giovedì, febbraio 29, 2024

Febbraio 2024. Il meglio

Secondo mese dell'anno e abbiamo già qualcosa da segnalare.
Dall'estero Bella Brown and the Jealous Lovers, Les Amazones d'Afrique, Kula Shaker, Tibbs, Idles, Mo Troper e Popincourt.
Tra gli italiani Rudy Bolo, Enri Zavalloni, Any Other, Bebaloncar e Paolo Benvegnù.


BELLA BROWN and the JEALOUS LOVERS - Soul Clap
Da Los Angeles un album semplicemente esplosivo. Bella Brown canta come un incrocio tra Tina Turner, Aretha, Sharon Jones. Con lei suona una band da paura.
Tutti insieme escono con questo esordio mozzafiato in cui troviamo Funkadelic, Parliament, Sly and the family Stone, il James Brown degli 80, Prince, Labelle, afrofunk, disco e un groove irresistibile, travolgente, spettacolare.

KULA SHAKER - Natural Magick
Tornano i KULA SHAKER con il settimo album di una tormentata carriera.
"Natural Magick" è il lavoro che ci può aspettare dalla band di Crispian Mills e soci (di nuovo con la line up originale).
Freakbeat, pop rock, influenze sempre marcatamente 60's, psichedelia, riferimenti "indiani", Beatles ultimo periodo a profusione.
Personalmente non chiedo, non pretendo, né mi aspetto altro e saluto un ottimo album di una delle migliori band del Britpop.

LES AMAZONES D'AFRIQUE - Musow Danze
Supergruppo femminile e femminista formato in Mali nel 2015 da Kandia Kouyaté, Angélique Kidjo, Mamani Keita, Rokia Koné, Mariam Doumbia, Nneka, Mariam Koné, Massan Coulibaly, Madina N'Diaye, Madiaré Dramé, Mouneissa Tandina et Pamela Badjogo, grandi voci in rappresentanza della miriade di musica che arriva dall'Africa (NON ESISTE una "musica africana" ma MILLE- forse più - MUSICHE AFRICANE). Cantano contro la violenza sessuale, le mutilazioni genitali femminili, diritti.
In questo nuovo album a fianco di una delle fondatrici Mamani Keïta (Mali) ci sono Fafa Ruffino (Benin), Kandy Guira (Burkina Faso), Dobet Gnahoré (Côte d’Ivoire), Alvie Bitemo (Congo-Brazzaville), Nneka (Nigeria). Produce il grande Jacknife Lee. Nell'album ci sono ritmi tribali, hip hop, highlife, afrobeat, elettronica, influenze tradizionali, soukous, voci incredibili, un grandissimo groove.

REAL ESTATE - Daniel
Sesto album per la band americana e un'altra delizia da mettere in conto. Il loro ormai classico jingle jangle sound che guarda ai Sixties si unisce al Paisley Underground, Power Pop, Feelies con la penna di Alex Chilton che aleggia qua e là. Non sarà un capolavoro ma è fresco, solare, lieve, divertente.

IDLES - Tangk
Personalmente non bazzico abitualmente queste lande sonore, cosiddette POST PUNK, ma ho apprezzato i dischi precedenti e trovo questo nuovo sforzo riuscito, con la volontà di andare avanti, senza adagiarsi sugli allori recenti.
Ci sono tante nuove influenze e la consueta rabbia, seppure più controllata e meditata.
Ipnotica "Hall & Oates", incredibile citazione (con ritornello preso da "She cracked" dei Modern Lovers), mortifera la conclusiva "Monolith", contagioso il funk punk/ The Streets di "Pop Pop Pop".
L'aspetto preponderante è che qui ci sono IDEE.
Non è facile trovarne così tante nelle produzioni recenti.

BRITTI - Hello I'm Britti
Esordio per una giovane e grande voce che arriva da New Orleans, con la produzione di Dan Auerbach. Soul venato di country, molto melodico, a tratti non lontano da certe atmosfere care a Sade ma che molte volte si vivacizza e prende ritmo. Molto interessante, un nome da tenere d'occhio.

BRITTANY HOWARD - What now
La voce degli Alabama Shakes torna con un album pieno di ingredienti sparsi ma estremamente saporiti: soul, Prince, soul, blues, funk, jazz, psichedelia, disco, house. Il tutto condensato in un sound attuale, moderno, pulsante.
Merita un ascolto attento e ripetuto.

DJ HARRISON - Shades of Yesterday
Molto piacevole questo nuvo lavoro dell'artista americano che si addentra in rivisitazioni in chiave neo soul (non troppo lontane dagli originali) di Stevie Wonder, Donald Fagen, una discreta "Tomorrow never knows" dei Beatles e cose più oscure.
Per un ascolto qua:
https://djharrison.bandcamp.com/album/shades-of-yesterday

J MASCIS - What Do We Do Now
Quinto album solista del Dinosaur Jr che si propone con l'abituale stile folk rock distorto indolente e malinconico. Non un lavoro esaltante ma sicuramente dignitoso e che gli appassionati e fan apprezzeranno.

KID KAPICHI - There Goes The Neighbourhood
Il terzo album del quartetto inglese ne conferma la sfacciataggine sonora, tra attitudine punk, sorta di Sleaford Mods con le chitarre elettriche, una discreta dose di elettronica e un'aggressività tipicamente Brit. La miscela funziona, la band è ottima.

CCCP Fedeli alla Linea - Altro che nuovo nuovo
Registrato nel 1983 con la formazione iniziale con la voce di Giovanni Lindo Ferretti, la chitarra di Massimo Zamboni, la batteria di Zeo Giudici e il basso di Umberto Negri, è un documento degli esordi abrasivi e innovativi della band assurta a nuova vita, travolta da polemiche e adorazione isterica negli ultimi tempi, tra reunion, ristampe, mostra, film etc.
Due inediti, una cover dei DAF e un brano ancora embrionale, poi trasformatosi in "BBB", a fianco di quelli che diventeranno classici. Per completisti alla ricerca di un passato irripetibile.

CASINO ROYALE - Dainamaita XXX
Nel 30° anniversario dalla pubblicazione del favoloso e influente "Dainamaita" i Casino Royale ne pubblicano una ristampa in vinile in tiratura limitata con l'aggiunta di una confezione gatefold raffinatissima e i remix (particolarmente riusciti) dei brani "Treno Per Babilon" e "Re Senza Trono". Per chi lo aveva perso un'occasione speciale per scoprire uno dei migliori album della musica "underground" italiana di sempre.

SMALLTOWN TIGERS - Crush on you
Primo album per l'all female trio nostrano, già protagoniste dell'ottimo miniLp d'esordio "Five things" e di una frenetica attività live che le ha portate in giro per l'Europa, anche a fianco dei Damned. Il loro è un sound semplice e diretto: punk rock, rock 'n' roll, Ramones, garage, in cui irruenza, urgenza e spontaneità la fanno da padrone pur se con brani comunque elaborati a livello compositivo, mai banali e scontati. Una band che si è presa un posto di rilievo nella scena garage punk mondiale e che difficilmente lo mollerà.

PAOLO ZANGARA - Scusi dov'è il bar?
Paolo Zangara ha un lunghissimo curriculum artistico, diviso tra un grande numero di progetti, sempre validi ed eclettici (dai Lo.Mo. agli Ophiuco), la cui attività è stata coronata da riuscite e frequenti uscite discografiche. La nuova veste solista è insolita e inedita. Gli otto brani autografi scavano nella tradizione della canzone d'autore italiana degli anni Sessanta e primi Settanta, quando spesso si ammantava di influenze jazz. Dalle esperienze nella Penisola dell'ammaliante Chet Baker, a Gino Paoli, le tonalità ombrose di Sergio Endrigo, lo swing di Nicola Arigliano e Fred Buscaglione, oltre alle immancabili matrici di due maestri come Luigi Tenco e Piero Ciampi. Zangara si è circondato di eccellenti musicisti, il mood è perfettamente a fuoco, la qualità delle composizioni di altissimo livello. Eccellente.

PIER ADDUCE - Dove vola la cicogna
Pier Adduce è un cantautore eclettico che si muove agilmente da anni in contesti autorali, soprattutto con il suo alter ego Guignol, in cui la tradizione della canzone più colta italiana si sposa a influenze disparate (da Nick Cave a Leonard Cohen). Il nuovo album, a suo nome, sposta le coordinate sonore verso un uso più accentuato dell'elettronica, mantenendo però inalterato lo scabro incedere di un rock sempre aspro e debitore alla lezione post wave. I testi come sempre sono una parte importante della poetica di Adduce, tra immagini simboliche e crudo realismo da "lingua allenata a battere il tamburo con una voce potente adatta per il vaffanculo". Un'ennesima conferma della qualità della sua scrittura.

