giovedì, dicembre 31, 2020
Il meglio del mese. Dicembre 2020
PAUL MCCARTNEY - III
A uno dei più grandi compositori di musica popolare di sempre non puoi dire granché.
Lo ascolti con deferenza e devozione.
Anche quando se ne esce con album francamente inutili, più per autocompiacimento che per reale urgenza artistica.
Il nuovo lavoro, registrato in solitaria nello studio casalingo offre la consueta classe compositiva, il fascino del suo tocco, qualche sperimentazione, ballate suggestive etc. etc.
Ma, contrariamente all'eccellente precedente "Egypt station" e al più che dignitoso "New", si fa dimenticare velocemente e non rientrerà sicuramente nel meglio della sua produzione solista.
PAUL WELLER - Wake up the nation (10th anniversary remix)
Nel decennale dell'uscita Welle rimette mano al mix di uno dei suoi album solisti più riusciti, immediati e spontanei. E il risultato é più che ottimo, nonostante non abbia mai apprezzato questo tipo di operazioni. Molto caotico il mix originale, più distinti gli strumenti in questo. Un ottimo lavoro, sicuramente interessante per i Welleriani più accaniti.
KELLY FINNIGAN - A Joyful Sound
Splendido album natalizio dal leader dei Monophonics. Niente campanellini e renne da un torrido soul/rhythm and blues con l'aiuto di una lunga serie di ospiti dai Durand Jones & The Indications, The Dap-Kings, Ghost Funk Orchestra, Monophonics, Orgone, The Harlem Gospel Travelers e decine di altri. Fighissimo.
JAMIE CULLUM - PIano man at Christmas
Il grande crooner ci delizia con un album natalizio di brani autografi a base del suo inconfondibile stile pop jazz swing.
Bello, cool, raffinatissimo.
AC/DC - Power Up
Ovviamente il ritornello é sempre lo stesso: fanno sempre la solita canzone da 100 anni. Vero. Il nuovo album è uguale a mille altri ma così bene lo fanno, ovviamente, solo loro. Hard rock, rock 'n' roll, puro e semplice, come la pizza margherita.
FIVE FACES - Meali
Il quartetto genovese torna con un formidabile album, tutto in italiano che, con un grande sound, perfettamente prodotto da Craig Coffey, sfodera dieci brani di classe cristallina tra punk, beat, mod, soul, una grande energia e un finale spettacolare in cui riprendono in chiave reggae "Creuza de ma" di De Andrè (con un insert di "Bankrobber" dei Clash da brividi).
LEE FIELDS AND THE EXPRESSIONS - Big Crown Vaults Vol. 1
Una serie di outtakes rimaste fuori dagli ultimi album del grande soulman. Puro Otis Redding con pennellate del James Brown 70. Da ascoltare!
FUSION FUNK FOUNDATION - Feel the base
I fratelli Lo Greco regalano un nuovo, spettacolare, album a base di travolgente groove funk soul. Siamo dalle parti di una versione più "black" di Incognito e Brand New Heavies con brani di grandissimo impatto. Feel the groove!!!
GAZZARRA - The bossa lounge sessions
L'infinita carriera di Gazzara si arricchisce di un tassello mancante, un doppio live (una album sul palco, un altro live in studio) in cui ci delizia di stupende versioni in chiave lounge pop soul di classici (da "Do it again" a "Hot barbecue" a "You're the best thing" o "New frontier") oltre ad un'ampia scelta dal repertorio autografo.
THEFINGER - Surfacing
Nuovo lavoro per Franco Di Terlizi (alias Thefinger). Cinque brani che incrociano il gusto Paisley rock, tinto di ruvidezze psichedeliche alla Dream Syndicate con un tocco alla Kinks ("Ian Curtis"), alt folk di stampo americano e una grande personalità. (Breve) disco con i fiocchi!
FLEUR - Fleur
Molto carino e sbarazzino lo ye ye beat della giovane canta nte francese, che riporta a Francoise Hardy e Lio.
HER DEM AMADE ME – Siamo sempre pronte, siamo sempre pronti
LORENZO "ORSO" ORSETTI TEKOSER era un combattente per la libertà.
Anche la nostra.
Lorenzo è caduto in Siria per mano dell’ISIS il 18 marzo 2019, all’età di 33 anni.
Lorenzo combatteva per la giustizia e per un mondo più equo e quindi stava dalla PARTE GIUSTA.
Gli sono stati resi numerosi omaggi, ricordi, riconoscimenti per il suo sacrificio.
Questa compilation è un ulteriore pensiero alla sua memoria.
I proventi saranno interamente devoluti al centro Alan’s Rainbow di Kobane per dotarlo di un ambulatorio pediatrico che sarà intitolato a Lorenzo Orsetti Tekoşer, partigiano internazionalista.
Invito ognuno di voi ad acquistarne una copia, pure in questo periodo così schifoso per i portafogli e con altre urgenze.
Se potete anche più copie da regalare a compagne e compagni, amiche e amici, invitandoli a fare lo stesso.
Un piccolo gesto per cambiare un mondo.
