venerdì, maggio 31, 2019

Maggio 2019. Il meglio



A quasi la metà del 2019 tanti buoni titoli già in cassaforte: Specials, Dream Syndicate, The Beat, Joe Jackson, Bob Mould, Paul Weller, la compilation 3X4, Limboos, Fontaines DC, Durand Jones and the Indications, Soul Motivators, Sleaford Mods, Suzi Quatro, Juliana Hatfield, Tanika Charles, Mavis Staples.
In Italia Winstons, Daniele Silvestri, Massimo Volume, Piaggio Soul Combination, Giuda, Vinicio Capossela, Giulio Casale, I Rudi, London Underground, Ifriqiiyya Electrique.


DREAM SYNDICATE - These times
Steve Wynn e soci dimostrano che la reunion non è stata un fuoco di paglia e tirano fuori un album ispiratissismo dove al classico Paisley Underground abrasivo affiancano suggestioni elettroniche e kraut.
Aprendo ancora più il concetto di psichedelia.
In mezzo il classico stile, immediatamente riconoscibile, dei Dream Syndicate, i consueti umori Lou Reed meet Television a braccetto e canzoni eccellenti.

THE WINSTONS - Smith
I “fratelli” Winstons tornano a stupire con un secondo album che conferma la creatività e l'originalità dell'esordio di quattro anni fa. Enrico Gabrielli (Calibro 35, PJ Harvey, ex Afterhours e impegnato in mille altri progetti), Roberto Dell'Era (Afterhours) e il batterista Lino Gitto continuano l'esplorazione di quei meandri intricatissimi che separano impercettibilmente la tarda psichedelia freakbeat di fine anni 60 con il primo prog ancora “floreale” dei 70, Canterbury sound, Traffic, Kevin Ayers, Colosseum, Gong, Robert Wyatt come condimento finale.
I Winstons compongono, arrangiano, suonano sempre benissimo, sono di un'energia travolgente, sempre positiva e fresca, paradossalmente mutuata da quell'approccio urgente e impulsivo che fu prerogativa del punk (che nacque anche per seppellire proprio questi suoni). Semplicemente eccellente.

VINICIO CAPOSSELA - Ballate per uomini e bestie
Capossela è un personaggio UNICO nel panorama italiano: geniale, inimitabile, riconoscibile, personale, originale.
Il nuovo "Ballate per uomini e bestie" è un album TOTALE, pieno di riferimenti (spesso politici e schierati), affabulazione di stili, orchestrazioni, idee, contributi, influenze.
Il limite sta nell'esondare in un'ora e un quarto di musica, nella verbosità, in una certa autoreferenzialità eccessiva.
Siamo a varie spanne sopra la media e credo resterà un episodio importante nella sua notevole discografia ma con una mezz'ora in meno saremmo alle soglie del capolavoro.

DANIELE SILVESTRI - La terra sotto i piedi
Silvestri è in giro da 25 anni e si conferma uno dei MIGLIORI cantautori italiani di sempre, tra i più eclettici, moderni, freschi, attenti a quello che succede intorno, musicalmente e socialmente.
Soprattutto, immediatamente riconoscibile=personalità.
"La terra sotto i piedi" conferma quanto di buono conosciamo di lui: scrittura eccellente, testi di prima qualità. amari e sarcastici, arrangiamenti super, canzoni belle.
Con lui Fabio Rondanini Rodrigo D'Erasmo, Enrico Gabrielli e anche Niccolò Fabi e James Senese, tra gli altri.
Ah, anche dal VIVO è una bomba!

MAVIS STAPLES - We get by
L'immensa Mavis non tradisce mai. Anche il nuovo album, con l'aiuto di Ben Harper, pulsa di gospel, spiritual, blues, rhythm and blues, impegno sociale e una voce unica.
Brani intensissimi, crudi, taglienti, ruvidi, essenziali.
Grande album.

FAY HALLAM - Propeller
35 anni di carriera inziata nel 1985 coni favolosi Makin Time, proseguita con Gift Horses e Prime Movers e approdata poi alla carriera solista attraverso varie incarnazioni e collaborazioni.
FAY HALLAM arriva ora all'album della completa maturità in cui condensa le sonorità raccolte in tutti questi anni, con una forte e solida base soul su cui si innesta una vena psichedelica che si allunga fino a certe sonorità care ai primi 70's.
Dodici brani perfettamente prodotti da Andy Lewis, senza cadute di tono, su cui svetta una voce che, come spesso accade, porta sulle spalle la piacevole ombra di Julie Driscoll.
Frequente uso di fiati , piano e Hammond, che fanno il consueto perfetto lavoro.
Disco delizioso.

TANIKA CHARLES - The gumption
Nuovo delizioso lavoro per la cantante canadese. Funk soul moderno che esplora volentieri anche sonorità vintage e northern soul ma che non disdegna sguardi al classico groove alla Macy Gray.
Voce superba, suoni e arrangiamenti perfetti, un album senza cadute di tono, bello dall'inizio alla fine.

SHAYNA STEELE - Watch Me Fly
Ha cantato con Moby e gli Snarky Puppy. Come solista propone un album modernissimo e fresco, pieno di soul e jazz, gospel, funk, blues e pop. Canzoni frizzanti e saltellanti, un album più che riuscito e divertente.

SOUTHERN AVENUE - Keep on
La band di Memphis al secondo album, un lavoro di sapore Stax, funk soul torrido, voce femminile potentissima, brani sempre ruvidi, dalle tinte gospel.
Ottimo.

CARLTON JUMEL SMITH - 1634 Lexington Avenue
La nuova scena SOUL si arricchisce di un nuovo nome che sfodera un album di un'eleganza e di una gradevolezza uniche.
Soul funk targato primi 70's, avvolgente, cool, pieno di groove e con una voce a guidare le danze di primissima qualità.

KELLY FINNIGAN - The tales people tell
Ex membro dei Monophoncs (backing band per Charles Bradley e George Clinton), collaboratore degli Orgone, ora all'esordio solista con un ottimo album di puro soul blues, intenso, caratterizzato da ballate strappa cuore e spedite soul songs, in cui la sua voce spicca per incisività e pulizia.

BOBBY OROZA - This love
Avvolgente e caldo soft soul direttamente dalla Finlandia.
Sound vintage, melodie suadenti, stile vicino a Durand Jones, tanto mellow groove. Il tutto corredato da infuenze latine e jazzy. Ottimo lavoro.

YOLA - Walk through the fire
Arriva da Bristol, una vita difficile, compreso un periodo da homeless. Poi una collaborazione con i Massive Attack e l'arrivo di Dan Auerbach dei Black Keys alla produzione.
L'esordio è un eccellente lavoro di country soul tra Mavis Staples e un timbro talvolta vicino ad Aretha.
Brani melodici che riportano a Shirley Bassey e Dionne Warwick.
Un gioiellino.

MORRISSEY - California son
Lasciamo perdere le beghe extra musicali (vedi il supporto all'estrema destra inglese) e limitiamoci ad un giudizio strettamente artistico. Il nuovo album di Morrissey è buono, basato sulla ripresa di 12 brani più o meno oscuri di Joni Mitchell, Buffy Sainte-Marie, Phil Ochs, Bob Dylan, Tim Hardin, Roy Orbison. Belle versioni, brani piacevoli, sempre bene arrangiati e timbro inimitabile e immediatamente riconoscibile.

KING GIZZARD and the WIZARD LIZARD - Fishing for fishies Quattordicesimo album per la funambolica band australiana ed ennesimo cambio di direzione. Questa volta tocca ad una dimensione rock blues, boogie, con un tocco di soul.
Come sempre eclettismo e freschezza a piene mani anche se stavolta il tutto suona meno efficace del solito e più anonimo.
Merita comunque un ascolto.

JIM JONES and the RIGHTEOUS MIND - Collectiv
Torrido blues gospel punk, cattivo, duro, sguaiato, offensivo. Jim Jones ci sa fare in questo campo e il nuovo disco ne è degna prova. Per gli amanti del genere il disco ideale.

