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venerdì, gennaio 22, 2021

Scottish League Cup Final 1971



ALBERTO GALLETTI ci porta in una Grande Partita Dimenticata, nel 1971 nella finale di Scottish League Cup.

“Giornata di finale di Coppa in Scozia, ad Hampden Park si affrontano Celtic e Partick Thistle, che non ha nessuna speranza.”

Così Sam Leitch, in realtà non nuovo a 'gaffe' in diretta, aprì Grandstand la trasmissione di presentazione della giornata calcistica all’interno della quale BBC One avrebbe trasmesso la diretta della partita.
Mezzora dopo il suo pronostico, in verità scontato e probabilmente condiviso quasi da chiunque, era stato completamente sovvertito.

Il Celtic, al tempo la potenza dominante del calcio scozzese, era una delle squadre più forti d’Europa.
Si era aggiudicato gli ultimi sei campionati consecutivi insieme a tre vittorie in Coppa di Scozia sulle ultime sei disputate che significavano anche tre ‘doubles’, sempre prestigiosi, e cinque delle ultime sei coppe di lega.
Solo l’ultima era sfuggita, dopo una bruciante sconfitta  1-0 ad opera degli eterni rivali.
Una macchina da gol praticamente inarrestabile, nel ’66, ’67 e ’68 realizzarono più di cento reti in campionato (in 34 partite!).

Il tutto sublimato dalla memorabile vittoria a sorpresa in Coppa dei Campioni, in rimonta sull’ Inter pigliatutto dell’ epoca, nella finale di Lisbona del ’67.
Nel ’70 giunsero ancora all’ultimo atto della massima competizione europea ma stavolta la sorpresa gliela fecero gli olandesi del Feyenoord che impartirono loro una dura lezione di calcio totale nella finale di San Siro. Senza la minima ombra di dubbio il periodo più glorioso e vincente nella storia del club.

Mentre gli eroi di Jock Stein dominavano in patria e fuori, il piccolo Partick Thistle se la sfangava nel basso centroclassifica, stesso campionato ma anni luce dai campioni biancoverdi, e riusciva anche a retrocedere, ultimo, al termine del campionato 1969/70.
Al termine di quella stagione la panchina fu affidata a Davie McParland, ex-giocatore del club dal carattere indomito e dalla ferrea convinzione che qualsiasi partita andasse giocata per essere vinta, nonchè devoto del bel gioco.  
Caratteristiche, queste ultime, tipiche del club, tagliato fuori in termini di risultati dal dominio assoluto dell’ Old Firm, del quale rigettava i contenuti settari ed esasperati.
Un club di amici, mandato avanti da amici in un’atmosfera amichevole. 
Aveva ed ha, seppur meno oggi, i suoi sostenitori sparsi in tutta la Scozia, al pari di Queen’s Park e Hearts, squadre  che furono sempre sinonimo di bel gioco, spettacolo e sportività al di la del risultato.
 Il cambio in panchina giovò ai Jags che vinsero subito la seconda divisione ritrovando in un sol colpo massima serie, bel gioco ed entusiasmo.

Un’ edizione anomala quella della Coppa di Lega scozzese 1971/72, con tutte le partite disputate nel giro di due mesi ad inizio stagione e la finale giocata ad ottobre.
Sempre stato un posto originale la Scozia, quando si mettono distanziano gli inglesi di parecchio.

Il Celtic si presenta all’ appuntamento con questa finale insolitamente secondo in classifica, 7 partite 6 vittorie.
La sconfitta interna in campionato col St. Johnstone del 2 ottobre fece loro perdere il primato a favore dell’emergente Aberdeen, ma il ruolino fino a quel punto comprendeva ben 8 vittorie su 9 partite proprio in Coppa di Lega, inclusa la demolizione dei Rangers (3-0) in casa loro e quella del Clydebank (5-0 e 6-2) nel quarto di finale in andata e ritorno.
Aggiungo anche il 9-0 rifilato al Clyde alla prima di campionato.
Quel che io definirei un’inarrestabile macchina da gol e da vittorie.

Il Partick era appaiato ad altre quattro squadre a quota otto, ottavo, ma al contrario dei portentosi cugini aveva una certa difficoltà nel vincere le partite, solo due le vittorie, quattro i pareggi ma una sola sconfitta.
Non male per una neopromossa, inoltre avevano battuto i Rangers alla prima di campionato.
Se in genere le neopromosse si accontentavano di galleggiare sulla linea della zona retrocessione, il Thistle si avventava su qualsiasi cosa gli capitasse davanti desideroso, desiderosi, di sfidare e battere chiunque a viso aperto.
Più di un osservatore gli riconosceva un ottimo stile di gioco, offensivo, fluente, a tratti spettacolare.
Una squadra che meritava comunque rispetto.
La semifinale vinta 2-0 contro il Falkirk era stata elogiata da molti che riconobbero come il risultato non rispecchiasse appieno la prestazione fornita dai Jags.

Il Celtic deve rinunciare all'ultimo momento al carismatico capitano Billy McNeill infortunato, per il resto confermato l’ XI che ha travolto i maltesi del Sliema il mercoledì in Coppa Campioni. Confermato il giovane attaccante Dalglish, autore il sabato precedente di una  tripletta al Dundee. Jock Stein che non avrebbe sottovalutato nemmeno una squadra di amatori disse: “ Sarà dura”.
Fu un incubo.
Il  Partick che ha recuperato all’ultimo il capitano Alex Rae e Ronnie Galvin in mediana è in formazione tipo; tra i pali il diciannovenne Alan Rough, di lui sentiremo parlare.

Piove da giorni su Glasgow ma il prato di Hampden si presenta in buone condizioni.
Il cattivo tempo tiene lontano il grande pubbilico, non c’è il pienone.
Da Maryhill comunque sono venuti quasi tutti, larghe chiazze giallo-rosse ben visibili sugli spalti fanno da sfondo cromatico al grande entusiasmo  che hanno portato con se.
Nessuno dei giocatori del Partick sentì quel che disse Leitch in tv, ma mentre i rientravano negli spogliatoi dopo aver eseguito il classico sopralluogo al terreno di gioco, Macari si avvicinò a Lawrie dicendogli:
"Beh, se non altro la medaglia per il secondo posto l'avete già vinta".
Rientrato negli spogliatoi raccontò ai compagni aggiungendo che non c'era bisogno di aggiungere altro e vedremo in campo chi prenderà poi la medaglia dei perdenti.

L'inizio è end-to-end, nei primi cinque minuti prima è Coulston a fuggire sulla sinistra ma viene fermato in fallo laterale, quindi un bel diagonale di McQuade da 25 metri finisce fuori di poco e poi Macari è fermato in fuori gioco. 
Sono comunque i giallorossi a prendere l’iniziativa e a creare pericoli.
All’ 8’ Lawrie con un pallonetto scavalca Williams ma la palla è alta di poco. Un minuto dopo bella azione di Galvin che triangola con Bone ed entra in area ma viene anticipato di un soffio.
Sul corner c’è un batti e ribatti di testa, l’ultima respinta finisce sul destro di Rae appostato al limite che calcia al volo un gran pallonetto che finisce sotto l’incrocio: 1-0!
Clamoroso.

Il gol galvanizza il Partick, il Celtic stordito, non si raccapezza. Al 15’ McQuade sull’out destro cambia gioco e pesca Lawrie al vertice sinistro dell’area.
Lawrie stoppa magnificamente di destro, lascia sul posto Hay e calcia di interno sul palo più lontano segnando un gran gol: 2-0!

Il doppio vantaggio, oltre a mandare i tifosi in orbita esalta ancor di più gli uomini di McParland che adesso prendono d’assalto la metà campo avversaria.
Il Celtic incute sempre timore ma non sembra essere giornata, inoltre al 23’ il funambolico Johnstone si infortuna e deve lasciare, sostituito da Craig.
Due corner consecutivi del Celtic vengono neutralizzati da Rough.
Sugli sviluppi di un terzo corner Dalglish colpisce l’esterno della rete.
 Il Partick risponde in contropiede , la difesa biancoverde si salva, ancora con affanno.
Al 28’ una combinazione tra Bone e Coulston semina il panico ed è sventata in angolo.
Sul tiro dalla bandierina Bone colpisce imperiosamente di testa, la conclusione è respinta sulla linea, McQuade è lesto sulla ribattuta e infila in porta il 3-0.
Sensazionale!


Sospinti dall’entusiasmo dei propri tifosi al grido di ‘We want more”, il Thistle continua ad attaccare.
Al 32’ lungo lancio di Forsyth sulla fascia sinistra, ci si avventa Bone che controlla e fugge verso il fondo affrontato da due avversari.
Scarica quindi all’indietro su Lawrie che crossa, McQuade stoppa al limite dell’area piccola, scarta il portiere e tira.
La conclusione è respinta ad un passo dalla linea. 
Un minuto dopo Forsyth va via in contropiede e manda un traversone in area sul quale Bone non arriva per un niente. Il guardalinee segnala comunque una posizione di offside.
Si affaccia in avanti il Celtic, Callaghan triangola con un compagno al limite dell’area avversaria e tira, la conclusione centrale è bloccata a terra da Rough che rinvia immediatamente. Osul rinvio saltano Coulston e Murdoch.
Ha la meglio il primo che poi mette giù, controlla e fila via, Gemmell non riesce a contenerlo e commette fallo all’altezza del limite dell’area in prossimità della linea laterale. Batte Lawrie, un cross. La palla spiove in area dove quattro belle statuine in maglia a strisce orizzontali guardano Bone staccare completamente solo e infilare di testa il 4-0 nella loro porta.
Disastro.
E tripudio, They had more!

Durante le notizie sportive in tv all’intervallo, lo speaker ripetè il risultato due volte: Partick 4-0 Celtic!
Per essere sicuro che tutti gli sportivi avessero capito bene.

Parecchie migliaia di quelli che affollavano le gradinate di Ibrox dove stavano assistendo alla partita casalinga dei Rangers, capirono bene, via radio probabilmente, e uscirono precipitandosi ad Hampden per godere dell’ impareggiabile piacere di vedere il Celtic sotto quattro a zero in una finale contro una squadretta ed assistere ad una disfatta quasi sicura.
Intanto di sotto, nei meandri di Hampden, all'interno dello stanzone del Partick durante l'intervallo i giocatori stavano seduti in un silenzio surreale.
Nessuno credeva a quanto avevano appena fatto, nessuno riusciva a spicciare una parola.
Il Celtic era una squadra che incuteva sempre timore ,come disse Alan Rough:
Ho fatto da spettatore per un tempo ma sapevamo che erano in grado di rimontare, e visto il modo aperto che avevamo di giocare poteva darsi benissimo che alla fine avremmo potuto trovarci sotto 6-4”. Fu McParland a parlare:
"Se riuscirete a tenerli a bada per i primi 15 minuti senza farli segnare riusciremo a vincere".

