELLETTUALE) come ZEROCALCARE che scrive e propone piccoli capolavori come "Strappare lungo i bordi", con la capacità di gestire il difficilissimo equilibrio tra risata (anche grassa) e pura commozione, aprire ferite nuove e antiche, scrivere e rappresentare realtà e attualità in modo, allo stesso tempo, leggero e profondo.
Le sei puntate della serie su Netflix sono irresistibili e da vedere e il tanto criticato romanesco parlato è un'ulteriore aggiunta qualitativa.
Senza dimenticare i costanti riferimenti a quel sottobosco antagonista che continua a vivere, pulsare e (r)esistere in un mondo così difficile e rivoltante.
Per me, stupendo.
Il trailer
https://www.youtube.com/watch?v=k6CYziZBOqg
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Film
domenica, novembre 21, 2021
Hasankeyf - Turchia
Parte una nuova rubrica (grazie a Rita Lilith Oberti per il suggerimento) sui luoghi che non rivedremo più.
Hasankeyf, situata in Anatolia sud orientale, poco più a nord di Siria e Iraq, definita un “gioiello dell’umanità” e “zona di conservazione naturale” in predicato di diventare protetta dall'Unesco, è stata definitivamente sommersa dalla diga Ilisu sul fiume Tigri.
Un luogo con 12.000 anni di storia in cui hanno vissuto Sumeri, Assiri, Babilonesi, Omayyadi, Bizantini, Abbasidi, Curdi.
Con 5mila grotte e oltre 300 tombe cancellate dall'acqua.
Oltre a 200 villaggi curdi e decine di migliaia di persone che hanno dovuto lasciare la terra in cui vivevano.
La diga, controllata dalla Turchia, provocherà carenza d'acqua per le popolazioni curde in Siria e Iraq, con conseguente possibilità di "ricatto idrico" nei loro confronti, nuova "arma da guerra non convenzionale".
Le sconcertanti immagini di prima e dopo:
https://www.youtube.com/watch?v=06dh-zOnOUw
Un doc precedente al disastro:
https://www.youtube.com/watch?v=x_OI7jqYkzE
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I luoghi che non rivedremo più
sabato, novembre 20, 2021
°° Crocodile Rock a Milano e Brescia
°° The Who. Cremona Osteria del Fico
°° Circolo Belleri Piacenza
Sabato 27 alle ore 16 a Cascina Nascosta di Milano, presentazione del libro "Crocodile Rock".
https://cascinanascosta.org/
Domanica28 a Brescia al Beatles Museum di Brescia.
Maggiori dettagli nel post di sabato prossimo.
Martedì 23 novembre a CREMONA, ore 21
THE GREAT ROCK'N'ROLL SINNERS
Sette viaggi serali tra miti e diavoli tentatori del rock
Edizione dedicata con affetto alla memoria di Maurizio Principato
The Who ospite speciale Antonio Bacciocchi
martedì 23 novembre 2021 • ore 22:00
Antica Osteria del Fico • Via Guido Grandi, 12 • Cremona
rassegna a cura di Carmine Caletti
in collaborazione con Cremonapalloza
https://www.facebook.com/events/210582827814730
Inaugura a Piacenza il Circolo Arci Belleri, nuovo spazio per musica, cultura, spasso.
Oggi dalle 18
Corso Vittorio Emanuele II 299 29121 Piacenza
https://www.facebook.com/circolobelleri
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I me mine
venerdì, novembre 19, 2021
Laibach live a Pyongyang Agosto 2016
Uno dei concerti più particolari nella storia della musica "rock" (il primo di una band occidentale) si tenne in due date, il 19 e 20 agosto 2016 a Pyongyang, capitale della Corea del Nord, al Conservatorio "Kim Won Gyun".
Il (breve) The Liberation Day Tour ricordava il 70º anniversario della fine dell'occupazione giapponese della Corea nel 1945.
I Laibach, band industrial slovena/ex yugoslava (sono nati nel 1980), hanno sempre pesantemente "giocato" con i simboli degli autoritarismi (fin dal nome, affibbiato dai tedeschi a Lubijana, durante l'occupazione nazista), in particolare il nazismo, a cui hanno associato estetica e richiami coreografici, non preoccupandosi mai di smentire risolutamente i legami ma rispondendo con ironia e doppi sensi ("Siamo nazisti tanto quanto Hitler era un artista").
