Superata la metà dell'anno l'elenco di ottime uscite da segnalare si allunga ancora di più.
Dall'estero Judith Hill, Libertines, Prisoners, Bella Brown and the Jealous Lovers, Dexy's, Jack White, Les Amazones d'Afrique, Sahra Halgan, Boulevards, Mdou Moctar, Paul Weller, Liam Gallagher & John Squire, Mooon, Black Crowes, Dandy Warhols, Michelle David & True Tones, Clairo, Big Boss Man, The Wreckery, Yard Act, Kula Shaker, Kim Gordon, Kamasi Washington, Real Estate, Lemon Twigs, Bad Nerves, Tibbs, Idles, New Mastersounds, Mo Troper, Galileo 7 e Popincourt.
Tra gli italiani Ossa di Cane, A Toys orchestra, Tre Allegri Ragazzi Morti, Manupuma, Rudy Bolo, Cesare Basile, Organ Squad, La Crus, The Devils, Enri Zavalloni, Any Other, Smalltown Tigers, Paolo Zangara, Pier Adduce, Paolo Benvegnù, Zolle, I Fenomeni, Lovesick.
CLAIRO - Charm
Il mondo della cantautrice americana si dipana, sensuale e mellifluo, nel secondo album "Charm", tra suoni folk psichedelici tardo 60's, conturbante pop "alla francese", un'anima soul (non a caso a suonare c'è la Menahan Street Band e a produrre Leon Michels dei Dap Kings).
Perfetta per un'estate malinconicamente afosa, intanto che le giornate si accorciano.
JACK WHITE - No name
Singolare, forse semplice espressione dei "nostri tempi", che il nuovo di Jack White, uno dei migliori e più interessanti autori e musicisti in circolazione in questi anni, sia assurto a immediata popolarità per la scelta di pubblicarlo improvvisamente, gratuitamente, sul web, senza nome, in busta bianca, senza titoli dei brani.
Il contenuto passa in secondo piano.
Tredici canzoni all'insegna di un assalto sonoro garage punk, con i consueti riferimenti a Led Zeppelin, blues, rock blues, anche Rage Against The Machine (la track 5), un groove funk.
Come sempre tantissimo talento anche con una materia così basica, genialità sparse, energia a profusione.
Come sempre ineccepibile, anche nelle scelte di marketing.
SAHRA HALGAN - Sharaf
Halgan è un'attivista politica, paramedico, ex combattente in prima linea nella convulsa e caotica Somalia.
E' di Hargeisa, capitale dell'autoproclamata repubblica (dal 1991) del SOMALILAND (che divide la parte del nord della Somalia con un altro stato dichiaratosi indipendente, il Puntland, con cui, manco a dirlo ci sono screzi e scontri).
Nel suo nuovo album "Hiddo Dhawr" confluiscono psichedelia, rock, tradizione locale, melodie arabe, ethio jazz, funk, blues, addirittura garage punk (ascoltare "Sharaf" nei commenti), una miscela conturbante, forte, aggressiva e allo stesso tempo dolce.
BEACHWOOD SPARKS - Across the river of stars
Quarto album per la band californiana dalla vita tribolata. Confermano il loro attaccamento al sound solare della loro terra, Byrds fino al midollo, West Coast a profusione, una buona dose di country e psichedelia sognante. Molto bello.
BOULEVARDS - Carolina Funk: Barn Burner On Tobacco Road
Con l'aiuto di qualche amico in arrivo da Daptones, Durand Jones and the Indications, Black Pumas, Jamil Rashad torna con un album esplosivo di funk, soul, rhythm and blues che guarda a Gil Scott Heron, James Brown, Marvin Gaye, Curtis Mayfield, Blaxploitation varia. Sound derivativo e fedele alle origini ma l'album è semplicemente splendido, genuino, urgente
JOE TATTOON TRIO - Galactico
Classicissimo lavoro di Hammond Jazz, tra Jimmy Smith, Booker T and the Mg's, boogaloo, Meters e un po' di ethiojazz in filigrana. Bella la cover di "Sugarman" di Sixto Rodriguez e bravissimo il trio, fresco, vivace, eclettico, pulsante.
PARLOR GREENS - In Green We Dream
Supergruppo con membri da Sugarmen3, Delvon Lamarr Organ Trio, GA-20, Scone Cash Players, alle prese con il classico Hammond funk soul strumentale, con grande classe e una bella cover di "My Sweet Lord" di Harrison.
JOHNNY BURGOS - All I Ever Wonder
Elegante, raffinato, avvolgente album di mellow soul, solare, caldo, spesso vicino a Smokey Robinson o Marvin Gaye. Suoni vintage ma non troppo. Un sottofondo gradevolissimo.
THE DIP - Love direction
Da Seattle un buon calderone di soul, funk e rhythm and blues. Belle canzoni, atmosfere cool and groovy. Sempre materiale gradevolissimo da ascoltare.
AARON FRAZER - Into the blue
Secondo album per il componente di Durand Jones and the Indications e ancora una volta un pregevole lavoro di soft soul anni Settanta con uno sguardo a Pharell Williams e dintorni. Ovvero non solo suoni datati ma anche un approccio moderno, fresco, attuale. Canzoni e sound godibilissimi, tanto stile e raffinatezza.
BETTE SMITH - Goodthing
Nuovo album per la cantante americana, un più che ottimo classico viaggio tra soul, rhythm and blues, rock blues. Grande voce (a tratti vicina a quella di Macy Gray) e brani convincenti in un un contesto molto classico ma sempre divertente.
SUGARAY RAYFORD - Human decency
Il grande Sugaray non tradisce mai e ci consegna un bollente nuovo album di puro e semplice rhythm and blues, intriso di soul e funk. Grande ritmo, tanto groove e ascolto godibilissimo.
NATHANIEL RATELIFF & the NIGHT SWEATS - South of here
Un altro buon episodio per la band del Missouri che incide per la Stax Records. Southern soul (e rock), rhythm and blues, folk rock di gusto americano, ben fatto e con gusto.
RED KROSS - Red Kross
Super divertente il nuovo della band californiana.
Mischiano Beatles, punk, power pop, grage, 60's/70's/80's.
E' un piacere ascoltare canzoni fatte così bene, dalla composizione, agli arrangiamenti, alla resa sonora.
Una buona colonna sonora estiva.
JOHNNY CASH - Songwriter
Molto bello, elegante, intenso, il "nuovo" di Johnny Cash.
Undici inediti, ripescati dal figlio John Carter Cash che ha isolato voce e chitarra acustica del padre, ha ripulito il tutto, ha aggiunto a sua discrezione strumentazione varia e ne ha fatto un nuovo album.
Che suona bene e ha tutto il fascino del grande "Man in black" ma che solleva il solito "quesito":
che senso ha?
Ha senso?
Ha valore artistico un'operazione simile?
Non era più opportuno pubblicare gli inediti imperfetti e approssimativi originali?
THE TAMBLES - In the hive
Terzo album per la band olandese e nuovo ottimo lavoro in cui si mischiano garage, Stones, retaggi sixties ma anche seventies. Ben suonato, più maturo e rifinito. Una conferma.
ORGAN SQUAD - Double zero files
Esordio esplosivo per il quartetto modenese che mette insieme tutte le sfaccettature di quella frizzante scena nata con l'Acid Jazz nei primi anni Ottanta, con band come James Taylor Quartet o Corduroy (a cui la band si avvicina parecchio). Hammond, sfumature jazz, gusto Lounge Music, gli anni sessanta delle colonne sonore, con funk, Meters, Booker T & the Mg's, Jimmy Smith nel cuore. Ma ci sono anche riferimenti espliciti a Prisoners, mod sound, soul, rhythm and blues e una riuscitissima cover di "Hold on" dei Fleurs de Lys. Super!!!
GIUDA - Louder than action / It's not about the money
Tornano i lanciatissimi Giuda, in procinto di partire per un lungo tour americano, con un nuovo 45 giri che ne ribadisce la non facile capacità di comporre nuove canzoni, sempre fresche, potenti, efficaci, convincenti, mischiando glam, punk, rock 'n' roll, pub rock. Ovvero elementi classici, ampiamente esplorati e utilizzati nei decenni. Ma la band romana ci offre sempre una nuova visuale, eccitante, pulsante, nuova. Conquisteranno il mondo.
LISA BEAT and the LIARS - Sheena is a beat rocker
La band marchigiana lascia il vecchio nome di Lisa Beat e i Bugiardi e torna con un delizioso singolo con tre brani che ne conferma il gusto sopraffino nel ricreare quelle atmosfere, figlie del rhythm and blues, che nei primi anni Sessanta si mischiavano con il neonato Beat. Bellissima la cover di "Sheena is a punk rock" dei Ramones, riportata "indietro" di una quindicina d'anni e altrettanto riusciti gli altri due episodi del prezioso vinile. Da avere!
THE LINK QUARTET - Green Puma / Tropical dandy
Torna l'immarcescibile Link Quartet, oltre 30 anni di attività e una discografia lunga e corposa. Il nuovo singolo ne conferma la superba qualità compositiva nel sapersi destreggiare con personalità nell'ambito dell'Hammond Beat Jazz, dall'inconfondibile sapore cinematografico e con il classico retrogusto anni Sessanta. Il tutto suonato con grinta rock e una potenza che va a braccetto con la loro nota raffinatezza ed eleganza espressiva. Una garanzia.
AA.VV- "Modstock #3 - 16 Mod Club Sounds For The 21st Century
Una delle tantissime compilation che raccolgono gemme oscure dei 60's. Qui si va da rhythm and blues a latin jazz, boogaloo e altre delizie, alcune delle quali di primissima qualità.
AA.VV. - Craig Charles Trunk Of Funk Vol 3 – 19 Soul, Funk, Disco, & Boogie Bangers
Pulsante e super groovy compilation dove si sta in perfetto equilibrio tra funk e disco con brani travolgenti e pieni di ritmo. Super gradevole.
CRASH BOX - Demo 1983
La band milanese è stata tra le più rappresentative dell'hardcore italiano degli anni Ottanta e proprio di quel suono e di quella scena seminale, unica al mondo, fotografarono al meglio le caratteristiche. Violenza sonora, velocità di esecuzione ma un'incredibile varietà di influenze e soprattutto testi di elevatissimo spessore lirico sin dall'inizio, da questo primo demo del 1983, riprodotto fedelmente con tutta la sua urgenza, spontaneità, rabbia. Un manifesto perfetto per "quegli anni importanti".
GANG - Fra silenzi e spari
I Gang hanno deciso di riprendersi le incisioni contenute negli album che vanno da “Le radici e le ali” del 1991 fino a “Controverso” del 2000, appartenenti a una major. Hanno così ri registrato alcuni di quei brani, ridando loro una nuova veste e colori aggiornati. Trovano nuova luce quelli che sono ormai classici della nuova canzone d'autore italiana militante, come “Johnny lo Zingaro”, “Comandante”, “Bandito senza tempo”, “Sesto San Giovanni”, “La pianura dei 7 fratelli”. Il primo capitolo di questa operazione, che prevede altri due futuri episodi, mantiene tutte le caratteristiche dell'opera dei fratelli Severini: passione, genuinità, sincerità, lucidità, sguardo avanti pur pescando nel loro passato, nelle loro radici. I Gang sono un'entità unica nel panorama italiano e lo confermano ancora una volta.
JEAN PAUL AGAMBI QUARTET – Hate Feeds Itself
Torna la band sparsa per l’Europa, tra Glasgow e Barcellona, composta da Elle e Flavio Ferri, con l’aggiunta di Simone Trovato e Alex Carmona. Un altro ep, che segue il precedente ” Atomic Urban Extravaganza”, di alcuni mesi fa, in cui si condensano umori metropolitani, tra funk impazzito, jazz, avanguardia, attitudine punk, caos sonoro, hip hop e altro. Pura avanguardia, interessantissima.
ASCOLTATO ANCHE:
KASABIAN (pop dance di basso livello), GARDEN CITY MOVEMENT (funk elettronico molto soft e caldo), SPEED (hardcore epost hardcore dall'Australia. Ottimi ma un po' scontati).
LETTO
Graeme Thomson - George Harrison. Behind the locked door. La biografia
La lunga e dettagliata storia di "Beatle George", rimasto tale nonostante i reiterati tentativi di sfuggire "a una storia dell'orrore, terribile, folle, un vero incubo, un'esperienza caratterizzata da pazzia, panico, paranoia" (come ha più volte dichiarato).
Curiosamente, ma non troppo, George, Paul, John, Ringo, cercarono di scappare dal marchio Beatles, dopo lo scioglimento, non riuscendoci mai, continuando a fare riferimenti, positivi o negativi, a quella esperienza, nelle canzoni, interviste, dichiarazioni, scritti.
Curiosa la storia dell'esperienza delle "Anthology", mezzo incubo per chi le ha gestite, con una tensione latente e costante tra i Threetles.
Si racconta del George mistico che fa a pugni con quello estremo, tra droghe, alcol, sesso, tradimenti, con il senso di onnipotenza che gli diede la fama con i Fab Four, con un carattere che poteva essere duro e scostante.
"Mi ha sempre destato qualche perplessità il fatto che il suo comportamento non fosse poi così tanto aderente ai valori che professava.
Non era sempre una persona amorevole.
Aveva un lato parecchio spiacevole. A volte era difficile capirlo: non era una passeggiata. Se dicevi qualcosa nel modo sbagliato se la prendeva anche se dal tuo punto di vista era un'uscita innocente.
Diciamo che ti rimetteva al tuo posto." (Glyn Johns)
La frustrazione di essere relegato compositivamente in secondo piano durante l'era Beatles: "non si rendevano conto di chi ero e questo era uno dei principali difetti di John e Paul.
Erano così impegnati a interpretare le parti di John e Paul che non prestavano attenzione alle persone intorno a loro".
La storia (e il libro) sottolineano come in realtà lo spazio lasciato a George fosse consono alle sue capacità compositive che non andavano al di là delle due/tre canzoni ad album.
La carriera solista lo dimostra e anche i brani che John e Paul rifiutarono durante il periodo Beatles.
Dovuto anche, per sua stessa ammissione, alla necessità di avere molto tempo per comporre e rifinire le canzoni.
Una storia fatta di successo ma anche di lunghi silenzi, insicurezze, i gravi problemi di salute che lo porteranno a una morte prematura, la marea di soldi persi con la casa di produzione cinematografica, la pace che trovava solo nei suoi giardini, l'aggressione subita in casa, la ricerca, quasi paranoica, di solitudine in posti remoti, lontano dalle folle, il credo religioso che lo portò a una morte serena.
I Beatlesiani non si possono esimere, il libro è pieno di spunti e particolari poco noti (difficile trovare aspetti inediti sui Beatles...), non è agiografico e racconta la storia di un ragazzo che voleva solo suonare la chitarra in un gruppo rock 'n' roll.
"Non riusciva proprio a capire perché fosse diventato un musicista famoso in tutto il mondo.
La cosa lo ha sempre un po' confuso.
Si chiedeva perché lui, un ragazzo qualsiasi di Liverpool, destinato a svolgere un lavoro semplice e umile fosse diventato all'improvviso così conosciuto"
(Pattie Boyd)
Antonio Franchini - Il fuoco che ti porti dentro
"Ne detesto il qualunquismo, il razzismo, il classismo,,l'egoismo, l'opportunismo, il trasformismo, la mezza cultura peggiore dell'ignoranza, il rancore, il coacervo di mali nazionali che lei incarna in blocco, nessuno escluso, al punto di essermi convinto che se c'é una figura simbolo degi orrori dell'Italia, una creatura di carne ed ossa che tutti li racchiude, questa è Angela, mia madre".
Un racconto spietato, tragico, talmente feroce che a tratti assume i contorni di commedia, si apre al sorriso (per quanto amaro).
Una madre impossibile, di cui ricorda con affetto i lati positivi, affossati immediatamente da quel "fuoco che si porta dentro" che incenerisce ogni potenziale apertura positiva.
E' anche un cattivo e acre scontro, costante, duro e senza pietà tra Nord e Sud, immaginati e pregiudiziali (visti dall'ottica meridionale).
"Angela odia sia per differenza sia per affinità, e per affinità odia ancora più intensamente.
Non concede mai al vento della sua avversione un rifugio in cui placarsi, ma gli lascia davanti una prateria dove soffiare senza requie: ha bisogno di odiare come di respirare, sente di non esistere se non si contrappone."