PETE DOHERTY and the PUTA MADRES - s/t
Piccolo genio incompreso o mediocre e trascurabile personaggio secondario?
IL dubbio rimane per l'ex Libertines e Babyshambles, più conosciuto per le imprese extra musicali che per la sua arte. Il nuovo album è dignitoso, tra scarne e storte ballate, cantate con un approccio decadente e dandy, brani più movimentati con influenze gispy e latine, con il violino spesso protagonista. Sufficienza risicata.

NEW JAZZ:
*Sempre al top gli EZRA COLLECTIVE, una delle realtà più creative della scena nu jazz che assembla una gamma di influenze ampissima in una sorta di musica totale. "You can't steal my joy" pilastro del New British Jazz.
*Ottimo "Driftglass" del SEED ENSEMBLE in cui convergono jazz, fusion, gospel, funk ed elementi caraibici.
*Cool modern jazz per SHEL TANDY in "Infection In The Sentence".
*RICHARD SPAVEN è un eccellente batterista che in "Real time" si destreggia tra fusion, elettronica, nu jazz e contaminazioni varie. Cerebrale.
*Spiritual jazz e folk jazz per GREG FOAT in "The mage". Avvolgente, psichedelico e sinuoso.

PATH & Collatino Godamm - Cinema
Un album d'altri tempi, vissuto, intenso, passionale, parole profonde e musica che parla in stile "rude". Incontriamo, in un abbraccio comune, Daniele Silvestri e i Clash, soul e folk, rock e pop, poesia di strada e intimismo. Suonato e prodotto alla perfezione, suoni aspri ma caldi. Un lavoro eccellente.

THE BACKDOOR SOCIETY - s/t
Album d'esordio per la band piacentina, diretta filiazione dell'esperienza Rookies. Anche a livello sonoro le strade percorse sono quelle del classico Dutch sound dei 60's di band come Outsiders e Q65. Dodici brani brevi, nervosi, intensi, chitarre sferraglianti, alone vintage, splendide ballate mid tempo. Un gioiello imperdibile per gli appassionati.

TONY BORLOTTI e i SUOI FLAUERS - Belinda contro il mangiadischi
Attivi dal 1995, una cospicua discografia alle spalle, e dodici nuove canzoni, a ribadire l'incondizionato amore per il beat italiano degli anni 60. Quello più oscuro che permeava le balere di ogni città della penisola. Ritmi shake, chitarre fuzz, deliziosi strumentali guidati da un avvolgente Farfisa, perfetta colonna sonora per una serata al Piper, magari ballando a fianco di Patty Pravo e Mita Medici, prima che Rokes o Equipe 84 salissero sul palco. Atmosfere perfette, ottimi brani, suoni adeguati.

THE TRIP TAKERS - Don't Back Out Now
Un ep e un 45 precedono l'esordio della coloratissima band siciliana. Dieci brani che ci riportano nelle atmosfere floreali della seconda metà dei 60's tra freakbeat psichedelico e sguardi a Love, Byrds, Beatles, tra i tanti. Il sound è vintage e crudo ma assume contorni decisamente attuali e moderni. Una piccola gemma lisergica che sarà più che apprezzata dai cultori del genere.

DISTORSONIC - Twisted Playgrounds
Terzo album per il duo sperimentale composto da Maurizio Iorio (autore e regista del progetto) e Stefano Falcone alla batteria. Un sound dilatato, intrinsecamente psichedelico pur se qui non ci sono fiori e colori ma un paesaggio metropolitano, dalle tinte oscure e apocalittiche, terra bruciata e palazzi devastati.
Doom nel concetto. Jazz nell'approccio mentale. Un disco strano e poco etichettabile (e qui sta il suo pregio), che sorprende, ammalia, avvolge. Essere originali è difficile, quasi impossibile ormai. Non per i Distorsonic.

MARIANNA D'AMA - Thee devil / The coolest
Marianna D'ama music is weird! Corretto! Due brani, un singolo (in elegante e glaciale vinile trasparente) e un mondo (weird) che si apre a richiami palesi a un moderno glam rock (che guarda alla spesso troppo sottovalutata Suzi Quatro) in "The coolest" e si pone in equilibrio tra Breeders e PJ Harvey in "Thee devil". Ma c'è soprattutto una personalità prepotente che esplode in ogni nota, un'attitudine sfacciata, un approccio sonoro maturo, arricchito da una produzione sonora eccellente. Super!

CANNON JACK & the CABLES - Primitivo / Big bad monkey man
Torrido e selvaggio garage punk nella migliore tradizione 80's. Organo, chitarra abrasiva, batteria pulsante, una dose di primitivo rhythm and blues e un andamento caotico e iconoclasta. Un 45 giri figlio degenere di Sonics e Monks. Travolgente!

ASCOLTATO ANCHE
LITTLE STEVEN (un buon album di soul rock funk), FILTHY FRIENDS (Peter Buck ex REM e Corin Tucker delle Sleater Kinneys's insieme in un discreto album, se non fosse che Patti Smith esiste già), RICKIE LEE JONES (non nuova ad album di cover, la cantautrice americana si ripropone in questa veste con un lavoro discreto, ben fatto ma piuttosto statico e noioso), SERGIO CAMMARIERE (sempre buona musica tra soft jazz, un po' di funk e blues. Molto gradevole), ALFA MIST (new British jazz tra jazz, elettronica, electro funk), OTOBOKE BEAVER (punk tronico made in Japan. boh?), CRAIG FINN (un Bruuuce noioso...minchia!), LOCAL NATIVES (noia profonda), BIG THIEF (noia profondissima), CHRISTONE KINGFISH INGRAM (blues elettrico da un 20enne del Mississippi, cresciuto a pane e Muddy Waters. Grande)

LETTO

GEORGE MARSHALL - Spirit of '69
Lo skinhead scozzese George Marshall nel 1991 pubblicò il libro "Spirit of ’69: A Skinhead Bible", da sempre considerato un testo basilare e attendibile sulla cultura skinhead.
Grazie alla traduzione di Flavio Frezza e alla stampa di HellNation arriva finalmente la traduzione in italiano.
Essenziale per capire fino in fondo i particolari talvolta nascosti di una cultura molto spesso valutata solo in base alle consuete superficialità e contraddizioni.
«Esistono tre generi di bugie: le bugie, le dannate bugie e le bugie sugli skinhead» (George Marshall).
Marshall non si tira indietro di fronte alla deriva fascista e affronta tematiche (come ad esempio la violenza spesso presente a concerti e raduni) senza remore e peli sulla lingua.
Si approfondisce a dovere la scena musicale e nonostante alcune imprecisioni (che rendono il racconto ancora più attendibile, essendo frutto della vita reale vissuta da Marshall e non notizie da Wikipedia), "Spirit 69" risulta essere un testo fondamentale per chi vuole conoscere al meglio gli aspetti salienti di una cultura iniziata a metà degli anni 60 e tutt'ora viva e vegeta.

IAN SVENONIUS - Censura subito!
Siamo più che mai circondati da contenuti idioti.
E quindi più, più, più censura!
Proibire, bruciare, abolire!

Incendiario cantante di Nation Of Ulysses e Make-Up, ironico provocatore, fine sociologo, profondo conoscitore di storia e attualità, IAN SVENONIUS prende d'assalto la società moderna con teorie da terrorista della parola, in un interessantissimo saggio edito da "Nero/Not Edizioni" con la traduzione di Veronica Raimo.
Le sue teorie paiono azzardate (anche se sempre formulate sul filo che divide la provocazione dalla convinta affermazione), spesso paradossali ma contengono elementi di profonda riflessione:
* Censurate internet.
Internet, una chimera andata fuori controllo.
Una dipendenza pervasiva e malata – peggio delle metanfetamine, l’eroina o il crack – che ha reso un’intera popolazione passiva, fascista e del tutto cerebrolesa.
Serve una riabilitazione da internet in tutto il mondo.
Censurate internet subito!

Oltre che con internet e i suoi colossi (da Apple a Wikipedia) se la prende con Ikea, la gentrificazione, lo stato dell'arte e delle comunità nere.
Un fiume in piena, abrasivo e cruento.
Spesso condivisibile.