Andò così.
I campioni tornarono in campo decisi a provarci ma il piccolo Thistle ebbe subito occasioni.
Nei primi dieci minuti McQuade due volte e poi Bone, alto di testa, insidiarono la porta difesa da  Williams.
Dal decimo minuto il Celtic entra finalmente in partita, prima Callaghan non inquadra la porta da buona posizione e quindi Dalglish solo davanti a Rough alza il pallonetto oltre la sbarra.
La pressione dei campioni si fa sempre più forte, ma il fortino però regge, gli attacchi sono sterili e quando finalmente Dalglish riesce a mettere dentro dopo un bel passaggio di Macari siamo già a metà tempo.
Due minuti dopo Macari di testa impegna Rough che para bene.
Il cronometro corre, i minuti restanti diminuiscono velocemente per chi stà cercando di rimontare un triplo svantaggio.
La convinzione comincia a venir meno, gli assalti in massa respinti ai 25 metri lasciano i fianchi scoperti ed è ancora il Partick ad avere un paio di occasioni in contropiede.
La voglia e la rabbia di rimonta si spengono gradatamente, infrante contro lo scorrere dei minuti.

Il triplice fischio finale chiude un incontro incredibile e sancisce un risultato altrettanto incredibile.
Il più grande cup giantkilling del calcio scozzese di sempre.
Le sincere congratulazioni dei campioni sconfitti accrescono il valore di un successo già di per se straordinario, il Partick Thistle ha vinto la Coppa di Lega 1971/72.

A Maryhill è festa grande, migliaia ritornano festanti davanti a Firhill Park in attesa del pullman che riporta i giocatori in sede dall’altro capo della città.
I festeggiamenti saranno degni della vittoria.
Una storia di Glasgow, tutta dentro Glasgow, una delle grandi capitali del calcio mondiale.

  Glasgow, Hampden Park, 23 Ottobre 1971
Coppa di Lega Scozzese, Finale
Partick Thistle 4-1 Celtic
Partick Thistle: Rough; Hansen, Forsyth, Galvin, Campbell, H. Strachan, McQuade, Coulston, Bone, Rae, Lawrie.    All. D. McParland
Celtic: Williams, Hay, Gemmell, Murdoch, Connelly, Brogan, Johnstone, Dalglish, Hood, Callaghan, Macari.    All. J. Stein
Arbitro: W.J. Mullan (Dalkeith)
Reti: 10’ Rae (P), 15’ Lawrie (P), 28’ McQuade (P), 37’ Bone (P), 71’ Dalglish (C)
Spettatori: 62.470

mercoledì, novembre 04, 2020

Arsenal - Swindon Town 1-3 League Final Cup 1969



Piogge incessanti si abbatterono sull’ Inghilterra durante i primi tre mesi del 1969.
Piogge tra le quali qualcuno riuscì ad infilarci un concerto sul tetto della propria palazzina uffici, ma si era solo ai primi di gennaio, consegnando ai comuni mortali e alla storia l’ultima autentica esibizione dal vivo del più grande gruppo musicale di sempre e segnando la fine definitiva del sogno 60s.

Nonostante la rivoluzione nei costumi (e usi) giovanili, la sostanza rimaneva saldamente in mano al vecchio estabilishment, le case discografiche ad esempio e relative strutture, così come alcuni simboli nazionali dell’intrattenimento quali lo stadio di Wembley, o Empire Stadium, come ancora si chiamava allora.

Ancorato ad un’idea di passata grandezza, veniva usato solamente per le partite della Nazionale e le Finali di FA Cup punto.

Un’eventuale replay si doveva svolgere in altra sede, probabilmente non considerato all’altezza di tanto prestigio.
Prestigio che rimaneva intatto o veniva addirittura aumentato dall’uso parsimonioso che se ne faceva, o che forse veniva riconosciuto alle corse dei cani, da sempre ivi residenti.
Ma forse aveva più a che fare con il mantenimento spiccio dell’impianto, ma non si poteva dire e comunque è un altro discorso.
Prestigio riconosciuto discrezionalmente dall’estabilishment nella forma e sembianze dei parrucconi della FA che ‘concessero magnanimamente’ un paio d’anni prima alla Football League di poter disputare la finale di Coppa a Wembley, quasi una grazia ricevuta per una volgare competizione ideata per far cassetta dalla lega professionisti e da quell’anno anche al concorso ippico ‘Horse of the Year’, ideato e patrocinato da un ufficiale dell’esercito, pluridecorato, egli si meritevole di riconoscimenti ufficiali.
Mica quei quattro cappelloni strimpellanti che disturbarono la quiete nella quale il direttore della Royal Bank of Scotland svolgeva augusto i propri doveri e fu costretto ad interrompersi perché costoro suonavano a tutto volume sul tetto del palazzo di fronte.
Riuscì a farli smettere, così come l’ufficiale riuscì ad ottenere il tempio del calcio per i suoi cavalli.
Quello che i parrucconi di Lancaster Gate non potevano prevedere fu il meteo.
Quindi la somma di tre mesi di piogge incessanti e di un fine settimana di evoluzioni equestri sul prato di Wembley, consegnarono alle due finaliste un palcoscenico indegno alla disputa di una qualsivoglia partita.

A dire il vero una delle due contendenti, ammetterà poi uno dei protagonisti, non si lamentò affatto: ‘Era comunque meglio del nostro campo a Swindon, quindi ci eravamo abituati; senz’altro più di loro’.
Loro erano l’ Arsenal, l’altra finalista.

Lo Swindon Town nel marzo ’69 era secondo in classifica in terza divisione, in piena corsa per la promozione in seconda. Era una squadra tosta, sottoposta ad un regime di allenamenti parecchio duro per l’epoca che culminava al giovedì con, oltre al resto, 16 giri di campo a ritmi alti per aumentare la resistenza ed avere qualcosa in più da spendere nel momento della gara in cui gli avversari cominciavano a cedere.
Andò così anche quel giorno.
Non erano tutta corsa, come si potrebbe pensare o dedurre dal loro leggendario schema da trincea 7-2-1.

Sapevano anche giocare, in contropiede principalmente, sfruttando tecnica e corsa del talento locale, Don Rogers, che rientrava profondo e ripartiva con discese rapide e ubriacanti.
Dietro il capitano Stan Harland comandava un’unità difensiva ad assetto variabile e a tenuta stagna con le buone o le cattive.
Il tutto agli ordini di Danny Williams schietto e infaticabile ex-minatore del South Yorkshire, ‘a proper football man’ che installò nei suoi giocatori una mentalità votata al sacrificio avendo lui continuato a fare il minatore mentre giocava per il Rotherham United.
Il cammino verso Wembley dei Robins fu una vera e propria epopea.

Eliminato il Torquay United, non senza fatica, al primo turno, il secondo li vide accoppiati al Bradford City, allora in quarta divisione per un confronto non privo di insidie e imbarazzi nel caso fosse andata male, ci mancò poco.
L’ 1-1 del primo incontro rimandò il passaggio del turno alla ripetizione tra le mura amiche. Ne uscì un classico: in vantaggio 2-0 furono rimontati, seguì un altro doppio vantaggio prima che Ham accorciasse a 10’ dal termine, 4-3 e imbarazzo evitato.

Al terzo turno fu la volta del Blackburn Rovers , al tempo in seconda divisione, una prodezza di Rogers al 20’ fu sufficiente per passare avanti.
Per il quarto turno ecco il Coventry City, First Division, fuori casa.
Ormai consci del loro valore, i ragazzi di Williams inscenarono una prestazione coi fiocchi,trascinati ancora da Rogers, a segno insieme a Smart.
Con quattro minuti rimasti la qualificazione sembrava cosa fatta, ma un uno-due da ko nel giro di un paio di minuti ristabilì la parità e rimandò il discorso qualificazione ad un nuovo replay.
La febbre da coppa travolse la città e un pienone da 23.828 spettatori, di cui 900 provenienti da Coventry, fece da cornice ad una superba prestazione e ad una vittoria per 3-0.

Per i quarti di finale in programma una gita, non proprio turistica, a Derby dove li attendeva la locale compagine lanciatissima verso la promozione in first division sotto la guida della rivelazione del momento, ‘Big Head’ Brian Clough.
Al termine di una battaglia durissima,dominata dai padroni di casa, il risultato non si schiodò dallo 0-0, grazie alle imprese difensive dei baluardi Harland e Trollope.
Ripetizione a campi invertiti la settimana dopo febbre da coppa a livelli altissimi in città e nuovo pienone, questa volta da 26.973 presenti .
Il gol vittoria, un tiro di Rogers deviato dalla schiena di Mackay, li manda in visibilio totale.

Semifinale ora, andata e ritorno stavolta, avversario il Burnley squadra di First Division, andata in trasferta. A sorpresa lo Swindon passa allo scadere del primo tempo con Harland ma viene raggiunto poco dopo l’ora di gioco. Nemmeno un minuto e Noble fa centro e fissa il punteggio sul 2-1 per un’insperata vittoria in trasferta che sa tanto di mezza qualificazione. Nel ritorno in un County Ground gremito da 28.000 spettatori è il Burnley a restituire la scortesia, due gol in un minuto ad inizio ripresa ribaltano il discorso qualificazione.
Smith dopo pochi minuti insacca il 2-1 e manda la sfida ai supplementari, dove il risultato però non cambierà.
Si rende necessaria una terza partita, al The Hawthorns, campo neutro.
E si aggiunge epica: Smith fa centro al 7’ e la retroguardia si issa a difesa del vantaggio, piovono cross e tiri da ogni posizione ma Trollope e Harland sono insuperabili nel gioco aereo e Downsboiriugh tra i pali salva tutto quello che sfugge ai primi due, ma quando manca solo un minuto Dave Thomas riacciuffa un pari rabbioso.
Si va di nuovo ai supplementari.
E qui i sogni di gloria sembrano spegnersi dopo un minuto quando Casper trafigge Downsborough.
La reazione dello Swindon c’è e nel giro di quattro minuti un’autorete e un gol di Noble ribaltano di nuovo il risultato in capo ad uno dei primi tempi supplementari più pazzi che si ricordino.
Il risultato non cambia più e il 3-2 finale scatena il pandemonio tra le migliaia al seguito e manda lo Swindon Town a Wembley per la prima volta nella storia.

L’Arsenal dal canto suo giocava in First Division e si barcamenava in uno stato di mediocrità da centro-classifica da un decennio, sorpassato in quegli anni ‘60 da Manchester United e Liverpool e ultimamente anche dall’emergente Leeds.
Cominciava a dare qualche timido segnale di ripresa, ma non vinceva niente dal ’53, campionato, ed era stato a Wembley l’anno prima, sconfitto in finale dello stesso torneo dal Leeds.
Nonostante questo, i gunners, che avevano comunque eliminato Liverpool negli ottavi e Tottenham in semifinale, erano nettamente favoriti per la vittoria.

Il cerimoniale viene rispettato, le squadre presentate alla principessa Margaret, l’inno nazionale suonato dalla banda militare e cantato all’unisono dai centomila presenti.
Il terreno di gioco è in condizioni pietose dopo lo scempio equestre del weekend precedente.