Tale è l'estremismo verbale, l'accanimento di Angela contro ogni persona e ogni cosa, da suscitare paura, sgomento, rassegnazione, di fronte a tanto sfoggio di odio.
Franchini lo rappresenta alla perfezione, rimanendo in costante bilico tra esagerazione e verosimiglianza.
In mezzo perfette fotografie di un mondo passato ma che testimoniano ancora di più la "banalità del male"
"Si vive nella cucina con tinello, un'unità immobiliare oggi abolita; i salotti stanno quasi sempre con le serrande abbassate, sospirano nell'odore di chiuso, aspettano ospiti che non arriveranno mai, i divani sono rivestiti di tessuti damascati e qualche volta anche da una membrana di cellofan, come appena usciti dalla fabbrica, perché la qualità suprema della padrona di casa è sapere preservare gli oggetti, farli durare, impedire l'attacco della polvere, dell'usura."
Una rappresentazione (volontaria? metaforica?) apparentemente estrema dell'Italia di oggi, non un caso isolato o enfatizzato ma terribilmente reale, di cui possiamo trovare spesso traccia intorno e vicino a noi.
"E' pronipote del "libertè, fraternité, tu futt a' me, io fott' a te...è l'ennesima figlia, frustrata e invelenita, della reazione".
Uno dei libri più potenti e feroci degli ultimi anni (estremanente cinematografico, attendiamo in tal senso la versione sul grande schermo).
Federico Martelli - The Beatles everyday
L'universalità dell'opera dei Beatles si evidenzia anche da un libro come questo, scritto da un diciottenne, innamorato dei Fab Four che affronta l'improbo compito di redigere, per ogni giorno dell'anno, una recensione di una brano dei Fab Four.
Lo fa senza particolari deferenze alla leggenda, scrivendo in libertà, spigliato, sfacciato, non risparmiando critiche pungenti quando lo ritiene opportuno, togliendo quella patina paludata e polverosa da un gruppo intoccabile.
E' bello pensare di leggere e poi ascoltare, giorno per giorno, l'opera omnia dei Beatles, seguendo le sue indicazioni, potenziale, vero e proprio "buongiorno" mattutino.
Lorenzo Calza - La grammatica delle nuvole. Per un ritorno al fumetto popolare
Lorenzo Calza è un rinomato sceneggiatore e fumettista ("Julia, le avventure di una criminologa" (Sergio Bonelli Editore), "She", vignetta al femminile (Il Fatto Quotidiano, Vanityfair.it), scrittore, osservatore da sempre attento a quello che ci gira intorno, autore di altri libri e saggi.
Il nuovo lavoro ci porta attraverso lo sviluppo e il declino dell'Italia dagli anni Settanta ad oggi che culmina con i fatidici anni (di svolta) Novanta Berlusconiani:
"Comicità di facile consumo, per rendere più facili i conusmi. Risata triste e sguaiata, a cervello spento".
Da qui il precipizio verso una società sempre più involuta e devastata, quella in cui annaspiamo oggi, senza troppe vie di uscita immediata.
Calza racconta e si racconta, forte della sua esperienza professionale in ambito artistico, tra fumetto ed editoria, tra citazioni, riferimenti, sguardi "oltre".
E' un bel leggere, che scava, oltre che nella sua attività primaria di fumettista, anche nella società e nell'intimo.
CONCERTI
Fantastic Negrito live a Monforte d'Alba (Cuneo) 6 luglio 2024
Un concerto di FANTASTIC NEGRITO è sempre e comunque un momento spettacolare, unico, inimitabile.
Quarto suo concerto, dal 2017, che vedo e ogni volta un cambiamento, mai uguale a prima, sempre travolgente e imprevedibile.
La band è pazzesca, tecnicamente innappuntabile, passando tranquillamente da complessi ritmi funk a momenti fusioni, blues, reggae, rock, soul.
Location da brividi, sotto la chiesa dell'affascinante e millenaria cittadina di Monforte d'Alba, con un vento freddo (!) che sferza la serata.
Due ore di concerto in cui ascoltiamo una quindicina di brani, una manciata dei quali (stupendi) tratti dall'album in uscita a settembre, "Son of a broken man", il nuovo singolo con Sting, qualche suo vecchio classico, la cover di "In the pines", "Plastic hamburgers", "I'm so happy I cry", "Lost in a crowd".
In mezzo un brano che "proviamo oggi per la prima volta sul palco, vediamo come viene" (benissimo).
Lui (soprattutto esteticamente) è un novello Sly Stone, da cui prende abbondante ispirazione sonora ma ci mette poi anche Hendrix, Led Zeppelin, Funkadelic, il Miles Davis di "On the corner", rock 70 della West Coast, blues, soul, jazz, lo scibile della black music.
Uno spettacolo.
Tra i migliori act in circolazione, da lungo tempo.
Richard Galliano a Gragnano Trebbiense (PC), Loc. Campremoldo Sotto (Piacenza)
Mercoledì 17 luglio 2024
Le location dei concerti del Val Tidone Festival, pluriventennale evento che si svolge nelle colline piacentine, sono sempre suggestive e stupende. Non fa eccezione Castelmantova, castello/villa privata nel comune di Gragnano Trebbiense.
A cui si affiancano proposte artistiche di livello mondiale, vedi la presenza del fisarmonicista e compositore RICHARD GALLIANO, innovatore dello strumento («Richard Galliano ha cambiato il corso della storia della fisarmonica. Possiamo parlare del prima e del dopo Galliano.» Yasuhiro Kobayashi), virtuoso dal gusto sopraffino che passa da brani di propria composizione a Edith Piaf, Erik Satie, "Vuelvo al sur" di Astor Piazzolla, "Moon river", Gershwin.
Rilassato, divertito e divertente in brevi dialoghi con il pubblico, da solo sul palco, riempie oltre un'ora di acclamatissimo concerto.
Pura eccellenza.
Lidiya Koycheva & Balkan Orkestra -Gragnano Trebbiense - Val Tidone Festival - 30 luglio 2024
Travolgente esibizioe tra ritmi balcanici, Negresses Vertes (con tanto di cover di "Zobie La Mouche"), omaggio a Goran Bregovic (una sparatissima "Kalashnikov"), Kocani Orchestra, suoni e canzoni che mischiano Bulgaria, Grecia, Puglia, musicisti strepitosi (chitarra acustica, fisarmonica, basso, batteria, due trombe) e la voce cristallina, potente e pulitissima di Lidiya, unita a una capacità unica di tenere il palcoscenico.
E poi il finale con "Bella Ciao" ci sta davvero bene.
COSE VARIE
° Ogni giorno mie recensioni italiane su www.radiocoop.it (per cui curo ogni settimana un TG video musicale - vedi pagina FB https://www.facebook.com/RadiocoopTV/).
° Ogni mese varie su CLASSIC ROCK.
° Ogni sabato un video con aggiornamenti musicali sul portale https://www.facebook.com/goodmorninggenova
° Sulle riviste/zines "GIMME DANGER" e "GARAGELAND"
° Periodicamente su "Il Manifesto" e "Vinile".
mercoledì, luglio 31, 2024
Luglio 2024. Il meglio del mese
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Il meglio del mese
martedì, luglio 30, 2024
John Mayall
Doveroso omaggio a uno dei padri del British Blues, recentemente scomparso.
JOHN MAYALL ha avuto all'attivo 35 album in studio e 34 dal vivo, più varie compilation e 45 giri.
I lavori più significativi risalgono al periodo 60/70.
Successivamente è rimasto in un dignitoso ma ripetitivo limbo artistico.
La scelta è ovviamente opinabile ma vuole costituire una prima guida alla sua immensa discografia.
Blues Breakers with Eric Clapton (1966)
Il primo album, pietra miliare del British Blues, con Eric Clapton all'apice della forma (e il futuro Fleetwood Mac, John McVie, alla batteria), tra cover di classici ("Ramblin on my mind", "Parchman farm", "What I'd say") e brani autografi.
Album ancora fresco, impeccabile, energico.
A Hard Road (1967)
Lasciato da Eric Clapton che se ne va a formare i Cream, John Mayall trova un più che degno sosituto nel favoloso Peter Green.
Di nuovo classici e molti brani nuovi (anche di Green).
La band rimane ovviamente sulle consuete coordinate, pur inasprendo il sound e guardando più al rock.
Crusade (1967)
Ancora un'eccellenza alla chitarra, questa volta il futuro - ancora 18enne - Stones, Mick Taylor (John McVie ancora al basso e il grande Keef Hartley alla batteria). Il sound si tinge di rock blues ma anche di funk jazz (lo strumentale firmato Mayall/Taylor "Snowy wood"), veloci boogie, intensi blues.
L'album fila dritto, la band viaggia alla perfezione.
Bare Wires (1968)
Un album quasi sperimentale, con una sorta di suite iniziale di oltre venti minuti, intermezzi jazz, un grande rock blues con il wah wah di Mick Taylor a fare magie in "I am a stranger" e i futuri Colosseum Jon Hiseman (stupendo alla batteria) e Dick Heckstall Smith al sax. Un disco particolare e molto intrigante.
Blues from Laurel Canyon (1968)
Rock blues crudo e ruvido, Mick Taylor alla chitarra (Peter Green ancora in un brano), lo sciamanico "Medicine Man" e tante altre grandi particolarità che rendono il lavoro davvero molto interessante.
Back to the roots (1971)
Con a fianco Eric Clapton, Mick Taylor, Larry Taylor dei Canned Heat, tra gli altri, sfodera un convincente doppio album di solido rock blues e numerose influenze soul e funk.
Jazz BLues Fusion (1972)
Registrato a fine del 1971 live in America tra Boston e New York, è perfettamente consono al titolo, con il blues come solida base ma un groove jazz a colorare il tutto con due assi come Larry Taylor al basso e Freddy Robinson alla chitarra. Disco bellissimo
Wake up call (1993)
Nel marasma di uscite successive al periodo d'oro spicca questo album in cui John si affida a un rock compatto e lineare, venato di blues,in cui ospita eccellenza come Mavis Staples, Buddy Guy, Albert Collins e il vecchio discepolo Mick Taylor. Niente di particolarmente eclatante ma l'ascolto è molto piacevole.
JOHN MAYALL ha avuto all'attivo 35 album in studio e 34 dal vivo, più varie compilation e 45 giri.
I lavori più significativi risalgono al periodo 60/70.
Successivamente è rimasto in un dignitoso ma ripetitivo limbo artistico.
La scelta è ovviamente opinabile ma vuole costituire una prima guida alla sua immensa discografia.
Blues Breakers with Eric Clapton (1966)
Il primo album, pietra miliare del British Blues, con Eric Clapton all'apice della forma (e il futuro Fleetwood Mac, John McVie, alla batteria), tra cover di classici ("Ramblin on my mind", "Parchman farm", "What I'd say") e brani autografi.
Album ancora fresco, impeccabile, energico.
A Hard Road (1967)
Lasciato da Eric Clapton che se ne va a formare i Cream, John Mayall trova un più che degno sosituto nel favoloso Peter Green.
Di nuovo classici e molti brani nuovi (anche di Green).
La band rimane ovviamente sulle consuete coordinate, pur inasprendo il sound e guardando più al rock.
Crusade (1967)
Ancora un'eccellenza alla chitarra, questa volta il futuro - ancora 18enne - Stones, Mick Taylor (John McVie ancora al basso e il grande Keef Hartley alla batteria). Il sound si tinge di rock blues ma anche di funk jazz (lo strumentale firmato Mayall/Taylor "Snowy wood"), veloci boogie, intensi blues.
L'album fila dritto, la band viaggia alla perfezione.
Bare Wires (1968)
Un album quasi sperimentale, con una sorta di suite iniziale di oltre venti minuti, intermezzi jazz, un grande rock blues con il wah wah di Mick Taylor a fare magie in "I am a stranger" e i futuri Colosseum Jon Hiseman (stupendo alla batteria) e Dick Heckstall Smith al sax. Un disco particolare e molto intrigante.
Blues from Laurel Canyon (1968)
Rock blues crudo e ruvido, Mick Taylor alla chitarra (Peter Green ancora in un brano), lo sciamanico "Medicine Man" e tante altre grandi particolarità che rendono il lavoro davvero molto interessante.
Back to the roots (1971)
Con a fianco Eric Clapton, Mick Taylor, Larry Taylor dei Canned Heat, tra gli altri, sfodera un convincente doppio album di solido rock blues e numerose influenze soul e funk.
Jazz BLues Fusion (1972)
Registrato a fine del 1971 live in America tra Boston e New York, è perfettamente consono al titolo, con il blues come solida base ma un groove jazz a colorare il tutto con due assi come Larry Taylor al basso e Freddy Robinson alla chitarra. Disco bellissimo
Wake up call (1993)
Nel marasma di uscite successive al periodo d'oro spicca questo album in cui John si affida a un rock compatto e lineare, venato di blues,in cui ospita eccellenza come Mavis Staples, Buddy Guy, Albert Collins e il vecchio discepolo Mick Taylor. Niente di particolarmente eclatante ma l'ascolto è molto piacevole.
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venerdì, luglio 26, 2024
Peter Meaden
Riprendo l'articolo che ho scritto sabato per "Alias" de "Il Manifesto" dedicato a PETER MEADEN.
Nei primi anni Sessanta il neo nato rock, soprattutto in Inghilterra, incominciò a dotarsi anche di aspetti strutturali.
Le etichette investirono sul genere (dopo il successo, a valanga, dei Beatles, alla ricerca dei “nuovi Fab Four”); le band e gli artisti furono accalappiati da manager o sedicenti tali.
Gli stessi che in non pochi casi fecero a brandelli i guadagni di giovanissimi ragazzi, per lo più ventenni, totalmente ignari degli aspetti burocratico/legali, che si ritrovarono da un giorno all'altro in testa alle classifiche. Brian Epstein fu l'artefice del successo dei Beatles, quello che li mise “in riga”, li rivestì, li indirizzò nella giusta direzione.
Ma fu anche colui che dai guadagni della band prendeva il 25% pulito e che per anni ha costretto i Beatles a ritmi spaventosi, con tour massacranti, due album e diversi 45 giri ogni anno, interviste, film, filmati. Solo a quasi fine del 1966 i quattro decisero di lasciare i palchi e i ritmi insopportabili, per dedicarsi solo alla composizione e registrazione.
I casi di sfruttamento delle band sono numerosissimi, soprattutto in mancanza di regole e legislazione precise.
Negli stessi anni, all'alba dello “Swinging Decennio”, Peter Meaden era uno dei personaggi più influenti della neo nata scena mod londinese, spesso, per questo, chiamato “King Mod”.
Sempre presente nelle serate al The Scene, il locale per eccellenza dove si trovavano ogni weekend i mod locali, intuì la potenzialità, soprattutto numerica, della scena e, seguendo l'esempio dell'amico Andrew Loog Oldham, che si era accaparrato i Rolling Stones, e vedendo il successo di Brian Epstein con i Beatles, decise di trasformare gli Who, giovane band di Shepherd's Bush, nel gruppo “guida” dei Mod.
"Li portai allo "Scene", videro i mod e incominciarono a identificarsi con loro e a entrare nel mio mondo speciale".
Ai tempi la band suonava blues e rhythm and blues in maniera piuttosto ruvida ed energica.
Meaden li presentò al Dj Guy Stevens (futuro produttore di “London Calling” dei Clash), uno dei personaggi più seguiti nel giro mod, soprattutto grazie alla sua collezione di rarissimi 45 giri, pressoché introvabili, che suonava nelle serate, che fece conoscere loro le ultime novità ed entrare sempre più nei gusti sonori dei mod.
Meaden non si fermò qui.
Rivestì i quattro componenti con abiti adatti, gli fece tagliare i capelli corti (con grande disappunto del bassista John Entwistle che se li stava facendo crescere da un anno per assomigliare ai Beatles) e cambiò il nome al gruppo: da Who a High Numbers (nel gergo mod i “numbers” erano gli aspiranti a un livello più alto, i “faces”, nella “gerarchia” del gruppo in Vespa e Lambretta).
Scrisse il testo per due brani, con chiari riferimenti al mondo mod, “I am the Face” e “Zoot Suit” e glieli fece incidere in un 45 giri.
Il disco ebbe scarso riscontro (nonostante lo stesso Meaden avesse comprato parecchie copie per farli andare in classifica) ma lanciò la band nel business.