Il doppio concerto in Corea del Nord fu un ulteriore passo verso la rappresentazione musicale e scenica del concetto di autoritarismo estremo.
"Non andiamo in Corea del Nord per provocare i coreani, ci andiamo per provocare il resto del mondo."
Le trattative durarono un paio di anni, grazie al regista norvegese Morten Traavik, furono ovviamente difficoltose ma proficue, fino a raggiungere l'accordo per l'esibizione.
"Si è creato un legame di fiducia, cosa molto importante. Se non si fidano di te, non puoi fare nulla".
Altrettanto complesso trattare su ciò che si poteva o non poteva fare durante il concerto ma trovarono un compromesso senza troppi problemi (niente scene di nudità, ad esempio, la pudicizia del popolo nord coreano non contempla nemmeno quella nelle statue).
Nel film di Traavik, "Liberation Day", che documenta l'esibizione, si vede parte del pubblico (1.500 persone ogni sera) attento, altri indifferenti, altri ancora annoiati.
Sono persone medio borghesi, cittadini (in Corea del Nord la differenza tra chi abita nella capitale e chi nelle campagne è abissale), lavoratori statali, non c'erano contadini e nemmeno giovanissimi.
"Pensavamo che andando avremmo imparato qualcosa sulla Corea del Nord, ma in realtà quando vai lì, ti rendi conto che non saprai mai nulla.
Perché non sei mai sicuro.
È reale quello che stiamo vedendo? È una messa in scena?
Ti fai sempre domande."
Non diversamente dall'etica artistica e comunicativa dei Laibach.
Laibach live a Pyongyang
https://www.youtube.com/watch?v=SQORt5Y7Eqo
Laibach - Sound of silence
https://www.youtube.com/watch?v=2oD0W6SSBUA
Il sito del film Liberation Day
http://www.liberationday.film/
Il trailer del film
https://www.youtube.com/watch?v=WBuYjttUQn8
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Rock Tales
giovedì, novembre 18, 2021
Jesus Christ Superstar
Usciva 51 anni fa, nell'autunno del 1970, il doppio album Jesus Christ Superstar, opera rock a sfondo religioso che racconta l'ultima settimana di vita di Gesù Cristo, vista nell'ottica di Giuda, composta da Tim Rice e Andrew Lloyd Webber (è uscito un box celebrativo triplo con alcuni inediti e una rimasterizzazione in questi giorni).
In attesa di trasporlo in chiave musical e teatrale (diventerà poi anche un celebre film), modalità per cui fu concepito, riuscirono a convincere la MCA Records a finanziare le registrazioni di un album con un’orchestra sinfonica e la partecipazione di Ian Gillan (da poco entrato nei Deep Purple), nella parte di Gesù, Murray Head, Yvonne Elliman (poi stretta collaboratrice di Eric Clapton e Bee Gees) e la Grease Band, il gruppo che accompagnava Joe Cocker, con Henry McCullogh alla chitarra (di lì a poco con gli Wings di Paul McCartney).
Ma ci sono anche Chris Spedding, Mickey Vickers dei Manfred Mann, il bassista Alan Spenner (session man che ha suonato con mezzo mondo), i cori di P.P.Arnold.
Il disco, doppio, vendette 7 milioni di copie (100.000 in Italia), scalando le classifiche del globo e aprendo le porte alle versioni teatrali e cinematografiche.
Inizialmente l'album fu proposto alla Apple dei Beatles con un demo del tema principale cantato da Ian Gillan e con il basso di Johnny Gustafson dei Big Three, beat band di Liverpool.
Dopo il successo del primo singolo, pubblicato nel 1969, si parlò anche del coinvolgimento di John Lennon nel ruolo di Gesù ma, pare, che pose come condizione che Yoko Ono facesse Maria Maddalena.
L'album è magniloquente, prog, orchestrale ma contiene incredibili spunti creativi di indubbia genialità, destinati a restare nella cultura pop fino ai nostri giorni.
Video promo del. 1971 con Murray Head
https://www.youtube.com/watch?v=p1PDYi2iP8A
Video con Ian Gillan del 1970
https://www.youtube.com/watch?v=gOjyGy1NR4Y
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Dischi
mercoledì, novembre 17, 2021
Merton Parkas e Paolo Hewitt - Melody Maker 11 agosto 1979
Riprendo un'intervista di Paolo Hewitt (a lungo amico e biografo di Paul Weller e conoscitore della sprima scena mod "revival" inglese) ai MERTON PARKAS per il settimanale "Melody maker" dell'11 agosto 1979.