MARIA MAZZOTTA – Onde
Interessantissimo l’incrocio sonoro della cantante salentina, in cui azzarda accostare melodie, suggestioni, ritmi mediterranei e folk con sferzate rock talvolta di sapore quasi noise. La voce potente si sposa alla perfezione con la tradizione ma è a perfetto agio anche quando i ritmi e i suoni si fanno cattivi e aspri (vedi una delle vette dell’album, “Sula nu puei stare”, con la chitarra di Bombino e sapori rock blues psichedelici). Tutto l’album è pervaso da un’attitudine tribale, da un approccio blues primitivo e crudo, perfino minaccioso (vedi la magistrale interpretazione di “Terra ca nun senti” del maestro Alberto Piazza, reinterpretata in origine da Rosa Balistreri, un confronto che Mazzotta riesce a sostenere con una versione percussiva e devastante). Lavoro sorprendente per forza e intensità.

BEBALONCAR – Diary of a lost girl
Torna l’inquietante creatura di Scanna (ex Ugly Things, Primeteens, Sciacalli, Bohemians, Pamela Tiffins e tanto altro), già protagonista nel 2022 di un brillante esordio con “Suicide lovers”. Il nuovo album ricalca i sentieri tracciati nel precedente lavoro: minimalismo sonoro, atmosfere drammatiche, solenni, oscure e malate, Velvet Underground, Jesus and Mary Chain e umori shoegaze si mischiano in una miscela personale e originale, lungo dieci brani. Una conferma.

THE ODD - Back home (future passed eventually)
L'esordio della band piacentina è un condensato di suggestioni sonore che riportano agli anni Sessanta (beat psichedelico) e agli Ottanta del Paisley Underground (tra Rain Parade e True West). I quattro brani hanno un incedere mid tempo, avvolgente e dal tratto onirico. Una partenza sicuramente interessante e che lascia ben presagire per il futuro.

EROTIK TWIST - The Street, The Night, The Rebel
Una creatura minacciosa esce dalle acque limacciose di una palude marchigiana e si materializza in questo nuovo progetto, frutto dell'unione di veterani della scena punk e rock n roll locale. Il risultato è un album caratterizzato da un groove malato, aspro, distorto, dal substrato hard funk ma che pesca nel rock n roll più primitivo e oscuro. Non mancano atmosfere di gusto shoegaze e di ispirazione Velvet Underground e una sorprendente cover di "Ratamahata" dei Sepultura. Un lavoro molto personale e dalla spiccata originalità.

LARRY MANTECA - Zombie Mandingo
Larry Manteca anche in questo nuovo album ci fa entrare in una colonna sonora di un film di exploitation mai realizzato, riportandoci di colpo negli sgranati Bmovie anni 70. Nove brani strumentali registrati tra 2013 e 2019, ripresi recentemente per un nuovo mix. Il mood è il consueto funk, dalle tinte afro, chitarre con il wah wah, percussioni, flauto solista a tessere le linee melodiche, Fela Kuti, Isaac Hayes di "Shaft", il Curtis Mayfield di "Superfly" e Piero Umiliani a braccetto. Gli appassionati impazziranno di gioia.

KOKADAME – Live a pezzi
La dimensione preferita dei Kokadame è quella (caoticamente) live che ci viene fedelmente restituita in questo disco (in vinile, tiratura limitata di 150 copie) registrato a fine dicembre 2023. Dodici brani tra punk rock, riff hard, testi urlati e tranquillamente (finalmente!) incuranti del politically correct. La band ha la giusta attitudine, un grande tiro, suona bene e compatta, la registrazione è ottima.

MASSIMO GALASSI – Un grido per voi
L’ex chitarrista dei Sick Boys Revue esce con un ep aspro e rabbioso, dedicato al mondo operaio (al quale l’autore appartiene) da sempre sfruttato e vessato. I cinque brani riportano all’epica antagonista di Billy Bragg e ai nostri Gang e Filippo Andreani, sono minimali, chitarra e voce, con testi dolenti e duri. Un lavoro che prelude a un futuro molto interessante.

SHE'S A FISH - Effulgent
L'album del musicista veneziano è un avvolgente viaggio psichedelico in cui convergono anche elementi indie, folk, pop, rock, shoegaze, Britpop. L'anima del Syd Barrett solista aleggia spesso nella colonna vertebrale delle composizioni (vedi ad esempio "You hat") ma ci sono anche i Beatles dell'Album Bianco, gli Oasis più ispirati ("While this time away"), Julian Cope e altri viaggi lisergico cerebrali, coinvolgenti e intriganti. Molto interessante.

Various Artists I See You Live On Love Street – Music From Laurel Canyon 1967-1975
Un box è molto interessante, che gironzola nella California del Laurel Canyon, quartiere di Los Angeles dove alla fine degli anni Sessanta risiedevano grandi nomi del rock. Si immagina una potenziale colonna sonora, dal 1967 al 1975, che si poteva ascoltare passeggiando da quelle parti. Dai Doors a David Crosby, Stephen Stills, Monkees, Buffalo Springfields, Poco, Mamas and Papas, a una serie di rarità e nomi minori è davvero un bel sentire.

ASCOLTATO ANCHE:
LONDON AFROBEAT COLLECTIVE (afrobeat funk pieno di ritmo e groove), POM (dall'Olanda buona band pop con influenze 60's un po' alla Cardigans e Blondie), LIME GARDEN (le Breeders in chiave più pop, carino ma trascurabile),

LETTO

Dafne Boggeri in collaborazione con Sara Serighelli - Out of the grid: Italian Zines 1978–2006
Una mappatura delle realtà editoriali indipendenti che si sono sviluppate sul territorio italiano tra il movimento del '77 e l'avvento del web 3.0. a cura di Dafne Boggeri in collaborazione con Sara Serighelli.
450 pagine (in inglese) in cui si testimonia l'attività di 100 fanzine (dal 1978 al 2006) che spaziano dal punk al reggae, alla new wave, mod (c'è anche la mia "Faces"), arte e tanto altro.
Formato A4, copertine, interni delle pubblicazioni, brevi introduzioni, varie interviste.
Un ennesimo tassello che contribuisce a conservare la memoria di un'epoca unica e particolarissima.
Interessante la sottolineatura sulla necessità, in Italia, per ogni pubblicazione, di essere registrata "presso la cancelleria del Tribunale Civile nella circoscrizione in cui viene fatta la pubblicazione" con un "direttore responsabile ovvero un giornalista regolarmente iscritto all’Ordine dei Giornalisti nell’albo dei Professionisti o in quello dei Pubblicisti." Sostanzialmente tutte le fanzine sono di fatto illegali (se non affiliate a situazioni in regola, vedi la funzione che faceva Stampa Alternativa ai tempi). Ovviamente solo raramente le fanzine adempivano e adempiono a queste regole.

Massimiliano Guareschi - Going underground. Stile, gusto e consumi nelle sottoculture giovanili
Un saggio molto colto e approfondito sul fenomeno delle sottoculture, in un'ottica filosofica, zeppa di riferimenti e rimandi a contesti storici e sociopolitici.
Si parla di estetica, identità, appartenenza, la componente politica delle varie sottoculture, la volontà antagonista e "sotterranea", allo stesso tempo, la ricerca di visibilità nei confronti degli "esterni", il bisogno di affermare la propria autenticità e riconoscibilità in tale veste.
La cultura della working class si riduce a stereotipo e icona , giocata all'interno delle più diverse combinazioni stilistiche. Addirittura a brand: le Dr.Martens e le Fred Perry degli skin, parte integrante del ritorno idealizzato a uno stereotipo working class evidentemente mai esistito in quella perfezione formale.
Per gli appassionati e studiosi dell'ambito sottoculturale un interessanto compendio che si addentra di più nel tema, evitando le consuete descrizione già abbondantemente note.