L’avvio di gara vede una leggera supremazia dei londinesi che esercitano una buona pressione su un terreno infame, la prima conclusione è di Sammels al 4’, Downsborough si tuffa e mette in angolo
Due minuti dopo Rogers prende palla nella sua metà campo, evita due avversari accelera, punta Storey, lo salta e mette al centro.
Il cross è respinto di testa da Ure (strano), riprende Smart che serve Rogers il quale allarga, sul cross seguente Wilson non trattiene, si accende una mischia e la palla viene allontanata da un suo compagno.
Saranno anche due le categorie di differenza, ma non si vedono poi molto, specie su un campo del genere.
I giocatori dello Swindon mostrano padronanza e sicurezza, sono decisi, nessun timore reverenziale.
L’iniziativa rimane però in mano ai gunners ma Harland e Burrows sono insuperabili e le conclusioni dell’Arsenal non sono mai veramente pericolose.
Dieci minuti alla fine del primo tempo, Rogers controlla nella propria metà campo e avanza.
Finta McNab e lo mette a sedere, su un fondo che peggiora col passare dei minuti non perde il controllo della sfera, quindi è affrontato da Storey che pure finisce seduto dopo la classica finta di destro.
Rogers fugge, elude anche McLintock e triangola con Smart che gli restituisce la palla.
Sopraggiunge Simpson che spezza la trama ma il rimpallo favorisce Heath che lancia in area dove Ure anticipa Noble e cerca di servire il proprio portiere.
Ure giustifica la fama regalatagli vent’anni più tardi da Nick Hornby e sbaglia il retropassaggio prendendo in controtempo Wilson che non riesce a fermare la sfera
. Sopraggiunge Noble che gliela soffia e centra in mezzo, la porta è spalancata Wilson stà rientrando a razzo.
Simpson interviene in scivolata per anticipare Smart pronto ad insaccare a porta vuota e colpisce per primo la palla che però rimbalza sullo stinco di Smart e finisce dentro.
Swindon in vantaggio!

Il secondo tempo è caratterizzato da una grande spinta dell’Arsenal alla ricerca del pari.
Lo Swindon si chiude sulle barricate sfoderando un 7-2-1 da far impallidire Helenio Herrera e Karl Rappan messi insieme.
Una pioggerellina fine continua a cadere e il terreno di gioco, già massacrato dai cavalli degli amici dei parrucconi, è ridotto ad un pantano dove ha buon gioco la squadra che difende.
Ma l‘Arsenal non molla e la contesa resta appassionante.

A due minuti dallo scadere Ure riceve da rimessa laterale sbaglia di nuovo il passaggio in profondità, la palla finisce sui piedi di Rogers che contrattacca immediatamente, supera la linea mediana e apre sull’out sinistro ma sbaglia a sua volta, intercetta Graham che batte lungo.
Il lancio è rincorso da Gould affrontato da Downsborough al limite dell’area. Il portiere commette l’unico errore del pomeriggio non riuscendo ad anticipare Gould, la palla si impenna, Gould continua la corsa e di testa insacca a porta vuota.
Swindon Town rimontato a due minuti dalla fine, di nuovo.
Si va ai supplementari, per la terza volta negli ultimi tre incontri.
I giocatori dell’Arsenal sono sfiniti, McLintock ha i crampi.
Rogers e compagni no, questo è il momento in cui i giri di campo del giovedì vengono fuori.
Quasi allo scadere del primo supplementare Thomas ubriaca McNab sul out di destro, fugge sul fondo crossa in mezzo, Smart anticipa il marcatore gettandosi in tuffo e di testa impegna Wilson che respinge sul palo, Ure, ancora lui, regala un corner senza motivo.
Sullo spiovente dalla bandierina c’è un batti e ribatti in area sul quale Rogers fa centro, 2-1!

L’ Arsenal , quasi senza più energie ma con la forza della disperazione si butta in avanti per tutto il secondo supplementare. L’orologio avanza,la pioggerellina insiste e il terreno si allenta sempre più, le gambe si fanno ancora più pesanti e gli attacchi cominciano a smorzarsi sempre più distanti dalla porta di Downsorough.
Ultimo assalto, Ure avanza palla al piede, nel suo tipico sciagurato stile pensa di essere Rogers, ma non lo è.
Si proietta in avanti, tenta un dribbling su Burrows alla tre-quarti, lo sbaglia, of-course.
Burrows rilancia subito e imbecca Rogers che si fa quaranta metri di campo di corsa controllando la palla con passi corti e tocchi rapidi.
Entra in area lanciatissimo, Wilson lo affronta in uscita, Rogers lo finta splendidamente mettendolo col culo per terra e deposita nella porta sguarnita segnando un gol meraviglioso e di gran classe: 3-1!
Manca un minuto.

Gioia irrefrenabile dei compagni che accorrono a congratularsi e ad abbracciare Rogers il quale esulta senza isterismi ma con la consapevolezza di uno che è forte , sa di esserlo ed è appena riuscito a dimostrarlo.
E che compostezza.
Sul calcio d’inizio susseguente l’arbitro dichiara conclusa la partita, e con questa l’epopea stagionale di questo piccolo club che conquista la Coppa di Lega professionisti per il 1969.
Una maratona da 1140 minuti, tre ripetizioni e tre sfide finite ai supplementari in un torneo che si disputava in infrasettimanale.

‘Eravamo una squadra forte – dichiarò poi Wilson – Non ho mai dubitato che i ragazzi sarebbero riusciti a vincere ai supplementari.
Avevamo più birra di loro, ci siamo allenati più di loro, non avrebbero mai perso.’


Rimane questa l’ultima volta che una squadra di terza divisione riuscì ad aggiudicarsi una delle competizioni inglesi principali e, sicuramente il più grande shock mai capitato nella lunga e mirabolante storia delle coppe inglesi.
La stagione continuerà e regalerà allo Swindon anche la promozione alla Second Division.
Benino anche i gunners che finirono quarti e due stagioni dopo centreranno un clamoroso ed inaspettato double.
Don Rogers verrà ceduto al Crystal Palace nel ’72 ed incanterà le folle anche in First Division.

Wembley, Empire Stadium - 15 Marzo 1969
League Cup Final
Arsenal 1-3 Swindon Town a.e.t.

Arsenal: (4-3-3) Wilson, Storey, McNab, McLintock, Ure, Simpson (71’ Graham), Radford, Sammels, Court, Gould, Armstrong
Swindon Town: (7-2-1) Downsborough, Thomas, Trollope, Butler, Burrows, Harland, Heath, Smart, Smith (77’ Penman), Noble, Rogers
Arbitro: B. Handley (Cannock)
Marcatori: 35’ Smart (S); 88’ Gould (A); 104’ e 119’ Rogers (S)
Spettatori: 98.189

martedì, ottobre 06, 2020

Il Mortara in serie C



ALBERTO GALLETTI scava nel calcio Pavese e ci porta ai "fasti" del MORTARA di un po' di anni fa.

Che la provincia di Pavia sia, in ambito nazionale, calcisticamente terzo mondo è sempre stato uno dei miei crucci.

Se consideriamo le squadre, quella del capoluogo non è mai stata in Serie A e può vantare cinque misere stagioni in Serie B, l’ultima nel ’55, solo Sondrio tra i capoluoghi di provincia ha fatto peggio non essendo mai stato in B.
Neppure con le novità geografiche e le ultime tre province lombarde, Lodi e Monza, le cose non cambiano: vero che Fanfulla e Monza non sono mai state in A, ma hanno fatto molta più B del Pavia, specialmente i brianzoli che in B ci hanno abitato quasi sempre. vIl Lecco ha fatto tre campionati di Serie A.

C’è qualcosa tra i calciatori, Garlaschelli che vinse lo scudetto con la Lazio nel ’74.
Virginio de Paoli da Certosa centravanti titolare nella Juve scudettata del ’76 e qualche bella stagione a Brescia.
Moschino, grande carriera tra Novara e, soprattutto, Toro.
Negli anni trenta Valentino Sala che giocò con Genoa e Inter.
Suo figlio Beppe, mia cara e vecchia conoscenza fece una bella carriera in B con qualche puntata in A e in C e giocò in tutte e tre le squadre di cui mi importa veramente qualcosa in Italia e nelle quali avrei sempre voluto giocare anche io: Genoa, Alessandria e Pro Vercelli; devo ammettere che gliel’ ho sempre invidiata.
Il suo amico Maestri: Sampdoria e, mi pare, Palermo.
Poi altri: Pozzi, Mascheroni, Lanzi, Carrera, Regali e poi i pionieri lomellini Rampini, Binaschi, Ticozzelli questi si di grandezza assoluta ai tempi loro.

Ci sarebbe poi Piola, nato a Robbio vero, ma erano gente di Vercelli e rientrarono in città quando Silvio aveva un anno.
Poi c’è stato Brera si, l’ho sempre amato e ammirato.
Sempre stato orgoglioso delle sue origini bassaiole, cinque chilometri da qui, dieci minuti in bici.
Ma, uno: non ha mai giocato e, due: alla fine tutto quello che era, fece e diventò lo fece a Milano e grazie a Milano, Pavia e provincia c’entran niente o quasi.
Niente di male, l’ affinità da principi della zolla rimane.
Per quel poco che abbiamo avuto, tornando al calcio giocato, in provincia la capitale è sempre stata Vigevano: undici campionati di Serie B tra il 1931 e il 1959 ne formarono al tempo il pedigree, più altri diciannove di C.
Vigevano, Lomellina.
Della quale, benchè ne sia il centro più grande, noto e in passato più industrializzato, non è mai stato capoluogo.
Onore toccato per quei quarant’anni scarsi in cui fu Provincia a Mortara, più centrale, più profondamente agricola, più tipicamente lomellina.

Sono questi, posti che visitavo quando, in età scolastica, accompagnavo mio padre nei suoi itinerari di lavoro nei miei periodi di vacanza e, ragazzino delirante per il calcio, mi emozionavo leggendo il nome delle città più o meno circostanti sui cartelli stradali.

A Mortara si leggevano, e si leggono ancora, cartelli per Alessandria, Casale, Vercelli, Novara.
Anche altri, ma soprattutto questi: il Quadrilatero Piemontese!
Ora, se disegniamo il quadrilatero, Mortara ne resta appena fuori, in realtà essendo un quadrilatero immaginario e come se vi si trovasse al centro.
Calcisticamente, però, niente.
Forse la posizione a ridosso di questi ex-giganti del calcio italiano ha sempre tarpato le ambizioni calcistiche mortaresi, forse.
Certo con squadre del genere a un tiro di schioppo, è facile immaginare come i talenti, a Mortara e dintorni, se mai ce ne sian stati, prendessero velocemente altre strade.
E così sia!
Ho sempre amato la grandezza del Quadrilatero.

Fondata nel 1920, l’ AC Mortara ha vissuto i suoi momenti migliori tra la fondazione e il 1954, anno in cui fu retrocessa dalla Promozione Lombarda, non esisteva la Serie D, alla Prima Categoria.
Seppe ritagliarsi lembi di fama e di gloria nell’immediato secondo dopoguerra, grazie anche all’organizzazione approssimativa e fortunosa dei campionati, necessariamente allargati ad un’infinità di gironi predisposti per poter agevolare le difficoltà di spostamento dell’epoca.
Iscritta alla Serie C nella precaria stagione 1945/46 finì 5° nel girone F e sorprese tutti nel 1946/47 vincendo il Girone D e qualificandosi agli spareggi per la promozione alla Serie B.
Inserita nel mini girone con Monza e Vita Nova Ponte S.Pietro, perse l’incontro d’esordio con questi ultimi all’Arena di Milano, 4-2 il finale.
Bella ed inutile la vittoria sul Monza (2-0) in virtù del pareggio 0-0 tra questi ultimi e la Vita Nova che fu così promossa.
Ma era comunque una Serie C frammentatissima in una miriade di gironi, 266 squadre tra nord, centro e sud, troppe per poter dare un qualche valore.
Troppe anche in B, 54: tre gironi, come la C odierna.