I Merton Parkas, i primi New Mod a scalare le classifiche, dicono a PAOLO HEWITT che la vita è molto più facile in una Ben Sherman che con una maglietta strappata.
PRIMA COSA:
Non mi piace il Mod. Per me, almeno, è sempre stato poco interessante. Dalle fanzine (con scopiazzature da altri giornali) ai vestiti (repliche scialbe degli anni Sessanta), attraverso la maggior parte delle band con la loro musica "pop" così calcolata, l'intero movimento ha sempre guardato indietro per trovare l'ispirazione.
Per un movimento la cui unica regola originale era quella di dettare il ritmo piuttosto che seguirlo, la validità della sua progenie degli anni Settanta impallidisce al confronto.
Di tutte le Mod band apparse negli ultimi mesi, quelle che si sono mosse più velocemente, in termini di contratto discografico e approvazione generale da parte della stampa e del pubblico, sono i Merton Parkas.
Ed è così che in una fresca notte d'estate mi ritrovo nel loro locale preferito per le bevute, circondato da tre della band.
Mick Talbot, il tastierista, ci svela la loro storia:
"Beh, abbiamo suonato tutti in una band circa quattro o cinque anni fa. Era un gruppo diverso, con solo mio fratello Danny che cantava, e avevamo un altro chitarrista.
Poi, circa due o tre anni fa, ci siamo lasciati, ma noi tre (Mick fa un cenno a Danny Talbot, il chitarrista e Simon Smith, il batterista) siamo rimasti insieme.
"Avevamo un bassista, Stewart ma stava perdendo un po' di interesse, quindi sono andato a vedere Neil, che all'epoca lavorava in un grande magazzino. Sono entrato nel reparto abbigliamento maschile, ho dato un colpetto sulla spalla del signor Hurrell e ho detto: "Mi scusi, posso avere un blazer e un bassista per favore?"'
Al momento giusto, Neil Hurrell entra nel pub, proprio mentre le parole hanno lasciato la bocca di Mick.
La band ha mantenuto questa formazione da allora, anche se un tempo si chiamavano Sneakers, ma la confusione con un'altra band con lo stesso nome li ha portati, nel novembre dello scorso anno, a cambiarlo con Merton Parkas - in onore, ovviamente , del loro luogo di nascita.
Dopo una delusione con il mangement precedente hanno affidato la loro gestione al chitarrista Danny Talbot.
È una scelta saggia, pensa Simon, "perché a questo livello sarebbe sciocco avere qualcuno che prende il 20%".
Detto della loro storia, la conversazione si sposta sulla loro casa discografica, la fenomenale Beggars Banquet, distribuita dal gigante WEA.
In un recente articolo, la società aveva più o meno insinuato che il motivo del loro interesse fosse semplicemente perché vedevano i Parkas come il loro "gettone" all'interno del giro Mod.
Mick:
"Beh, non hanno detto esattamente la stessa cosa a noi. Hanno detto che pensavano che saremmo stati in qualsiasi modo un buon gruppo pop , ma ovviamente vogliono una Mod band. Non mi dispiace, perché tutti entrano in qualcosa di predefinito."
Danny:
"Uno dei motivi principali, inoltre, era che pensava che fossimo un buon live act, e a Mick (della Beggars Banquet) piace un buon live act".
Cosa ne pensate del primo singolo "You Need Wheels"?
Mick:
"Non è la nostra canzone più rappresentativa. È stata fatta in fretta, ma abbiamo pensato che fosse quella più commerciale. Ma non è la nostra canzone migliore".
Simon:
"L'album è meglio, perché penso che abbiamo imparato molto dalla registrazione del singolo. Il ragazzo che ha realizzato il singolo sapeva cosa volevamo, ma non è riuscito a ottenerlo. Il ragazzo che ha realizzato l'album sapeva cosa volevamo e capito. Siamo più noi."
Danny:
"Tendi a pensare che le case discografiche siano sempre il nemico perché prendono un po' della tua percentuale, ma questo è il loro lavoro, non è vero? Beggars Banquet è stata abbastanza onesto con noi finora."