DONATO ZOPPO - Il nostro caro Lucio
Un libro perfetto, nella sua essenzialità, per conoscere al meglio l'aspetto artistico e umano di LUCIO BATTISTI che, piaccia o meno, rimane una delle migliori espressioni di sempre della musica italiana del '900.
Qui si rifuggono i pettegolezzi pruriginosi, le dicerie, la superficialità.
Si approfondisce al contrario il Battisti artista che, a fianco di tanti brani "facili", ha messo in fila una serie di album, di progetti, coraggiose proposte, talvolta ermetiche o poco comprese, sempre seguendo un spirito libero, di sperimentatore ("IO SONO OLTRE"), incurante di pubblico o critica ("Lucio Battisti non si vendeva per soldi. Non lo ha mai fatto" - Mogol).
Decine di testimonianze, spezzoni di interviste, di recensioni completano il racconto.
Dagli anni nelle balere con i Campioni, al successo, i (pochi) concerti, fino all'auto esilio e agli album elettronici finali.
Qui c'è tutto, senza retorica o agiografia.

FRANCO BATTAFARANO - Quando Taranto era la Firenze del sud
Storie di provincia, quella che negli anni 80 fremeva guardando alle città guida del "nuovo rock", Bologna, Milano, Torino, soprattutto Firenze.
E che poi è cresciuta, ha reso il sogno reale, grazie a poche persone che hanno imbracciato strumenti, stampato fanzine, inventato trasmissioni radio militanti, organizzato concerti e rassegne, "con ogni mezzo necessario".
Incappando in fallimenti, problemi a non finire ma creando un movimento, formando menti, stimolando nuove idee, tendenze, cambiando la vita se stessi e a tante altre persone.
Franco Battafarano (con parecchi contributi esterni) ci racconta Taranto di quegli anni tra concerti di Litfiba, Diaframma, CCCP, Died Pretty, Thin White Rope, Gang, Timria, Sick Rose, Not Moving, Soundgarden e decine di altri.
Testimonianze, aneddoti, ricordi.
Un pezzetto di storia rock nostrana.

FABRIZIO BARALE - Chiama tua madre
Fabrizio Barale è il chitarrista di Ivano Fossati con cui ha suonato per ben 12 anni sui palchi di tutta Italia.
Il suo esordio letterario lo coglie in una dimensione che poco concede alla sua storia professionale.
Il racconto intreccia vite diverse che alla fine si ritrovano intorno ad alcune domande su come vivere la vita.
Quanto quello che ci sforziamo di immagazzinare e conservare è veramente utile e importante, quanto può essere "facile" chiudere definitivamente la porta su parti della nostra vita, senza paura di rimpianti per avere perso qualcosa?
Romanzo ritmato, divertente e allo stesso tempo amaro e inquietante.
Consigliato.

ALESSANDRO PAGANI - 500 chicche
Come dice il titolo ci troviamo al cospetto di 500 freddure, aforismi, doppi sensi, giochi di parole.
Intelligenti, sarcastici, divertenti.
Una boccata d'aria fresca.

VISTO

Giuda live a Parma "Splinter" 18 maggio 2019
I Ramones del GLAM ROCK spazzano via il pubblico parmense con 45 minuti giusti giusti, senza pause, senza un attimo di respiro, sorta di suite rock 'n' roll anfetaminica made in 1973.
Breve bis e tutto è finito.
La PERFEZIONE ROCK 'n' ROLL ASSOLUTA.
Il sound è più aspro e punk rispetto ai vinili, l'impatto tremendo, un tiro raro, i brani eseguiti con impeccabile perizia.
I GIUDA sono una macchina da guerra perfettamente oliata, alla conquista del mondo (gli Usa li attendono con decine di date, dopo aver sbancato Parigi e con un sold out al "100 Club" di Londra), cresciuti lentamente e faticosamente dal basso, esclusivamente con le proprie forze.
E questo ce li fa amare e rispettare ancora di più.
Ad aprire il frizzante garage voodoo beat delle BombO'Nyrics.

Giorgio Canali e Rossofuoco live al Link Festival
Magari GIORGIO CANALI si offende se lo si paragona a un Francesco De Gregori/Ivano Fossati/Pierangelo Bertoli punk noise.
Per me è invece un complimento.
Per lo spessore artistico e qualitativo delle sue liriche, estreme ed estremiste, come pochi sanno scrivere.
Accompagnato dai due Rossofuoco, un basso e batteria potentissimi e precisissimi, ha sfoderato al Link Festival di San Rocco (Lodi) un concerto duro, senza sconti, allo stesso tempo disperato e commovente, perfettamente coronato da un tempo uggioso, freddo, umido, come si conviene in questi tempi di tempesta.
Un grande concerto, pieno di parole chiare, politiche, veramente politiche come nella finale, spietata "Lettera del compagno Lazlo al colonnello Valerio", quanto mai attuale al giorno d'oggi.

Cesare Basile - Germi - Milano 8 maggio 2019
Cesare Basile è un bluesman.
Quel BLUES che uscì involontariamente dall'Africa in catene, si stabilì in America e poi, tanto era forte il suo grido di dolore, si distribuì in tutto il mondo.
Tornando anche in Africa, da dove di nuovo ha ripreso, anche questa volta spesso involontariamente, ad andarsene.
Ha fatto tappa anche a Catania, dove Basile lo ha preso, mischiato al suo passato (e presente) punk, ai canti dei pastori siciliani, ai rumori e umori della sua terra, alle spesso tragiche storie che vengono da lì.
E le canta.
Come a "Germi", Milano, davanti ad un pubblico attento e competente.
E alla fine contento.
Una mano, ad un certo punto, gliela danno anche Manuel Agnelli e Rodrigo D'Erasmo che, con Francesca Risi e Gianluca Segale, hanno progettato questo nuovo luogo di "contaminazione" (musica, letteratura, fumetto, workshop, incontri con autori e musicisti, corsi di scrittura).
Un bel posto, raccolto, vivace, cool.
Ideale per ospitare un concerto del genere.
Come sempre intenso e speciale.

Terrore e miseria del Terzo Reich - Piacenza Teatro 34 - 26 maggio 2019
Uno spettacolo algido, duro, spietato quello proposto dagli attori dell’Under 22 Lab, diretti da Silvia Zacchini Kab e Francesco Ghezzi al Teatro 34 di Piacenza.
Scene di vita quotidiana sotto il regime nazista, dove vittime e carnefici si mischiano e rappresentano un quadro quanto mai attuale e inquietante (soprattutto oggi).
Complimenti ai ragazzi e ai registi!
Da un testo di Brecht.

COSE VARIE
Ogni giorno mie recensioni italiane su www.radiocoop.it, ogni domenica "La musica ribelle", una pagina sul quotidiano "Libertà", ogni mese varie su CLASSIC ROCK.
Occasionalmente su "Il Manifesto".
Sul sito di RadioCoop ogni lunedì va in onda il TG musicale "3 minuti con RadioCoop" condotto da me , Carlo Maffini e Paolo Muzio.

IN CANTIERE

LA COOPERATIVA POPOLARE INFRANGIBILE
VIA ALESSANDRIA N. 16 - PIACENZA
giovedì, 6 GIUGNO 2019, ore 18.30
SALA BIBLIOTECA BRUSCHINI- FERRI
presenta Aldo Pedron e Maurizio Galli
con il loro nuovo libro BORN ON THE BAYOU
LA STORIA DEI CREEDENCE CLEARWATER
REVIVAL (Arcana Editrice)
Con l'intervento di Antonio Bacciocchi



Sabato 1 giugno
MODS MAYDAY a Torino dalle ore 16:30 - 2 giu alle ore 03:00
OFF TOPIC
via Pallavicino 35, 10153 Torino

> ore 16.30
Selezioni ALL MOD DISCO con i djs Andrea Gallins (Torino) e Piergiorgio Baiardo (Genova).
Esposizione e scambio di dischi e abbigliamento a tema Mod.
Premiazione dello scooter più bello e di quello arrivato da più lontano.