Di tutt’altro valore fu invece il secondo posto del 1947/48 che dava accesso alla nuova Serie C che a partire dal 1948/49 avrebbe avuto 82 squadre suddivise in soli quattro gironi nazionali.
Non ci furono quindi promozioni in B nel 1947/48, solo le prime due di ogni girone si sarebbero qualificate alla serie C nazionale della stagione successiva.
Il Mortara allestì una squadra interessante, ovviamente con restrizioni e peculiarità dell’epoca.
Attorno al veterano professionista Piero Colli, un vigevanese che aveva un sacco di esperienza di Serie B con i ducali, ma anche di A con Lucchese e Inter, erano arrivati l’attaccante Collimedaglia, ragazzo del posto che aveva girovagato un po e alla fine del conflitto si era ritrovato ad Arezzo; Giovanni Cuzzoni , vun dal Bùrg, che diventerà una leggenda del calcio pavese; oltre a Di Cuonzo e Mascherpa lasciati liberi dal Vigevano.
A loro si aggiungevano elementi locali e un certo Annibale Frossi in panchina. L’interessante ensamble fece un campionatone e finì secondo dietro al Casale, qualificandosi alla Serie C nazionale del 1949/50.
Frossi, oro a Berlino con gli azzurri ed ex-colonna dell’Ambrosiana in Serie A, in cerca di una via verso la sua affermazione come tecnico, lasciò a fine stagione per Monza.
Al suo posto il presidente Colli ingaggiò Oreste Barale che fece il percorso inverso di Frossi da Monza.
Barale era stato un grande mediano della Juventus, con la quale aveva vinto gli scudetti del ’26 e del ’31, prima di essere ceduto all’Alessandria; e aveva giocato solo in Serie A.
Ad Alessandria divenne un idolo della tifoseria che ne apprezzava le doti di infaticabile ed onesto gregario, ruvido ma corretto, fu capitano dei grigi.
Dunque una grande personalità per la panchina di questo Mortara 1949/’50 e una stagione da incorniciare, terzo posto nel girone A (22 squadre) a soli tre punti dal Fanfulla promosso.
Per la stagione successiva furono ingaggiati gli attaccanti Biraghi, che aveva giocato nel Milan dieci anni prima e poi nel Padova ma era fermo da qualche anno, e Bonelli, un novarese che veniva dalla Pro Patria in Serie A.
Fu una grandissima stagione che il Mortara condusse al vertice e terminò al primo posto, 55 punti, a pari merito con il Seregno.
Ma il finale di stagione fu drammatico, le ristrettezze economiche non consentirono alla squadra di affrontare le spese per andare a giocare lo spareggio a Milano!
E in Serie B, stavolta a girone unico e di tutt’altro valore rispetto a due anni prima, ci andò il Seregno a tavolino.

Io non riesco a crederci.

Gli strascichi della rinuncia del giugno precedente si protrassero nella nuova stagione, che si annunciava difficile, viste le ristrettezze economiche, ma i giocatori, inizialmente,erano rimasti e anche l’allenatore.
A nobilitare quel campionato di Serie C, un prestigioso imprevisto nella forma e sembianze dell’ US Alessandria, inopinatamente caduta dalla Serie B nella stagione precedente.
Ed ex-squadra di Barale.
Dunque eccoli qui i Grigi, una delle formazioni più prestigiose del calcio italiano, una società che mai prima di allora aveva calcato i campi della terza serie, decisamente poco consoni a cotanto blasone, ma tant’è, così è lo sport.
Domenica 15 ottobre 1950 è davvero una giornata particolare per Mortara.
Al Campo Sportivo Comunale l’ Alessandria è ospite in campionato, è prima in classifica, favorita sia in campionato che per la partita e annunciata con numerosissimo pubblico al seguito.
L’attesa creata per l’avvenimento fu grande, gli sportivi alessandrini seguirono in massa la squadra, quelli di casa risposero ottimamente ma vennero sovrastati numericamente 1 a 3.
Il Mortara giocò una partita gagliarda e mise alla frusta per tutto l’incontro, ma specialmente nel primo tempo, i più quotati ed illustri avversari che faticarono a contenere l’urto degli avversari su un terreno difficile al quale non erano abituati.
I padroni di casa battono il calcio d’inizio e sull’avanzata Ravasi tira una tremenda legnata che colpisce la traversa.
La palla rimbalza in campo, ci si fionda Biraghi che di testa infila il gol dell’ 1-0, è passato poco più di mezzo minuto.
Lo stupore dei supporters alessandrini è grande almeno quanto l’esultanza dei tifosi di casa.
Quindi al quarto d’ora Biraghi serve un pallone perfetto a Bonelli che staffila imparabilmente da appena dentro l’area per il 2-0.
Per l’Alessandria è notte fonda, la corsa gagliarda degli avversari li mette n crisi, la palla sta poco per terra, un rush ‘n push inglese ante litteram in salsa lomellina. La difesa grigia è frastornata, ancorchè incompleta.
Le assenze del centromediano Vitto e della sua riserva Bagliani hanno costretto Cargnelli a schierare Scarrone in quella posizione, ma il reparto fa acqua. Fortunatamente per loro Giorcelli è abbastanza in palla e sventa altre tre clamorose occasioni gol che Vay, non in grande giornata, sciupa malamente.
Cargnelli corre ai ripari e porta Guaschino in posizione di centromediano scambiandolo di posto con Scarrone, l’equilibrio di squadra migliora e i grigi riescono a proporre qualche controffensiva senza lasciare sempre il fianco scoperto. Già al 27’ combinazione Albertelli-Savoini, quest’ultimo centra bene in area dove Giraudo di testa insacca il pallone del 2-1.
Nel secondo tempo l’Alessandria, rinfrancata dal nuovo assetto tattico e accostumata al terreno scende in campo con tutt’altro piglio.
In un crescendo costante, aumenta l’intensità delle proprie offensive, e trova il gol del pareggio con Savoini su azione e assist dell’ala Daina.
Poco dopo viene espulso Mascherpa e il Mortara che comunque godeva di una condizione fisica inferiore a quella dei più quotati avversari comincia a cedere.
L’Alessandria spinge a fondo e costruisce altre occasioni.
Poi con un bel serrate finale assedia la porta di Rossi ma la difesa lomellina resiste con grande caparbietà e riesce a condurre in porto un pareggio meritato.
Un partitone!

Il pareggio naturalmente non accontenta nessuno, così come la stagione che si rivelerà deludente per entrambe le squadre.
L’Alessandria finirà quarta, mai in lotta veramente col trio di testa e il Mortara, dopo questa prova di orgoglio, smarrirà la strada schiacciato da una condizione economica drammatica e finirà ultimo in classifica retrocedendo in Promozione.
Non si risolleverà mai più.

Campionato di Serie C 1950/51, 4° Giornata – Girone A
Mortara - Stadio Comunale, 15 Ottobre 1950
AC Mortara: Rossi; Re, Galletti, Mascherpa, Crippa, Tacchino; Zorzolo, Ravasi, Vay, Bonelli, Biraghi.
All. Oreste Barale
US Alessandria: Giorcelli; Scarrone, Gabbiani, Arezzi, Guaschino, Pietruzzi; Dania, Albertelli, Giraudo, Soffrido, Savoini. All. Tony Cargnelli
Reti: 1’ Biraghi (M), 16’ Bonelli (M), 26’ Giraudo (A), 67’ Savoini (A)
Note: Espulso Mascherpa (M) al 70’.
Spettatori: Oltre 4.000, di cui 3.000 provenienti da Alessandria
Arbitro: Mazzoni (Parma)

martedì, giugno 16, 2020

Hajduk - Amburgo 3.2 1980



ALBERTO GALLETTI ci porta in un'altra GRANDE PARTITA DIMENTICATA

HAJDUK SPALATO 3-2 AMBURGO - 1980

Due squadre in cerca di un identità europea di alto livello si trovarono di fronte sulla costa dalmata, in una fredda e ventosa sera di fine inverno, a disputarsi l’accesso alla semifinale di Coppa dei Campioni 1979/80.

L’Amburgo, gigante tedesco addormentato, si era appena risvegliato.
Si trattava dell’unica squadra nella storia del calcio tedesco a non aver mai giocato al di sotto della massima categoria nazionale.
Membro fondatore della Bundesliga nel 1963, non vinceva il campionato dal 1960 quando ancora era frammentato in una miriade di gironi e fasi; ci riuscì di nuovo nel 1979.
L’elezione presidenziale del ’73 fu il punto di svolta nella storia del HSV con la vittoria, a sorpresa, del vulcanico uomo d’affari Peter Krohn che si riproponeva di riportare il glorioso club anseatico ai vertici del calcio tedesco.
Ebbe in proposito tutta una serie di trovate, inclusa una divisa rosa per attirare il pubblico femminile, ma, soprattutto, l’ingaggio del miglior giocatore inglese del momento, Kevin Keegan, nel 1977.

Grazie ai soldi arrivati dal Giappone per il contratto di sponsorizzazione con i giganti dell’industria elettronica Hitachi, Krohn riuscì a strappare Keegan alla concorrenza dei due grandi club spagnoli, che in verità titubarono troppo, offrendogli uno stipendio dieci volte superiore a quello che percepiva a Liverpool.
Quando KKK arrivò ad Amburgo trovò una squadra che veniva da un biennio vincente, il titolo di Dutschemeister continuava a sfuggire ma la squadra, già rinforzata da Krohn fin dal giorno del suo insediamento, si era aggiudicata la Coppa di Germania nel 1976 e la Coppa delle Coppe nel 1977.

La sua prima stagione fu però deludente, si adattò poco e abbastanza male alla nuova realtà.
Titolare fisso, finì spesso per essere un freno per la squadra; l’allenatore non riusciva a metterlo nelle condizioni di esprimersi al meglio e l’ Amburgo, nella Bundesliga ‘77/’78, non andrà oltre un deludente decimo posto.
Krohn, che non era tipo da riflettere troppo sugli eventi, agì d’impulso e licenziò il tecnico.
Al suo posto ingaggiò il santone croato Branko Zebec, allenatore vincente dalle grandi certezze, dai metodi spicci talvolta brutali, e una grande passione per la bottiglia e i contratti molto ben remunerati.
Zebec fece centro al primo tentativo, resuscitando tra l’atro Keegan protagonista di quella prima stagione in Germania tutt’altro che convincente.
Il club, dopo la Coppa Coppe di tre anni prima, cercava ora l’affermazione europea più grande: la Coppa dei Campioni.

Davanti a loro, ben decisi a sbarrargli la strada i campioni jugoslavi dell’Hajduk.