Giovanni Battista Menzani - Dove il fiume muore
Un maldestro e improbabile rapimento si trasforma in un iniziatico viaggio di una "Armata Brancaleone" di giovani e ragazzini, verso una libertà impossibile all'interno di una società oppressiva, finta e falsa, molto corrispondente a quella che viviamo oggi e che toglie al romanzo di Menzani ogni tratto distopico.
Sullo sfondo una Pianura Padana (Piacenza in particolare) e le rive del Po in disfacimento ambientale e sociale.
La descrizione a pagina 91 è quanto di più drammaticamente corrispondente al reale, sorta di foto in lettere di un moderno Luigi Ghirri:
Le rotonde invase dalle sterpaglie.
I poster del Circo Togni sui pilastri dei viadotti, tutti quei pagliacci dall'aria triste tra il cemento e le pozzanghere.
Le pensiline in plexiglass.
I grovigli di bicilette incatenate.
Le barriere antirumore coperte da graffiti a spray.
Le cataste di new jersey.
I cartelli stradali pieni di adesivi.
I poster della pubblicità scoloriti dal sole.
Ivan sembrava aver scritto la guida turistica di un paese inesorabilmente in declino.
Il racconto è cinematografico e avvincente, in costante equilibrio tra l'esilarante e il drammatico.
Un libro che si fa amare e rimane dentro.

Aldo Gianolio e Piercarlo Poggio - John Coltrane. Tranesonic o il riflesso dell'universo
La vita del grandissimo JOHN COLTRANE, elaborata con meticoloso puntiglio e grande cura, anche molto "tecnica", con tanto di spartiti di alcuni dei brani più significativi, in questa nuova pubblicazione editoriale della rivista "Blow Up".
Poco più di 100 pagine per introdurci al genio di uno dei jazzisti e musicisti più influenti e significativi della storia.
"Soultrane" "Giant steps", "A love supreme", "Ascension", "Meditations", le collaborazioni prestigiose, la prematura scomparsa nel 1967 a 40 anni.
Un testo che unisce le esigenze dei cultori dell'artista con chi si avvicina alla sua opera più prosaicamente e superficialmente.

Stefano Mannucci - Batti il tempo
Una serie di gustosi racconti dal taglio biografico, in cui si innestano vicende più o meno conosciute della lunga vicenda pop rock jazz.
Dalla travagliata e breve storia tra Miles Davis e Juliette Greco, allo sbarco degli Stones in USA, la collaborazione tra Beatles e Stones, John Lennon e il rapporto in bilico tra ammirazione reciproca e una rivalità sotterranea con Bob Dylan, la relazione spietata tra Jackson Browne e Joni Mitchell e tanto altro.
Stefano Mannucci, decano del giornalismo rock italiano e storica voce di Rai Stereonotte e Radiofreccia, si destreggia con consumata abilità tra musica e riferimenti diretti al contesto storico e sociale in cui si svolgevano.
La parte più interessante arriva nelle ultime pagine, ambientate in un futuro (imminente?) in cui l'Intelligenza Artificiale fa rivivere i miti del rock, sia visivamente, in affollati concerti di ologrammi, sia proponendo nuovi brani che nessuno saprebbe distinguere da un falso.
"A costi ragionevolmente contenuti, i falsari possono prosperare sull'Industria della Nostalgia e sull'irragionevole testardaggine di chi non si rassegna a sapere nell'Oltretomba i proprio beniamini" inaugurando "il "filone dalla non-storia del rock".

COSE VARIE
° Ogni giorno mie recensioni italiane su www.radiocoop.it (per cui curo ogni settimana un TG video musicale - vedi pagina FB https://www.facebook.com/RadiocoopTV/).
° Ogni domenica "La musica ribelle", una pagina sul quotidiano "Libertà"
° Ogni mese varie su CLASSIC ROCK.
° Ogni sabato un video con aggiornamenti musicali sul portale https://www.facebook.com/goodmorninggenova
° Sulle riviste/zines "GIMME DANGER" e "GARAGELAND"
° Periodicamente su "Il Manifesto" e "Vinile".


mercoledì, febbraio 28, 2024

The Staple Singers

Ogni mese la rubrica GET BACK ripropone alcuni dischi persi nel tempo e meritevoli di una riscoperta.
Le altre riscoperte sono qui: http://tonyface.blogspot.it/search/label/Get%20Back

Speciale STAPLE SINGERS
Difficile scegliere i migliori album della lunga discografia di Roebuck "Pops" Staples e figli/e Cleotha, Pervis, Mavis, Yvonne.
Alcuni titoli sono però particolarmente significativi.

Uncloudy Day (1959)
Will the Circle Be Unbroken (1960)
Gli esordi gospel blues, voci e chitarra o poco più.
Basici, crudi, intensissimi.
Bob Dylan parlò della favolosa Uncloudy Day nella loro versione:
"Era la cosa più misteriosa che avessi mai sentito... ci pensavo anche sul banco di scuola... Mavis sembrava avere più o meno la mia età nella foto di copertina. Il suo canto mi ha semplicemente messo fuori combattimento. E Mavis era una grande cantante, profonda e misteriosa. E anche in giovane età, sentivo che la vita stessa era un mistero."


This land (1963)
La band mantiene la matrice gospel ma introduce nuovi elementi sonori, folk e country, coverizza "Blowin in the wind" di Dylan e "This land" di Woody Guthrie. Il sound è più ricco e raffinato e guadagna in fruibilità.
Criticati per avere abbandonato le radici Roebuck "Pops" Staples commentò:
"Penso che sia tutto buon materiale. Penso che sia ora che l'intera nazione inizi ad ascoltare qualcosa che significhi qualcosa e pensi che questa terra appartiene a tutti. Se tutti la pensassero così avremmo Stati Uniti migliori. "

For What It's Worth (1967)
Uno degli album con maggiore forza espressiva della band in cui le influenze rock si mischiano al classico stile gospel. Il brano dei Buffalo Springfield che dà il titolo al disco è un picolo capolavoro, ma ci sono anche "Wade in the water", "If I had a Hammer" e tanto altro.

Be Altitude: Respect Yourself (1972)
Passati alla Stax, dopo un paio di album prodotti da Steve Cropper, passano nelle mani di Al Bell. Il sound è meno primitivo e basico, più soul e fruibile. Alle loro spalle la Muscle Shoals Rhythm Section e i Memphis Horn fanno faville in un infermale groove che permea ogni brano. "Respect yourself" è irresistibile, "I'll take you there" li porta al primo posto delle charts (pur rubando il riff iniziale a "The liquidator" di Harry J Allstars), il resto è esaltante e spesso non dissimile dalle coordinate care a Aretha Franklin.

Let's do it again (1975)
Fuggiti dalla bancarotta della Stax approdano alla Custom di Curtis Mayfield che compone, suona la chitarra e produce l'album, colonna sonora dell'omonimo film con Sidney Poitier.
Il connubio produce una miscela funk soul con la voce di Mavis Staple in primo piano e i classici cori gospel come perfetto contorno. La title track raggiunge il primo posto delle classifiche di Billboard e sarà l'ultimo successo della band.

martedì, febbraio 27, 2024

Bob Marley One love di Reinaldo Marcus Green

Ospito molto volentieri la recensione dell'amico PIER TOSI, massimo consocitore di reggae e affini, del biopic dedicato a BOB MARLEY.

La sua partita 'One Love', il bio-pic di Bob Marley prodotto dai figli Ziggy e Cedella e la settantasettenne moglie Rita per la Paramount (nella lista dei producers spicca anche il nome di Brad Pitt) l'ha già vinta essendo il film campione di incassi in tanti paesi tra cui gli USA e l'Italia a pochi giorni dalla sua release e questo la dice lunga sul persistere del potere di seduzione dell'aura del rivoluzionario artista reggae a quasi quarantatrè anni dalla sua scomparsa.

'One Love' è assai ben raccontato ed interpretato: Kingsley Ben-Adir e Lashana Lynch nelle parti di Bob e Rita sono veramente ineccepibili ed il loro sforzo per entrare decisivamente nei personaggi è evidenziato dalla più che opportuna visione in lingua originale, nonostante anche il doppiaggio in italiano sia stato fatto veramente come meglio non si sarebbe potuto.

Anche tutti gli altri attori, tra cui protagonisti del reggae odierno come le cantanti Sevana e Naomi Cowan (loro le parti rispettivamente delle coriste Judy Mowatt e Marcia Griffiths) e Aston Barrett Jr. (figlio del leggendario bassista dei Wailers da cui ha ereditato il nome, interpreta proprio la parte del padre) forniscono più che buone prove attoriali muovendosi armoniosamente nelle varie sequenze intorno alla figura dell'artista.