> ore 18.00
Talk FACES: L'ARRIVO DEI MODS IN ITALIA con Antonio "Tony Face" Bacciocchi.

> ore 20.30
Live di:
The Mads (Milano)
The Five Faces (Genova)
The Coys (Reggio Emilia)
Gli Statuto (Torino)
Made (La Spezia)
i Rudi (Milano)

> a seguire
ALLNIGHTER ALL MOD DISCO con i djs Enrico Lazzeri (Milano) e Andrea Cumiana (Torino).

https://www.facebook.com/events/363132064523540

SABATO 15 giugno
15esima edizione del Biografilm Festival – International Celebration of Liv a Bologna
Presentazione Stili Ribelli, nuova serie documentaria della casa di produzione bolognese Kiné.
Il progetto si sviluppa in un vero e proprio viaggio attraverso la musica e le sue connessioni con la moda, il cinema e la società per comprendere come alcune forme di espressione tipiche delle controculture giovanili siano state in grado di creare nuove attitudini e identità visive. Le scene creative giovanili che si sono sviluppate al di fuori della cultura mainstream hanno svolto un ruolo importante nell‘immaginario del ‘900.
Nella serie oltre al sottoscritto Kenney Jones, Glen Matlock, Suzi Quatro e altri.

Con i NOT MOVING LTD in concerto.
domenica 23 giugno: Vicopisano (PI) "Festa della birra".
giovedì 1 agosto: San Salvi (FI) "Estate fiorentina"

giovedì, maggio 30, 2019

Get Back. Dischi da (ri)scoprire



Ogni mese la rubrica GET BACK ripropone alcuni dischi persi nel tempo e meritevoli di una riscoperta.
Le altre riscoperte sono qui:

http://tonyface.blogspot.it/search/label/Get%20Back

TELEVSION - s/t
Un piccolo capolavoro colpevolmente spesso dimenticato ma continua a risplendere di una luce vivissima. Il marchio Television è sempre lì, inimitabile, totale e assoluto, ma ancora più Lou Reediano, decadente, suadente, malato. "1980 or so", "Call Mr. Lee" sono brani di assoluta eccellenza ma tutto l'album è una vera delizia.

THAT PETROL EMOTION - Manic Pop Thrill
Molto sottovalutati ma creatori di un sound personalissimo che attingeva da punk, post punk, pop (eredità portata dai due fratelli O'Neill ex Undertones) e da un approccio "art rock" che ha poi pesantemente influenzato molte band inglesi dei 90. Il primo album del 1986 è il perfetto manifesto del loro approccio sonoro e di un'attitudine urgente, abrasiva, caotica, anarchica.

GEORGIE FAME - Seventh son
La carriera discografica del grande Georgie Fame è sempre stata altalenante tra veri e propri gioielli e momenti piuttosto discutibili. Nel 1969 firma un ottimo lavoro in cui conserva le radici soul jazz blues ma spazia in varie altre sonorità e generi. Ma ci sono alcuni momenti di assoluta eccellenza come la classica "Somebody stole my thunder", la stupenda title track, la divertente "Fully booked". Poi tanto swing, un po' del suo tipico stile cabarettistico, esecuzioni impeccabili e groove a valanga.

SYREETA - Syreeta
Stupendo debutto per la cantante americana, al tempo moglie di Stevie Wonder che in questo album interviene a mani basse, componendo, suonando, arrangiando. Ovviamente si sente e il lavoro si può configurare come un album di Wonder con la delicata ed elegante voce di Syreeta a caratterizzarlo. Spettacolare cover elettronica di "She's leaving home" e l'immortale "To know you is to love you" in duetto con Steve.

mercoledì, maggio 29, 2019

Christopher Makos



Fotografo americano, collaboratore di Man Ray, con cui soggiornò a lungo a Fregene e in Italia.
Trasferitosi a New York inizia a documentare la scena locale degli anni 70, raccogliendo i suoi scatti nel libro "White Trash".
Andy Warhol ne rimane così colpito da comprargliene 1000 copie.

In cambio Makos gli fece conoscere i lavori di Jean-Michel Basquiat e Keith Haring.

Ha fotografato Andy Warhol, Elizabeth Taylor, Salvador Dalí, John Lennon, Mick Jagger, Iggy Pop, Debbie Harry e lavorato per Rolling Stone, Connoisseur, New York Magazine, Esquire, People, Interview.

martedì, maggio 28, 2019

Fabrizio Barale - Chiama tua madre



Fabrizio Barale è il chitarrista di Ivano Fossati con cui ha suonato per ben 12 anni sui palchi di tutta Italia.

Il suo esordio letterario lo coglie in una dimensione che poco concede alla sua storia professionale.
Il racconto intreccia esistenze diverse che alla fine si ritrovano intorno ad alcune domande su come vivere la vita.
Quanto quello che ci sforziamo di immagazzinare e conservare è veramente utile e importante, quanto può essere "facile" chiudere definitivamente la porta su parti della nostra vita, senza paura di rimpianti per avere perso qualcosa?

Romanzo ritmato, divertente e allo stesso tempo amaro e inquietante.
Consigliato.

Presentazione domani a Fahrenheit di Piacenza, via Legnano alle 18 con l'autore. Modera il sottoscritto.

lunedì, maggio 27, 2019

Campionato di serie A 2018-2019



Come stra previsto la JUVENTUS ha dominato senza troppi problemi.
Ronaldo ha confermato le aspettative.
Dietro incontrastato e previsto secondo posto per il NAPOLI.

Poi i soliti psico drammi delle milanesi e romane (anche se la Lazio si porta a casa la Coppa Italia), la felice conferma dell'ATALANTA, il crollo imprevisto della FIORENTINA, un buon TORINO e la constatazione (ormai da anni) che le ultime due finiscono in B staccatissime dalla zona salvezza. Ovvero un campionato a 18 squadre sarebbe più opportuno ed equilibrato.
Risalgono Brescia e Lecce, nomi storici che ci mancavano.

In EUROPA hanno spadroneggiato, CHI PIù, CHI MENO, oltre alla Juve, il Barcellona, il PSG, lo Skaktar, lo Young Boys, Celtic (davanti ai Rangers), Stella Rossa, Dinamo Zagabria.
Di un soffio o quasi hanno invece vinto City, Bayern, Ajax, Benfica, Zenit, Galatasaray, Salisburgo.

domenica, maggio 26, 2019

Palmerston Island



La fine del mondo è la rubrica domenicale che va ad esplorare i luoghi abbandonati dalla storia, particolari o estremi.
I precedenti post:

http://tonyface.blogspot.it/search/label/La%20fine%20del%20mondo

Palmerston è un atollo appartenente all’arcipelago delle Isole Cook, a 500 km da Rarotonga, costituita da una serie di isolotti di sabbia collegati dalla barriera corallina che crea una laguna interna.
E’ stata scoperta nel 1774 dal capitano Cook che la trovò completamente disabitata anche se furono scoperte alcune vecchie tombe.

Nel 1863 William Marsters, carpentiere di una nave, approdò sull’isola con due mogli polinesiane, a cui se ne aggiunse poi una terza, creando una grande famiglia di circa 23 bambini, i cui discendenti oggi abitano sull’isola e sono praticamente tutti imparentati.

Sull'isola ci sono poco più di 60 abitanti, due toilette e l’acqua per bere è esclusivamente quella piovana.
L'elettricità è disponibile solo alcune ore al giorno mentre una stazione telefonica è l'unica possibilità di collegamento con il mondo esterno.

L’isola non dispone di aeroporto nè di attracchi per l’idrovolante e l'unico modo per raggiungerla è in barca (condizioni del mare permettendo) con cui ci vogliono 9 giorni per raggiungerla.
Un paio di volte l'anno navi da carico si avvicinano per le provviste e i rifornimenti.