Le cose a Spalato andavano in maniera molto diversa rispetto ad Amburgo, e non poteva essere altrimenti.
La repubblica socialista federativa jugoslava non ammetteva certo pratiche economiche di tipo occidentale, nonostante l’ultima costituzione concessa nel ’74.
Settore giovanile più qualche buon acquisto dalla vicina Bosnia era la ricetta tipica al tempo.
A capo delle operazioni vi era Tomislav Ivic che dal ’73, quando era stato chiamato a sostituire proprio Zebec, aveva cominciato a plasmare la sua squadra. Veniva anch'egli dalle giovanili dove aveva personalmente cresciuto parecchi di quelli che saranno poi i  protagonisti di quel ciclo vincente, gente come Oblak (passato al Bayern), Muzinic, Djordjevic, Buljan (passato proprio all’Amburgo), Surjak, i gemelli Vujovic, Gudelj.
Ora, dopo due anni all’Ajax, dove aveva sostituito Michels e vinto un campionato, era tornato nella sua Spalato per completare l’opera.
Ivic era nato, vissuto e pascolato a Spalato.
Aveva lavorato in fabbrica e giocato per il RNK Spalato, la squadra degli operai e dei portuali, di gran lunga inferiore ai dirimpettai dell’ Hajduk sia per successi ottenuti che per il valore numerico del seguito, ma dalla forte connotazione identitaria locale.
Il RNK era infatti un simbolo per la comunità dei lavoratori di Spalato il cui attaccamento.
Chi vi giocava era un operaio o un portuale così come chi andava a vederli era un’operaio o un portuale. 
Abitavano gli stessi quartieri, le stesse strade, facevano la stessa vita.
I giocatori quando smettevano la tuta alla fine delle otto ore indossavano scarpe, pantaloncini e maglietta per allenarsi.
Chiaro che il legame e il grado di immedesimazione tra squadra e sostenitori fosse fortissimo.

Ivic visse questa vita negli anni ’50, fu uno di quelli che finito il turno in fabbrica andava ad allenarsi. Quando smise e cominciò ad allenare, sempre al RNK, fece sua quell’immedesimazione tra fabbrica e squadra che aveva vissuto cercando di trasfigurarla in campo.

La fabbrica era un’ unità possente. Vi erano macchinari potenti e precisi e uomini che faticavano duro e incessantemente, ripetitivamente e con responsabilità sulla propria individuale mansione per riuscire ad ottenere quello che la fabbrica chiedeva, il prodotto finale.

La trasposizione della fabbrica sul campo da calcio si traduceva  in preparazione atletica durissima per poter sopportare ritmi di gara alti o altissimi, posizioni e ruoli ben definiti con responsabilità ben definite, schemi eseguiti all’infinito per far si che poi in partita tali meccanismi funzionassero al meglio.
Il prodotto finale della fabbrica Hajduk era un calcio aggressivo, d’attacco, impostato su ritmi altissimi.
E vincente, almeno in patria.

Aggressione dell’avversario il più in alto possibile e ribaltamento del fronte d’attacco immediato, il più verticale possibile in modo da liberare il tiro quando gli avversari ancora rincorrevano.
I ruoli ben definiti e sopportati, al pari della disciplina. I compensi ai calciatori buoni ma non esorbitanti rispetto alla realtà circostante. Lo si potrebbe definire senz'altro un calcio di marcata impronta socialista.

L’Hajduk Spalato era in quegli anni un autentico squadrone, sicuramente la miglior squadra jugoslava degli anni ’70/'80, forse la migliore di sempre. Caratterizzato da uno stile di gioco molto tecnico, stile brasiliano, (jugobrasileri li definì un caro amico) anche nella struttura tattica, più 4-2-4 che 4-3-3, abbinato ad una velocità, tenuta atletica e ad una furia agonistica al tempo con pochi eguali in Europa.
Non dimenticando un 5-3-2 che si trasformava in 3-5-2 di assoluta avanguardia.

I successi in patria non erano mancati, quattro titoli nazionali nel ’71, ’74, ’75 e ’79 e cinque coppe di Jugoslavia nel ’72, ’73, ’74, ’76 e ’77 segnarono indelebilmente il calcio jugoslavo di quella decade, non solo in termini di risultati, ma anche in forza delle prestazioni offerte.

In Coppa Campioni però l’Hajudk era fermo ai supplementari di Eindhoven, nei quarti di finale del 1975/76.
In Europa comunque non era comunque mai andato oltre una semifinale, in Coppa Coppe nel ’73, eliminato dal Leeds.
Ivic era convinto che la
sua squadra fosse una delle migliori in Europa, e credeva fermamente di poter vincere la Coppa dei Campioni. Ora, davanti a lui stavano una delle squadre favorite in assoluto e la possibilità di eliminarli. L’impresa richiesta: rimontare l’ 1-0 subito nella partita di andata in Germania.
Anche per i campioni tedeschi i nomi non mancavano: Kaltz, Memering, Magath, Keegan, Hrubesch, Buljan; l’allenatore, Zebec, un ex. Ne uscì fuori un’autentico partitone.

Lo stadio Poljud è pieno imballato, 52.000 gli spettatori che trascinano la squadra con il loro caratteristico tifo infernale.

L’ Hajduk batte e si riversa in avanti grande aggressività.
C’è grande ritmo, pressing, ma anche frenesia e raddoppi sul portatore avversario a metacampo con contrasti ottimamente eseguiti. La frenesia però gioca un brutto scherzo a Primorac che sbaglia a controllare un lungo rinvio di Kaltz nel tentativo di servire Zoran Vujovic di fianco a lui.
Si inserisce Hrubesch che era scattato in avanti, ruba palla, supera Primorac che cerca di tirarlo giù e finisce a terra e poi batte un gran destro che si infila contro il palo a mezz’altezza alla destra del portiere. 1-0 per gli ospiti, sono passati solo due minuti.

L’Hajduk riprende , è una squadra compatta, pressa in modo asfissiante e gioca corto.
Riconquista palla con una certa facilità e si catapulta immediatamente in attacco: pochi tocchi, rapidi e liberare il tiro con quanti meno tocchi possibile; la possibilità di commettere errori diminuisce, condizione fisica eccellente.
Il pressing da frutti, i tedeschi faticano a contenere la spinta e commettono falli; c’è una punizione da trenta metri: tira Surjak, mezzo collo esterno, rasoterra: Kargus si butta e mette in angolo.
Sul corner Magath libera, riprende Muzinic che tira subito, Kargus stavolta vola all’incrocio e sventa; l’entusiasmo e l’incitamento dei tifosi aumentano d’intensità.
Poi Muzinic batte una punizione dal limite lato corto, triangolo di testa in velocità Cop-Surjak-Cop che di nuovo di testa serve Zlatko Vujovic fiondatosi in profondità e appena dentro l’area fa partire un gran diagonale che batte Kargus e fa 1-1.
Boato tellurico ed entusiasmo alle stelle
.

E’ tutto Hajduk adesso, lo stadio è una bolgia. L’arbitro concede un fallo agli slavi in fase difensiva, i quali, invasati, neanche si accorgono o si fermano dandosi un auto-vantaggio e spingono avanti. La palla giunge a Surjak che parte al galoppo, il pubblico, esaltato, esalta. Surjak serve Djordjevic sull’out sinistro e poi scatta all’interno. Djordjevic gli chiude il triangolone in area, Surjak entra palla al piede e punta Kaltz che lo stende: rigore!
E’ passato un minuto dal gol.

Kaltz con calma si porta al centro dell’area dove l’arbitro, fermo come un setter in ‘punta’ indica il dischetto, protesta, e probabilmente ha ragione.
Una decina di fotografi entra in campo per immortalare l’accaduto.
Dal dischetto va Primorac che si fa parare il rigore, un inizio gara disastroso per il valente terzino.
E puntuale arriva uno degli assiomi proverbiali del calcio: gol sbagliato, gol subito.
C’è subito una punizione per l’Amburgo, sul conseguente batti e ribatti di testa la palla finisce sui piedi di Hieronymus al limite dell’area; Hieronymus controlla di destro, fa un gran sombrero a Rozic e poi con la palla che scende calcia al volo di sinistro nell’angolo basso alla destra di Pudar per il 2-1.

Qualificazione molto difficile adesso, serve sempre una vittoria con due gol di scarto, ma metà primo tempo se n’è andato.
L’Hajduk non si arrende, Zlatko Vujovic crossa dall’out di sinistra la palla spiove in area, Kargus smanaccia, accorre Surjak che sulla respinta del portiere tedesco spara una splendida bordata di collo che finisce sull’esterno della rete.

Poi, Amburgo in avanti: cross di Magath, libera la difesa. La palla finisce a Surjak che lancia sulla sinistra Zlatko Vujovic, contropiede travolgente; esce Kargus che lo affronta, bene, appena dentro l’area, e lo ferma. E’ l’ultimo sussulto di un gran primo tempo.

Ripresa: Hrubesch perde palla, Djordjevic fila via e crossa, Zlatko Vujovic ci arriva appena allungando la gamba, blocca Kargus.

Incitamento del pubblico e forcing dell’Hajduk, un cross di Gudelj è deviato in corner. Lo va a battere Surjak: spiovente sul secondo palo dove salta Djordjevic che di testa infila in rete, vana la rovesciata sulla linea di Hidien, è 2-2; boato fenomenale.

E’ solo il 4’ del secondo tempo: si può fare.
L’ Hajduk va in forcing, la difesa dell’Amburgo spazza lontano senza tanti complimenti. Su un’altra azione insistita dei padroni di casa, oltre l’ora di gioco, Kaltz fatica a liberare, tre giocatori jugoslavi sono appostati appena fuori area pronti ad aggredire, recupera palla Muzinic che crossa, respinta di testa, raccoglie Surjak in posizione centrale, questi serve a destra per Krisitevic che tira in corsa, palla sulla schiena di Hidien e in calcio d’angolo. Bell’assalto non c’è che dire, tedeschi sulla difensiva.

Quindi Surjak si invola palla al piede, supera la linea mediana e si allunga troppo la palla, entra Memering in scivolata. E anche Surjak, che riconquista il possesso, si rialza e serve Djordjevic che sprinta largo a sinistra, Kaltz lo chiude in recupero.
Sull’angolo che ne consegue i difensori tedeschi chiedono a quelli davanti di tornare a dar man forte; angolo battuto sul secondo palo, saltano in tre dell’Hajduk ostacolandosi forse un po a vicenda, colpisce Primorac che mette di poco fuori.
Surjak che era infatti messo meglio dietro di lui si dispera col compagno, la folla incita instancabile.
Imposta adesso Kristievic, bel lancio in profondità per Surjak, appostato al limite dell’area, che appoggia al centro , nn c’è nessuno dei suoi.
La prende Hartwig che appoggia per Kaltz, ma sopraggiunge Djordjevic che intercetta il passaggio e tira in corsa, alto.
C’è una strepitosa fucilata di Kristicevic da trentacinque metri che va dritta all’incrocio: Kargus si butta e devia spettacolarmente sopra la traversa.

Ancora Hajduk che conquista palla a centrocampo, Salov evita un paio di avversari e serve in profondità Surjak che controlla in corsa dribblandosi un avversario, scatta verso il fondo e crossa, Kargus blocca in presa alta. Il portiere tedesco serve Keegan con le mani fuori area, l’inglese, che non ha ancora visto palla, dorme; sopraggiunge Zoran Vujovic che gli soffia la sfera e serve il fratello in area sul quale esce Kargus alla disperata.
Che Hajduk!