Gli High Numbers tornarono a chiamarsi The Who, cambiarono manager e divennero nel giro di poco tempo tra le band più rappresentative della scena musicale inglese prima, di quella mondiale qualche anno dopo con “Tommy”. Meaden non si perse d'animo e proseguì la sua carriera incominciando a seguire Jimmy James and the Vagabonds, gruppo di rhythm and blues, molto seguito e apprezzato dalla scena mod, facendogli incidere l'album “New Religion” e riuscendo a dar loro una buona visibilità. Meaden è affascinato dal mondo mod, dal loro essere, in un periodo ancora quasi “Vittoriano” in Gran Bretagna.
Ragazzi e ragazze così indipendenti, contro i valori tradizionali, contro il concetto di famiglia, contro il militarismo, contro il razzismo (furono i primi ad accettare senza problemi gli immigrati caraibici di colore tra le loro fila). Lui è un personaggio influente e ben voluto, un faro di stile.
“Quello che mi interessava così tanto era l'unità del “modism”. Avevo intorno un'”armata” di 240.000/250.000 di giovani mod che mettevano a ferro e fuoco la costa sud dell'Inghilterra ogni weekend e andavano su e giù per la nazione. Era qualcosa come 250.000 ragazzi rivoluzionari, come i Vietcong ad Hanoi dopo la caduta di Saigon”.
I mod erano, notoriamente, forti assuntori di droghe amfetaminiche, che allungavano a dismisura le nottate e i weekend tra bar e serate a ballare.
L'esperienza di Meaden in questo ambito, lo portò ad avere anche una visione precisa e plausibile sulla fine della scena, numericamente parlando, tra il 1966 e il 1967 (in realtà non morì del tutto ma continuò a riproporsi in piccole comunità, soprattutto nel nord della Gran Bretagna): "LSD. Le pillole Drynamil incoraggiavano il movimento e la parlata veloce, LSD, mescalina e peyote portavano a riflessione e introversione. La vita interiore diventò più importante delle altre attività."
Anche le band di riferimento come Who, Small Faces, Kinks, Action presero quella strada, allungarono i capelli, colorarono camicie, mente e visioni e lasciarono la vecchia immagine mod.
Meaden continuò a muoversi nell'ambiente musicale, diventò manager della Steve Gibbons Band, lavorò con Captain Beefheart, fondò un'etichetta, che, almeno dal nome, precorreva i tempi, la New Wave Records, per la quale uscirono alcuni 45 giri di scarso successo.
Purtroppo le antiche abitudini non lo lasciarono e si trasformarono in abusi, tra dipendenza a droghe di vario tipo, alcolismo, esaurimenti nervosi e morì nel 1978, a 37 anni, per un'overdose di barbiturici (quasi contemporaneamente a Keith Moon e con modalità simili).
Qualche anno prima il giornalista Steve Turner lo andò a scovare a casa dei genitori, dove viveva confinato da tempo con i suoi fantasmi, per una lunga intervista su “New Musical Express”, in cui alternava lucidità a momenti piuttosto confusi. Fu in questa occasione che coniò la frase riassuntiva e pluricitata a proposito del mod:
“un'aforisma per vivere in modo chiaro e pulito nelle difficoltà circostanti”.
Ma tra i numerosi contenuti della chiacchierata ci sono interessanti osservazioni su quanto quella sottocultura abbia influenzato la musica e società inglese. "Quanti ambasciatori del rock inglese sono stati direttamente influenzati dal Mod: Who, Rod Stewart, David Bowie, Stones, Small Faces, Animals, Georgie Fame, Julie Driscoll, Brian Auger, Zoot Money, Steve Winwood, Eric Clapton, Kinks, Marc Bolan, Jeff Beck, Robert Plant, Jimmy Page, Elton John, Anddy Summers, Bryan Ferry".
(Ovviamente essendo la dichiarazione del 1975 non ha potuto citare Paul Weller, Oasis, Blur, Britpop e decine di altri personaggi successivi). L'intervista è parte di un libro molto interessante per i cultori delle sottoculture, da poco pubblicato in Inghilterra da Steve Turner, “King Mod. The Story of Peter Meaden, The Who and the birth of a British subculture” (edito da Red Planet) in cui si ripercorre in dettaglio la sua vita e la nascita della scena mod.
Una storia amara di un personaggio che poteva essere un riferimento per intere generazioni ma che fu travolto dalla sua stessa vita costantemente all'eccesso e oltre i limiti. Un libro che con quello dell'amico Andrew Loog Oldham, “Stoned”, copre al meglio quel periodo così stimolante e frizzante in cui stava per nascere qualcosa che ancora oggi è così attuale e affascinante.
"Essere un mod non era solo essere al massimo della moda ed estetica ma anche conoscere le migliori canzoni, i club, i bar, le boutique, i trend e le feste. Perdere le attività di un weekend significava essere tagliato fuori, il peggiore peccato che potesse commettere un mod. Non c'era nostalgia, i mod vivevano esclusivamente nel presente con uno sguardo attento al futuro."
Nei primi anni Sessanta il neo nato rock, soprattutto in Inghilterra, incominciò a dotarsi anche di aspetti strutturali.
Le etichette investirono sul genere (dopo il successo, a valanga, dei Beatles, alla ricerca dei “nuovi Fab Four”); le band e gli artisti furono accalappiati da manager o sedicenti tali.
Gli stessi che in non pochi casi fecero a brandelli i guadagni di giovanissimi ragazzi, per lo più ventenni, totalmente ignari degli aspetti burocratico/legali, che si ritrovarono da un giorno all'altro in testa alle classifiche. Brian Epstein fu l'artefice del successo dei Beatles, quello che li mise “in riga”, li rivestì, li indirizzò nella giusta direzione.
Ma fu anche colui che dai guadagni della band prendeva il 25% pulito e che per anni ha costretto i Beatles a ritmi spaventosi, con tour massacranti, due album e diversi 45 giri ogni anno, interviste, film, filmati. Solo a quasi fine del 1966 i quattro decisero di lasciare i palchi e i ritmi insopportabili, per dedicarsi solo alla composizione e registrazione.
I casi di sfruttamento delle band sono numerosissimi, soprattutto in mancanza di regole e legislazione precise.
Negli stessi anni, all'alba dello “Swinging Decennio”, Peter Meaden era uno dei personaggi più influenti della neo nata scena mod londinese, spesso, per questo, chiamato “King Mod”.
Sempre presente nelle serate al The Scene, il locale per eccellenza dove si trovavano ogni weekend i mod locali, intuì la potenzialità, soprattutto numerica, della scena e, seguendo l'esempio dell'amico Andrew Loog Oldham, che si era accaparrato i Rolling Stones, e vedendo il successo di Brian Epstein con i Beatles, decise di trasformare gli Who, giovane band di Shepherd's Bush, nel gruppo “guida” dei Mod.
"Li portai allo "Scene", videro i mod e incominciarono a identificarsi con loro e a entrare nel mio mondo speciale".
Ai tempi la band suonava blues e rhythm and blues in maniera piuttosto ruvida ed energica.
Meaden li presentò al Dj Guy Stevens (futuro produttore di “London Calling” dei Clash), uno dei personaggi più seguiti nel giro mod, soprattutto grazie alla sua collezione di rarissimi 45 giri, pressoché introvabili, che suonava nelle serate, che fece conoscere loro le ultime novità ed entrare sempre più nei gusti sonori dei mod.
Meaden non si fermò qui.
Rivestì i quattro componenti con abiti adatti, gli fece tagliare i capelli corti (con grande disappunto del bassista John Entwistle che se li stava facendo crescere da un anno per assomigliare ai Beatles) e cambiò il nome al gruppo: da Who a High Numbers (nel gergo mod i “numbers” erano gli aspiranti a un livello più alto, i “faces”, nella “gerarchia” del gruppo in Vespa e Lambretta).
Scrisse il testo per due brani, con chiari riferimenti al mondo mod, “I am the Face” e “Zoot Suit” e glieli fece incidere in un 45 giri.
Il disco ebbe scarso riscontro (nonostante lo stesso Meaden avesse comprato parecchie copie per farli andare in classifica) ma lanciò la band nel business.
Gli High Numbers tornarono a chiamarsi The Who, cambiarono manager e divennero nel giro di poco tempo tra le band più rappresentative della scena musicale inglese prima, di quella mondiale qualche anno dopo con “Tommy”. Meaden non si perse d'animo e proseguì la sua carriera incominciando a seguire Jimmy James and the Vagabonds, gruppo di rhythm and blues, molto seguito e apprezzato dalla scena mod, facendogli incidere l'album “New Religion” e riuscendo a dar loro una buona visibilità. Meaden è affascinato dal mondo mod, dal loro essere, in un periodo ancora quasi “Vittoriano” in Gran Bretagna.
Ragazzi e ragazze così indipendenti, contro i valori tradizionali, contro il concetto di famiglia, contro il militarismo, contro il razzismo (furono i primi ad accettare senza problemi gli immigrati caraibici di colore tra le loro fila). Lui è un personaggio influente e ben voluto, un faro di stile.
“Quello che mi interessava così tanto era l'unità del “modism”. Avevo intorno un'”armata” di 240.000/250.000 di giovani mod che mettevano a ferro e fuoco la costa sud dell'Inghilterra ogni weekend e andavano su e giù per la nazione. Era qualcosa come 250.000 ragazzi rivoluzionari, come i Vietcong ad Hanoi dopo la caduta di Saigon”.
I mod erano, notoriamente, forti assuntori di droghe amfetaminiche, che allungavano a dismisura le nottate e i weekend tra bar e serate a ballare.
L'esperienza di Meaden in questo ambito, lo portò ad avere anche una visione precisa e plausibile sulla fine della scena, numericamente parlando, tra il 1966 e il 1967 (in realtà non morì del tutto ma continuò a riproporsi in piccole comunità, soprattutto nel nord della Gran Bretagna): "LSD. Le pillole Drynamil incoraggiavano il movimento e la parlata veloce, LSD, mescalina e peyote portavano a riflessione e introversione. La vita interiore diventò più importante delle altre attività."
Anche le band di riferimento come Who, Small Faces, Kinks, Action presero quella strada, allungarono i capelli, colorarono camicie, mente e visioni e lasciarono la vecchia immagine mod.
Meaden continuò a muoversi nell'ambiente musicale, diventò manager della Steve Gibbons Band, lavorò con Captain Beefheart, fondò un'etichetta, che, almeno dal nome, precorreva i tempi, la New Wave Records, per la quale uscirono alcuni 45 giri di scarso successo.
Purtroppo le antiche abitudini non lo lasciarono e si trasformarono in abusi, tra dipendenza a droghe di vario tipo, alcolismo, esaurimenti nervosi e morì nel 1978, a 37 anni, per un'overdose di barbiturici (quasi contemporaneamente a Keith Moon e con modalità simili).
Qualche anno prima il giornalista Steve Turner lo andò a scovare a casa dei genitori, dove viveva confinato da tempo con i suoi fantasmi, per una lunga intervista su “New Musical Express”, in cui alternava lucidità a momenti piuttosto confusi. Fu in questa occasione che coniò la frase riassuntiva e pluricitata a proposito del mod:
“un'aforisma per vivere in modo chiaro e pulito nelle difficoltà circostanti”.
Ma tra i numerosi contenuti della chiacchierata ci sono interessanti osservazioni su quanto quella sottocultura abbia influenzato la musica e società inglese. "Quanti ambasciatori del rock inglese sono stati direttamente influenzati dal Mod: Who, Rod Stewart, David Bowie, Stones, Small Faces, Animals, Georgie Fame, Julie Driscoll, Brian Auger, Zoot Money, Steve Winwood, Eric Clapton, Kinks, Marc Bolan, Jeff Beck, Robert Plant, Jimmy Page, Elton John, Anddy Summers, Bryan Ferry".
(Ovviamente essendo la dichiarazione del 1975 non ha potuto citare Paul Weller, Oasis, Blur, Britpop e decine di altri personaggi successivi). L'intervista è parte di un libro molto interessante per i cultori delle sottoculture, da poco pubblicato in Inghilterra da Steve Turner, “King Mod. The Story of Peter Meaden, The Who and the birth of a British subculture” (edito da Red Planet) in cui si ripercorre in dettaglio la sua vita e la nascita della scena mod.
Una storia amara di un personaggio che poteva essere un riferimento per intere generazioni ma che fu travolto dalla sua stessa vita costantemente all'eccesso e oltre i limiti. Un libro che con quello dell'amico Andrew Loog Oldham, “Stoned”, copre al meglio quel periodo così stimolante e frizzante in cui stava per nascere qualcosa che ancora oggi è così attuale e affascinante.
"Essere un mod non era solo essere al massimo della moda ed estetica ma anche conoscere le migliori canzoni, i club, i bar, le boutique, i trend e le feste. Perdere le attività di un weekend significava essere tagliato fuori, il peggiore peccato che potesse commettere un mod. Non c'era nostalgia, i mod vivevano esclusivamente nel presente con uno sguardo attento al futuro."
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Mod Heroes
giovedì, luglio 25, 2024
Campionato europeo di calcio 2024
Il puntuale commento di ALBERTO GALLETTI a proposito di Euro24.
Si è giocato il campionato europeo di calcio, ha vinto la Spagna.
Meritatamente, è stata l'unica squadra che ha costantemente cercato di giocare e vincere passando dal gioco, inoltre l'unica con una buona concentrazione di giocatori forti.
Vero anche che è passata da un buco stretto contro la Germania, dopo di loro la squadra migliore.
Ho notato un piacevole revival mittleuropeo con Austria e Svizzera consolidatesi a buon livello continentale, entrambe comunque prive di un centravanti di alto livello e quindi poi incapaci di superare certi ostacoli.
Peccato, per il gioco offerto avrebbero meritato un turno in più almeno.
Invece poi va avanti l'inguardabile Olanda, e la Francia, idem ma con individualità migliori.
A queste due aggiungerei Romania e Slovacchia che hanno mostrato buona organizzazione che non si è poi tradotta in campo in prestazioni inguardabili da dieci uomini dietro la palla ma in partite giocate con l'intento di riuscire comunque a prevalere.
Anche per loro vale il discorso delle due di prima, la mancanza di una punta di livello si rivela poi fatale quando si trova un' avversario di spessore.
Sulla stessa falsariga ma appena sotto la Slovenia.
L'Italia ha fatto pena, solo quattro giocatori di livello: Donnarumma, Bastoni, Calafiori e Barella, forse Chiesa ma non s'è visto, lontani comunque dagli standard iberici.
Scarsi tutti gli altri, il selezionatore avrà il suo bel daffare.
Deludente il gioco, mi sarei aspettato di più, specialmente dopo aver visto in azione il Napoli dello scudetto e invece niente, zero idee, zero impostazione.
Siam sempre lì, son due lavori diversi, un conto è allenare una squadra ogni giorno, un conto è allenare una selezione ogni tanto con gente che viene da posti diversi e da sistemi di gioco diversi.
Forse gli è mancato il tempo essendo subentrato in corsa e dovendo rimediare la qualificazione, boh? Vedremo.
Sui relitti del naufragio calcistico poi, esilaranti i commenti di sedicenti giornalisti,telecronisti, radiocronisti, esperti d'altro, tromboni e dirigenti che delirano sul fallimento del sistema (ogni tanto può capitare una generazione i cui giocatori non sono un granchè) e se la prendono principalmente con la formula della Serie A a 20 squadre, la stessa che ha la Spagna che ha vinto.
Invocano "la riforma" (ancora?) ma quella nella quale tutti i soldi generati dal sistema calcio finiscano tutti, ma proprio tutti, nelle tasche delle squadre di Serie A, squadre che ovviamente cavalcano l'onda pro domo proprius.
Il cancro del calcio italiano sono proprio loro.
Ma andassero a vedere come si insegna a giocare nei vivai delle squadre professionistiche!
Poi vadano in Spagna (o Portogallo o Francia) e si facciano qualche domanda.
Imbarazzante Ronaldo, ormai al capolinea, e palla al piede dei lusitani.
La squadra per vincere ce l'avevano.
Francia stranamente votata al catenaccio e a riversarsi irrimediabilmente su Mbappè, non in grande condizione, e ad imbottigliarsi sulla tre-quarti.
Griezmann mi è parso calato e Giroud lo avrei messo sempre. Squadra senza idee, come la nostra, ma con giocatori un po migliori.
La Germania è stata l'altra squadra forte del torneo.
Decisamente buona da meta-campo in su, molto meno dietro.