UN filmato sull'isola è qui:
https://www.youtube.com/watch?v=27WKKBMKX1s

sabato, maggio 25, 2019

Appuntamenti



Lunedì 27 maggio alle ore 15:00
a Radio Antenna 1 FM 101.3 partecipo alla trasmissione "Vertigo" condotta da Gian Matteo Vandelli

➡️Streaming: www.radioantenna1.com
➡️TuneIn: http://bit.ly/RA1TuneIn
➡️whatsapp al 3389654201
➡️ http://radio.garden/live/fiorano-modenese/radio-antenna-1-fm-101-3/

https://www.facebook.com/events/394363514487488/



Mercoledì 29 maggio alle 18.30 modero l'incontro con FABRIZIO BARALE che presenta il suo libro "Chiama tua madre".
Alla Libreria Fahrenheit di via Legnano, Piacenza.

https://www.facebook.com/events/888783388119787/



Sabato 1 giugno
MODS MAYDAY a Torino dalle ore 16:30 - 2 giu alle ore 03:00
OFF TOPIC
via Pallavicino 35, 10153 Torino

> ore 16.30
Selezioni ALL MOD DISCO con i djs Andrea Gallins (Torino) e Piergiorgio Baiardo (Genova).
Esposizione e scambio di dischi e abbigliamento a tema Mod.
Premiazione dello scooter più bello e di quello arrivato da più lontano.

> ore 18.00
Talk FACES: L'ARRIVO DEI MODS IN ITALIA con Antonio "Tony Face" Bacciocchi.

> ore 20.30
Live di:
The Mads (Milano)
The Five Faces (Genova)
The Coys (Reggio Emilia)
Gli Statuto (Torino)
Made (La Spezia)
i Rudi (Milano)

> a seguire
ALLNIGHTER ALL MOD DISCO con i djs Enrico Lazzeri (Milano) e Andrea Cumiana (Torino). https://www.facebook.com/events/363132064523540/

Senz'età



SENZ'ETA'

Un progetto video di Francesco Paolo Paladino e il sottoscritto.

Terza puntata

https://www.youtube.com/watch?v=FhniKCNXeck&feature=share

venerdì, maggio 24, 2019

Ian Svenonius - Censura subito!



Siamo più che mai circondati da contenuti idioti.
E quindi più, più, più censura!
Proibire, bruciare, abolire!


Incendiario cantante di Nation Of Ulysses e Make-Up, ironico provocatore, fine sociologo, profondo conoscitore di storia e attualità, IAN SVENONIUS prende d'assalto la società moderna con teorie da terrorista della parola, in un interessantissimo saggio edito da "Not/Nero Edizioni" con la traduzione di Veronica Raimo.

Le sue teorie paiono azzardate (anche se sempre formulate sul filo che divide la provocazione dalla convinta affermazione), spesso paradossali ma contengono elementi di profonda riflessione:

* Censurate internet.
Internet, una chimera andata fuori controllo.
Una dipendenza pervasiva e malata – peggio delle metanfetamine, l’eroina o il crack – che ha reso un’intera popolazione passiva, fascista e del tutto cerebrolesa.
Serve una riabilitazione da internet in tutto il mondo.
Censurate internet subito!


Oltre che con internet e i suoi colossi (da Apple a Wikipedia) se la prende con Ikea, la gentrificazione, lo stato dell'arte e delle comunità nere.
Un fiume in piena, abrasivo e cruento.
Spesso condivisibile.

* Per quanto la cultura delle droghe abbia la pretesa di essere ribelle, in realtà è asservita ai bisogni della politica imperialista e dell’industria.
La proibizione dei narcotici da parte dello Stato è stata una mossa scaltra, ideata per far sentire gli utilizzatori di droghe più potenti, speciali e sexy, un po’ come il Facebook degli esordi che doveva servire soltanto per il college.


* L’uguaglianza e la prosperità dei neri non possono essere tollerate.
La narrazione imperialista richiede che i neri restino per sempre gli antagonisti all’interno del corpo politico, la presenza per cui è necessaria la soppressione, la sicurezza, la paranoia, il risentimento e la diligenza.
L’alterità del nero è vitale.


* Ci serve una censura da parte della gente, una censura dal basso, una censura ribelle – una censura che non si basi sui dementi di uno Stato militarizzato e muscolare, o sui circoletti esclusivi che lo governano.
Ci serve una censura-guerriglia.
Una censura che parta dalla gente.

giovedì, maggio 23, 2019

Fay Hallam - Propeller



35 anni di carriera inziata nel 1985 coni favolosi Makin Time, proseguita con Gift Horses e Prime Movers e approdata poi alla carriera solista attraverso varie incarnazioni e collaborazioni.

FAY HALLAM arriva ora all'album della completa maturità in cui condensa le sonorità raccolte in tutti questi anni, con una forte e solida base soul su cui si innesta una vena psichedelica che si allunga fino a certe sonorità care ai primi 70's.

Dodici brani perfettamente prodotti da Andy Lewis, senza cadute di tono, su cui svetta una voce che, come spesso accade, porta sulle spalle la piacevole ombra di Julie Driscoll.
Frequente uso di fiati , piano e Hammond, che fanno il consueto perfetto lavoro.
Disco delizioso.

Fay Hallam - Starting To Feel Good
https://www.youtube.com/watch?v=Nh6ha7HklVc

Fay ha risposto ad alcune veloci domande sull'album:

1) Quanto ha contribuito artisticamente Andy Lewis alla riuscita di "Propeller"?
Io e Andy lavoriamo molto bene insieme. Lui sa come far suonare al meglio delle buone canzoni.
Di solito ha un piano specifico per il sound generale di un album.
Lo tratta come se fosse un'intera unità di lavoro e questo è importante visto che le mie canzoni sono diverse l'una dall'altra.

2) "Propeller" sembra riassumere le varie fasi della tua carriera musicale.
"House of now" è stato un grande album e mi è piaciuto molto farlo, così volevo cambiare e andare oltre a quello.
Quindi ecco "Propeller".
Ho scritto canzoni con parti di fiati e ho dovuto trovare una sezione fiati per suonarli.
I ragazzi sono stati grandi e ora non possiamo più fare a meno di loro. Sono felice che ti piaccia.
Credo che sia un grande album ma mi sforzerò di rendere il prossimo ancora migliore.

3) Quali dischi ritieni abbiamo maggiormente ispirato la composizione di questo album?
Ho ascoltato un sacco di musica dei 70's. Ho fatto una compilation di 5 ore per il mio compleanno e chissà quanto ne è rimasto dentro. Ma molto deriva dal semplice fatto di suonare il piano.

4) Quali piani promozionali per spingere l'album?
Abbiamo incominciato facendo dei video. Non ne ho più fatti per decenni ed è una forma d'arte completamente nuova.

mercoledì, maggio 22, 2019

George Marshall - Spirit of 69



Lo skinhead scozzese George Marshall nel 1991 pubblicò il libro "Spirit of ’69: A Skinhead Bible", da sempre considerato un testo basilare e attendibile sulla cultura skinhead.

Grazie alla traduzione di Flavio Frezza e alla stampa di HellNation arriva finalmente la versione in italiano.
Essenziale per capire fino in fondo i particolari talvolta nascosti di una cultura molto spesso valutata solo in base alle consuete superficialità e contraddizioni.

«Esistono tre generi di bugie: le bugie, le dannate bugie e le bugie sugli skinhead» (George Marshall).

Marshall non si tira indietro di fronte alla deriva fascista e affronta tematiche (come ad esempio la violenza spesso presente a concerti e raduni) senza remore e peli sulla lingua.

Si approfondisce a dovere la scena musicale e nonostante alcune imprecisioni (che rendono il racconto ancora più attendibile, essendo frutto della vita reale vissuta da Marshall e non notizie da Wikipedia), "Spirit 69" risulta essere un testo fondamentale per chi vuole conoscere al meglio gli aspetti salienti di una cultura inziata a metà degli anni 60 e tutt'ora viva e vegeta.

Il curatore dell'edizione italiana, Flavio Frezza ci spiega alcuni ulteriori particolari.
L'intervista è INTERESSANTISSIMA
Flavio gestisce il portale: http://blog.crombiemedia.com/ dedicato ai fenomeni (sotto)culturali skin, mod, punk nelle forme meno risapute e più approfondite.