Altro angolo per i padroni di casa, batte Djordjevic, Kargus non la prende, il pallone lo supera ma nessuno dei due giocatori jugoslavi dietro di lui riesce a toccarla quel tanto che basta per spingerla dentro. Poi un altro tiro di Surjak esce di un paio di metri alla destra di Kargus.
Quindi Nogly batte lungo una punizione per alleggerire la pressione ma la palla torna subito nella sua metacampo. Recupera Kaltz che però la perde, gliela soffia Surjak al limite che da dentro.
Il tiro in corsa supera Kargus in uscita ma un difensore tedesco spazza a due metri dalla linea.
Incontenibili i giocatori di casa: Salov controlla sfugge a un paio di trattenute , poi alla terza l’arbitro fischia una punizione. Sullo spiovente Primorac a centro area salta splendidamente e con un gran colpo di testa batte Kargus, 3-2.
Cinque minuti e un gol per andare in semifinale.

Ultime fasi concitate, i giocatori di casa, stanchi, perdono lucidità; l’Amburgo compie un paio di sortite di alleggerimento.
Ivic in panchina si dispera.
Ultimo assalto: punizione di Maricic per Salov che dal limite tira in porta ma centra Surjak sulla schiena, sul rimpallo ne esce un altro angolo. Probabilmente l’ultimo.

Dalla bandierina va Maricic, Ivic arriva fino a lì per dargli indicazioni sul come battere e incitare quelli in mezzo; ma come spesso accade in questi frangenti Maricic sbaglia il corner, che è corto, un difensore tedesco spazza lontano e l‘arbitro fischia la fine.
Peccato, meritavano.
Il rigore sbagliato da Primorac pesa come un macigno.
E, forse, quel 4-2-4 si prestava troppo facilmente a scoprire il fianco quando si va a tutta birra. Ma un grande Hajduk.

Il pubblico, compattissimo saluta i propri beniamini con cori entusiasti e gran sventolare di bandiere, uno spettacolo.

Grande partita, il tipo di partite che si giocavano al tempo, quando gli incontri di questo livello erano degli avvenimenti, confronti tra diverse scuole calcistiche; ricchi di contenuti tecnici, atletici, persino ideologici, e anche squadre come l’Hajduk Spalato arrivavano a giocarle.

Calcio europeo al suo meglio.


L’Amburgo andrà in finale, dopo aver superato il Real Madrid in semifinale grazie ad una strepitosa rimonta, dove sarà sconfitto dall’ ultra-pragmatico Nottingham Forest.

Spalato, Stadio Poljud - 19 marzo 1980
COPPA DEI CAMPIONI – Quarti di Finale – Ritorno
Hajduk Spalato 3-2 Hamburger SV

NK Hajduk (4-2-4): Pudar; Rozic, Zoran Vujovic, Primorac, Krstievic; Muzinic, Gudelj (62’ Salov); Šurjak, Djordjevic, Zlatko Vujovic, Čop (62’ Maricic).
All. Tomislav Ivic

Hamburger SV (4-3-3): Kargus; Buljan, Kaltz, Hidien, Hieronymus (62’ Nogly); Hartwig, Memering, Magath; Keegan, Hrubesch, Milewski.
All. Branko Zebec

NOTE
Marcatori: 2’ Hrubesch (HSV), 21’ Zl. Vujovic (Haj), 24’ Hieronymus (HSV), 49’ Djordjevic (Haj), 85’ Primorac (Haj)
Arbitro: E. Dörflinger (Svizzera)
Spettatori: 52.000

mercoledì, maggio 06, 2020

Borussia Mönchengladbach-Eintracht Frankfurt 3-2
Finale Coppa Uefa 1980

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Un altro viaggio nella Grandi Partite Dimenticate a cura di ALBERTO GALLETTI.

Nel maggio 1980 andò in scena la prima finale di una coppa europea disputata da squadre tedesche.
Non era la prima volta che due squadre della stessa nazione si contendevano una finale europea: successe una prima volta nel ’62 in Coppa delle Fiere con due squadre spagnole; poi ancora nel ’72 nella prima edizione di Coppa UEFA, che sostituiva la Coppa delle Fiere, con due squadre inglesi.

Tecnicamente era possibile che accadesse anche in Coppa dei Campioni o in Coppa delle Coppe, ma era probabilisticamente quasi impossibile

. Si trattava in ogni caso di una rarità, nonché di un evento calcisticamente eccezionale.

Questa finale inoltre era frutto di un predominio tedesco sulla competizione, già l’anno prima c’erano state tre semifinaliste tedesche [1,] questa volta quattro.

L’Eintracht Francoforte aveva già giocato una finale europea.
Sfortunatamente per loro quella che fino ad allora era considerata la più grande finale mai giocata fino a quel momento e che lo aveva visto dalla parte sbagliata del segnapunti, sconfitto 3-7 dal grande Real Madrid del 1960.

A questa seconda finale era approdato in virtù di una strepitosa rimonta in semifinale sul Bayern: vittoria per 5-1 ai supplementari dopo aver perso l’andata a Monaco 2-0; Bayern che era impegnato in un sanguinoso testa a testa con l’Amburgo per la vittoria in Bundesliga, che alla fine otterrà.

Il Borussia Mönchengladbach era una squadra onnipotente negli anni 70, o meglio ancora era stata ad un passo dall’esserlo se avesse vinto la Coppa dei Campioni del 1976/77 e magari, se fosse venuto quel successo, anche quella del 1977/78; se, se, se…..
Potevano comunque vantare una striscia di successi formidabile tra il 1970 e quel maggio 1980.
In campo europeo erano stati finalisti per quattro volte nelle ultime sette stagioni, questa era la quinta.
Più cinque campionati tedeschi e una Deutsche Pokal: una potenza!

Nel 1980 era una squadra in ricostruzione, i migliori erano finiti in Spagna, Weisweiler al Barcellona, Netzer al Real, Bonhof al Valencia; Vogts aveva smesso a fine stagione 78/79 e così pure Heynckes che, al tempo solamente trentaquatrenne, era andato direttamente in panchina e su quella panchina sedeva la sera di quel 7 maggio.
Un deludente decimo posto l’anno prima non li aveva qualificati per la Coppa UEFA ‘79/80, ma erano detentori del trofeo, dopo la vittoria in finale sulla Stella Rossa di un anno prima.
In semifinale avevano avuto la meglio sui connazionali dello Stoccarda.
Si schieravano sempre secondo il modulo 4-3-3, marchio di fabbrica di tutti i successi del decennio appena concluso; con tre centrocampisti, diciamo così, centrali, di cui uno, il diciannovenne Lothar Matthäus alla sua prima stagione da titolare, sentiremo ancora parlare.

L’Eintracht Francoforte era una squadra di media classifica che aveva forse leggermente passato il suo momento migliore.
Stava concludendo una stagione piuttosto anonima con un nono posto in campionato, nessun suo giocatore figurava tra i primi dieci migliori marcatori.
Fondava la sua forza sull’ equilibrio tattico e su una grande solidità difensiva garantita dal fortissimo nazionale austriaco Bruno Pezzey, uno degli stopper più forti al mondo in quel momento.
Si schierava secondo un più tradizionale 4-4-2 con a centrocampo due interni e due ali. La rapidità degli esterni li metteva in grado, nelle giornate giuste, di battere chiunque, una classica squadra da coppe.

Il piccolo stadio Bökelberg, scavato in una buca e molto raccolto a ridosso del campo, non è pieno: I presenti sono circa 25.000 in un impianto che può contenerne fino a 10.000 in più.
Ma il colpo d’occhio è decisamente buono , così come l’entusiasmo delle due tifoserie che sventolano bandiere e lanciano carta in un tripudio di cori.

Padroni di casa schierati nel tradizionale completo bianco con bordi nero-verdi; completo Adidas rosso con bordi bianchi, non molto tradizionale, per l’Eintracht; che batte il calcio d’inizio.
Dopo una paio di minuti Matthäus toccato duro resta a terra, intervengono dalla panchina.
La prima occasione è per gli ospiti, Karger gioca molto bene sulla tre quarti e dopo una finta serve al centro per l’accorrente B. Nickel che triangola con Cha Bum e batte di mezzo esterno dal limite, Kneib resta fermo, la palla si stampa sulla traversa torna in campo, Cha Bum si butta in tuffo sulla respinta e di testa manda tra le braccia del fortunato Kneib che non si era mosso.

Rispondono i padroni di casa con un’azione personale di Nielsen che fa quaranta metri palla al piede: Pähl sventa in angolo; sul tiro dalla bandierina c’è un colpo di testa all’indietro di Lienen che Pähl respinge coi piedi. Sono passati poco più di dieci minuti e ora il Borussia prende il comando delle operazioni. Al 15’ rimessa laterale sulla tre-quarti per il Borussia, Kulik scaraventa un cross in area, Pähl esce di pugno ma anticipa troppo e travolge Schäffer (oggi sarebbe rigore), la palla s’impenna e Pezzey di testa mette in angolo.

Soffre l ‘Eintracht, il Borussia avanza ora con sicurezza, Schäffer e Dell’Haye si impadroniscono delle fasce laterali; Heynckes memore della lezione dell’antico maestro Weisweiler non ha cambiato il modo di giocare della squadra. Al quarto d’ora Dell’ Haye riceve palla sull’out destro, controlla bene e finta su Neuberger prendendogli un po di spazio, scatta avanti e crossa in mezzo, respinge Pezzey, quindi la palla giunge a Kulik che dialoga con Schäfer e poi tira in diagonale verso l’incrocio opposto; Pähl respinge a mani aperte.

La difesa dell’Eintracht è ordinata e, nonostante sia ora sotto una considerevole pressione, non ci sono sbandamenti; le conclusioni concesse però sono tante. Pähl, considerato il punto debole della difesa per ora ha risposto bene.
Ancora Borussia: Dell’Haye sulla destra si libera dell’avversario diretto e centra, respinge ancora Pezzey di testa, raccoglie Matthäus che arriva come un diretto ai trenta metri , controlla e lascia partire una sventola di controbalzo che saetta verso l‘incrocio: Pähl sventa ancora.
Al 30’ Matthäus ,imbeccato in verticale da Ringels, riceve e con una delle sue famose progressioni palla al piede si fionda verso l’area, vi entra, Pezzey lo contrasta allargandolo; ma il giovane centrocampista riesce comunque a concludere rasoterra, Pähl mette in angolo.

Al 36’ rara proiezione offensiva dell’Eintracht che guadagna un corner; batte B. Nickel teso quasi sulla riga, fa irruzione Karger che di testa anticipa Kneib e scaraventa in rete: 0-1!
Abbastanza clamoroso. E’ scosso adesso il Borussia, scende ancora l’Eintracht: Hölzenbein e Ehrmantraut triangolano sulla sinistra in zona d’attacco, il terzino si incunea in area con bello scatto e crossa, non c’è nessuno dei suoi ma Ringles, solo e preoccupato, si butta in tuffo verso la sua porta e colpisce di testa: la palla si stampa contro la traversa, rimpalla su un altro compagno e finisce tra le braccia del fortunato Kneib. Al 40’ Hölzenbein va via sulla destra, altro cross, respinge Ringels, raccoglie Cha Bum che controlla bene al limite e serve l’accorrente Lorant: sventola appena sopra la traversa e bel tuffo alto di Kneib. Si scuote il Borussia, il primo tempo è quasi finito. 44’, bella azione in velocità Kulik, Matthäus, Lienen che entra in area e tira, respinge la difesa, la palla rimbalza sulla tre quarti sinistra dove arriva Kulik che controlla splendidamente, dribbla al volo l’avversario e poi di prima intenzione scaraventa un missile all’incrocio dei pali.
1-1, splendido e meritatissimo.