Molto forti le due ali, Sanè e Musiala, irritante Havertz e i suoi gol sbagliati per una sufficienza mentale che meriterebbe calci in culo e non convocazioni in nazionale.
Meglio Fullkrug senz'altro, specialmente in una squadra che produce parecchie occasioni. I problemi li hanno dietro, dove Tah sebbene prestante mi è parso falloso, spesso fuori tempo e coi piedi di piombo.
Male anche Rudiger ma lo sapevamo.
L'unico è stato Kimmich, anche Neuer è ora che vada in pensione.
Ad ogni modo se sistemano la difesa, al prossimo mondiale li vedo ancora protagonisti.
Sul loro torneo pesa comunque, come un macigno, l'episodio più decisivo di tutto il torneo, cioè il rigore non dato ai supplementari nel quarto contro la Spagna (la vera finale) e che a quel punto avrebbe fatto andare il torneo da tutt'altra parte.
Del var non parlo ma ai suoi sostenitori chiedo lumi sull'accaduto.
La Croazia è finita così pure Modric, vedi Ronaldo. Deludente, al solito, il Belgio, pure loro schiavi di un incapace, stavolta Lukaku.
Il giorno che se ne libereranno sarà sempre troppo tardi.
Non mi sembra più, comunque, una squadra piena di talenti.
Simpatiche Georgia e Albania.
Peggior squadra la Scozia improponibili a questi livelli, seguono Serbia e Polonia.
Pessime comunque tutte le squadre che sono uscite al primo turno.
Quindi dopo una prima fase un po scoppiettante grazie alla presenza di chi non dovrebbe esser stato lì, la fase ad eliminazione diretta ha offerto partite in gran parte pallose in cui la tattica, figlia e serva della paura di perdere, ha prevalso sul gioco.
Alla fine capita quindi che tre squadre che giocano malissimo vanno in semifinale, una in finale.
L' Inghilterra arriva all' atto conclusivo per la seconda volta di fila, ma ancora una volta cade sull' ultimo ostacolo.
Meno male, non meritavano niente e questa volta l'avversario era proibitivo.
Favoriti dai demeriti francesi che non vincono il girone e finiscono nella parte alta del tabellone (sarebbero probabilmente bastati anche in questa versione per mandarli a casa), godono pure della benevolenza da parte degli organizzatori che squalificano Bellingham per una giornata causa gestaccio ma sospendono la pena (??), da scontarsi probabilmente quando farà comodo a loro, permettendogli così di giocare contro la Svizzera.
Per un gesto definito politico Demiral si è preso due giornate di squalifica la prima delle quali scontata la partita successiva. Boh?
Portabandiera ormai da un paio di decenni del calcio globalizzato/ corporate businness grazie alla loro Premier League di merda, personalmente felicissimo che lo abbiano preso in culo un'altra volta.
Per quanto riguarda la manifestazione, prima edizione a 24 squadre, divise in 6 gironi andavano avanti le prime due di ogni girone più quattro delle migliori terze.
Praticamente al primo turno non è andato fuori nessuno.
Un primo turno inutile, buono solo per le audience televisive e il numero di tifosi delle squadre minori, accorsi in Germania a contribuire en-masse all'incremento del business di bar ristoranti e alberghi.
L'introduzione dei fan parks ha permesso alle città ospitanti di fare più soldi, accogliendo orde di tifosi che vi si sono riversate senza il biglietto della partita per 'partecipare' comunque all'evento.
Un po' come farsi le pippe invece di chiavare, anche se un modo per gestire queste folle sterminate.
L'UEFA sbandiera un successo economico e un 'inclusività' (sic) senza precedenti.
Un mondo di segaioli.
E affaristi.
E' sembrato a tratti che le partite fossero un corollario di tutto il resto.
In effetti il calcio inteso come gioco o sport è defunto da tempo.
Parallelamente le capienze disponibili degli stadi usati sono state ridotte del 10% in media per motivi di sicurezza.
Non si sa mai eh, la calca, ma poi si fanno radunare 100mila persone in un parcheggio o nel piazzale antistadio in un area piana senza posti assegnati mentre per entrare dentro dove ci sono più posti a sedere che persone, spazi e vie di fuga studiate secondo i massimi criteri di sicurezza, ti fanno tirare via il tappo dalla bottiglietta dell'acqua e si servono birre, rigorosamente in bicchieri di plastica che poi vengono scagliati pieni ai giocatori che stanno tirando un corner o una rimessa laterale o verso le panchine tanto gli spettatori oggi hanno i soldi in tasca per comprarne un'altra.
Se ne andassero tutti affanculo, nessuno escluso.
La finale ha avuto 65.600 spettatori, la capienza dell' Olympiastadion è 74.461
La semifinale Francia - Spagna ha avuto 62.042 spettatori, la capienza dell' Allianz Arena è 75.000
la semifinale Olanda - Inghilterra ha avuto 60.926 spettatori, la capienza del Westfalenstadion è 81.365
Mi sfugge qualcosa, o forse no.
Infatti no, il 9 luglio mentre si giocava la semifinale Francia-Spagna, la Steaua Bucarest, campione di Romania, una squadra che aveva passato il primo turno e anche discretamente figurato, iniziava il suo percorso nella Champions League 2024/25 battendo 7-1 in trasferta la Virtus Acquaviva nell'andata del primo turno di qualificazione.
Contemporaneamente la Dinamo Batumi campione georgiano veniva da questo primo turno eliminata, quindi prima che l'Europeo (che è sempre la stagione scorsa) finisse.
Anche la Georgia ha passato il primo turno.
Mi sfugge qualcosa.
Riassumendo:
Campione d'Europa: Spagna
Capocannoniere: 6 giocatori con 3 reti ma il titolo è andato a Dani Olmo
Gol realizzati 117, media 2,29 a partita
Miglior attacco: Spagna 15 reti
Miglior difesa: Belgio, Serbia, Slovenia: 2 reti subite
Miglior giocatore: Rodri (Spagna)
Miglior giovane: Yamal (Spagna)
Per me:
Miglior squadra: Spagna
Miglior giocatore: Rodri (Spagna)
Miglior allenatore: de la Fuente (Spagna)
Miglior partita: Olanda 2-3 Austria
Miglior gol: Shaquiri in Scozia 1-1 Svizzera
Sorpresa: Turchia
Miglior portiere: Diogo Costa (Portogallo)
Miglior difensore: Kimmich (Germania)
Miglior centrocampista: Rodri (Spagna)
MIglior attaccante: Nico Williams (Spagna)
Giocatore rivelazione: Calafiori (Italia)
Menzione speciale: Dani Olmo (Spagna)
Il mio XI del torneo (4-2-3-1): Diogo Costa; Kimmich, Ruben Dias, Calafiori, Carvajal; Rodri, Lobotka; Yamal, Dani Olmo, Nico Williams; Fullkrug
Si è giocato il campionato europeo di calcio, ha vinto la Spagna.
Meritatamente, è stata l'unica squadra che ha costantemente cercato di giocare e vincere passando dal gioco, inoltre l'unica con una buona concentrazione di giocatori forti.
Vero anche che è passata da un buco stretto contro la Germania, dopo di loro la squadra migliore.
Ho notato un piacevole revival mittleuropeo con Austria e Svizzera consolidatesi a buon livello continentale, entrambe comunque prive di un centravanti di alto livello e quindi poi incapaci di superare certi ostacoli.
Peccato, per il gioco offerto avrebbero meritato un turno in più almeno.
Invece poi va avanti l'inguardabile Olanda, e la Francia, idem ma con individualità migliori.
A queste due aggiungerei Romania e Slovacchia che hanno mostrato buona organizzazione che non si è poi tradotta in campo in prestazioni inguardabili da dieci uomini dietro la palla ma in partite giocate con l'intento di riuscire comunque a prevalere.
Anche per loro vale il discorso delle due di prima, la mancanza di una punta di livello si rivela poi fatale quando si trova un' avversario di spessore.
Sulla stessa falsariga ma appena sotto la Slovenia.
L'Italia ha fatto pena, solo quattro giocatori di livello: Donnarumma, Bastoni, Calafiori e Barella, forse Chiesa ma non s'è visto, lontani comunque dagli standard iberici.
Scarsi tutti gli altri, il selezionatore avrà il suo bel daffare.
Deludente il gioco, mi sarei aspettato di più, specialmente dopo aver visto in azione il Napoli dello scudetto e invece niente, zero idee, zero impostazione.
Siam sempre lì, son due lavori diversi, un conto è allenare una squadra ogni giorno, un conto è allenare una selezione ogni tanto con gente che viene da posti diversi e da sistemi di gioco diversi.
Forse gli è mancato il tempo essendo subentrato in corsa e dovendo rimediare la qualificazione, boh? Vedremo.
Sui relitti del naufragio calcistico poi, esilaranti i commenti di sedicenti giornalisti,telecronisti, radiocronisti, esperti d'altro, tromboni e dirigenti che delirano sul fallimento del sistema (ogni tanto può capitare una generazione i cui giocatori non sono un granchè) e se la prendono principalmente con la formula della Serie A a 20 squadre, la stessa che ha la Spagna che ha vinto.
Invocano "la riforma" (ancora?) ma quella nella quale tutti i soldi generati dal sistema calcio finiscano tutti, ma proprio tutti, nelle tasche delle squadre di Serie A, squadre che ovviamente cavalcano l'onda pro domo proprius.
Il cancro del calcio italiano sono proprio loro.
Ma andassero a vedere come si insegna a giocare nei vivai delle squadre professionistiche!
Poi vadano in Spagna (o Portogallo o Francia) e si facciano qualche domanda.
Imbarazzante Ronaldo, ormai al capolinea, e palla al piede dei lusitani.
La squadra per vincere ce l'avevano.
Francia stranamente votata al catenaccio e a riversarsi irrimediabilmente su Mbappè, non in grande condizione, e ad imbottigliarsi sulla tre-quarti.
Griezmann mi è parso calato e Giroud lo avrei messo sempre. Squadra senza idee, come la nostra, ma con giocatori un po migliori.
La Germania è stata l'altra squadra forte del torneo.
Decisamente buona da meta-campo in su, molto meno dietro.
Molto forti le due ali, Sanè e Musiala, irritante Havertz e i suoi gol sbagliati per una sufficienza mentale che meriterebbe calci in culo e non convocazioni in nazionale.
Meglio Fullkrug senz'altro, specialmente in una squadra che produce parecchie occasioni. I problemi li hanno dietro, dove Tah sebbene prestante mi è parso falloso, spesso fuori tempo e coi piedi di piombo.
Male anche Rudiger ma lo sapevamo.
L'unico è stato Kimmich, anche Neuer è ora che vada in pensione.
Ad ogni modo se sistemano la difesa, al prossimo mondiale li vedo ancora protagonisti.
Sul loro torneo pesa comunque, come un macigno, l'episodio più decisivo di tutto il torneo, cioè il rigore non dato ai supplementari nel quarto contro la Spagna (la vera finale) e che a quel punto avrebbe fatto andare il torneo da tutt'altra parte.
Del var non parlo ma ai suoi sostenitori chiedo lumi sull'accaduto.
La Croazia è finita così pure Modric, vedi Ronaldo. Deludente, al solito, il Belgio, pure loro schiavi di un incapace, stavolta Lukaku.
Il giorno che se ne libereranno sarà sempre troppo tardi.
Non mi sembra più, comunque, una squadra piena di talenti.
Simpatiche Georgia e Albania.
Peggior squadra la Scozia improponibili a questi livelli, seguono Serbia e Polonia.
Pessime comunque tutte le squadre che sono uscite al primo turno.
Quindi dopo una prima fase un po scoppiettante grazie alla presenza di chi non dovrebbe esser stato lì, la fase ad eliminazione diretta ha offerto partite in gran parte pallose in cui la tattica, figlia e serva della paura di perdere, ha prevalso sul gioco.
Alla fine capita quindi che tre squadre che giocano malissimo vanno in semifinale, una in finale.
L' Inghilterra arriva all' atto conclusivo per la seconda volta di fila, ma ancora una volta cade sull' ultimo ostacolo.
Meno male, non meritavano niente e questa volta l'avversario era proibitivo.
Favoriti dai demeriti francesi che non vincono il girone e finiscono nella parte alta del tabellone (sarebbero probabilmente bastati anche in questa versione per mandarli a casa), godono pure della benevolenza da parte degli organizzatori che squalificano Bellingham per una giornata causa gestaccio ma sospendono la pena (??), da scontarsi probabilmente quando farà comodo a loro, permettendogli così di giocare contro la Svizzera.
Per un gesto definito politico Demiral si è preso due giornate di squalifica la prima delle quali scontata la partita successiva. Boh?
Portabandiera ormai da un paio di decenni del calcio globalizzato/ corporate businness grazie alla loro Premier League di merda, personalmente felicissimo che lo abbiano preso in culo un'altra volta.
Per quanto riguarda la manifestazione, prima edizione a 24 squadre, divise in 6 gironi andavano avanti le prime due di ogni girone più quattro delle migliori terze.
Praticamente al primo turno non è andato fuori nessuno.
Un primo turno inutile, buono solo per le audience televisive e il numero di tifosi delle squadre minori, accorsi in Germania a contribuire en-masse all'incremento del business di bar ristoranti e alberghi.
L'introduzione dei fan parks ha permesso alle città ospitanti di fare più soldi, accogliendo orde di tifosi che vi si sono riversate senza il biglietto della partita per 'partecipare' comunque all'evento.
Un po' come farsi le pippe invece di chiavare, anche se un modo per gestire queste folle sterminate.
L'UEFA sbandiera un successo economico e un 'inclusività' (sic) senza precedenti.
Un mondo di segaioli.
E affaristi.
E' sembrato a tratti che le partite fossero un corollario di tutto il resto.
In effetti il calcio inteso come gioco o sport è defunto da tempo.
Parallelamente le capienze disponibili degli stadi usati sono state ridotte del 10% in media per motivi di sicurezza.
Non si sa mai eh, la calca, ma poi si fanno radunare 100mila persone in un parcheggio o nel piazzale antistadio in un area piana senza posti assegnati mentre per entrare dentro dove ci sono più posti a sedere che persone, spazi e vie di fuga studiate secondo i massimi criteri di sicurezza, ti fanno tirare via il tappo dalla bottiglietta dell'acqua e si servono birre, rigorosamente in bicchieri di plastica che poi vengono scagliati pieni ai giocatori che stanno tirando un corner o una rimessa laterale o verso le panchine tanto gli spettatori oggi hanno i soldi in tasca per comprarne un'altra.
Se ne andassero tutti affanculo, nessuno escluso.
La finale ha avuto 65.600 spettatori, la capienza dell' Olympiastadion è 74.461
La semifinale Francia - Spagna ha avuto 62.042 spettatori, la capienza dell' Allianz Arena è 75.000
la semifinale Olanda - Inghilterra ha avuto 60.926 spettatori, la capienza del Westfalenstadion è 81.365
Mi sfugge qualcosa, o forse no.
Infatti no, il 9 luglio mentre si giocava la semifinale Francia-Spagna, la Steaua Bucarest, campione di Romania, una squadra che aveva passato il primo turno e anche discretamente figurato, iniziava il suo percorso nella Champions League 2024/25 battendo 7-1 in trasferta la Virtus Acquaviva nell'andata del primo turno di qualificazione.
Contemporaneamente la Dinamo Batumi campione georgiano veniva da questo primo turno eliminata, quindi prima che l'Europeo (che è sempre la stagione scorsa) finisse.
Anche la Georgia ha passato il primo turno.
Mi sfugge qualcosa.
Riassumendo:
Campione d'Europa: Spagna
Capocannoniere: 6 giocatori con 3 reti ma il titolo è andato a Dani Olmo
Gol realizzati 117, media 2,29 a partita
Miglior attacco: Spagna 15 reti
Miglior difesa: Belgio, Serbia, Slovenia: 2 reti subite
Miglior giocatore: Rodri (Spagna)
Miglior giovane: Yamal (Spagna)
Per me:
Miglior squadra: Spagna
Miglior giocatore: Rodri (Spagna)
Miglior allenatore: de la Fuente (Spagna)
Miglior partita: Olanda 2-3 Austria
Miglior gol: Shaquiri in Scozia 1-1 Svizzera
Sorpresa: Turchia
Miglior portiere: Diogo Costa (Portogallo)
Miglior difensore: Kimmich (Germania)
Miglior centrocampista: Rodri (Spagna)
MIglior attaccante: Nico Williams (Spagna)
Giocatore rivelazione: Calafiori (Italia)
Menzione speciale: Dani Olmo (Spagna)
Il mio XI del torneo (4-2-3-1): Diogo Costa; Kimmich, Ruben Dias, Calafiori, Carvajal; Rodri, Lobotka; Yamal, Dani Olmo, Nico Williams; Fullkrug
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mercoledì, luglio 24, 2024
Lorenzo Calza - La grammatica delle nuvole. Per un ritorno al fumetto popolare
Lorenzo Calza è un rinomato sceneggiatore e fumettista ("Julia, le avventure di una criminologa" (Sergio Bonelli Editore), "She", vignetta al femminile (Il Fatto Quotidiano, Vanityfair.it), scrittore, osservatore da sempre attento a quello che ci gira intorno, autore di altri libri e saggi.