1) Possiamo dunque definirla la Bibbia Skinhead?

Sì, indubbiamente, visto che è così che ha deciso il suo autore: il titolo completo è infatti Spirit of ’69 - A Skinhead Bible!
A parte gli scherzi, molti skinhead, quando fanno riferimento al libro, lo chiamano semplicemente “la Bibbia”, visto che si tratta dell’unica pubblicazione che prende in esame l’intera storia della sottocultura, che è inoltre vista dall’interno, ovvero da un suo appartenente, e non da un osservatore esterno, che potrebbe fraintendere o ignorare certe sfumature.
Comunque sia, la “Bibbia skinhead” – così come la vera Bibbia – va contestualizzata nel periodo in cui fu scritta, sia per quanto riguarda i suoi contenuti, sia per quanto attiene ai suoi limiti.
Tanto per dirne una, il volume contiene alcune sviste, talvolta inevitabili, visto che agli inizi degli anni ’90 la raccolta e la verifica delle notizie era sicuramente più complessa rispetto ad oggi.
Ritengo tuttavia di aver rimediato a certe lacune e imprecisioni tramite l’inserimento di un impianto di note, che confrontano le notizie fornite da Marshall con quelle che sono oggi a nostra disposizione.
Inoltre, nella mia introduzione, vi sono alcuni approfondimenti sul periodo storico in cui fu redatto il libro, che possono aiutare a comprendere perché vengano trattati con particolare enfasi determinati aspetti della sottocultura, come ad esempio le connessioni con la cultura nera.
Devo specificare, a questo punto, che ho lavorato sulla seconda edizione di Spirit of ‘69, quella del ’94, e che la prima edizione è del ’91.
In questo arco di tempo (e oltre!) i termini “skinhead” e “nazi skin” venivano considerati sinonimi un po’ da tutti, a causa dell’ondata di estrema destra che, partendo dalla Germania riunificata, investiva buona parte dell’Europa. I mass media diedero grande risalto alle azioni compiute dai bonehead razzisti, finendo per favorirne la crescita.
Spirit of ’69 non è – come forse sperano alcuni – un libro “antifascista” o “antirazzista”: si tratta piuttosto di un’opera che tenta di ricostruire la storia degli skinhead, e che – pur riconoscendo l’esistenza di skin politicizzati, sia di destra che di sinistra – tenta di mettere le cose al loro posto, evidenziando le radici mod degli skinhead e il legame tra questi ultimi e la musica nera. L’autore, dopo aver parlato delle origini degli skin, prende in esame la loro evoluzione in altri culti (boot boy, suedehead, smoothie, ecc.), e quindi il loro “ritorno” e la loro politicizzazione in epoca punk, per poi passare alla 2 Tone, al real punk e all’Oi!, nonché ai raduni scooter degli anni ‘80, fino ad arrivare all’inizio dei ’90.

2) Molto spazio è dedicato alla questione politica, cercando di circoscrivere il più possibile il problema delle derive verso la destra estrema.

Sì, Marshall parla molto dell’impatto della politica sul mondo skinhead.
Lui si definisce “apolitico”, ma sappiamo che questa definizione può avere molti significati.
Nel suo caso, si tratta di un atteggiamento molto critico verso la politicizzazione degli skin a destra prima, e a sinistra poi.
Tuttavia, a ben vedere, la sua antipatia è rivolta soprattutto alle formazioni di sinistra che fanno riferimento alle classi agiate, nonché ai rivoluzionari alla moda.
Con questo non voglio dire che Marshall è di sinistra senza saperlo, però mi è sembrato interessante il fatto che non prenda posizione contro la sinistra a prescindere, ma la critichi soprattutto nel momento in cui questa si pone al di fuori – o meglio, “al di sopra” – della classe lavoratrice, di cui invece dovrebbe far parte.
In effetti, Marshall esprime una sorta di ammirazione per raggruppamenti come Red Action, Anti-Fascist Action e Cable Street Beat: “Infatti, queste organizzazioni – invece di commettere gli errori di Rock Against Racism, che scherniva la classe operaia bianca, osservandola dal piedistallo delle student unions – non hanno problemi ad andare nelle zone popolari per sostenere la propria causa”.
Si tratta di una critica che dovrebbe tenere a mente buona parte della sinistra odierna.
Tornando alla tua domanda, c’è un intero capitolo dedicato alla politicizzazione, intitolato “Né Washington né Mosca” (vi ricorda qualcosa?), ma il tema ricorre in gran parte del volume, e si parla inoltre delle forme di razzismo presenti anche in epoca original.
L’avversione di molti skin nei confronti degli immigrati – soprattutto di origine pachistana e indiana – viene contestualizzata nel clima di allora, allo scopo di comprenderne le cause, e non certo di sminuire l’esistenza del fenomeno, né tantomeno di giustificarlo.
La politicizzazione vera e propria degli skinhead, così come l’affermazione degli ideali di supremazia bianca, sono in effetti arrivate soltanto nel corso del revival skinhead della seconda metà degli anni ’70, grazie all’ascesa di formazioni di estrema destra come il National Front e il British Movement.
I partiti nazionalisti traghettarono i bonehead white power negli anni ’80, e questi diedero poi vita ai loro raggruppamenti, come Blood & Honour, che fu fondato da alcuni fuoriusciti del National Front, capeggiati da Ian Stuart e dai suoi Skrewdriver.
L’emergere di raggruppamenti politicizzati all’interno di una scena che fino ad allora era rimasta estranea a certe dinamiche, non poteva che far uscire allo scoperto quei suoi appartenenti che avevano idee politiche di segno opposto.
Alcuni di questi, nel tempo, diedero vita alla tendenza redskin. Un altro tipo di reazione fu quello della fanzine Hard As Nails, che cercava di arginare le derive di estrema destra tramite il richiamo alla sottocultura original, e inoltre sosteneva – sia pure in maniera critica – gruppi come i Redskins.
Questo tipo di orientamento fu seguito da molti altri skinhead, tra cui i Glasgow Spy Kids, la crew di Marshall. Pare che il motto “spirit of ‘69” sia stato coniato proprio da un membro degli Spy Kids, ovvero Ewan Kelly.
Negli anni ’90 l’espansione dei bonehead fu contenuta soprattutto grazie ad organizzazioni come la SHARP (“SkinHeads Against Racial Prejudice”), tuttavia – nel periodo in cui scriveva Marshall – quest’ultima era ancora una novità, almeno in Europa, e non era certo facile prevedere quale sarebbe stato il suo impatto, che in effetti possiamo esaminare con un certo distacco soltanto oggi.

3) Come vedi la situazione ai nostri giorni sia a livello politico che nella scena (musica, numero di skin giovani e “vecchi”), Sia in Italia che all'estero

Dell’estero non posso parlare, ma posso parlare dell’Italia, anche se in maniera limitata, visto che pur frequentando ancora la scena la vivo in maniera differente rispetto a quando ero ragazzo.
Per quanto riguarda la politicizzazione, oggi è molto più radicata rispetto agli anni ’80 e ai primissimi ’90, e sotto certi punti di vista questo cambiamento può essere visto con favore, soprattutto tenendo conto dei tempi in cui viviamo.
D’altro canto, esistono dei lati negativi, ad esempio il fatto che alcuni vedono l’appartenenza alla sinistra radicale come una sorta di “requisito minimo” per essere skinhead, il che è chiaramente in contraddizione con la nostra storia, che è molto più complessa.
Inoltre, l’esperienza dovrebbe insegnarci che l’interesse per la politica non può essere imposto a tutti, visto che, quando si agisce in questa maniera, il risultato è quello di allontanare le persone con cui invece bisognerebbe confrontarsi.
Per quanto riguarda la questione anagrafica, mi sembra che l’età media si sia alzata, ma si tratta di un fenomeno che riguarda pure le altre sottoculture.
Vedo comunque che ci sono ancora molti giovani, e inoltre la presenza femminile è molto più alta rispetto al passato.
La musica skinhead è molto variegata, e va dai ritmi soul e giamaicani fino all’Oi!, allo street punk e all’hardcore, passando per il glam e il punk rock degli anni ’70.
Mi pare che in questo momento la maggior parte delle attenzioni vadano a Oi!, street punk e hardcore, ma c’è ancora un certo interesse per il reggae e per lo ska, come dimostra il proliferare di serate dedicate a questi generi.