Finisce qui un primo tempo ricco di emozioni, occasioni e giocato a grande ritmo, velocità e palla a terra; l’entusiasmo dei tifosi di casa è palpabile.
Il secondo tempo si riapre come si era chiuso il primo, due azioni sulle fasce del Borussia, Pähl nega ancora.
Quindi Pezzey avanza palla al piede, supera la linea mediana e apre sulla destra per Neuberger che sopraggiunge lanciatissimo, controlla in corsa e punta l’area, lo chiude Schäfer ma Neuberger lo finta mandandolo al bar, il terzino in maglia rossa esplode un sinistro a giro destinato all’incrocio dei pali ma Kneib vola e devia .

Ancora Eintracht, B. Nickel serve Borchers che subisce fallo, ma si rialza; Cha Bum gli chiude il triangolo e il tiro è centrale bloccato a terra da Kneib.
Finalmente si riaffaccia in avanti il Borussia, Dell’Haye crossa in mezzo, Pezzey respinge di testa fuori area sui piedi di Lienen che si coordina molto bene e calcia al volo. Il tiro è angolato ma non molto forte e Pähl blocca a terra.

Grande ritmo, anche dopo il primo frenetico quarto d’ora, le squadre cercano di superarsi, ma sono anche attente a non farsi beccare scoperte, i portieri fanno buona guardia.
Al 70’ Neuberger avanza a cavallo della linea mediana e serve Borchers che punta Hannes, il quale indietreggiando un passo gli lascia quel metro decisivo per uno che stà partendo in progressione.
La progressione continua, Borchers si allarga, giunto in prossimità dell’area lascia partire un cross bellissimo (la gente che parla di calcio oggi li dovrebbe guardare bene sti cross), Cha Bum in mezzo perde l’equilibrio, ma da dietro sopraggiunge Hölzenbein a tutta birra, l’ex-nazionale si getta in tuffo e colpisce di testa.
La palla picchia davanti alle mani di Kneib, proteso in tuffo e si infila in rete. Bellissimo gol e vantaggio adesso tutto sommato meritato: 1-2.

Il Borussia riparte, c’è un’azione insistita di Lienen che da sinistra centra in mezzo due volte, sul secondo cross, rasoterra, si avventa d’incontro Matthäus che tira di sinistro senza pensarci due volte e trova l’angolo basso alla destra di Pähl per il 2-2.v E’ una grande partita, 15’ al termine, e il Borussia cerca la vittoria forte dell’entusiasmo per il pari ritrovato.vv Arriviamo all’ 88’, Ringels apre sulla destra dove scatta Schäffer. Hölzenbein lo rincorre, ma è sul lato sbagliato, all’interno. Il terzino gli sfugge, crossa, un altro bel cross, che beffa Pezzey e spiove giusto sul primo palo dove si catapulta Kulik in tuffo che di testa segna un gol strepitoso.
Fa 3-2 per il Borussia e manca un minuto.

Finita? Macchè.

Al 90’ Neuberger, imbeccato dal subentrato Trapp, calcia violentemente in corsa di esterno destro da oltre trenta metri. Il tiro, stratosferico, è sfiorato da Kneib quanto basta per alzarlo sopra la traversa.
Sul rinvio Trapp riconquista palla e serve Nachtweih che tenta un’ ultimo assalto ma Guruceta Muro manda il triplice fischio e chiude la partita. Nachtweih gli scaglia il pallone quasi addosso dalla rabbia.

Si chiude una magnifica partita, una magnifica finale di Coppa UEFA; se non la migliore (per me si), una delle migliori.v
Bökelbergstadion, Mönchengladbach, 7 maggio1980v COPPA UEFA 1979/80 – FINALE – Andatav Borussia Mönchengladbach 3-2 Eintracht Frankfurtv Borussia: Kneib; Schäffer, Schäfer, Hannes, Ringels; Matthäus, Kulik, Nielsen (66’ Thychosen); Dell’Haye (72’ Bödecker), H. Nickel, Lienen. All. J. Heynckes
Eintracht: Pähl; Neuberger, Pezzey, Körbel, Ehrmantraut; Lorant, Borchers, B. Nickel; Hölzenbein (79’ Nachtweih), Karger (81’ Trapp), Cha Bum-Kun. All. F. Rausch
Arbitro: Guruceta Muro (Spagna)
Marcatori: 37’ Karger (E), 44’ e 88 Kulik (B),71’ Hölzenbein, 76’ Matthäus
Spettatori: 25.000 circa

Al ritorno, quindici giorni dopo, Heynckes schierò un Borussia più attendista, con un 4-4-2 col quale bloccò il temibile Nuberger e Cha Bum dall’altra parte e la partita; quasi riuscì nell’intento.
Ma un tiro di Schaub, che era appena entrato, a neanche 10’ dal termine diede la vittoria per 1-0 all’ Eintracht che vinse la Coppa UEFA 1979/80 in virtù dei due gol realizzati nell’incontro appena descritto.
Il suo primo, e finora unico trofeo internazionale.

Jupp Heynckes chiuderà la sua fenomenale carriera di allenatore trentatre anni dopo, alla guida del Bayern, (1) Per tedesche, in questo articolo, intendo sempre squadre provenienti dall’allora Germania Ovest.

martedì, aprile 07, 2020

17 Nentori-Ajax, 1970



ALBERTO GALLETTI ci porta alla scoperta di una suggestiva e lontana grande partita dimenticata.
In un'epoca che sembra non sia mai esistita.


Gli swinging sixties si erano chiusi portando con se il compimento di una vera e propria rivoluzione nei costumi giovanili insieme all’inopinato scioglimento dei Beatles, che di quella rivoluzione erano stati protagonisti assoluti, senza aver intaccato più di tanto il mondo del calcio.

Eccezion fatta per il solo Best e pochi altri, il mondo della pedata era rimasto tutto sommato immune alle paturnie giovanili dei 60s e rimaneva ancorato a valori tradizionali che erano sempre quelli.
Perchè sempre quello era il gioco, e sempre quello era quello che si richiedeva ai giocatori, correre, principalmente, e una vita senza vizi fatta di allenamenti e stare in casa .

Mentre però uscivano di scena, i 60s regalarono un’anteprima brevissima di quella che, di li a poco, sarebbe stata una rivoluzione calcistica paragonabile a quella giovanile appena finita.
L’Ajax, compagine olandese vincitrice degli ultimi tre campionati consecutivi (‘66, ‘67 e ‘68), si qualificava alla finale di Coppa dei Campioni 1969.
Vi arrivò col vento in poppa della novità e di una freschezza di gioco che qualche osservatore già aveva catalogato alla voce calcio totale; da più di un’amnesia difensiva che costò loro sconfitte su campi improbabili; e trascinato da un certo Johann Cruyff, ventiduenne attaccante a tutto campo, di sicuro avvenire.

I tempi non erano però ancora maturi, i capelli e le basette non ancora lunghi a sufficienza, e il Milan, ancorato alle solide certezze calcisticamente conservatrici, contropiedistiche e controrivoluzionarie del Paròn Rocco fece polpette (4-1) dei lancieri.

Che non si trattasse di un caso isolato fu confermato l’anno dopo quando un’altra squadra olandese, il Feyenoord, raggiunse la finale di Coppa dei Campioni e questa volta la vinse.
Ora all’inizio della stagione 1970/71 l‘Olanda schierava due squadre ai nastri di partenza della maggior competizione europea, i campioni d’Europa in carica, e l’Ajax, dominatore in campionato nel frattempo dotato delle giuste lunghezze di capelli, barbe e basette e maglie portate fuori dai pantaloncini.

I lancieri furono accoppiati dal sorteggio del primo turno al 17 Nentori Tirana, campione albanese per il 1969/70.

Il 17 Nentori, che quest’anno compierà 100 anni e gioca ora sotto il nome di FK Tirana col quale fu fondato, visse una prima epoca d’oro negli anni ’30 quando si aggiudicò sei scudetti tra i 1930 e il 1937.
Durante quel periodo la squadra guadagnò anche una grande popolarità tra la gente essendo l’unica squadra della capitale iscritta al campionato, in più la squadra vincente.
L’instaurazione del nuovo regime comunista filo-sovietico, presieduto da Enver Hoxha al termine della seconda guerra mondiale portò, come in tutti i paesi che finirono nell’area di influenza socialista, una riorganizzazione delle attività sportive.
Anche in Albania lo sport finì sotto il controllo diretto del governo e dei suoi apparati; anche in Albania furono fondate una società della polizia, la Dinamo Tirana, dipendente dal Ministero dell’Interno e una dell’esercito, il Partizani Tirana, dipendente dal Ministero della Difesa.
Caratterizzato da una ferma ultraortodossia ideologica, il partito cominciò ad influenzare in modo pesante l’andamento del calcio albanese.
I I tempi si fecero duri per il FK Tirana.
Nel marzo del ’46 fu imposto il cambio di nome: 17 Nentori (17 Novembre), in omaggio al giorno della liberazione(1944) di Tirana dall’occupazione nazista.
Cominciarono poi le pressioni del regime sui giocatori per convincerli ad accettare la Dinamo o il Partizani.
Il Nentori fu prima spolpato dai migliori giocatori che aveva in rosa e quindi precluso dall’averne di nuovi in quanto ogni volta che ne emergeva uno, li o altrove finiva in una delle altre due neofondate squadre.
Il decennio ’47-’58 fu davvero magro per la squadra che manteneva comunque il suo seguito, numeroso e fedele tra la gente comune.
All’inizio degli anni ’60 la morsa del potere sul club si allentò un po'.
Complice il fatto che le due squadre di regime continuavano a vincere e non avessero bisogno di rubare di continuo giocatori al Nentori, la squadra fu in grado di trattenere e far crescere parecchi buoni giocatori e di allestire una squadra competitiva.

Dopo tre terzi posti consecutivi, il 17 Nentori tornò alla vittoria in campionato nel ‘64/65 e bissò il titolo l’anno dopo.
Le angherie del regime non erano però finite: nel 1967 con il titolo quasi in tasca a tre giornate dalla fine, i generali dei servizi segreti persero la pazienza ed estromisero pretestuosamente il 17 Nentori dal campionato con le rimanenti partite perse a tavolino, mentre dietro la Dinamo vinse sempre e conquistò il titolo.
La squadra era comunque di valore, e rivinse nel ’68 e nel ’70.

Se è vero che in patria furono maltrattati e stoppati di continuo dal regime, in Europa si fecero valere: nel ’65 in Coppa dei Campioni avevano pareggiato 0-0 in casa col Kilmarnock al primo turno ed erano stati eliminati perdendo solo 1-0 al ritorno in Scozia.
Questo aprirebbe una bella parentesi sulla secolare inadeguatezza del calcio scozzese in determinate circostanze, ma magari lo lasciamo per un'altra volta.
L’anno prima, sempre al primo turno aveva fatto 1-1 in casa contro lo Standard Liegi (ma venne eliminato in virtù del 3-0 per i belgi all’andata).