Il nuovo lavoro ci porta attraverso lo sviluppo e il declino dell'Italia dagli anni Settanta ad oggi che culmina con i fatidici anni (di svolta) Novanta Berlusconiani:
"Comicità di facile consumo, per rendere più facili i conusmi. Risata triste e sguaiata, a cervello spento".
Da qui il precipizio verso una società sempre più involuta e devastata, quella in cui annaspiamo oggi, senza troppe vie di uscita immediata.
Calza racconta e si racconta, forte della sua esperienza professionale in ambito artistico, tra fumetto ed editoria, tra citazioni, riferimenti, sguardi "oltre".
E' un bel leggere, che scava, oltre che nella sua attività primaria di fumettista, anche nella società e nell'intimo.
Lorenzo Calza
La grammatica delle nuvole. Per un ritorno al fumetto popolare
Officine Gutenberg / Collana LOWLANDS/TERREBASSE
Pagine: 272
Prezzo: 17,00 €
Il nuovo lavoro ci porta attraverso lo sviluppo e il declino dell'Italia dagli anni Settanta ad oggi che culmina con i fatidici anni (di svolta) Novanta Berlusconiani:
"Comicità di facile consumo, per rendere più facili i conusmi. Risata triste e sguaiata, a cervello spento".
Da qui il precipizio verso una società sempre più involuta e devastata, quella in cui annaspiamo oggi, senza troppe vie di uscita immediata.
Calza racconta e si racconta, forte della sua esperienza professionale in ambito artistico, tra fumetto ed editoria, tra citazioni, riferimenti, sguardi "oltre".
E' un bel leggere, che scava, oltre che nella sua attività primaria di fumettista, anche nella società e nell'intimo.
Lorenzo Calza
La grammatica delle nuvole. Per un ritorno al fumetto popolare
Officine Gutenberg / Collana LOWLANDS/TERREBASSE
Pagine: 272
Prezzo: 17,00 €
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martedì, luglio 23, 2024
The Action
Riprendo l'articolo che ho scritto sabato nelle pagine di "Alias", supplemento a "Il Manifesto".
Nel momento in cui la scena mod, nei primi anni Sessanta, prese vigore, aumentò di numero e divenne un evento mediatico, grazie alla luce riflessa della Beatlemania che esplodeva ovunque in Gran Bretagna (e non solo), si avvertì la necessità di dare ai giovani in parka e scooter qualcosa in più da acquistare oltre a vestiti e oscuri dischi di jazz e rhythm and blues.
Si parla di centinaia di migliaia di potenziali acquirenti, abituati ad applaudire band che ripropongono classici della Tamla Motown e della black music più ballabile, da Georgie Fame a Cliff Bennet and the Rebel Rousers. Ci vuole anche qualcuno che componga nuovi brani, più in linea con i gusti dei tempi, sull'onda di Beatles e Rolling Stones.
Pete Meaden taglia i capelli e riveste con fogge mod gli Who, gli cambia addirittura nome in High Numbers e li lancia nella scena. Gli Small Faces sono già mod del West End e fanno meno fatica a indossare le vesti della perfetta mod band. Entrambi i gruppi suonano cover rhythm and blues, adorano James Brown, sono coetanei dei loro fan e ne incarnano (Who in particolare) l'urgenza adolescenziale, mista a una dose di viole
nza, eccitazione e teppismo, mutuati dall'abuso di amfetamine.
Gli Action si muovono su coordinate simili. The Boys with Sandra Barry.
Formatisi nel 1963 con il nome di The Boys realizzano il 45 "It ain't fair"/I want you" nel novembre del 1964, due brani composti dal leader Reg King ,di stampo Beatlesiano (anche se “I want you” ha un originale e inusuale ritmo ska).
Erano apparsi anche su un 45 giri pochi mesi prima come backing band della cantante pop beat Sandra Barry con i disimpegnati e frizzanti “Really gonna shake” (di cui esiste anche un video) e “When we get married”.
Nel 1965 la formazione si stabilizza e cambia il nome in The Action, molto vicino al concetto tipicamente mod di vivacità, impulsività, giovanilismo.
Arriva il chitarrista Pete Watson che si affianca a Alan "Bam" King (chitarra), Reg King (tra le migliori voci della scena inglese dell'epoca, potente, piena, “nera”), Mike Evans (basso) e Roger Powell (batteria) e la band dal 6 giugno 1965 a Dereham nel Norfolk al Tavern Club inizia il suo giro di concerti con il nuovo nome.
Arrivano al Cavern a Liverpool, al londinese Marquee, al futuro tempio del Northern Soul, il Twisted Wheel di Manchester.
Dividono il palco con future star, David Jones non ancora David Bowie, con i Birds di Ron Wood, Brian Auger, Who, Small Faces, Move, gli Herd di Peter Frampton, Manfred Mann, gli Steampacket di Rod Stewart, con Brian Auger, Julie Driscoll, Creation, i The Syn con i prossimi Yes, gli Episode Six di Ian Gillan.
Sono parte di una scena esplosiva, piena di talento e talenti ancora da sbocciare.
Gli Action trovano un inaspettato appoggio con l'arrivo di, nientemeno che, George Martin, già da anni il “quinto” Beatles che produce una serie di singoli di pregevole fattura, purtroppo mai accarezzati dal successo.
Dalla loro parte anche una ricercatezza estetica inappuntabile che ne risalta l'immagine, vicina all'avanguardia mod, mai banale, sempre elegante e raffinata.
Ci provano da subito, a fine 1965, con una personale versione del classico rhythm and blues “Land of thousand dances” di Wilson Pickett con la deliziosa ballata “In my lonely room” sul retro.
Nemmeno la pur strepitosa cover di “I'll keep on holdin on” delle Marvelettes di qualche mese dopo con un altrettanto vigorosa “Hey Sha Lo Ney” di Mickey Lee Lane dei primi mesi del 1966 e un nuovo omaggio estivo alla black music con “Baby, you've got it” di Maurice & the Radiants e “Since I lost my baby” dei Temptations danno i frutti sperati.
Probabilmente è troppo tardi, gli umori psichedelici sono già nell'aria, la musica cambia di settimana in settimana e affidarsi al pur buon vecchio rhythm and blues non paga più.
“Il nostro è rhythm and blues senza il blues. Una specie di rhythm and soul” (Reg King).
Corrono ai ripari con un singolo finalmente autografo pubblicato nel febbraio 1967.
Il risultato è eccellente: “Never ever” e “Twenty four hour” sono al passo con i tempi, melodici, immediatamente memorizzabili, ritmati, arrangiati alla perfezione, con fiati e cori raffinati.
E' giugno 1967, i Beatles sono appena usciti con “Sgt Peppers”, Jimi Hendrix ha già pubblicato “Hey Joe”, “Purple haze” e l'esordio a 33 giri “Are you experienced”, anche i Cream sono in giro da un po', gli Who lavorano già alle mini opere rock.
Gli Action arrivano con il quinto singolo, la bellissima “Shadows and reflections” (già uscita per mano degli oscuri Lownly Crowde poco tempo prima) dall'incedere alla Kinks con un gusto psichedelico e un grande riff di fiati.
Anche “Something has hit me” ha caratteristiche simili con modalità compositive e arrangiamenti elaborati. Ma ancora una volta il mondo musicale si è ormai spostato altrove, nuove idee si fanno ogni giorno strada, la creatività esplode ovunque, escono capolavori a ritmo serrato, il rock sta diventando/è diventato adulto, da fenomeno adolescenziale e innocuo a pur e propria arte.
Testi impegnati e visionari, citazioni letterarie, sperimentazioni sonore apparentemente impossibili fino a pochi mesi prima. Ci vuole ben altro per impressionare e conquistare il cuore degli appassionati.
L'ultimo singolo con due cover , “Harlem shuffle” di Bob&Earl e “Wasn't it you” di Petula Clark, sono più che fuori tempo massimo.
La band perde il contratto con la Parlphone e l'ala protettrice di George Martin, prova ad autogestirsi e si mette al lavoro per la realizzazione di un album che non vedrà mai la luce e sarà pubblicato solo nel 1995 con il titolo “Rolled Gold”.
Reg King, anima della band, lascia nel 1967, il resto della band forma i Mighty Baby ma, nonostante l'adesione a sonorità finalmente al passo con i tempi (psichedelia, folk, una pionieristica forma di prog in stile Traffic), troverà scarso successo.
La critica sarà benevola, le opportunità non mancheranno (la partecipazione al Festival dell'Isola di Wight del 1970), la musica prodotta nei due album è creativa, stimolante a tratti travolgente.
Nel 1970 avviene un fatto perlomeno curioso, ovvero l'adesione alla corrente religiosa Sufi di gran parte della band che influenzerà le tematiche e parzialmente la musica del secondo e conclusivo album della breve carriera “A jug of love” del 1971, poco prima dello scioglimento.
Successivamente Alan King troverà un discreto successo con la band pub rock degli Ace, Martin Stone si perde in mille altre avventure (tra cui una breve militanza nei 101ers di Joe Strummer e a fianco di Marianne Faithfull dal vivo).
Nel frattempo Reg King dedica tre anni alla realizzazione del suo (unico e omonimo) album solista, pubblicato nel 1971.
Ad aiutarlo alcuni ex membri degli Action e nomi di primo piano della scena rock britannica come Steve Winwood, Mick Taylor (ai tempi con gli Stones) e Brian Auger. Un lavoro di di grande pregio (recentemente ristampato dopo decenni di oblìo), tipicamente figlio dell'epoca, tra rock blues, soul rock, tardi Small Faces, Humble Pie, Traffic con la sua voce, a metà tra Rod Stewart e Steve Marriott, matura, espressiva, potente.
Non ne scaturirà nulla di buono e anche lui sparirà dalle scena che conta. La band si è riunita nel 2000 (suonando anche con Phil Collins) per sporadici concerti.
Reg King ci ha lasciati nel 2010.
“La mia band preferita, la preferita in assoluto. Negli anni 60 andavo al Marquee Club e una sera li ho scoperti. Andavo a vederli ogni volta in cui suonavano.
Poi li ho conosciuti.
Ho suonato con loro, si sono riformati e io ho suonato con loro al 100 club. Fu un sogno diventato realtà. Essere sul palco a suonare tutte le canzoni che sentivo quando ero un teenager." (Phil Collins).
"Ritengo che Reggie King sia uno dei migliori cantanti soul bianchi. In un certo senso la sua voce ricca e morbida suona molto più naturale di quella di Marriott". (Paul Weller)
Nel momento in cui la scena mod, nei primi anni Sessanta, prese vigore, aumentò di numero e divenne un evento mediatico, grazie alla luce riflessa della Beatlemania che esplodeva ovunque in Gran Bretagna (e non solo), si avvertì la necessità di dare ai giovani in parka e scooter qualcosa in più da acquistare oltre a vestiti e oscuri dischi di jazz e rhythm and blues.
Si parla di centinaia di migliaia di potenziali acquirenti, abituati ad applaudire band che ripropongono classici della Tamla Motown e della black music più ballabile, da Georgie Fame a Cliff Bennet and the Rebel Rousers. Ci vuole anche qualcuno che componga nuovi brani, più in linea con i gusti dei tempi, sull'onda di Beatles e Rolling Stones.
Pete Meaden taglia i capelli e riveste con fogge mod gli Who, gli cambia addirittura nome in High Numbers e li lancia nella scena. Gli Small Faces sono già mod del West End e fanno meno fatica a indossare le vesti della perfetta mod band. Entrambi i gruppi suonano cover rhythm and blues, adorano James Brown, sono coetanei dei loro fan e ne incarnano (Who in particolare) l'urgenza adolescenziale, mista a una dose di viole
nza, eccitazione e teppismo, mutuati dall'abuso di amfetamine.
Gli Action si muovono su coordinate simili. The Boys with Sandra Barry.
Formatisi nel 1963 con il nome di The Boys realizzano il 45 "It ain't fair"/I want you" nel novembre del 1964, due brani composti dal leader Reg King ,di stampo Beatlesiano (anche se “I want you” ha un originale e inusuale ritmo ska).
Erano apparsi anche su un 45 giri pochi mesi prima come backing band della cantante pop beat Sandra Barry con i disimpegnati e frizzanti “Really gonna shake” (di cui esiste anche un video) e “When we get married”.
Nel 1965 la formazione si stabilizza e cambia il nome in The Action, molto vicino al concetto tipicamente mod di vivacità, impulsività, giovanilismo.
Arriva il chitarrista Pete Watson che si affianca a Alan "Bam" King (chitarra), Reg King (tra le migliori voci della scena inglese dell'epoca, potente, piena, “nera”), Mike Evans (basso) e Roger Powell (batteria) e la band dal 6 giugno 1965 a Dereham nel Norfolk al Tavern Club inizia il suo giro di concerti con il nuovo nome.
Arrivano al Cavern a Liverpool, al londinese Marquee, al futuro tempio del Northern Soul, il Twisted Wheel di Manchester.
Dividono il palco con future star, David Jones non ancora David Bowie, con i Birds di Ron Wood, Brian Auger, Who, Small Faces, Move, gli Herd di Peter Frampton, Manfred Mann, gli Steampacket di Rod Stewart, con Brian Auger, Julie Driscoll, Creation, i The Syn con i prossimi Yes, gli Episode Six di Ian Gillan.
Sono parte di una scena esplosiva, piena di talento e talenti ancora da sbocciare.
Gli Action trovano un inaspettato appoggio con l'arrivo di, nientemeno che, George Martin, già da anni il “quinto” Beatles che produce una serie di singoli di pregevole fattura, purtroppo mai accarezzati dal successo.
Dalla loro parte anche una ricercatezza estetica inappuntabile che ne risalta l'immagine, vicina all'avanguardia mod, mai banale, sempre elegante e raffinata.
Ci provano da subito, a fine 1965, con una personale versione del classico rhythm and blues “Land of thousand dances” di Wilson Pickett con la deliziosa ballata “In my lonely room” sul retro.
Nemmeno la pur strepitosa cover di “I'll keep on holdin on” delle Marvelettes di qualche mese dopo con un altrettanto vigorosa “Hey Sha Lo Ney” di Mickey Lee Lane dei primi mesi del 1966 e un nuovo omaggio estivo alla black music con “Baby, you've got it” di Maurice & the Radiants e “Since I lost my baby” dei Temptations danno i frutti sperati.
Probabilmente è troppo tardi, gli umori psichedelici sono già nell'aria, la musica cambia di settimana in settimana e affidarsi al pur buon vecchio rhythm and blues non paga più.
“Il nostro è rhythm and blues senza il blues. Una specie di rhythm and soul” (Reg King).
Corrono ai ripari con un singolo finalmente autografo pubblicato nel febbraio 1967.
Il risultato è eccellente: “Never ever” e “Twenty four hour” sono al passo con i tempi, melodici, immediatamente memorizzabili, ritmati, arrangiati alla perfezione, con fiati e cori raffinati.
E' giugno 1967, i Beatles sono appena usciti con “Sgt Peppers”, Jimi Hendrix ha già pubblicato “Hey Joe”, “Purple haze” e l'esordio a 33 giri “Are you experienced”, anche i Cream sono in giro da un po', gli Who lavorano già alle mini opere rock.
Gli Action arrivano con il quinto singolo, la bellissima “Shadows and reflections” (già uscita per mano degli oscuri Lownly Crowde poco tempo prima) dall'incedere alla Kinks con un gusto psichedelico e un grande riff di fiati.
Anche “Something has hit me” ha caratteristiche simili con modalità compositive e arrangiamenti elaborati. Ma ancora una volta il mondo musicale si è ormai spostato altrove, nuove idee si fanno ogni giorno strada, la creatività esplode ovunque, escono capolavori a ritmo serrato, il rock sta diventando/è diventato adulto, da fenomeno adolescenziale e innocuo a pur e propria arte.