4) Un aspetto interessante del libro è che dimostra come la cultura skinhead, allo stesso modo di buona parte delle altre non abbia un inizio rigido (si è sempre parlato del 1969) ma sia un'evoluzione lenta e progressiva. Si parla di hard mods già nel 1964, delle immagini del film “Poor cow” di Ken Loach in cui compaiono ragazzi molto vicini allo stile skinhead già nel 1967 (vedi foto e video in fondo all'intervista).

Quella di Poor Cow è una mia piccola scoperta, anche se casuale!
Avevo estrapolato dal film alcuni fotogrammi per diffonderli sui canali social di Crombie Media, ed esaminandoli mi sono accorto di questo gruppetto di comparse con capelli molto corti, giacche cardigan, scarponi e pantaloni portati sopra le caviglie.
Credo anch’io che non vi siano stati passaggi improvvisi da mod a skinhead: penso, piuttosto, che il modernismo si sia evoluto gradualmente fino a diventare altro, adattandosi a un contesto economico e sociale in mutamento.
Spesso si parla di un passaggio da mod ad hard mod, e quindi a skinhead, suedehead e crombie boy, con queste ultime due fasi che rappresentano – almeno esteticamente – un parziale ritorno alle radici mod.
Grossomodo le cose sono andate in questa maniera, tuttavia lo stile suedehead esisteva già prima che gli venisse dato un nome e fosse riconosciuto come un culto a se stante: basta dare uno sguardo a Bronco Bullfrog (1969) di Barney Platts-Mills per rendersene conto, così come al documentario girato dallo stesso regista l’anno precedente, ovvero Everybody’s an Actor, Shakespeare Said.
Recentemente ho letto la testimonianza di un giovanissimo mod (e poi skinhead) di fine anni ’60, dell’area di Manchester, che inizialmente non comprendeva le ragioni degli scontri tra mod e “peanut” (ovvero “skinhead”), visto che ai suoi occhi tutti quei ragazzi appartenevano al culto modernista.
Nella zona in cui viveva, i primi skin indossavano ancora il parka, e sia loro che i mod ascoltavano soprattutto musica soul.
Agli inizi del ’69, prima che il nome “skinhead” s’imponesse, anche in città come Londra c’erano ancora skin che si ritenevano semplicemente mod.
Nel complesso, la situazione era molto fluida e variava in base alla zona presa in esame, per cui certe semplificazioni possono aiutare i neofiti a comprendere come siano andate le cose, ma non andrebbero prese troppo alla lettera.

5) Ci sono altri testi che sarebbe interessante tradurre in italiano?

Spirit of ’69 è senz’altro il libro più importante, ma ce ne sono altri, a partire dal suo seguito meno noto, ovvero Skinhead Nation (1997).
In quel volume, Marshall approfondì alcuni argomenti già trattati nel libro precedente, e ne prese in esame di nuovi, parlando pure delle scene di altri paesi, a partire dagli Stati Uniti.
Skinhead Nation è un lavoro più maturo rispetto a Spirit of ’69, anche perché quest’ultimo fu scritto – va ricordato – quando Marshall aveva solo 25 anni.

6) Quali dischi e quali testi consiglieresti a un neofita che si vuole avvicinare allo stile skin?

È difficile rispondere in poche righe a una domanda del genere!
Ascolto un po’ tutta la musica skinhead, ma i miei generi preferiti sono indubbiamente il reggae e il primo Oi!
Per quanto riguarda l’Oi!, direi di iniziare dalle compilation curate da Garry Bushell, ovvero Oi! The Album (1980), Strength Thru Oi! (1981), Carry On Oi! (1981) e Oi! Oi! That’s Yer Lot! (1982).
A parte gli album classici di Cockney Rejects, The 4-Skins, The Last Resort e via dicendo, consiglio a tutti i giovani di ascoltare False Gestures for a Devious Public dei Blood, che sotto certi aspetti rappresenta ciò che l’Oi! avrebbe potuto essere, se la maggior parte delle band non si fossero ripiegate sulle solite tematiche e non avessero rifiutato le influenze musicali esterne.
Se vogliamo parlare dell’Italia, i miei preferiti restano Nabat e Klasse Kriminale.
La maggior parte delle loro produzioni rappresentano il meglio dell’Oi! italiano.
Entrambe le band hanno tenuto a mente la lezione britannica, ma l’hanno adeguata al contesto in cui viviamo.
Passando al reggae, evito di elencare i grandi classici, e faccio un solo nome, quello di Judge Dread: anche lui ha adattato la sua musica preferita all’ambiente e alla cultura in cui era cresciuto.
Il “giudice” mescolò infatti l’early reggae con la musica tradizionale inglese, e aggiunse al mix una bella dose d’ironia e un forte accento regionale; queste ultime caratteristiche le ritroveremo qualche anno più tardi nell’Oi! Il suo disco migliore è probabilmente Last of the Skinheads (1976): sia l’album che il suo pezzo più noto – “Bring Back the Skins” – furono concepiti ancora prima che il revival skinhead avesse inizio.
Judge Dread era uno di quegli skinhead original che, negli anni ’70, si fecero crescere i capelli, pur mantenendo un forte legame con il culto di origine: “But that won’t change the way I feel, I’m still a skin”.



Dopo 25 secondi appaiono i ragazzi della foto sopra:
https://www.youtube.com/watch?v=zmw8DPW0L4Y

martedì, maggio 21, 2019

Requiem for a football club: Notts County



ALBERTO GALLETTI ci porta al cospetto di una (triste) storia di calcio inglese.

E’ finita sabato la stagione della English Football League, EFL, che comprende Championship (2a Divisione), League One (3° Divisione) e League Two (4a Divisione), le tre serie professionistiche inglesi rimaste orfane della prima divisione, staccatasi col colpo di mano unilaterale del 1993 che diede vita alla Premier League.
Ultima appendice gli spareggi promozione che nel giro delle prossime due settimane designeranno una squadra promossa per ciascuna delle tre serie, le retrocessioni sono già assegnate.

E proprio tra le retrocessioni troviamo uno degli eventi più rilevanti di questa stagione di EFL, ma direi di portata ben più ampia, sebbene per la piega presa ultimamente dall’attenzione del pubblico alle cose del calcio a pochi oggi pare importare qualcosa del genere.

Il Notts County, il club professionistico più vecchio al mondo, fondato nel 1862, 131 stagioni consecutive tra i professionisti di cui 30 in prima divisione, 37 in seconda, una FA Cup vinta nel 1894, una delle sette vittorie ottenute da squadre di seconda divisione, è retrocesso sabato pomeriggio uscendo, per la prima volta nella storia dai campionati professionistici inglesi.
Per gli appassionati un duro colpo, per i tifosi credo anche peggio.

Una stagione disgraziatissima. Nove sole vittorie in campionato hanno lasciato i bianconeri di Nottingham penultimi all’ultima giornata, costretti a vincere a Swindon e sperare nella contemporanea sconfitta del Macclesfield.
E’ andata male, malissimo, sconfitti 3-1 e retrocessi in National League, la vecchia Football Conference, primo livello al di sotto dei campionati professionistici.
Catastrofico se si pensa che erano partiti tra i favoriti per la promozione e brutto da vedere, in completo blu anziché bianco-nero, nel momento dell’addio.
Per colmo della beffa, inoltre, lo scettro di squadra professionistica più vecchia al mondo passa adesso sull’altra sponda del fiume Trent ai rivali cittadini del Nottingham Forest.
Crudele per un club più vecchio della Football Association stessa.