Il film fa una scelta parziale raccontando un periodo di circa un anno e mezzo della vita di Bob Marley ma sicuramente un momento decisivo e drammatico della sua carriera tra l'attentato subito a Kingston nel dicembre del 1976 e la partecipazione, sempre in Giamaica, al One Love Peace Concert nell'aprile del 1978.
In mezzo c'è l'abbandono, per motivi di sicurezza, della sua terra per approdare a Londra, la genesi di 'Exodus' (1977), forse il suo disco più celebrato, la scoperta del tumore della pelle che è la prima avvisaglia del male che lo porterà alla morte a trentasei anni nel maggio del 1981 ed il raggiungimento dello status di superstar globale attraverso i trionfi di un indimenticabile tour europeo.

Le vicende tracciano un viaggio che Marley percorre tra le avversità per trovare se stesso e raggiungere la maturità della sua voce universale.
Come per tutti i progetti di questo tipo (mi vengono in mente i bio-pic di Aretha Franklin, Elvis, Ray Charles o Miles Davis) si tratta di trovare un modo simbolicamente efficace di ritrarre personaggi di grande complessità rischiando fortemente di precipitare nell'agiografico infarcendo il racconto cinematografico di una sequela di stereotipi ma in questo caso il rischio è scongiurato e l'immagine che esce di Marley è quella di un essere umano indubbiamente speciale che vince i suoi fantasmi attraverso la dedizione alla musica e la sua missione di diffusione della Rastafari livity.

Storie come queste hanno molti modi per essere raccontate ed il coinvolgimento dei figli Ziggy e Cedella e della loro madre nella produzione giustifica il fatto per cui viene ritratto il cantante in costante dialogo con la figura della moglie/sorella Rita i cui consigli ed il cui affetto sono fondamentali nella sua formazione: la figura di Cindy Breakspeare all'epoca importante dal punto di vista affettivo per Marley non è che nel film una figura distante e senza voce nonostante la presenza di Cindy nei titoli di coda come consulente.

Le scelte di sceneggiatura sono comunque mediamente ben giustificate ed orchestrate a parte alcuni episodi: in un flashback la figura del patriarca della musica giamaicana Coxsone Dodd, titolare del leggendario marchio Studio One e primo produttore dei Wailers, è ritratta come quella di un personaggio dai modi spicci e la pistola facile: gli autori non hanno resistito alla tentazione di far confluire in questo personaggio fondamentale i caratteri di altri producers coevi (si pensi al rivale di Coxsone, l'ex poliziotto Duke Reid) e questa è quasi una mancanza di rispetto per la memoria dell'uomo che fornì una casa dove stare al giovane Marley quando sua madre emigrò in USA.
In un'altra scena si sceglie di ritrarre i contatti di Bob Marley ed il suo entourage con il mondo del punk mostrando la compagnia di dreads ad un concerto dei Clash in un club londinese ed anche questo evento non è supportato da alcuna delle più importanti fonti biografiche.

Una scena dal valore simbolico è l'incontro del cantante con l'uomo che gli sparò nell'attentato alla ricerca di un perdono che Bob non esita da accordargli.
Anche questo episodio non è supportato dalle fonti biografiche ed è una licenza narrativa degli autori che ad avviso di chi vi scrive scade un po' nell'agiografico.

La musica comunque ha il giusto valore nell'economia del film con tanti episodi entusiasmanti riguardanti concerti, attività di studio e sale prove e magistrali scene di Marley al lavoro nella composizione dei brani di 'Exodus'.
La toccante scena che vede la superstar cantare 'Redemption Song' nel cortile di casa sua davanti a Rita ed i suoi bambini è l'apice emozionale di un'opera quindi decisamente riuscita nel ritrarre questo grande artista e che per questo merita assolutamente il suo successo.

lunedì, febbraio 26, 2024

Il basso perduto di Paul McCartney

Riprendo l'articolo che ho scritto ieri per "Libertà", dedicato al ritrovamento del "basso perduto" di Paul McCartney.

Come più volte constatato il mondo del rock è ormai un museo a cielo aperto con i suoi più vecchi protagonisti ancora in (discreta) forma a interpretare fino alla fine la rappresentazione di un glorioso passato, gli indomiti fan a raccoglierne le sacre spoglie (l'ennesima ristampa del solito disco, le reliquie esposte in mostra, l'agognato autografo, lo strumento accarezzato dall'idolo di turno, l'imperdibile registrazione di un abbozzo di brano inedito con chitarra scordata), in un declino poco decoroso per ciò che è stata una ragione di vita per così tante persone.

Anche perché le nuove generazioni, pur con qualche dovuta, rara, eccezione non hanno saputo avvicendarsi ai mostri sacri che il periodo punk sembrava avere ridotto al silenzio ma che invece tornarono saldamente in sella, senza troppi problemi.
Alla fine, piaccia o meno, chiunque voglia indicare una lista credibile dei migliori album rock di tutti i tempi deve inevitabilmente guardare al periodo d'oro degli anni Sessanta e Settanta, con qualche sporadica aggiunta dai due decenni successivi.

In questo contesto ha fatto grande scalpore il ritrovamento di una sorta di Sacro Graal della musica pop rock moderna, il basso perduto di Paul McCartney.
Paul lo aveva acquistato nel 1961 ad Amburgo, dove i Beatles suonavano nei peggiori locali della città (ancora con il batterista Pete Best in formazione), costruendo di fatto la loro formidabile carriera con concerti che si protraevano anche per otto ore al giorno e che divennero la palestra ideale per affrontare qualche tempo dopo interminabili tour mondiali con una perizia tecnica comune a pochi all'epoca.

Nella band c'era anche il bassista Stu Sutcliffe che decise, dopo essersi fidanzato con la fotografa Astrid Kirchner, di rimanere in Germania, abbandonare la carriera musicale e dedicarsi alla pittura. Purtroppo morì poco tempo dopo, nella primavera 1962, per un'emorragia cerebrale. Paul, chitarrista della band, passò al basso. Essendo mancino ne ordinò uno apposito in un negozio della città che gli procurò un Hofner con la forma “a violino” che diventò una peculiarità dell'immagine della band (e che Paul ha sempre usato nel corso degli anni nei suoi concerti).

Pare che, non essendo ancora in commercio la versione per mancini, fosse un prototipo.
Fu il basso che usò fino al 1963 per poi relegarlo a “riserva” dopo averne acquistato uno di miglior fattura della stessa marca e forma, ma che rispolverò anche successivamente nelle riprese del film “Let it be” / “Get back” e nel video di “Revolution” del 1968.

Il basso sembrerebbe scomparire nel 1969 durante le registrazioni live in studio dell'album “Let it be” ma è stato invece poi accertato che in realtà fu rubato il 10 ottobre 1972 a Notting Hill, durante un tour dei Wings, dal furgone lasciato incustodito e carico di strumenti. Da allora se ne perdono le tracce fino a quando nel 2018 un liutaio della Hofner lancia una campagna per il ritrovamento del prezioso reperto.
Lo scorso anno due giornalisti, Scott e Naomi Jones, si uniscono alla ricerca, portando a casa i frutti sperati, quando un erede di uno dei successivi possessori lo riconosce in casa propria, si mette in contatto con Paul e lo restituisce.
Nel frattempo i ladri lo avevano smerciato in un pub londinese, insieme ad altri amplificatori, probabilmente ignari di cosa avevano tra le mani e di quanto, anche e soprattutto commercialmente, fosse di valore.
Finisce poi nelle mani di una famiglia che lo lascia in una soffitta per decine di anni.

Il liutaio Nick Wass, da cui la ricerca è partita, spiega come è iniziato il tutto:
“Ero già in contatto con Paul e il suo staff. Di tanto in tanto volevano pezzi di ricambio, nel caso durante un tour si guastasse qualcosa. Mi hanno anche chiesto di realizzare un altro basso dello stesso formato e stile del suo classico Hofner, cosa che ho fatto. Ho parlato con Paul e mi chiese esplicitamente:
“Ma tu non sai dove è finito il mio basso perduto? Tu sei della Höfner e dovresti sapere dov'è!” Ovviamente non ne sapevo nulla, ma è lì che è nata l’idea di cercarlo. Quando parlo del mio rapporto con Paul tutti si emozionano e mi chiedono se l'ho incontrato, ma è sempre stato solo una questione d'affari, di lavoro, non da fan”
.