Testi impegnati e visionari, citazioni letterarie, sperimentazioni sonore apparentemente impossibili fino a pochi mesi prima. Ci vuole ben altro per impressionare e conquistare il cuore degli appassionati.
L'ultimo singolo con due cover , “Harlem shuffle” di Bob&Earl e “Wasn't it you” di Petula Clark, sono più che fuori tempo massimo.
La band perde il contratto con la Parlphone e l'ala protettrice di George Martin, prova ad autogestirsi e si mette al lavoro per la realizzazione di un album che non vedrà mai la luce e sarà pubblicato solo nel 1995 con il titolo “Rolled Gold”.
Reg King, anima della band, lascia nel 1967, il resto della band forma i Mighty Baby ma, nonostante l'adesione a sonorità finalmente al passo con i tempi (psichedelia, folk, una pionieristica forma di prog in stile Traffic), troverà scarso successo.
La critica sarà benevola, le opportunità non mancheranno (la partecipazione al Festival dell'Isola di Wight del 1970), la musica prodotta nei due album è creativa, stimolante a tratti travolgente.
Nel 1970 avviene un fatto perlomeno curioso, ovvero l'adesione alla corrente religiosa Sufi di gran parte della band che influenzerà le tematiche e parzialmente la musica del secondo e conclusivo album della breve carriera “A jug of love” del 1971, poco prima dello scioglimento.
Successivamente Alan King troverà un discreto successo con la band pub rock degli Ace, Martin Stone si perde in mille altre avventure (tra cui una breve militanza nei 101ers di Joe Strummer e a fianco di Marianne Faithfull dal vivo).
Nel frattempo Reg King dedica tre anni alla realizzazione del suo (unico e omonimo) album solista, pubblicato nel 1971.
Ad aiutarlo alcuni ex membri degli Action e nomi di primo piano della scena rock britannica come Steve Winwood, Mick Taylor (ai tempi con gli Stones) e Brian Auger. Un lavoro di di grande pregio (recentemente ristampato dopo decenni di oblìo), tipicamente figlio dell'epoca, tra rock blues, soul rock, tardi Small Faces, Humble Pie, Traffic con la sua voce, a metà tra Rod Stewart e Steve Marriott, matura, espressiva, potente.
Non ne scaturirà nulla di buono e anche lui sparirà dalle scena che conta. La band si è riunita nel 2000 (suonando anche con Phil Collins) per sporadici concerti.
Reg King ci ha lasciati nel 2010.
“La mia band preferita, la preferita in assoluto. Negli anni 60 andavo al Marquee Club e una sera li ho scoperti. Andavo a vederli ogni volta in cui suonavano.
Poi li ho conosciuti.
Ho suonato con loro, si sono riformati e io ho suonato con loro al 100 club. Fu un sogno diventato realtà. Essere sul palco a suonare tutte le canzoni che sentivo quando ero un teenager." (Phil Collins).
"Ritengo che Reggie King sia uno dei migliori cantanti soul bianchi. In un certo senso la sua voce ricca e morbida suona molto più naturale di quella di Marriott". (Paul Weller)
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Mod Heroes
lunedì, luglio 22, 2024
Riccardo Cogliati - Smells like Italy. I concerti italiani dei Nirvana 1989-1991
Un dettagliatissimo resoconto dei concerti italiani dei NIRVANA, dal primo breve e caotico tour con i Tad (ero presente al "Bloom" al delirio che accadde) del 1989, alle esibizioni di un gruppo ormai famosissimo in tutto il mondo.
Ogni episodio è ricco di testimonianze di centinaia di protagonisti diretti (organizzatori, manager, tecnici) e spettatori, con ampio corredo fotografico degli eventi.
Ne emerge una visuale più approfondita e spesso inedita (molti dei retroscena sono diventati leggendari, non di rado mai avvenuti) del fenomeno Nirvana (soprattutto sui singoli componenti e le loro usanze comportamentali) ma anche di come era strutturata la rete concertistica in Italia, ai tempi ancora pionieristica e non del tutto affidabile.
Lettura molto veloce e fruibile, i fan di un'epoca e chi ha vissuto quei concerti apprezzeranno ancora di più.
Riccardo Cogliati
Smells like Italy. I concerti italiani dei Nirvana 1989-1991
Tsunami Edizioni
360 pagine
25 euro
Ogni episodio è ricco di testimonianze di centinaia di protagonisti diretti (organizzatori, manager, tecnici) e spettatori, con ampio corredo fotografico degli eventi.
Ne emerge una visuale più approfondita e spesso inedita (molti dei retroscena sono diventati leggendari, non di rado mai avvenuti) del fenomeno Nirvana (soprattutto sui singoli componenti e le loro usanze comportamentali) ma anche di come era strutturata la rete concertistica in Italia, ai tempi ancora pionieristica e non del tutto affidabile.
Lettura molto veloce e fruibile, i fan di un'epoca e chi ha vissuto quei concerti apprezzeranno ancora di più.
Riccardo Cogliati
Smells like Italy. I concerti italiani dei Nirvana 1989-1991
Tsunami Edizioni
360 pagine
25 euro
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Libri
venerdì, luglio 19, 2024
XTC - Dear God
XTC - Dear God
https://www.youtube.com/watch?v=p554R-Jq43A
Brano scritto da Andy Partridge, originariamente concepito per l'album del 1986 "Skylarking", venne escluso a causa del testo che contiene un attacco pesantissimo alla figura di Dio.
Uscì come B side del singolo "Grass".
Verrà stampato come singolo nel giugno del 1987, trovando grande riscontro, soprattutto in America.
I primi e gli ultimi versi della canzone sono cantati da Jasmine Veillette, una bambina di otto anni, figlia di un amico di Todd Rundgren, produttore dell'album.
Il brano venne successivamente incluso nelle ristampe di "Skylarking".
Molto bello anche il video di Nick Brandt con palesi citazioni Beatlesiane (già evidenti nella canzone) con riferimento a quello di "Strawberry Fields Forever".
Caro Dio
Spero che tu abbia ricevuto la mia lettera e mi auguro che tu possa migliorarci le cose quaggiù
Non intendo una grande riduzione sul prezzo della birra,
ma tutte le persone che hai creato a tua immagine,
guardali morire di fame perché non riescono ad avere abbastanza da mangiare da Dio,
Non posso credere in te
Caro Dio mi spiace disturbarti ma sento la necessità di essere ascoltato forte e chiaro.
Abbiamo tutti bisogno di ua grande riduzione del cumulo di lacrime,
e tutte le persone che hai creato a tua immagine e somiglianza,
guardali combattere e scontrarsi per le strade perché non riescono a conciliare le loro opinione su Dio,
Io non posso credere in te
Hai creato le malattie e il diamante blu?
Hai creato il genere umano dopo che noi abbiamo creato te?
E anche il diavolo?
Caro Dio
Non so se hai notato, ma il tuo nome è in un sacco di citazioni su questo libro.
L’abbiamo scritto noi pazzi umani, dovresti dargli un’occhiata,
e tutte le persone che hai creato a tua immagine,
credono ancora che quella porcata sia vera
Io lo so che non lo è, così come lo sai tu.
Caro Dio io non posso credere, io non credo in te
Non voglio credere al paradiso o all’inferno
Niente santi, niente peccatori, neanche il diavolo, niente cancelli di perle, niente corone spinose.
Hai sempre deluso noi umani
Le guerre che porti, i bambini che anneghi e quelli persi in mare e mai trovati
Ed è lo stesso in tutto il mondo e il dolore che vedo peggiora
E il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo sono soltanto una grossa bugia
E se sei in grado di capire che sto mostrando i miei sentimenti apertamente
Sappi che se c’è una cosa in cui non credo sei tu, caro Dio
https://www.youtube.com/watch?v=p554R-Jq43A
Brano scritto da Andy Partridge, originariamente concepito per l'album del 1986 "Skylarking", venne escluso a causa del testo che contiene un attacco pesantissimo alla figura di Dio.
Uscì come B side del singolo "Grass".
Verrà stampato come singolo nel giugno del 1987, trovando grande riscontro, soprattutto in America.
I primi e gli ultimi versi della canzone sono cantati da Jasmine Veillette, una bambina di otto anni, figlia di un amico di Todd Rundgren, produttore dell'album.
Il brano venne successivamente incluso nelle ristampe di "Skylarking".
Molto bello anche il video di Nick Brandt con palesi citazioni Beatlesiane (già evidenti nella canzone) con riferimento a quello di "Strawberry Fields Forever".
Caro Dio
Spero che tu abbia ricevuto la mia lettera e mi auguro che tu possa migliorarci le cose quaggiù
Non intendo una grande riduzione sul prezzo della birra,
ma tutte le persone che hai creato a tua immagine,
guardali morire di fame perché non riescono ad avere abbastanza da mangiare da Dio,
Non posso credere in te
Caro Dio mi spiace disturbarti ma sento la necessità di essere ascoltato forte e chiaro.
Abbiamo tutti bisogno di ua grande riduzione del cumulo di lacrime,
e tutte le persone che hai creato a tua immagine e somiglianza,
guardali combattere e scontrarsi per le strade perché non riescono a conciliare le loro opinione su Dio,
Io non posso credere in te
Hai creato le malattie e il diamante blu?
Hai creato il genere umano dopo che noi abbiamo creato te?
E anche il diavolo?
Caro Dio
Non so se hai notato, ma il tuo nome è in un sacco di citazioni su questo libro.
L’abbiamo scritto noi pazzi umani, dovresti dargli un’occhiata,
e tutte le persone che hai creato a tua immagine,
credono ancora che quella porcata sia vera
Io lo so che non lo è, così come lo sai tu.
Caro Dio io non posso credere, io non credo in te
Non voglio credere al paradiso o all’inferno
Niente santi, niente peccatori, neanche il diavolo, niente cancelli di perle, niente corone spinose.
Hai sempre deluso noi umani
Le guerre che porti, i bambini che anneghi e quelli persi in mare e mai trovati
Ed è lo stesso in tutto il mondo e il dolore che vedo peggiora
E il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo sono soltanto una grossa bugia
E se sei in grado di capire che sto mostrando i miei sentimenti apertamente
Sappi che se c’è una cosa in cui non credo sei tu, caro Dio
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giovedì, luglio 18, 2024
Richard Galliano a Gragnano Trebbiense (PC), Loc. Campremoldo Sotto (Piacenza)
Mercoledì 17 luglio 2024
Le location dei concerti del Val Tidone Festival, pluriventennale evento che si svolge nelle colline piacentine, sono sempre suggestive e stupende. Non fa eccezione Castelmantova, castello/villa privata nel comune di Gragnano Trebbiense.
A cui si affiancano proposte artistiche di livello mondiale, vedi la presenza del fisarmonicista e compositore RICHARD GALLIANO, innovatore dello strumento («Richard Galliano ha cambiato il corso della storia della fisarmonica. Possiamo parlare del prima e del dopo Galliano.» Yasuhiro Kobayashi), virtuoso dal gusto sopraffino che passa da brani di propria composizione a Edith Piaf, Erik Satie, "Vuelvo al sur" di Astor Piazzolla, "Moon river", Gershwin.
Rilassato, divertito e divertente in brevi dialoghi con il pubblico, da solo sul palco, riempie oltre un'ora di acclamatissimo concerto.
Pura eccellenza.
A cui si affiancano proposte artistiche di livello mondiale, vedi la presenza del fisarmonicista e compositore RICHARD GALLIANO, innovatore dello strumento («Richard Galliano ha cambiato il corso della storia della fisarmonica. Possiamo parlare del prima e del dopo Galliano.» Yasuhiro Kobayashi), virtuoso dal gusto sopraffino che passa da brani di propria composizione a Edith Piaf, Erik Satie, "Vuelvo al sur" di Astor Piazzolla, "Moon river", Gershwin.
Rilassato, divertito e divertente in brevi dialoghi con il pubblico, da solo sul palco, riempie oltre un'ora di acclamatissimo concerto.
Pura eccellenza.
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mercoledì, luglio 17, 2024
Primo semestre 2024. Il meglio della Soul Music
Un breve elenco di alcuni album ascrivibili al contesto "SOUL" usciti nel primo semestre del 2024, particolarmente interessanti.
JUDITH HILL - Letters From A Black Widow
Una storia tremenda quella a cui fa riferimento il titolo.
Judith Hill è stata a lungo definita "Black widow" a causa delle sue collaborazioni con Michael Jackson e Prince poco prima che morissero, facendo partire una campagna diffamatoria e infamante, rinfocolate dagli hater da social. Il suo curriculum è ricchissimo di backing vocals per varie star della musica, da Rod Stewart a Robbie Williams, John Legend, Dave Stewart.
Il nuovo, quinto, album è un capolavoro in cui troviamo soul, funk, blues, gospel, jazz, sperimentazione, rock, elettronica, hip hop, con la sua voce spettacolare a tenere le fila. A tratti ricorda Macy Gray o Erikah Badu, a volte Prince e altre Sly and the Family Stone o perfino Aretha Franklin ma la personalità e l'ecletticità che sprigionano l'album sono uniche e originalissime.
BELLA BROWN and the JEALOUS LOVERS - Soul Clap
Da Los Angeles un album semplicemente esplosivo. Bella Brown canta come un incrocio tra Tina Turner, Aretha, Sharon Jones. Con lei suona una band da paura.
Tutti insieme escono con questo esordio mozzafiato in cui troviamo Funkadelic, Parliament, Sly and the family Stone, il James Brown degli 80, Prince, Labelle, afrofunk, disco e un groove irresistibile, travolgente, spettacolare.
MICHELLE DAVID & the TRUE-TONES - Brothers and sisters
Michelle David, cresciuta a New York, fin dall'età di quattro anni voce in cori gospel, poi in giro per il mondo con il musical di Broadway “Mama” e con altre opere teatrali, infine in studio a fianco di Diana Ross.
Si trasferisce in Olanda dove incomincia una carriera con i locali True-Tones con cui incide sei album, calca i palchi di mezza Europa, conquista premi e riconoscimenti. Approdano alla nostra Record Kicks con il loro infuocato funk soul, rhythm and blues, blues e una costante tinta gospel su ogni brano e un album nuovo di zecca con dodici brani autografi. Una fusione ammaliante, esplosiva, vincente.
WONDER45 - Wonderland
Per chi ama il cosiddetto "retro soul" o "vintage soul" ecco una nuova band londinese, i WONDER 45 (Wonder 45) con l'album di debutto "Wonderland". Qui c'è la storia della soul music, dal rhythm and blues, a intriganti soul ballads, blues, funk, echi gospel, blaxploitation, Temptations, sezione fiati che spinge, grandi voci, Sly e tanto altro.
Get the groove!
SAIGON SOUL REVIVAL - Moi Lu'ong Duyen
Affascinante band arriva dal Vietnam. Melodie autoctone in lingua locale avvolte da un groove soul funk, suonato con la giusta attitudine e occasionali, gustosissime escursioni in ritmi in levare di estrazione ska. Non è solo una curiosità esotica ma una band con i fiocchi e una grande voce femminile.
THE TIBBS - Keep it yourself
Al terzo album la band olandese si conferma una solida realtà della scena vintage soul con dodici brani frizzanti, allegri, solari, pieni di 60's groove, ballabilissimi. Stampa la nostra Record Kicks e l'album è davvero di grande livello.
JUDITH HILL - Letters From A Black Widow
Una storia tremenda quella a cui fa riferimento il titolo.
Judith Hill è stata a lungo definita "Black widow" a causa delle sue collaborazioni con Michael Jackson e Prince poco prima che morissero, facendo partire una campagna diffamatoria e infamante, rinfocolate dagli hater da social. Il suo curriculum è ricchissimo di backing vocals per varie star della musica, da Rod Stewart a Robbie Williams, John Legend, Dave Stewart.
Il nuovo, quinto, album è un capolavoro in cui troviamo soul, funk, blues, gospel, jazz, sperimentazione, rock, elettronica, hip hop, con la sua voce spettacolare a tenere le fila. A tratti ricorda Macy Gray o Erikah Badu, a volte Prince e altre Sly and the Family Stone o perfino Aretha Franklin ma la personalità e l'ecletticità che sprigionano l'album sono uniche e originalissime.