Certo il Notts County non è mai stato una superpotenza calcistica, nemmeno in epoca pioneristica, ma è pur sempre stato tra i fondatori del campionato inglese, nel 1888, e una della sole dieci squadre ad aver giocato tutti i campionati professionistici disputati, nonché quello che vi ha giocato più partite (4.940) e ovviamente il più vecchio.
Rileggere la sua storia è un po come andare sulle montagne russe, 31 passaggi di divisione tra retrocessioni e promozioni che su 131 stagioni fanno più o meno uno ogni quattro anni di media. Credo sia la squadra che ne ha fatti di più.

Questo non ne ha mai intaccato il seguito, mai troppo numeroso a dire il vero, ma che anche nelle stagioni difficili si è sempre compattato intorno alla squadra, 6.084 di media a partita quest’anno e 7.911 l’anno scorso, 8.519 nell’ultima partita in casa di questa stagione l’altro sabato, o un tutto esaurito da 17.615 nel ritorno della semifinale playoff dell’anno scorso, tanto per dire.

A rendere ancora più dolorosa questa retrocessione c’è poi l’ udienza all’ Alta Corte di Londra prevista per il prossimo 5 giugno in cui dovranno vedersela con HRMC che gli ha presentato un’ ordinanza di messa in liquidazione per tasse non pagate. Il club dovrà affrontare una drastica ristrutturazione, con l’immancabile perdita di giocatori e posti di lavoro tra il personale.
Gli introiti tra i non professionisti caleranno drasticamente e il rischio di una lunga permanenza fuori dalla EFL è purtroppo una possibilità concreta. Il futuro da bianco-nero tende al nero. Unica speranza, come sempre, i tifosi, che di sicuro, faranno la loro parte.

Non che non l’abbiano già fatto. Nel 1967, sull’orlo della catastrofe finanziaria, il club venne salvato da Jack Dunnett, deputato laburista per Nottingham Central e tifoso dei Megpies, che ne ripianò i debiti per anni conducendoli fino al ritorno in First Division nel 1981, dopo 55 anni di assenza.
Riuscirono a rimanerci per tre anni nonostante il pubblico non propriamente numeroso.
Nei primi anni del nuovo millennio, la proprietà, al 60%, passò in mano ai tifosi con l’intento di preservarne la salute economica e possibilmente le prestazioni in campo.
Ma le cose possono andare storte anche quando ci si mettono i tifosi e, in conseguenza di un’altra crisi, il Notts County fu comprato da un consorzio medio orientale controllato da una società con sede alle Isole Vergini, Quadbak Investments.
Fu l’ultimo e più grave errore compiuto dall’Associazione dei Tifosi alla guida del club, un abbaglio clamoroso.
Vennero annunciati investimenti per decine di milioni di sterline e Sven Goran Eriksson fu nominato Director of Football, convinto da Russel King, la vera mente dell’operazione che si spacciava come emissario della famiglia reale del Bahrain.
In realtà un truffatore della peggior specie che aveva cominciato la sua carriera cercando di raggirare l’assicurazione della sua Aston Martin che denunciò esser stata rubata mentre in realtà era nascosta nel garage di casa, chiedendo danni per seicentomila sterline.
Qui a Nottingham riuscì a raggirare parecchie migliaia di persone, l’Associazione tifosi del Notts County, facendosi vendere il club per una sterlina promettendo il risanamento dei debiti e grandi investimenti, essendo lui l’amministratore di miliardi di dollari della famiglia reale del Bahrain. Millanterie al cubo.

La Football League cominciò ad nutrire grossi dubbi sulle coperture finanziarie di Quadbak, una volta scoperto che King c’entrava qualcosa e vista anche la renitenza del consorzio a fornire garanzie adeguate nonché informazioni sulla propria attività e riuscì a costringere King a vendere il club, di nuovo per una sterlina.
Il nuovo proprietario si ritrovò con due richieste di messa in liquidazione emesse da HMRC per tasse non pagate per un totale di un milione di sterline. Riuscì a scamparla e a vincere il campionato di quarta divisione.
Poi il familiare trantran a Meadow Lane fatto di gestioni traballanti e altalena tra la terza e la quarta serie, fino a sabato, giorno dell’ultimo salto in basso, stavolta verso livelli sconosciuti e poco consoni. O forse consoni, visto l’andazzo.

Nel mezzo pure l’incredibile invito della Juventus, visto il lontano e sorprendentemente riesumato (da Torino) legame a proposito delle maglie, ad inaugurare il proprio nuovo stadio e l’ancora più incredibile 1-1 firmato da quel vecchio teppistone di Lee Hughes.
Forse il punto più alto del club negli ultimi 25 anni, un invito appunto.
Ma ci può stare dati quarti di nobiltà in ballo nonché il lignaggio di vecchio club di gentlemen ci può stare.

Stranamente il Notts County gode di largo sostegno all’estero, in particolare Ungheria e Italia, abbiamo visto come mai, credo, ma ci deve essere dell’altro in quanto risulta essere sempre tra il 6° e l’8° club inglese più seguito all’estero.
Il mito dell’epopea antica?
Senz’altro si.

Li vidi giocare un quarto di finale di FA Cup a White Hart Lane tantissimi anni fa.
Andarono in vantaggio con un bolide strepitoso di esterno sinistro all’incrocio, chi fosse non ricordo.
Furono piegati in rimonta (2-1)solamente da un caparbio Gazza ma vendettero cara la pelle.
Uno dei miei ‘scalpi’ migliori in termini di squadre viste dal vivo.
Per tutto l’anno al sabato è stato uno dei risultati che, con grande preoccupazione, sono andato subito a guardare. .

lunedì, maggio 20, 2019

Giuda live a Parma "Splinter" 18 maggio 2019



I Ramones del GLAM ROCK spazzano via il pubblico parmense con 45 minuti giusti giusti, senza pause, senza un attimo di respiro, sorta di suite rock 'n' roll anfetaminica made in 1973.
Breve bis e tutto è finito.
La PERFEZIONE ROCK 'n' ROLL ASSOLUTA.

Il sound è più aspro e punk rispetto ai vinili, l'impatto tremendo, un tiro raro, i brani eseguiti con impeccabile perizia.

I GIUDA sono una macchina da guerra perfettamente oliata, alla conquista del mondo (gli Usa li attendono con decine di date, dopo aver sbancato Parigi e con un sold out al "100 Club" di Londra), cresciuti lentamente e faticosamente dal basso, esclusivamente con le proprie forze.
E questo ce li fa amare e rispettare ancora di più.

Ad aprire il frizzante garage voodoo beat delle BombO'Nyrics.

domenica, maggio 19, 2019

Duga 3



La fine del mondo è la rubrica domenicale che va ad esplorare i luoghi abbandonati dalla storia, particolari o estremi.
I precedenti post
:
http://tonyface.blogspot.it/search/label/La%20fine%20del%20mondo

Uno dei luoghi più inquietanti, pericolosi e ostili della Terra è senz'altro quello che circonda la centrale nucleare di Chernobyl, in Ucraina.

Non lontano sorgono i resti, in progressiva obsolescenza del sistema “Duga” (“arco” in russo), un complesso di enormi antenne in grado di rilevare il lancio di missili a grande distanza sul territorio sovietico.
Duga 3 è stato attivo per un decina di anni tra il 1976 e il 1989.

Le antenne, alte 150 metri, 90 metri di ampiezza e 900 metri di lunghezza, emettevano un segnale fisso ripetitivo denominato "picchio", The Russian Woodpecker.

Quando Duga 3 era operativa era abitata da 1.500 persone anche se il luogo era segnato sulle mappe era segnata come “campeggio estivo”: vi abitavano militari e scienziati in appartamenti, con anche scuole, ospedali, centri sportivi e campi giochi per i bambini delle famiglie al seguito.

Esiste una teoria complottista (ma forse non troppo) che sostiene che l'incidente di Chernobyl sia stato provocato dalle autorità sovietiche o indotto dall'attività di Duga 3.

La struttura è ora fatiscente e abbandonata (pur se ancora presidiata), raggiungibile solo con concessioni complicatissime da ottenere.
Un crollo potrebbe generare vibrazioni pericolose per la vicina centrale di Chernobyl, con il rischio concreto che si possano sollevare nell’aria tonnellate di polvere radioattiva.
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