In accordo con Paul e il suo management Nick Wass decide di riprodurne una copia uguale in ogni particolare a quello rubato e di cederlo all'ex Beatle che lo userà occasionalmente. Inizialmente la sua ricerca sortisce qualche indizio, nonostante siano pochi gli organi di stampa a darne notizia, apre un sito a cui si rivolgono alcune persone che sostengono di averlo ma dopo accurati esami l'esito è sempre negativo: mancano alcuni particolari o le date di produzione non sono conciliabili.
Solo con l'intervento recente dei due giornalisti le acque si muovono, la notizia ha una copertura mondiale e le informazioni incominciano ad essere sempre più numerose e dettagliate. Tra cui la vera data del furto che fino ad allora era rimasta al 1969.

Si fece invece sentire uno dei due fonici che avevano in custodia il furgone, Ian Home:
"Ero il fonico degli Wings. Io e il mio collega Trevor Jones avevamo un camion da tre tonnellate che usavamo per spostare l'attrezzatura per Paul da un luogo o da uno studio all'altro. Il furgone fu caricato, era notte fonda, intorno alle 22, del 10 ottobre 1972 e decidemmo di non scaricarlo, ma di lasciarlo vicino alla casa di Trevor, dove alloggiavamo. Non siamo riusciti a trovare un posto dove parcheggiare, quindi l'abbiamo portato da qualche parte nelle vicinanze, a Nothing Hill.
Abbiamo chiuso il furgone con un lucchetto, ma quando siamo tornati la mattina seguente abbiamo scoperto che qualcuno era entrato. Due amplificatori Vox AC-30 e il basso erano spariti.
Abbiamo bussato a tutte le porte per chiedere informazioni, ma nessuno aveva visto niente. Lo denunciammo alla polizia e ovviamente dovemmo dire a Paul che il suo basso era sparito, temendo di perdere il lavoro. Ma Paul era tranquillo: "Non preoccuparti, sono cose che succedono, ho altri bassi".


Ian ha poi lavorato altri sei anni per Paul.
Nick Wass si ricorda di una mail che aveva ricevuto sei mesi prima in cui il mittente raccontava una storia molto simile e lo ricontattò immediatamente.

“Il ragazzo che aveva scritto ha detto che era un autista di ambulanza. Una volta lui e un paramedico avevano un paziente nella loro ambulanza, che raccontò loro la storia. Ho chiesto maggiori informazioni e questa volta è stato il paramedico a dirci di più. Ci ha raccontato di aver sentito qualcosa detto da un paziente, ma conosceva troppi dettagli. Nessuno se lo ricorderebbe da una conversazione.”
La giornalista Naomi Jones ha indagato e scoperto chi viveva in tutti gli otto appartamenti della casa nel 1972, di fronte alla quale era stato parcheggiato il camion. E uno di quelli era il paramedico.
Confessò che il padre non era un santo e che qualche furto alle spalle lo aveva, tra cui anche quello del basso.
Lo nascose dal proprietario di un pub per poi venderlo al figlio del padrone di casa che a sua volta lo passò al fratello che lo ripose in soffitta per quasi cinquant'anni.
Quando la moglie sentì parlare sempre più insistentemente di questa storia si ricordò dello strumento in soffitta, ne mostrò qualche foto allo staff di Paul che riconobbe immediatamente il basso.

“Avevamo fantasticato di miliardari giapponesi o americani che se lo erano accaparrato a suon di milioni e invece era quasi dietro a casa in una soffitta. Quando Paul lo ha recuperato, mi ha telefonato, il che è abbastanza insolito. Era emozionato come un ragazzino: "Ho il basso!. Non ci sono dubbi. Alcune caratteristiche sono molto, molto difficili da replicare. Non c’è dubbio.”

Ora il basso è in restauro, visto che non era conciato benissimo, anche a causa di un maldestro ritocco fatto già nei primi anni Sessanta. Il manico è rotto e anche i pick up sono da sostituire ma tutto sommato sostiene Wass di avere avuto tra le mani situazioni ben peggiori.

Paul, da vero e sincero appassionato, non attende altro che impugnarlo di nuovo in studio o dal vivo, nell'estrema sublimazione e celebrazione del sacro rituale del rock 'n' roll.

domenica, febbraio 25, 2024

Classic Rock

Nel nuovo numero di CLASSIC ROCK recensisco gli album di Swanz the Lonely Cat (con anche intervista), Herself, The Bowers, Tryptamin, Kid Kapichi e la compilation "I see you live on love street".

venerdì, febbraio 23, 2024

The Lambrettas

La band siforma a Brighton a fine anni Settanta con il nome di Shakedowns, suonando nei pub, cover e qualche originale, soprattutto quando al chitarrista Doug Sanders si unisce il cantante e chitarrista Jez Bird.
Con l'arrivo del bassista Mark Ellis e del batterista Paul Wincer cambiano nome in The Lambrettas, accodandosi all'esplosione del cosiddetto Mod Revival del 1979.

I puristi della scena li considerano dei "plastic mods" anche se musicalmente si inseriscono alla perfezione stilisticamente, con un sound molto personale e una scrittura compositiva di primo livello.

Terry Rawlings li irride nel libro "Mod, vita pulita in circostanze difficili":
I Lambrettas spuntarono dal nulla rivendicando il secondo 45 giri mod mai pubblicato, il rifacimento di "Poison Ivy".
Ciò produsse la nuova apparizione di un gruppo Mod a Top of the Pops, il che implicava che le parole parka e Lambretta a quel punto si fossero impresse a fuoco nella coscenza del pubblico.
Nessuna finezza in questo caso. Non ricordo un gruppo punk che si chiamasse Safety Pins (spille da balia) o Pogos, e voi?"


Trovano un contratto con la Rocket Records di Elton John e il 9 novembre 1979 pubblicano il 45 d'esordio "Go Steady" (un beat tirato e molto orecchiabile).
Sul lato B l'ottima "Cortinas" (poi ripresa nel primo album in un nuova versione con il titolo di "Cortina MK II") e "Listen listen listen" di sapore Jam.

"Abbiamo trovato un'etichetta abbastanza velocemente. Abbiamo fatto qualche concerto a Brighton e poi a Londra, dove i club erano pieni quando suonavamo. Ogni casa discografica voleva ingaggiare la propria piccola band Mod e noi abbiamo optato per la Rocket. Abbiamo fatto un singolo chiamato "Go Steady" che è arrivato all'80° o 90° posto in classifica e a quel punto pensavamo di essere i Beatles."
(Doug Sanders)

Con il secondo 45 giri fanno centro.
Una versione in chiave ska del classico "Poison Ivy" dei Coasters, prodotto da Pete Waterman (che ai tempi aveva lavorato con Specials e Peter Tosh e produrrà una serie di hit con Dead or Alive, Kylie Minogue, Rick Astley, Bananarama, Mel and Kim, Donna Summer, Cliff Richard e membro el trio di compositori Stock Aitken Waterman) production) che arriva al settimo posto nelle chart inglesi, vendendo 250.000 copie (sul retro una rocciosa canzone che guarda ai 60's e ai Jam, "Runaround").
La copertina riprende quelle della 2Tone con un mod in parka al posto del classico simbolo della label ska.

Una delle persone dietro la nostra versione di "Poison Ivy" era Pete Waterman perché lavorava nel reparto A&R della Rocket Records, quello fu uno dei suoi primi lavori nel mondo della musica.
In realtà, il primo disco d'argento che Pete ha ottenuto tra i miliardi che ha avuto siamo stati noi.
"Poison Ivy" era stata coverizzata parecchio tempo prima nello stesso filone, molto vicino all'originale e non vedevamo il motivo di farlo in quel modo quindi l'abbiamo lavorato come una cosa Ska.
Era in linea con il tempo e piuttosto ballabile e venne trasmesso fino alla morte alla radio e andò abbastanza bene.

(Doug Sanders)

"Beat boys in the Jet age" (uno splendido titolo in pieno stile mod) è l'album che esce nel 1980, zeppo di ottime canzoni, dalla title track a due brani ska ("Poison Ivy" e "Watch out I'm back"), a una serie di episodi dai ritmi serrati ed eccellenti melodie ("Da-a-a-nce", uscita come singolo va al 12° posto delle chart).
"Page Three" faceva invece riferimento alla terza pagina del The Sun che aveva sempre una foto di una donna discinta.
La rivista fece causa e il brano fu pubblicato come singolo con il titolo diverso di "Another Day, Another Girl", arrivando al 49° posto.

L'album, che rimane un piccolo classico della scena Mod, ancora oggi molto fresco e attuale vendette discretamente con buone recensioni e un dignitoso 28° posto in classifica.