BELLA BROWN and the JEALOUS LOVERS - Soul Clap
Da Los Angeles un album semplicemente esplosivo. Bella Brown canta come un incrocio tra Tina Turner, Aretha, Sharon Jones. Con lei suona una band da paura.
Tutti insieme escono con questo esordio mozzafiato in cui troviamo Funkadelic, Parliament, Sly and the family Stone, il James Brown degli 80, Prince, Labelle, afrofunk, disco e un groove irresistibile, travolgente, spettacolare.
MICHELLE DAVID & the TRUE-TONES - Brothers and sisters
Michelle David, cresciuta a New York, fin dall'età di quattro anni voce in cori gospel, poi in giro per il mondo con il musical di Broadway “Mama” e con altre opere teatrali, infine in studio a fianco di Diana Ross.
Si trasferisce in Olanda dove incomincia una carriera con i locali True-Tones con cui incide sei album, calca i palchi di mezza Europa, conquista premi e riconoscimenti. Approdano alla nostra Record Kicks con il loro infuocato funk soul, rhythm and blues, blues e una costante tinta gospel su ogni brano e un album nuovo di zecca con dodici brani autografi. Una fusione ammaliante, esplosiva, vincente.
WONDER45 - Wonderland
Per chi ama il cosiddetto "retro soul" o "vintage soul" ecco una nuova band londinese, i WONDER 45 (Wonder 45) con l'album di debutto "Wonderland". Qui c'è la storia della soul music, dal rhythm and blues, a intriganti soul ballads, blues, funk, echi gospel, blaxploitation, Temptations, sezione fiati che spinge, grandi voci, Sly e tanto altro.
Get the groove!
SAIGON SOUL REVIVAL - Moi Lu'ong Duyen
Affascinante band arriva dal Vietnam. Melodie autoctone in lingua locale avvolte da un groove soul funk, suonato con la giusta attitudine e occasionali, gustosissime escursioni in ritmi in levare di estrazione ska. Non è solo una curiosità esotica ma una band con i fiocchi e una grande voce femminile.
THE TIBBS - Keep it yourself
Al terzo album la band olandese si conferma una solida realtà della scena vintage soul con dodici brani frizzanti, allegri, solari, pieni di 60's groove, ballabilissimi. Stampa la nostra Record Kicks e l'album è davvero di grande livello.
Etichette:
Sweet Soul Music
martedì, luglio 16, 2024
Beatles Again
Dalla biografia di Graeme Thompson su GEORGE HARRISON, recentemente recensita su queste pagine.
Racconta Leon Russell (riferendosi al 1971):
"George mi accompagnò una volta a casa di Eric Clapton e durante il tragitto mi fece sentire quella che sembrava una serie di canzni dei Beatles.
In realtà aveva estrapolato una canzone da tutti i loro album solisti e le aveva messe insieme: sembrava semplicemente un disco dei Beatles. Lo trovavo stupefacente. E anche lui"
Di seguito un classico gioco che mi piace ripetere e riproporre ogni tanto ovvero un immaginario album che avrebbero potuto realizzare i Beatles nel 1980 (dopo dieci anni di assenza e di silenzio dalle scene, anche a livello solista) con il meglio (personale ed opinabile) dei brani finiti sulle loro produzioni successive allo scioglimento e fino alla morte di John.
Ne sarebbe saltato fuori un capolavoro dai contenuti esplosivi, ricchissimo di singoli, grandi brani e destinato a diventare pietra miliare del rock.
Come sempre spazio diviso tra Paul e John, con qualche pertugio per George e pure un paio per Ringo.
"BEATLES AGAIN"
A SIDE
1) JET
Un brano di Paul , tipico rock n roll spedito (finito su "Band on the run" nel 73), ad aprire l'album
2) COLD TURKEY
Duro e caustico rock acido di John (singolo del 1970) che urla disperato della sua tossicodipendenza
3) MAYBE I'M AMAZED
A stemperare l'avvio al fulmicotone uno dei capolavori di Paul (dal primo "Mc Cartney" del 70)
4) MY SWEET LORD
Tocca a George con l'accattivante ballad "My sweet Lord" da "All things must pass" del 1970
5) WORKING CLASS HERO
Sempre duro e cattivo, John sfodera uno dei suoi capolavori con la splendida ballad del 1970
6) LET ME ROLL IT
Un blues intenso e minimale di Paul del 1973 (da "Band on the run")
7) IT DON'T COME EASY
Tocca a Ringo con uno stupendo pop beat , vertice assoluto delle sue composizioni
8) IMAGINE
Il lato A si chiude con l’epocale "Imagine" di John del 1971
B SIDE
1) DARK HORSE
Un brano poco considerato di George ma dagli stupendi tratti compositivi apre il lato B (intitolava l'omonimo album del 74)
2) LIVE AND LET DIE
Paul alza i ritmi con il pomp rock del singolo che fece da colonna sonora al film su James Bond nel 1973.
3) WHATEVER GETS YOU THROUGH THE NIGHT
John sa essere anche scanzonato, soprattutto insieme ad un ospite d'eccezione, Elton John, in questo singolo irresistibile del 74 (da "Walls and bridges").
4) GIRLS SCHOOL
Ancora Paul con un rock n roll grezzo, semplice e minimale (che fu B side di "Mull of Kyntire" nel 78).
5) JEALOUS GUY
Un'altra stupenda ballata di John (da "Imagine" del 1971).
6) FASTER
George in un grandissimo brano del 1979 (dedicato a Jackie Stewart).
7) COMING UP
Clima danzereccio funky disco per Paul (da Mc Cartney 2" del 1980).
8) GIVE PEACE A CHANCE
Conclusione corale con uno dei brani più importanti di John e della musica.
C Side
1) MIND GAMES
Apre un’intensissima ballad di John, originariamente title track dell’omonimo album del 1973.
2) ATTICA STATE
Il John politico con un infuocato rock n roll (tratto dal controverso “Sometimes in New York City” del 1972).
3) NOT GUILTY
George ripesca un eccellente scarto dell’Album Bianco e lo riporta alla luce all’insegna di un ritmato rock blues. (da “George Harrison” del 1979).
4) TEDDY BOY
Una ballata destinata a “Let it be” (ripescata da Paul nel primo album del 1970), tra le cose migliori scritte dal nostro.
5) PHOTOGRAPH
George e Ringo firmano insieme una veloce ballata cantata dal batterista come sempre all’insegna dell’easy listening (da “Ringo” del 1973).
6) #9 DREAM
Un classico del John più scanzonato, pop, leggero e spensierato.
Tra i suoi migliori brani, sempre poco considerato (da “Walls and bridges” del 1974).
7) LETTING GO
Un rock mid tempo melodicamente perfetto, scarno e deciso (da “Venus and mars” del 1975).
8) JUST LIKE STARTING OVER
John da amante del rock n roll classico confeziona un pop n roll molto fruibile ma sicuramente efficace e da classifica (da “Double fantasy” del 1980).
SIDE D
1) POWER TO THE PEOPLE
Messaggio chiaro e semplice, diretto e senza tema di interpretazioni sbagliate.
Il brano è di presa immediata e destinato a diventare un classico (singolo di John del 1971).
2) BAND ON THE RUN
Un ottimo rock n roll scritto da Paul con una melodia accattivante e di presa immediata (dall’omonimo album del 1973).
3) INSTANT KARMA
Brano al 100% di stampo Lennon, un rock scarno e diretto (singolo del 1970).
4) ALL THINGS MUST PASS
Una ballata dolcissima perfettamente consona al pensiero, alla creatività, alla musicalità di George (dall’omonimo triplo del 1970).
5) MULL OF KYNTIRE
Ballatona ruffiana, commerciale ma di immediata presa, firmata da Paul (singolo di enorme successo del 1977).
6) GOODNIGHT TONIGHT
A Paul è sempre piaciuto sperimentare ritmi e atmosfere diverse e non èstato immune dalla contaminazione disco come è palese in questo perfetto brano sul genere (singolo del 1978).
7) EBONY AND IVORY
Paul porta un brano nuovissimo e i Beatles ospitano Stevie Wonder per un duetto d’eccezione per una ballata riuscita e molto orecchiabile (uscirà nel 1982 su “Tug of war”).
8) FREE AS A BIRD
Un brano corale, molto romantico e melodico di John invece chiude l’album (il brano che lancerà l’”Anthology” e che riporterà i tre Beatles allora superstiti a lavorare su un vecchio demo di John).
Racconta Leon Russell (riferendosi al 1971):
"George mi accompagnò una volta a casa di Eric Clapton e durante il tragitto mi fece sentire quella che sembrava una serie di canzni dei Beatles.
In realtà aveva estrapolato una canzone da tutti i loro album solisti e le aveva messe insieme: sembrava semplicemente un disco dei Beatles. Lo trovavo stupefacente. E anche lui"
Di seguito un classico gioco che mi piace ripetere e riproporre ogni tanto ovvero un immaginario album che avrebbero potuto realizzare i Beatles nel 1980 (dopo dieci anni di assenza e di silenzio dalle scene, anche a livello solista) con il meglio (personale ed opinabile) dei brani finiti sulle loro produzioni successive allo scioglimento e fino alla morte di John.
Ne sarebbe saltato fuori un capolavoro dai contenuti esplosivi, ricchissimo di singoli, grandi brani e destinato a diventare pietra miliare del rock.
Come sempre spazio diviso tra Paul e John, con qualche pertugio per George e pure un paio per Ringo.
"BEATLES AGAIN"
A SIDE
1) JET
Un brano di Paul , tipico rock n roll spedito (finito su "Band on the run" nel 73), ad aprire l'album
2) COLD TURKEY
Duro e caustico rock acido di John (singolo del 1970) che urla disperato della sua tossicodipendenza
3) MAYBE I'M AMAZED
A stemperare l'avvio al fulmicotone uno dei capolavori di Paul (dal primo "Mc Cartney" del 70)
4) MY SWEET LORD
Tocca a George con l'accattivante ballad "My sweet Lord" da "All things must pass" del 1970
5) WORKING CLASS HERO
Sempre duro e cattivo, John sfodera uno dei suoi capolavori con la splendida ballad del 1970
6) LET ME ROLL IT
Un blues intenso e minimale di Paul del 1973 (da "Band on the run")
7) IT DON'T COME EASY
Tocca a Ringo con uno stupendo pop beat , vertice assoluto delle sue composizioni
8) IMAGINE
Il lato A si chiude con l’epocale "Imagine" di John del 1971
B SIDE
1) DARK HORSE
Un brano poco considerato di George ma dagli stupendi tratti compositivi apre il lato B (intitolava l'omonimo album del 74)
2) LIVE AND LET DIE
Paul alza i ritmi con il pomp rock del singolo che fece da colonna sonora al film su James Bond nel 1973.
3) WHATEVER GETS YOU THROUGH THE NIGHT
John sa essere anche scanzonato, soprattutto insieme ad un ospite d'eccezione, Elton John, in questo singolo irresistibile del 74 (da "Walls and bridges").
4) GIRLS SCHOOL
Ancora Paul con un rock n roll grezzo, semplice e minimale (che fu B side di "Mull of Kyntire" nel 78).
5) JEALOUS GUY
Un'altra stupenda ballata di John (da "Imagine" del 1971).
6) FASTER
George in un grandissimo brano del 1979 (dedicato a Jackie Stewart).
7) COMING UP
Clima danzereccio funky disco per Paul (da Mc Cartney 2" del 1980).
8) GIVE PEACE A CHANCE
Conclusione corale con uno dei brani più importanti di John e della musica.
C Side
1) MIND GAMES
Apre un’intensissima ballad di John, originariamente title track dell’omonimo album del 1973.
2) ATTICA STATE
Il John politico con un infuocato rock n roll (tratto dal controverso “Sometimes in New York City” del 1972).
3) NOT GUILTY
George ripesca un eccellente scarto dell’Album Bianco e lo riporta alla luce all’insegna di un ritmato rock blues. (da “George Harrison” del 1979).
4) TEDDY BOY
Una ballata destinata a “Let it be” (ripescata da Paul nel primo album del 1970), tra le cose migliori scritte dal nostro.
5) PHOTOGRAPH
George e Ringo firmano insieme una veloce ballata cantata dal batterista come sempre all’insegna dell’easy listening (da “Ringo” del 1973).
6) #9 DREAM
Un classico del John più scanzonato, pop, leggero e spensierato.
Tra i suoi migliori brani, sempre poco considerato (da “Walls and bridges” del 1974).
7) LETTING GO
Un rock mid tempo melodicamente perfetto, scarno e deciso (da “Venus and mars” del 1975).
8) JUST LIKE STARTING OVER
John da amante del rock n roll classico confeziona un pop n roll molto fruibile ma sicuramente efficace e da classifica (da “Double fantasy” del 1980).
SIDE D
1) POWER TO THE PEOPLE
Messaggio chiaro e semplice, diretto e senza tema di interpretazioni sbagliate.
Il brano è di presa immediata e destinato a diventare un classico (singolo di John del 1971).
2) BAND ON THE RUN
Un ottimo rock n roll scritto da Paul con una melodia accattivante e di presa immediata (dall’omonimo album del 1973).
3) INSTANT KARMA
Brano al 100% di stampo Lennon, un rock scarno e diretto (singolo del 1970).
4) ALL THINGS MUST PASS
Una ballata dolcissima perfettamente consona al pensiero, alla creatività, alla musicalità di George (dall’omonimo triplo del 1970).
5) MULL OF KYNTIRE
Ballatona ruffiana, commerciale ma di immediata presa, firmata da Paul (singolo di enorme successo del 1977).
6) GOODNIGHT TONIGHT
A Paul è sempre piaciuto sperimentare ritmi e atmosfere diverse e non èstato immune dalla contaminazione disco come è palese in questo perfetto brano sul genere (singolo del 1978).
7) EBONY AND IVORY
Paul porta un brano nuovissimo e i Beatles ospitano Stevie Wonder per un duetto d’eccezione per una ballata riuscita e molto orecchiabile (uscirà nel 1982 su “Tug of war”).
8) FREE AS A BIRD
Un brano corale, molto romantico e melodico di John invece chiude l’album (il brano che lancerà l’”Anthology” e che riporterà i tre Beatles allora superstiti a lavorare su un vecchio demo di John).
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Beatles
lunedì, luglio 15, 2024
I più venduti nei primi sei mesi 2024 in Italia
A metà dell'anno é "Icon" di Tony Effe a guidare la classifica degli album (fisico + download + streaming free & premium) più venduti in Italia. "I nomi del diavolo" di Kid Yugi al secondo posto e "La Divina Commedia" di Tedua al terzo.
Il 95% della Top 20 è d'altronde di artisti italiani: solo Taylor Swift riesce a piazzare un titolo (il recente The tortured poets department) in tredicesima posizione.
Al 40° posto Billie Eilish, 50° posto "Dark side of the moon dei Pink Floyd, al 70° posto "AM" degli Arctic Monkeys, uniche presenza non legate a pop, trap, rap italiane
Tra i singoli (download + streaming free & premium + video streaming) al primo posto "Tuta gold" di Mahmood, seguito da Geolier con "I p' me, tu p' t"e e in terza posizione Annalisa con "Sinceramente".
Ad eccezione di due titoli, la top ten è occupata da singoli sanremesi: un fenomeno ormai consolidatosi negli ultimi anni, che segna una curva di crescita rispetto al 2023 (dove i brani del Festival in top ten si fermavano a 5).
Nella nuova chart CD, Vinili e Musicassette primi i Club Dogo con l'omonimo album, seguiti da Kid Yugi (I nomi del diavolo) e Ultimo (Altrove), "Dark side of the moon" dei Pink Floyd è al settimo posto.
Nella prima metà del 2024 il mercato dello streaming é cresciuto del 31,7%, con oltre 46 miliardi di stream totalizzati. Il supporto fisico segna una flessione del 3,7%, ma il vinile continua a crescere del 15,3%
Il 95% della Top 20 è d'altronde di artisti italiani: solo Taylor Swift riesce a piazzare un titolo (il recente The tortured poets department) in tredicesima posizione.
Al 40° posto Billie Eilish, 50° posto "Dark side of the moon dei Pink Floyd, al 70° posto "AM" degli Arctic Monkeys, uniche presenza non legate a pop, trap, rap italiane
Tra i singoli (download + streaming free & premium + video streaming) al primo posto "Tuta gold" di Mahmood, seguito da Geolier con "I p' me, tu p' t"e e in terza posizione Annalisa con "Sinceramente".