Essendo una Mod band, le influenze dei Parkas sono facili da intuire.
Simon professa una simpatia per "gli Small faces, gli Who nei loro primi giorni e i Monkees".
Mick: "Un sacco di old soul, Tamla, Atlantic, Stax e il blues".
Danny è la sorpresa definendo i musicisti jazz Django Reinhardt e Stephane Grappelli come i suoi preferiti.
Questo discorso dei primi anni Sessanta ci porta chiaramente al gioco Mod e il suo rapporto con il punk.
Mick:
"È più accessibile del punk. Ok, molte persone possono aver comprato dischi punk, ma quante persone sono andate al lavoro il giorno dopo con i capelli viola e i pantaloni bondage? È molto più facile essere Mod. Sei più presentabile."
La mia tesi secondo cui la scuola di rock dice che il rock non dovrebbe mai essere rispettabile ma parla di indignazione, ribellione, ecc., viene accolta da Danny con un laconico "Sei cacciato di casa, allora!"
I Merton credono anche che il Mod non esista solo a Londra.
Danny:
"Ci sono molti mod nel nord. Sono secoli che frequentano gli scooter club e devi dare credito a questi ragazzi perché lo hanno fatto per tutta la vita."
Mick:
"C'è anche una cosa parallela con il Northern Soul. Quando è uscito, aveva molti paragoni con i Mod: vestiti eleganti, gente che si avvicinava alla musica americana nera..."
Simon: "Non siamo mai stati coinvolti con la cosa del punk. Quando era in giro noi suonavamo nei working men club."
Ma il Mod non ha avuto lo stesso successo del punk, vero?
Simon:
"Non in termini di contratti con le case discografiche".
Danny:
"Si stanno trattenendo tutti perché hanno commesso un errore con la cosa punk. Hanno firmato con tutto ciò che è saltato fuori e molti di loro sono state grandi perdite finanziarie. Pensano solo che il Mod sia un'altra cosa tipo il punk."
L'attitudine musicale dei Merton risiede nella convinzione che la funzione principale del rock 'n' roll – e quindi la propria – debba essere quella dell'intrattenimento.
Mick:
"Non stiamo cercando di innovare. Siamo solo intrattenitori, tutto qui. Penso che Chuck Berry sia probabilmente il miglior cantautore rock 'n' roll, e di cosa canta? Macchine, ragazze e scuola."
Simon:
"Deve essere divertente. C'è così tanta depressione nel mondo, deve essere divertente in una certa misura."
Danny:
"Nessuno vuole pensare al mondo che esplode domani. È pesante, quindi, e inizi ad andare via con uno stato d'animo depresso dopo un concerto. Penso che il rock 'n' roll sia un'alternativa a un sacco di cose di merda che stanno succedendo, come la politica, la guerra, il lavoro - tutto così. Il rock 'n' roll è il lato rilassante della vita".
E qui sta la mia principale divergenza con i Parkas.
Non c'è dubbio che, come intrattenitori, i loro giorni nei pub sono stati loro utili: intrattenere. Ma sicuramente il rock ha più da offrire oltre al semplice intrattenimento.
E, semmai, dovrebbero essere le giovani band come queste che dovrebbero offrire le alternative.
I Merton non sono d'accordo, e scelgono invece di percorrere la retta via. Guardandoli in azione alla Music Machine pochi giorni dopo l'intervista, sembra che non ci sia modo di fermarli.
Il singolo ha raggiunto quota 58 nelle classifiche, il loro album uscirà presto, a settembre o ottobre, e sono anche presenti in un film intitolato Stepping Out, che uscirà in supporto con The Alien, che probabilmente sarà il prossimo enorme Grande successo al botteghino in stile Star Wars. (Stepping Out è uno sguardo all'attuale scena londinese, che mescola l'improbabile combinazione di Mod e disco insieme).
Forse, però, è il semplicistico cliché di Danny Talbot che riassume al meglio il loro attuale stato di salute:
"Il rock 'n' roll è come il surf. Quando colpisci le grandi onde, cavalchi meglio che puoi. È quando raggiungi il fondo che conta, perché devi tirarti su di nuovo. E se non puoi farlo, allora dovresti uscire dal business."
In qualche modo, non credo che gli uomini da Merton dovranno fare fatica a uscire dall'acqua per respirare, per un bel po'.
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