Nell'autunno del 1980 arrivano in concerto anche in Italia, aprendo per i Madness.
Il 9 ottobre al Palalido di Milano dimostrano di essere una band solida e preparata con un set efficace e coinvolgente, molto tirato e più aggressivo rispetto all'album, suonando anche una cover riuscitissima di "Come on" di Chuck Berry, oltre ai loro successi.

"C'era un vuoto a quel tempo nel mondo della musica. C'erano le grandi band, il punk aveva fatto il suo tempo e c'era questo divario. Furono le Moddy band, tipo power-pop, a riempirlo.
Siamo stati davvero fortunati, perché con il nome Lambrettas abbiamo portato un sacco di gente ai nostri concerti."

(Jez Bird)

La band cerca di andare avanti, lascia il mondo mod, nel momento in cui sta declinando, ne sveste gli abiti (assumendo un look casual) e per il secondo album "Ambience" del 1981 tenta un salto in alto verso il successo.

Purtroppo sarà un fallimento anche perché il sound cerca di avvicinarsi a quello dei Police e a un pop iperprodotto, dalla direzione incerta e poco definita.
Le canzoni non sono compositivamente male ma spesso piuttosto anonime (nonostante una discreta versione di "I want to tell you" dei Beatles).
Cambiano due volte batterista e ci provano un'ultima volta con un'imbarazzante cover funk dance di "Somebody to love" dei Jefferson Airplane nel 1982 (anche il lato B autografo non è meglio).

La band si scioglie per riformarsi successivamente, suonando in piccoli club e in eventi mod.

Jez Bird incide alcuni demo, una nuova versione di "Da a a ance" e il tema di "Starsky and Hutch" per la compilation "Cult Themes from the 70s Vol.1" ( https://www.youtube.com/watch?v=6shIVn7EXso).

Jez muore a 50 anni nel 2008.
"Sono ancora un Mod nel cuore. Ho ancora i vestiti, gli Harrington, i Doc Martens.
In un certo senso ti vizia per la vita reale avere così tanto successo da così giovane, ma non lo cambierei per nulla al mondo"

(Jez Bird)

Doug Sanders e Paul Wincer dal 2009 rimettono in piedi la band con altri elementi, incidendo nel 2017 il discreto ep "Go 4 it" con quattro brani senza lode né infamia inclusa la cover dei Kinks "All day and all the night" con arrangiamento di fiati.

Nel 2021 Amanda Sanders, ex moglie di Doug Sanders, ha pubblicato la biografia della band Beyond The Jet Age: The Story of The Lambrettas con contributi di Pete Waterman, Neville Staple, Toyah, Mike Read, Chris Waddle e Dave Davies.
Reperibile qui: https://www.waterstones.com/book/beyond-the-jet-age/amanda-sanders/9781910489819

The Lambrettas - Go steady
https://www.youtube.com/watch?v=0_gYhX9oGPA

The Lambrettas - Poison Ivy
https://www.youtube.com/watch?v=NHV87pdzFIc

The Lambrettas - "Da-a-a-ance" TOTP 1980
https://www.youtube.com/watch?v=5us3XIyLqRA

The Lambrettas - Decent Town
https://www.youtube.com/watch?v=69ylyCnZSBw

The Lambrettas - Somebody to love
https://www.youtube.com/watch?v=P7Sza4iGTjc

mercoledì, febbraio 21, 2024

Stefano Mannucci - Batti il tempo

Una serie di gustosi racconti dal taglio biografico, in cui si innestano vicende più o meno conosciute della lunga vicenda pop rock jazz.
Dalla travagliata e breve storia tra Miles Davis e Juliette Greco, allo sbarco degli Stones in USA, la collaborazione tra Beatles e Stones, John Lennon e il rapporto in bilico tra ammirazione reciproca e una rivalità sotterranea con Bob Dylan, la relazione spietata tra Jackson Browne e Joni Mitchell e tanto altro.

Stefano Mannucci, decano del giornalismo rock italiano e storica voce di Rai Stereonotte e Radiofreccia, si destreggia con consumata abilità tra musica e riferimenti diretti al contesto storico e sociale in cui si svolgevano.

La parte più interessante arriva nelle ultime pagine, ambientate in un futuro (imminente?) in cui l'Intelligenza Artificiale fa rivivere i miti del rock, sia visivamente, in affollati concerti di ologrammi, sia proponendo nuovi brani che nessuno saprebbe distinguere da un falso.

"A costi ragionevolmente contenuti, i falsari possono prosperare sull'Industria della Nostalgia e sull'irragionevole testardaggine di chi non si rassegna a sapere nell'Oltretomba i proprio beniamini" inaugurando "il "filone dalla non-storia del rock".

Stefano Mannucci
Batti il tempo
Il Castello
330 pagine
19 euro

martedì, febbraio 20, 2024

Giovanni Battista Menzani - Dove il fiume muore

Un maldestro e improbabile rapimento si trasforma in un iniziatico viaggio di una "Armata Brancaleone" di giovani e ragazzini, verso una libertà impossibile all'interno di una società oppressiva, finta e falsa, molto corrispondente a quella che viviamo oggi e che toglie al romanzo di Menzani ogni tratto distopico.

Sullo sfondo una Pianura Padana (Piacenza in particolare) e le rive del Po in disfacimento ambientale e sociale.

La descrizione a pagina 91 è quanto di più drammaticamente corrispondente al reale, sorta di foto in lettere di un moderno Luigi Ghirri:
Le rotonde invase dalle sterpaglie.
I poster del Circo Togni sui pilastri dei viadotti, tutti quei pagliacci dall'aria triste tra il cemento e le pozzanghere.
Le pensiline in plexiglass.
I grovigli di bicilette incatenate.
Le barriere antirumore coperte da graffiti a spray.
Le cataste di new jersey.
I cartelli stradali pieni di adesivi.
I poster della pubblicità scoloriti dal sole.
Ivan sembrava aver scritto la guida turistica di un paese inesorabilmente in declino.


Il racconto è cinematografico e avvincente, in costante equilibrio tra l'esilarante e il drammatico.
Un libro che si fa amare e rimane dentro.

Con un riuscito ed efficace paragone tra la vita di tanti e quella della palla da rugby:
Noi...siamo gente da palla ovale.
La palla tonda, si, insomma, quella sai sempre dove va a finire, il suo rimbalzo è così prevedibile.
La palla ovale no.
La palla tonda è come certe vite incanalate lungo un binario dal quale non si possono scostare.
Alle volte c'è perfino il lieto fine.
Ma il più delle volte si tratta di un binario morto: quelle vite, se provano a cambiare direzione, vanno a finire male, deragliano, letteralmente.
Noialtri invece siamo abituati a una traiettoria sbilenca e imponderabile, come la traiettoria delle nostre esistenze.
Esistenze strambe, non lineari.
Se ci pensate, persino quella di Gesù fu così, o quella di San Francesco.
Ecco, Francesco era uno da palla ovale.


Giovanni Battista Menzani
Dove il fiume muore
Laurana Editore
407 pagine
Euro 18

lunedì, febbraio 19, 2024

La Rai e le censure

Riprendo l'articolo scritto per "Libertà", quotidiano di Piacenza, ieri e dedicato, partendo dalle recenti censure RAI a Ghali e D'Amico, a una breve storia dei tagli più clamorosi fatti dall'emittente nazionale.

Il Festival di Sanremo vive notoriamente di (finte) polemiche, fabbricate ad hoc per attirare l'attenzione sulla sempre più evidente mancanza di contenuti artistici. Quest'anno però c'è stato un inciampo imprevisto.
Una brevissima frase di Ghali dopo la sua esibizione nella serata finale, “Stop al genocidio”, chiaro riferimento a quanto sta accadendo a Gaza, ha scatenato il putiferio, con immediata reazione del capo dell'ambasciata israeliana a Roma.

Ghali ha argomentato la frase, in modo educato e incisivo, il giorno successivo nella trasmissione “Domenica In”:
“Mi dispiace che (il capo ambasciata israeliano) abbia risposto in questo modo, c’erano tante cose da dire. Ma per cos’altro avrei dovuto usare questo palco? Sono un musicista ancor prima di essere su questo palco, ho sempre parlato di questo da quando sono bambino. Sono nato grazie a internet, è da quando ho fatto le mie prime canzoni a 13-14 anni che parlo di quello che sta succedendo, non è dal 7 ottobre, questa cosa va avanti già da un po’. Il fatto che l’ambasciatore parli così non va bene.
Continua la politica del terrore, la gente ha sempre più paura di dire stop alla guerra e stop al genocidio. Stiamo vivendo un momento in cui le persone sentono che vanno a perdere qualcosa se dicono “viva la pace”, ed è assurdo.
Non deve succedere questo. Ci sono dei bambini di mezzo. Io da bambino sognavo e ieri sono arrivato quarto a Sanremo. Quei bambini stanno morendo, chissà quante star, quanti dottori, quanti geni ci sono. Perché?”.