Si presentava ora una nuova occasione per la squadra di dimostrare il proprio valore in una competizione europea, messa di fronte ad una grande squadra emergente.
Entrare in Albania nel 1970 era un’ impresa.
Il paese era chiuso, gli abitanti non potevano uscire e la propaganda scoraggiava tale pratica parlando in termini solamente negativi di ciò che stava al di la dei confini nazionali.
Il potere del dittatore, il culto della sua personalità erano poi tali che al di là dei visti ufficiali e speciali necessari per entrare nel Paese, che richiedevano interessamenti fuori dall’ordinario nei paesi di provenienza, comportavano altri obblighi, tra i quali quello di acconciarsi barba e capelli alla sobrietà richiesta dal dittatore in linea con le direttive dei militari e in spregio alle molli e decadenti usanze della gioventù occidentale dell’epoca, cui i visitatori stranieri, appena giunti nel paese, erano tenuti a sottostare.

Fu chiesto anche all’ Ajax.

Gli olandesi, da par loro, rifiutarono seccamente provocando un certo risentimento nelle autorità.
Fu necessaria la mediazione dell’ UEFA che strappò un’accordo con il governo albanese in base al quale ai giocatori olandesi fu proibito di camminare per le strade di Tirana e parlare con i locali, inclusi i calciatori del Nentori, in modo che non potessero così spargere in giro i germi della cultura libertaria occidentale e contaminare la purezza della gioventù (e della popolazione) locale.
Fenomenale!

La comitiva olandese sbarcò a Tirana al martedì, prese alloggio all’ Hotel Dajti, dove ci fu un altro incidente diplomatico causato dalla volontà degli olandesi, com’era in uso allora e anche oggi, di usare le proprie derrate portate al seguito per i pasti della squadra.
La direzione dell’albergo rifiutò.
Poi i giocatori si concessero un rapido giro nel centro della capitale facendo ben attenzione a non entrare troppo in contatto con la gente del posto, come da ordini superiori, la quale rimase abbastanza impressionata nel trovarsi davanti questi giovanotti stranieri , alti e atletici, capelli lunghi perfettamente abbigliati delle loro eleganti divise sociali.
Seguì nel pomeriggio un allenamento di rifinitura allo stadio nel quale Cruyff rimediò una botta al ginocchio che gli impedì di giocare.

L’incontro si svolse a mezzogiorno perché, come in ogni stadio dei paesi dell’Est all’epoca, forse ad eccezione di quelli olimpici, non c’era l’impianto di illuminazione.
Il sole cocente e il caldo, soffocante, non aiutarono gli olandesi.
Lo stadio è gremito, il pubblico ordinato, seduto, tranne quelli sull’ultimo gradino in alto appoggiati alla ringhiera che sono in piedi, le camice chiare a mezze maniche sono tante.

Le squadre si presentano in maniche corte, le divise quasi simili, calzoncini e calzettoni bianchi per entrambe, rosso per l’Ajax, il 17 Nentori non si sa per quale motivo ha trovato delle maglie blu (Dinamo?) nei magazzini dello stadio e le ha indossate al posto di quelle tradizionali a strisce biancoazzurre.
Prima dell’incontro l’Ajax omaggia i giocatori di casa con una maglietta Adidas ciascuno e altri gadgets, parecchi i giocatori albanesi memori delle volontà delle autorità rifiutano l’omaggio.
L’Ajax ha portato con sé anche i palloni, sempre Adidas, che intende usare per la partita, ma i dirigenti albanesi rifiutano cortesemente e forniscono alla terna i loro palloni di fabbricazione cinese.

Cruyff è in panchina in camicia e pantaloni, insieme ad Arie Haan, che però è tra le riserve.
La partita viene trasmessa in via del tutto eccezionale dalla tv sperimentale albanese, il telecronista alterna il suo commento tra televisione e radio.

La partita è giocata a buon ritmo, gli olandesi lo dettano, correndo parecchio, i giocatori di casa non sembrano patirne e corrono a loro volta.
Suurbier porta in vantaggio l’Ajax con una bella azione in contropiede, è il ventesimo minuto.
Nel secondo tempo, entra in campo Kazanxhi che era stato fermato dall’arbitro all’ingresso in campo per aver irregolarità delle sue scarpe (tacchetti forse).
A inizio ripresa approfittando di una rimessa laterale dopo un minuto, batte la rimessa al posto di Xhacka che esce, indossando le stesse scarpe di prima ed evitando di essere controllato; mi vien da ridere pensando al protocollo attuale delle sostituzioni che sembra quello per entrare o uscire da una caserma.
E’ ancora Ajax comunque: Ulshoff trova la doppietta personale con un tiro dal limite che si infila rasoterra a fil di palo: 2-0.

Qui il 17 Nentori riesce in un’impresa davvero notevole.
Non avendo più molto da difendere se non il proprio orgoglio, attacca i futuri campioni d’Europa.

C’è Prima un’azione sulla fascia destra sventata dalla difesa olandese e poi, è il 60’, Kazanxhi, proprio lui, insacca di testa da mezzo metro, la difesa dell’Ajax pare imbambolata.
Grande tripudio della folla ed entusiasmo alle stelle, migliaia di braccia alzate sotto ad un cartellone propagandistico raffigurante un lavoratore in maniche di camicia con le braccia alzate che sembra messo li apposta ed esultare a sua volta.

Si riprende, il Nentori torna in avanti, c’è prima una bella azione con cross sventato in uscita da Stuy.
Poi si infortunano prima Frashëri e poi Dhales , le sostituzioni sono già state effettuate e devono rimanere in campo, ma il loro apporto è di fatto nullo e il Nentori è come si trovasse in 9 contro 11.

Poco male perché volontà, orgoglio e forza fisica non difettano alla formazione di casa (o a quel che ne rimaneva sano) e, quando mancano solo cinque minuti, Çeço mette in rete con un tiro da appena dentro l’area dopo triangolo al limite.

Folla in delirio e grande entusiasmo; e un 2-2 che rimane anche il risultato finale.

Una pagina gloriosa per il calcio albanese, forse la migliore, fino a quel punto e par parecchio tempo anche dopo. Il ritorno finirà 2-0 per l’Ajax che vincerà poi la Coppa dei Campioni 1970 battendo il Panathinaikos nella finale di Wembley.

Coppa dei Campioni 1970/71 Primo Turno, andata
Tirana, 16 settembre 1970

17 Nentori Tiranë 2-2 AFC Ajax
17 NENTORI: Konomi (61’ Habibi); Frasheri (Cap), Kasmi, Dhales, Hyka, Xhacka (46’ Kazanxhi), Çeço, Mema, Xhafa, Cela, Zhega. Allenatore: Myslym Alla
AJAX: Stuy; Suurbier, Hulshoff, Vasović (Cap), Krol; Rijnders, Neeskens; Mühren, Swart, van Dijk, Keizer. Allenatore: Rinus Michels

Arbitro: P. Schiller(Austria)
Reti: 19’ e 58’ Suurbier (A), 60’ Kazanxhi (N), 85’ Ceco (N)
Spettatori : 17.516

martedì, marzo 17, 2020

Real Madrid - Ac Rapallo Ruentes 8-0



ALBERTO GALLETTI ci porta in una partita sconosciuta ai più.

REAL MADRID - AC RAPALLO RUENTES   8-0

Quando si dice il caso.
Nel 1962, Carlo Tagnin era un calciatore trentenne che aveva appena finito di scontare una squalifica per un tentativo di combine di una partita del Bari, di cui era calciatore, e per la quale venne ritenuto unico responsabile.
La squalifica, di due anni e mezzo poi ridotta ad uno solo, fu un duro colpo alla carriera del mediano mandrogno, sia in termini sportivi che di reputazione.
Sempre in quel lontano 1962, mese di maggio, una piccola e gloriosa compagine ligure, il Rapallo Ruentes, otteneva la sua prima storica promozione in Serie C, il terzo livello calcistico nazionale italiano.
Artefice, dietro le quinte, il Signor Armando Bogliardi, imprenditore locale, col pallino del calcio.

Erano anni in cui l’ottimismo non mancava neanche in questo angolo di mondo oggi in preda ad una pluridecennale depressione e il calcio, pur con le limitate sconcezze dell’epoca, non faceva eccezione.
Sull’onda dell’entusiasmo promozione quindi, Bogliardi organizzò una tournèe in Spagna:
tre incontri amichevoli con il clou al Bernabéu il 10 giugno.

Il presidentissimo bianconero, che vantava parecchie conoscenze in ambito calcistico, dopo il colpo messo a segno per l’amichevole del 10 giugno, riuscì a contattare proprio Carlo Tagnin, al quale propose di unirsi alla squadra come ospite per la trasferta spagnola.
Tagnin, in cerca di una nuova opportunità, accettò.
Guidati dal valoroso capitano Angelo Pessina coadiuvato dall’esperto Tagnin, i bianconeri liguri scesero dunque in campo quel giorno sul terreno del mitico Bernabèu.

La partita non ebbe storia e si risolse in un monologo dei bianchi che pur schierando le seconde linee, eccezion fatta per Gento nell’ultima mezz’ora, travolsero il Rapallo con un 8-0 che non lascia spazio a dubbi di sorta.
Rimane il prestigio per i bianconeri liguri di aver calcato uno dei più prestigiosi palcoscenici calcistiche di aver affrontato la più blasonata compagine a livello mondiale al tempo vicecampione d’Europa e campione di Spagna.
La partita come abbiamo visto andò male ma, al rientro in Italia, per Tagnin ci fu un’ altra sorpresa:
Italo Allodi, allora direttore dell’ Inter lo chiamò a Milano e gli offrì un contratto, la richiesta veniva direttamente dal mago Herrera alla ricerca di gente dinamica a centrocampo.

Tagnin giocherà due stagioni con l’Inter e vincerà uno scudetto e una coppa dei campioni.
Di tutt’altro tenore sarà il suo successivo incontro con il Real , la sera del 27 maggio ’64 a Vienna. Non più amichevole questa volta ma finale di Coppa Campioni, non più vestendo il bianconero di una matricola della Serie c italiana ma il nerazzurro della squadra campione d’Italia, non più travolto da una grandinata di gol ma vittorioso per 3-1 e campione d’Europa.
Il calcio sapeva regalare storie da ricordare.

Madrid 10 giugno 1962, Estadio Santiago Bernabèu
Partita Amichevole

REAL MADRID - AC RAPALLO RUENTES   8-0
Real Madrid CF: Vicente (Betancort); Miche, Marquitos, Miera; Isidro, Zárraga (Vidal); J. Tejada (Gento II 62´), Pepillo, Simonsson, Gento III (Marsal), Canario.
AC Rapallo Ruentes: Piccoli; Giacobbe, Varlyen, Hanset (Costagli); Bellormo, Parodi; Sala, Tagnin, Magnon, Tamburini, Ieri
Arbitro:  Caballero Reti:   Gento III 13´, Canario 14´, Isidro 27´, Marsal 55´, Tejada 58´, Pepillo 65´, Pepillo, 80’ Canario.
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