Ad eccezione di due titoli, la top ten è occupata da singoli sanremesi: un fenomeno ormai consolidatosi negli ultimi anni, che segna una curva di crescita rispetto al 2023 (dove i brani del Festival in top ten si fermavano a 5).
Nella nuova chart CD, Vinili e Musicassette primi i Club Dogo con l'omonimo album, seguiti da Kid Yugi (I nomi del diavolo) e Ultimo (Altrove), "Dark side of the moon" dei Pink Floyd è al settimo posto.
Nella prima metà del 2024 il mercato dello streaming é cresciuto del 31,7%, con oltre 46 miliardi di stream totalizzati. Il supporto fisico segna una flessione del 3,7%, ma il vinile continua a crescere del 15,3%
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Di cosa parliamo quando parliamo di musica
venerdì, luglio 12, 2024
Graeme Thomson - George Harrison. Behind the locked door. La biografia
La lunga e dettagliata storia di "Beatle George", rimasto tale nonostante i reiterati tentativi di sfuggire "a una storia dell'orrore, terribile, folle, un vero incubo, un'esperienza caratterizzata da pazzia, panico, paranoia" (come ha più volte dichiarato).
Curiosamente, ma non troppo, George, Paul, John, Ringo, cercarono di scappare dal marchio Beatles, dopo lo scioglimento, non riuscendoci mai, continuando a fare riferimenti, positivi o negativi, a quella esperienza, nelle canzoni, interviste, dichiarazioni, scritti.
Curiosa la storia dell'esperienza delle "Anthology", mezzo incubo per chi le ha gestite, con una tensione latente e costante tra i Threetles.
Si racconta del George mistico che fa a pugni con quello estremo, tra droghe, alcol, sesso, tradimenti, con il senso di onnipotenza che gli diede la fama con i Fab Four, con un carattere che poteva essere duro e scostante.
"Mi ha sempre destato qualche perplessità il fatto che il suo comportamento non fosse poi così tanto aderente ai valori che professava.
Non era sempre una persona amorevole.
Aveva un lato parecchio spiacevole. A volte era difficile capirlo: non era una passeggiata. Se dicevi qualcosa nel modo sbagliato se la prendeva anche se dal tuo punto di vista era un'uscita innocente.
Diciamo che ti rimetteva al tuo posto." (Glyn Johns)
La frustrazione di essere relegato compositivamente in secondo piano durante l'era Beatles: "non si rendevano conto di chi ero e questo era uno dei principali difetti di John e Paul.
Erano così impegnati a interpretare le parti di John e Paul che non prestavano attenzione alle persone intorno a loro".
La storia (e il libro) sottolineano come in realtà lo spazio lasciato a George fosse consono alle sue capacità compositive che non andavano al di là delle due/tre canzoni ad album.
La carriera solista lo dimostra e anche i brani che John e Paul rifiutarono durante il periodo Beatles.
Dovuto anche, per sua stessa ammissione, alla necessità di avere molto tempo per comporre e rifinire le canzoni.
Una storia fatta di successo ma anche di lunghi silenzi, insicurezze, i gravi problemi di salute che lo porteranno a una morte prematura, la marea di soldi persi con la casa di produzione cinematografica, la pace che trovava solo nei suoi giardini, l'aggressione subita in casa, la ricerca, quasi paranoica, di solitudine in posti remoti, lontano dalle folle, il credo religioso che lo portò a una morte serena.
I Beatlesiani non si possono esimere, il libro è pieno di spunti e particolari poco noti (difficile trovare aspetti inediti sui Beatles...), non è agiografico e racconta la storia di un ragazzo che voleva solo suonare la chitarra in un gruppo rock 'n' roll.
"Non riusciva proprio a capire perché fosse diventato un musicista famoso in tutto il mondo.
La cosa lo ha sempre un po' confuso.
Si chiedeva perché lui, un ragazzo qualsiasi di Liverpool, destinato a svolgere un lavoro semplice e umile fosse diventato all'improvviso così conosciuto"
(Pattie Boyd)
Graeme Thomson
George Harrison. Behind the locked door. La biografia
Il Castello Editore
472 pagine
24 euro
Sara Boero (Traduttrice)
Curiosamente, ma non troppo, George, Paul, John, Ringo, cercarono di scappare dal marchio Beatles, dopo lo scioglimento, non riuscendoci mai, continuando a fare riferimenti, positivi o negativi, a quella esperienza, nelle canzoni, interviste, dichiarazioni, scritti.
Curiosa la storia dell'esperienza delle "Anthology", mezzo incubo per chi le ha gestite, con una tensione latente e costante tra i Threetles.
Si racconta del George mistico che fa a pugni con quello estremo, tra droghe, alcol, sesso, tradimenti, con il senso di onnipotenza che gli diede la fama con i Fab Four, con un carattere che poteva essere duro e scostante.
"Mi ha sempre destato qualche perplessità il fatto che il suo comportamento non fosse poi così tanto aderente ai valori che professava.
Non era sempre una persona amorevole.
Aveva un lato parecchio spiacevole. A volte era difficile capirlo: non era una passeggiata. Se dicevi qualcosa nel modo sbagliato se la prendeva anche se dal tuo punto di vista era un'uscita innocente.
Diciamo che ti rimetteva al tuo posto." (Glyn Johns)
La frustrazione di essere relegato compositivamente in secondo piano durante l'era Beatles: "non si rendevano conto di chi ero e questo era uno dei principali difetti di John e Paul.
Erano così impegnati a interpretare le parti di John e Paul che non prestavano attenzione alle persone intorno a loro".
La storia (e il libro) sottolineano come in realtà lo spazio lasciato a George fosse consono alle sue capacità compositive che non andavano al di là delle due/tre canzoni ad album.
La carriera solista lo dimostra e anche i brani che John e Paul rifiutarono durante il periodo Beatles.
Dovuto anche, per sua stessa ammissione, alla necessità di avere molto tempo per comporre e rifinire le canzoni.
Una storia fatta di successo ma anche di lunghi silenzi, insicurezze, i gravi problemi di salute che lo porteranno a una morte prematura, la marea di soldi persi con la casa di produzione cinematografica, la pace che trovava solo nei suoi giardini, l'aggressione subita in casa, la ricerca, quasi paranoica, di solitudine in posti remoti, lontano dalle folle, il credo religioso che lo portò a una morte serena.
I Beatlesiani non si possono esimere, il libro è pieno di spunti e particolari poco noti (difficile trovare aspetti inediti sui Beatles...), non è agiografico e racconta la storia di un ragazzo che voleva solo suonare la chitarra in un gruppo rock 'n' roll.
"Non riusciva proprio a capire perché fosse diventato un musicista famoso in tutto il mondo.
La cosa lo ha sempre un po' confuso.
Si chiedeva perché lui, un ragazzo qualsiasi di Liverpool, destinato a svolgere un lavoro semplice e umile fosse diventato all'improvviso così conosciuto"
(Pattie Boyd)
Graeme Thomson
George Harrison. Behind the locked door. La biografia
Il Castello Editore
472 pagine
24 euro
Sara Boero (Traduttrice)
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Libri
giovedì, luglio 11, 2024
Federico Martelli - The Beatles everyday
L'universalità dell'opera dei Beatles si evidenzia anche da un libro come questo, scritto da un diciottenne, innamorato dei Fab Four che affronta l'improbo compito di redigere, per ogni giorno dell'anno, una recensione di una brano dei Fab Four.
Lo fa senza particolari deferenze alla leggenda, scrivendo in libertà, spigliato, sfacciato, non risparmiando critiche pungenti quando lo ritiene opportuno, togliendo quella patina paludata e polverosa da un gruppo intoccabile.
E' bello pensare di leggere e poi ascoltare, giorno per giorno, l'opera omnia dei Beatles, seguendo le sue indicazioni, potenziale, vero e proprio "buongiorno" mattutino.
Federico Martelli
The Beatles everyday Officine Gutenberg
370 pagine
20 euro
Lo fa senza particolari deferenze alla leggenda, scrivendo in libertà, spigliato, sfacciato, non risparmiando critiche pungenti quando lo ritiene opportuno, togliendo quella patina paludata e polverosa da un gruppo intoccabile.
E' bello pensare di leggere e poi ascoltare, giorno per giorno, l'opera omnia dei Beatles, seguendo le sue indicazioni, potenziale, vero e proprio "buongiorno" mattutino.
Federico Martelli
The Beatles everyday Officine Gutenberg
370 pagine
20 euro
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Libri
martedì, luglio 09, 2024
The Clash - Safe European Home
The Clash - Safe European Home
https://www.youtube.com/watch?v=1xgwXkULDCs
Alla fine del 1977 Joe Strummer e Mick Jones (con grande scorno di Paul Simonon, il vero appassionato e conoscitore di musica reggae della band) furono mandati in Giamaica per due settimane per trovare l'ispirazione e scrivere canzoni per il prossimo secondo album dei Clash, "Give 'Em Enough Rope".
L'esperienza non fu così positiva e incoraggiante.
Tanto che al ritorno Joe scrisse il testo di "Safe European Home" sulla "triste esperienza".
I went to the place where every white face
Is an invitation to robbery
And sitting here in my safe European home
"Sono arrivato in un posto dove ogni faccia bianca era un invito al furto e ora sono seduto qui nella mia sicura casa europea".
"Uscimmo dal Pegasus Hotel tutti tappati nei nostri vestiti punk. Eravamo come due turisti punk in un viaggio organizzato.
Totalmente naif.
Conoscevano Lee Scratch Perry ma non eravamo riusciti a trovarlo così eravamo per conto nostro. Mentre camminavamo per i docks alla ricerca di qualche droga ci chiamavano tutti "maiali bianchi".
L'unico motivo perché non ci abbiano uccisi è perchè pensavano che fossimo due marinai usciti da una nave del porto. O forse perché pensavano che fossimo due pazzi o qualcosa del genere"
(Joe Strummer)
Una particolarità poco conosciuta è che il disco fu registrato a San Francisco durante un periodo in cui in classifica c'era "I've Done Everything for You" di Sammy Hagar, futura voce dei Van Halen, il cui riff iniziale è abbastanza simile al brano dei Clash e si suppone quindi un'influenza diretta (probabilmente inconsapevole) a livello compositivo.
Sammy Hagar, interpellato, è stato abbastanza esplicito in tal senso :
"Non c'è da stupirsi, quando sono salito su un ascensore con Joe Strummer nell'82 non mi ha guardato ah, ah ah!
Grande band e canzone, non gli avrei mai fatto causa!"
Sammy hagar - I've Done Everything for You
https://www.youtube.com/watch?v=dcCe1V6x96s&t=24s
Peraltro in quanto a "ispirazioni" i Clash non si faranno mancare niente, vedi "Should I saty or should I go": https://tonyface.blogspot.com/2023/09/the-clash-should-i-stay-or-should-i-go.html
Well, I just got back and I wish I'd never leave now (where'd you go?)
Who dat Martian arrival at the airport, yeah? (where'd you go?)
How many local dollars for a local anesthetic? (where'd you go?)
The Johnny on the corner wasn't very sympathetic (where'd you go?)
I went to the place where every white face
Is an invitation to robbery
And sitting here in my safe European home
Don't want to go back there again
Wasn't I lucky, wouldn't it be lovely? (where'd you go?)
Send us all cards, have a laying-in on Sunday (where'd you go?)
I was there for two weeks, so how come I never tell, now? (where'd you go?)
That natty dread drink at the Sheraton hotel, yeah (where'd you go?)
I went to the place where every white face
Is an invitation to robbery
And sitting here in my safe European home
Don't want to go back there again
They got the sun, and they got the palm trees (where'd you go?)
They got the weed, and they got the taxis (where'd you go?)
Whoa, the harder they come, the home of ol' bluebeat (where'd you go?)
I'd stay and be a tourist but I can't take the gunplay (where'd you go?)
I went to the place where every white face
Is an invitation to robbery
And sitting here in my safe European home
Don't want to go back there again
What?
Rudie come from Jamaica, Rudie can't fail
Rudie come from Jamaica, Rudie can't fail
Rudie come from Jamaica, 'cause Rudie can't fail
Rudie come From Jamaica, Rudie can't fail (European home)
Rudie, Rudie, Rudie, Rudie, Rudie, Rudie can't fail (European home)
Rudie, Rudie, Rudie, Rudie, Rudie, Rudie can't fail (European home)
) Rudie, Rudie, Rudie, Rudie, Rudie, Rudie can't fail (twenty-four track European home)
Elder come and a-Rudie go, no one knows where the policeman's go
https://www.youtube.com/watch?v=1xgwXkULDCs
Alla fine del 1977 Joe Strummer e Mick Jones (con grande scorno di Paul Simonon, il vero appassionato e conoscitore di musica reggae della band) furono mandati in Giamaica per due settimane per trovare l'ispirazione e scrivere canzoni per il prossimo secondo album dei Clash, "Give 'Em Enough Rope".
L'esperienza non fu così positiva e incoraggiante.
Tanto che al ritorno Joe scrisse il testo di "Safe European Home" sulla "triste esperienza".
I went to the place where every white face
Is an invitation to robbery
And sitting here in my safe European home
"Sono arrivato in un posto dove ogni faccia bianca era un invito al furto e ora sono seduto qui nella mia sicura casa europea".
"Uscimmo dal Pegasus Hotel tutti tappati nei nostri vestiti punk. Eravamo come due turisti punk in un viaggio organizzato.
Totalmente naif.
Conoscevano Lee Scratch Perry ma non eravamo riusciti a trovarlo così eravamo per conto nostro. Mentre camminavamo per i docks alla ricerca di qualche droga ci chiamavano tutti "maiali bianchi".
L'unico motivo perché non ci abbiano uccisi è perchè pensavano che fossimo due marinai usciti da una nave del porto. O forse perché pensavano che fossimo due pazzi o qualcosa del genere"
(Joe Strummer)
Una particolarità poco conosciuta è che il disco fu registrato a San Francisco durante un periodo in cui in classifica c'era "I've Done Everything for You" di Sammy Hagar, futura voce dei Van Halen, il cui riff iniziale è abbastanza simile al brano dei Clash e si suppone quindi un'influenza diretta (probabilmente inconsapevole) a livello compositivo.
Sammy Hagar, interpellato, è stato abbastanza esplicito in tal senso :
"Non c'è da stupirsi, quando sono salito su un ascensore con Joe Strummer nell'82 non mi ha guardato ah, ah ah!
Grande band e canzone, non gli avrei mai fatto causa!"
Sammy hagar - I've Done Everything for You
https://www.youtube.com/watch?v=dcCe1V6x96s&t=24s
Peraltro in quanto a "ispirazioni" i Clash non si faranno mancare niente, vedi "Should I saty or should I go": https://tonyface.blogspot.com/2023/09/the-clash-should-i-stay-or-should-i-go.html
Well, I just got back and I wish I'd never leave now (where'd you go?)
Who dat Martian arrival at the airport, yeah? (where'd you go?)
How many local dollars for a local anesthetic? (where'd you go?)
The Johnny on the corner wasn't very sympathetic (where'd you go?)
I went to the place where every white face
Is an invitation to robbery
And sitting here in my safe European home
Don't want to go back there again
Wasn't I lucky, wouldn't it be lovely? (where'd you go?)
Send us all cards, have a laying-in on Sunday (where'd you go?)
I was there for two weeks, so how come I never tell, now? (where'd you go?)
That natty dread drink at the Sheraton hotel, yeah (where'd you go?)
I went to the place where every white face
Is an invitation to robbery
And sitting here in my safe European home
Don't want to go back there again
They got the sun, and they got the palm trees (where'd you go?)
They got the weed, and they got the taxis (where'd you go?)
Whoa, the harder they come, the home of ol' bluebeat (where'd you go?)
I'd stay and be a tourist but I can't take the gunplay (where'd you go?)
I went to the place where every white face
Is an invitation to robbery
And sitting here in my safe European home
Don't want to go back there again
What?
Rudie come from Jamaica, Rudie can't fail
Rudie come from Jamaica, Rudie can't fail
Rudie come from Jamaica, 'cause Rudie can't fail
Rudie come From Jamaica, Rudie can't fail (European home)
Rudie, Rudie, Rudie, Rudie, Rudie, Rudie can't fail (European home)
Rudie, Rudie, Rudie, Rudie, Rudie, Rudie can't fail (European home)
) Rudie, Rudie, Rudie, Rudie, Rudie, Rudie can't fail (twenty-four track European home)
Elder come and a-Rudie go, no one knows where the policeman's go
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