La conduttrice Mara Venier ha cercato di sviare l'argomento, leggendo poi una presa di distanza dalle parole di Ghali dell'amministratore delegato Rai, condiviso dalla stessa conduttrice, a sostegno di Israele ma senza cenni alla tragedia di Gaza. Anche quando Dargen D'Amico nella stessa trasmissione ha approfondito la tematica del testo della sua canzone “Onda alta”, sul tema dei migranti, è stato zittito e rimproverato da Venier: “Qui è una festa, siamo qui per parlare di musica e per divertirci, ci vorrebbe troppo tempo per approfondire questi argomenti”. Il saluto di Dargen è prevedibilmente profetico (per lui e Ghali): “Arrivederci, se non dovessimo più rivederci”.
Qualcosa ci fa sospettare che sarà difficile ritrovare i due artisti nelle reti Rai, almeno per parecchio tempo.

Peraltro le suddette polemiche hanno, paradossalmente, creato una sorta di “distrazione di massa” anche mediatica, prendendosi i primi posti nelle pagine dei giornali e dei siti web, a scapito della vera e propria “distruzione di massa” che avviene, con la complicità del mondo occidentale a due passi da casa nostra. La storia di censure e bavagli in Rai è lunga e ricca di episodi, talvolta oltre il limite del ridicolo.

Ad esempio nel 1963 la pur già famosa e apprezzata Mina venne cacciata dalla televisione di stato (sostituita nel programma “Studio Uno” da Rita Pavone)a causa della relazione con Corrado Pani, da cui aveva avuto un figlio, Massimiliano.
Il problema era che lui era sposato (nonostante fosse separato da tempo ma in Italia non esisteva ancora il divorzio), lei nubile ma impossibilitata dalla legge a convolare a nozze.
Tornò poco tempo a furor di popolo.

Qualche anno prima, nel 1959, era toccato a Raimondo Vianello e Ugo Tognazzi, seguitissimi nella trasmissione satirica “Un due tre”. La causa fu una scenetta in cui prendevano bonariamente in giro l'incidente occorso all'allora Presidente della Repubblica Italiana, Giovanni Gronchi, che, nel sedersi in un palco della Scala a Milano, cadde in terra. La parodia dei due comici suscitò uno scandalo, con trasmissione e collaborazione con la Rai interrotte.

Ancora prima era toccato a Domenico Modugno, reo di cantare in “Resta cumm'è”, il verso "Nun me 'mporta d'o passato, nun me 'mporta 'e chi t'avuto”, in cui evidentemente non si dava importanza al tabù della verginità.

Nel 1962 fu la volta di Dario Fo e Franca Rame. Il loro sketch sulla sicurezza nei cantieri edili e relativo ai morti sul lavoro, previsto in “Canzonissima”, non passò, soprattutto per l'amaro finale: “Ehi, fai avvertire gli operai che il primo che casca gli spacco il muso”. I due decisero di lasciare la trasmissione tra polemiche infinite. Torneranno in Rai solo nel 1977.

Perfino i Pooh incorsero nelle strette maglie dei censori.
Erano agli esordi e ancora lontani dagli zuccherosi brani successivi e con “Brennero 66”, del 1966 rischiarono di non partecipare al Festival delle Rose.
Il testo affrontava lo spinoso tema del terrorismo altoatesino, all'apice ai tempi con attentati frequenti e qualche morto tra le forze dell'ordine. Per non inasprire gli animi fu cambiato il titolo in “Le campane del silenzio” e tolta la controversa frase “ti hanno ammazzato quasi per gioco”.

Il caso più clamoroso e controverso è stato probabilmente quello di “Dio è morto” dei Nomadi, del 1967, scritto dall'allora venticinquenne Francesco Guccini. Il brano uscì contemporaneamente anche alla versione (più scanzonata e leggera, nonostante lo stesso titolo) di Caterina Caselli nel suo album “Diamoci del tu”, passando però inosservato. Il testo di Guccini non contiene elementi contro la religione.
Ma nonostante questo la Rai lo classificò come blasfemo, per il contenuto e per il titolo e decise di non mandarla in onda proprio mentre Radio Vaticana la trasmetteva, pare apprezzata anche dallo stesso Papa Paolo VI.

Il 28 agosto del 1969 la Magistratura, in seguito a un articolo apparso sull'Osservatore Romano, mette sotto sequestro in tutto il territorio nazionale il singolo “Je t'aime moi non plus” di Serge Gainsbourg e Jane Birkin. La Rai impone al conduttore Lelio Luttazzi di non nominare nemmeno il titolo del disco nell'abituale classifica di dischi più venduti, “Hit parade”. La censura non è mai stata revocata.

Uno degli autori più brillanti ma meno conosciuto della musica italiana è stato Virgilio Savona, del Quartetto Cetra. Nel 1970 scrisse le parole per un album di Giorgio Gaber, ispirandosi a testi di letteratura latina (citati a fianco di ogni brano). Ma il titolo, ”Sexus et politica”, indusse la commissione Rai ad escluderlo da ogni programmazione. Gaber subì lo stesso trattamento nel 1980 con la canzone “Io se fossi Dio”.

Anche Lucio Dalla si trovò ad affrontare non pochi problemi per essere ammesso al Festival di Sanremo 1971, pur con la canzone destinata a diventare la più celebre del suo repertorio “4 marzo 1943”.
Il brano si intitolava originariamente “Gesù bambino” e Lucio cantava “Ancora adesso che bestemmio e bevo vino / per ladri e puttane mi chiamo Gesù bambino” e “Giocava alla Madonna con il bimbo da fasciare”. Per potere accedere al festival dovette cambiare i versi in “Ancora adesso che gioco a carte e bevo vino / Per la gente del porto mi chiamo Gesù bambino” e “Giocava a far la mamma con il bimbo da fasciare”.

Sanremo e Rai non guardano in faccia a nessuno, nemmeno all'innocuo Nicola Di Bari che nel 1972 è costretto a mettere mano alla sua “I giorni dell'arcobaleno” per cambiare il verso “Vivi la vita di donna importante perché a tredici anni hai già avuto un amante.” L'età della donna fu aumentata a sedici anni e la frase "hai già avuto un amante" mutata in "ti senti già grande".

Uno dei casi più clamorosi dell'operato censorio della Rai risale al 1991 quando i giovani Elio e Le Storie Tese suonano in diretta sul palco del concerto del Primo Maggio e inaspettatamente partono con il brano “Sabbiature” in cui Elio riporta una serie di controversie politiche in corso (peraltro denunciati dal settimanale “L'espresso”), citando Andreotti, dirigenti Rai, P2 e l'allora presidente della Roma calcio e noto faccendiere Giuseppe Ciarrapico, pluripregiudicato e con una lunga serie di condanne per bancarotta fraudolenta e truffa.
Improvvisamente la trasmissione passò sul presentatore Vincenzo Mollica che iniziò a intervistare Ricky Gianco mentre alla band vennero staccati gli strumenti e venne trascinata fuori dal palco.

Lo stesso anno anche i Gang fecero lo stesso scherzetto agli organizzatori, aprendo con un discorso di Marino Severini che invitava i sindacati allo sciopero generale, suonando poi , non previsto, il loro inno “Socialdemocrazia” il cui testo non è di certo tenero con il potere politico.
Il risultato è che per lunghissimo tempo vennero bannati dalla rete nazionale e dalle radio istituzionali e commerciali.

Nulla di nuovo sotto il sole.
Non a caso il potere prende abitualmente subito il controllo sulla comunicazione e i suoi mezzi. Cambiano le epoche, cadono i governi, ci sarà sempre qualcuno che proverà a dirci cosa si può dire e cosa non si può.

E come cantavano nel 1965 gli Staple Singers in “Freedom highway”: “C'è una sola cosa che non riesco a capire amico mio. Perché alcune persone pensano che la libertà non sia stata creata per tutti gli uomini?”

sabato, febbraio 17, 2024

Quadrophenia a Pedersano (Trento)

Domenica 18 febbraio ore 14

Osteria 1960
Pedersano Centro, Strada Provinciale del Lago di Cei, 38060 Villa Lagarina TRENTO
ANTONIO BACCIOCCHI presenta QUADROPHENIA
PRANZO + INCONTRO CON L'AUTORE
Anche quest'anno l' Osteria 1960 ha l'onore di avere come invitato lo scrittore ANTONIO BACCIOCCHI che presenterà il suo ultimo libro QUADROPHENIA, un saggio che vede l'analisi musicale e cinematografica del classico del cinema MOD per eccellenza "QUADROPHENIA" di Franc Roddam (1979)

Informazioni e prenotazioni al nº 379 261 7274 o in Direct nel nostro profilo FB dell' OSTERIA o SoniaGiordani o Saragiordani
Posti limitati, prenotazioni per il pranzo imprescindibile

https://www.facebook.com/events/1023156308985612/

venerdì, febbraio 16, 2024

Festac 1977

Organizzato a Lagos, in Nigeria, il Festac 77 (Il Secondo Festival Mondiale delle Arti e della Cultura Nera e Africana, il primo si era tenuto a Dakar in Senegal nel 1966) è stato il culmine culturale del movimento panafricano, riunendo musicisti, ballerini, stilisti, artisti e scrittori in rappresentanza di 70 paesi dell'Africa e della diaspora africana.
Si svolse dal 15 gennaio al 12 febbraio 1977.

Quattro settimane di eventi in 10 sedi, tra cui il Teatro Nazionale da 5.000 posti appositamente costruito; 15.000 partecipanti alloggiati in 5.000 appartamenti e hotel sempre tutti costruiti per l'evento; una rete di autostrade creata per evitare la consueta congestione del traffico di Lagos. Ci sono voluti 12 anni di pianificazione, durante i quali la Nigeria è passata attrverso una guerra civile, a un assassinio presidenziale e a due colpi di stato.
Il costo finale lievitò a 400 milioni di dollari, corrispondente a quasi 2 miliardi di dollari odierni.
Il coordinatore di Festac, il professor Chiki Onwauchi, dichiarò:
“Se si stanno spendendo miliardi per tenere separati i neri è impossibile ritenere di spendere troppi soldi per riunire i neri”.

L'evento attirò artisti da tutto il mondo, tra cui musicisti come Stevie Wonder, Sun Ra, Donald Byrd, Archie Shepp Gilberto Gil, Fela Kuti, la Trinidad All-Stars Steel Band, Mighty Sparrow, Miriam Makeba e gli Osibisa, la band funk afro-caraibica di Londra, parte di una delegazione britannica che, nella cerimonia di apertura, ha sfilato lungo la pista dello Stadio Nazionale dietro lo striscione “Black People of Great Britain”.

Stevie Wonder rimase a Lagos dopo la chiusura del festival, quando, con Makeba, ha organizzato un collegamento satellitare per ricevere i suoi quattro Grammy Awards per l'album "Fullfillingness" dal vivo da Lagos.
Il loro piano era quello di portare Festac all’attenzione internazionale, dopo che i media mondiali lo avevano ampiamente ignorato.
Sfortunatamente, le apparizioni del cantante sono state in gran parte ricordate per le parole del presentatore Andy Williams (che presentava lo spettacolo di premiazione) che gli chiesto: "Riesci a vederci?".

Fela Kuti, dopo avere aderito, condannò l'evento come esercizio di propaganda e si ritirò, organizzando un suo festival al The Shrine.
Il governo scoraggiò gli artisti e i visitatori del FESTAC dall'andare al club, ma molti li ignorarono, incluso Stevie Wonder, che proprio nel club fece il suo primo concerto nigeriano.

Significativa la testimonianza della fotografa e giornalista Marylin "Soulsista" Nance, cresciuta nel Bronx ascoltando le parole di Malcolm X e la musica di Nina Simone, che volò in Nigeria per documentare l'evento.
Seguace, come molti altri afroamericani, tra i 60 e i 70 delle teorie di Marcus Garvey che predicava il ritorno in Africa di tutti i neri del mondo, che non dovevano sentirsi cittadini dei paesi in cui risiedevano, ma africani, si trovò a contatto con una realtà diversa: "Andai in Nigeria pensando, io sono un'africana. Sono stata portata via da quel continente ma eccomi tornata. Ma quando arrivai mi resi conto che non eravamo considerati africani ma americani. Per la prima volta realizzai di essere un'americana"

giovedì, febbraio 15, 2024

Aldo Gianolio e Piercarlo Poggio - John Coltrane. Tranesonic o il riflesso dell'universo

La vita del grandissimo JOHN COLTRANE , elaborata con meticoloso puntiglio e grande cura, anche molto "tecnica", con tanto di spartiti di alcuni dei brani più significativi, in questa nuova pubblicazione editoriale della rivista "Blow Up".
Poco più di 100 pagine per introdurci al genio di uno dei jazzisti e musicisti più influenti e significativi della storia.
"Soultrane" "Giant steps", "A love supreme", "Ascension", "Meditations", le collaborazioni prestigiose, la prematura scomparsa nel 1967 a 40 anni.

Un testo che unisce le esigenze dei cultori dell'artista con chi si avvicina alla sua opera più prosaicamente e superficialmente.

La difficile ma caparbia ripresa dopo le dipendenze, dall'estate 1957:
"La dura disciplina che si autoimpose, tra astinenza, regime alimentare vegetariano, letture (religiose, filosofiche, storiche) e profonde riflessioni sulla sua identità di artista afroamericano, lo condusse a rivedere la luce, ad approdare a una visione mistica e spirituale dell'esistenza che non abbandonerà per il resto della vita".

"La posizione di Coltrane non era radicale come quella di Archie Shepp, la sua non era una posizione internazionalista rivoluzionaria, il suo non era un atteggiamento proletario.
Ma non sarebbe corretto affermare la non-politicità di Coltrane perchè anche se pervaso da una fervente religiosità, questa non gli serviva come alibi per sfuggire alla realtà e le responsabilità di intellettuale afroamericano, essendo ben consapevole della sua condizione di nero in America e dello stato sociale del suo popolo."


"Io suono, altri scrivono, altri fanno comizi, ognuno per conto proprio. Se alla fine ci ritroviamo tutti dalla stessa parte vorrà dire che nelle cose essenziali la pensiamo tutti allo stesso modo.
E ognuno di noi lo dice come può"

(John Coltrane)

John Coltrane. Tranesonic o il riflesso dell'universo
Director's Cut #3
132 pagine
15,00 euro

martedì, febbraio 13, 2024

Caravan - In The Land Of Grey And Pink

Nell'aprile del 1971, dopo due buoni album pur se ancora anonimi e artisticamente acerbi, i CARAVAN scrivono uno dei capolavori degli anni Settanta (personalmente tra "i dischi da isola deserta").

Derubricato spesso all'interno del prog è in realtà un ibrido che incorpora numerosi elementi che lo pongono in una forma originale e personale, inimitabile, perfetto manifesto del cosiddetto CANTERBURY SOUND.

Ci sono residui di psichedelia, beat (sopreattutto nelle melodie vocali), blues, jazz, folk, il pop contagioso di "Love to Love You (And Tonight Pigs Will Fly)", momenti classicheggianti e free e ovviamente prog (nella lunga suite di quasi 23 minuti di "Nine feet underground", una serie di registrazioni di temi poi "incollati" dal produttore).

I cugini Richard Sinclair (basso e voce) e Dave Sinclair (Hammond, piano, Mellotron) con Pye Hastings (chitarre e voce) e il preciso e jazzato batterista Richard Coughlan (oltre all'aiuto di Jimmy Hastings al flauto e ai sax e al trombone di John Beecham che caratterizza l'iniziale, stupenda, stranissima "Golf girl"), confezionano un capolavoro di equilibrio, creatività, varietà stilistica, rimasto insuperato.
Produce Dave Hitchcock (che sarà al loro fianco per altri sette album e a fianco di Camel, Genesis in "Foxtrot", Marillion, Curved Air).

Purtroppo l'album avrà scarso successo (anche a causa di una debole promozione dell'etichetta), David Sinclair lascerà la band per unirsi a Robert Wyatt nei Matching Mole.
I Caravan proseguiranno fino ai giorni nostri in un susseguirsi di cambiamenti di formazione, senza mai più ripetere le vette creative di "In the land of grey and pink".

Golf Girl
https://www.youtube.com/watch?v=ik8dE1-SQtg&t=116s
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