E poi c'è la musica, molto bella, interessante, sincera, intensa, con i brani di 24 Grana, Serena Altavilla, Assalti Frontali, Angela Baraldi, Cesare Basile, Paolo Benvegnù, Giorgio Canali & Rossofuoco, Pierpaolo Capovilla, Marco Colonna, Vittorio Continelli, Max Collini, Cristiano Crisci, Dagger Moth, Ginevra Di Marco, Er Tempesta, Giancane, La Rappresentate di Lista, Lucio Leoni, Malasuerte, Mokadelic, Nummiriun, Rita Lilith Oberti, Marco Parente, Carmelo Pipitone, Rapper C J A SAP, Marina Rei, Roncea, Tre Allegri Ragazzi Morti, Giovanni Truppi, Margherita Vicario, e il contributo artistico di Zerocalcare, che ha fornito le illustrazioni presenti nel booklet, tratte dal suo fumetto “Macelli”.
La compilation è frutto di una direzione artistica collettiva; ogni artista ne ha coinvolto un altro in una catena che solo per motivi tecnici si è dovuta fermare a 24 canzoni.
LETTO
ANTONIO SCURATI - M. L'uomo della provvidenza
Seconda parte della trilogia dedicata a Mussolini.
Un romanzo basato su fatti concreti, storici, con relativi documenti che ne comprovano la veridicità.
Ci eravamo lasciati con il delitto Matteotti, di cui il capo del governo si assunse la responsabilità in Parlamento, trovando tutti proni e taciti.
Qui si va dal 1925 al 1932, l'ascesa al ruolo di Duce autoritario e dittatore che prende in mano in toto le redini del paese, a qualunque costo, violenza dopo violenza e sopraffazioni, in totale spregio a qualsiasi senso di giustizia. Il paese viene totalmente fascisticizzato.
In parallelo in Libia Graziani, Badoglio, Del Bono compiono efferatezze di ogni tipo massacrando con l'iprite, fucilazioni sommarie, stupri, devastazioni, campi di concentramento in mezzo al deserto decine di migliaia di abitanti, uomini, donne, vecchi, bambini.
Il tutto avvallato dal capo supremo.
Sventra Roma e distrugge preziose vestigia millenarie per costruire la via dell'Impero...il più vasto teatro di demolizioni della storia moderna...
Il fascismo é però un laido verminaio, fatto di fronde interne, approfittatori, assassini, faccendieri.
Mussolini rimane sempre più solo, minato da problemi fisici, subisce attentati da cui scampa a stento, ma diventa una semi divinità, adorato dal popolo, abbracciato dalla chiesa, supportato dagli indstriali.
Per chi ama la storia d'Italia un modo affascinante e intrigante per entrare nei meandri più reconditi di quell'epoca nefasta.
DOME LA MUERTE / PABLITO EL DRITO - Dalla parte del torto
Io al domani non ho mai pensato, ho sempre vissuto in un eterno presente, con una tensione diretta alla realizzazione dei miei sogni e alla ricerca di un senso di giustizia, equilibrio e bellezza che ho sviluppato nella mia adolescenza turbolenta e ribelle....
posso dire di avere vissuto le cose fino in fondo, senza compromessi, rifuggendo la notorietà, e non ho nulla da rimpiangere, anche se ora ne pago le conseguenze...
ogni iniziativa che va in direzione della sostenibilità e della giustizia sociale va sostenuta con anima e corpo per far si che questo mondo non sia un parco giochi per pochi ricchi sempre più ricchi, ma un luogo dove tutti quanti abbiano lo spazio per vivere con dignità, nel rispetto delle differenze, della libertà e dei desideri dei singoli.
Basterebbero queste parole che chiudono l'appassionante autobiografia di DOME LA MUERTE per innamorarsi di questo libro.
Una corsa ai 200 all'ora, senza freni, nella vita.
Quella che vale la pena di vivere, costi quel che costi.
Sono scelte difficili e definitive, da cui non si torna indietro.
Dome le ha fatte da metà degli anni 70, abbracciando l'etica ed estetica hippie, saltando nel punk e nell'hardcore, virando verso lo space hard rock, tornando al rock 'n' roll, senza dimenticare la techno, i rave, il Djing estremo. In mezzo impegno politico, sociale, in prima linea, sempre, ovviamente, dalla parte del torto
Non ci risparmia nulla: botte, droghe, sesso, disastri, cadute, risalite, aneddoti incredibili.
Felice, orgoglioso, appagato, di aver condiviso (e di continuare a farlo) tante strade con DOME.
WILLIAM BOYD - Nat Tate. Un artista americano
Nel 1998 lo scrittore inglese WILLIAM BOYD scrisse un breve libro (pubblicato per la 21 Publishing, casa edistrice di David Bowie) in cui ripercorreva la vita del pittore statunitense NAT TATE, vissuto e diventato famoso negli anni 50 e che prima di suicidarsi decise di recuperare tutti i suoi quadri e bruciarli.
Se ne salvarono pochissimi.
Il libro parte dalla sua infanzia, si avvale di citazioni di Gore Vidal, giornalisti,perfino DAVID BOWIE, suo grande fan, foto (tra cui una rarissima e unica dell'artista), riproduzioni delle poche opere rimaste. Lo stesso Bowie organizzò il party per il lancio del libro sottolineando che aveva acquistato un suo dipinto alla fine degli anni 60.
Ah la presentazione si svolse il PRIMO APRILE.
Il libro di Boyd era pura invenzione con la complicità di Bowie e altri artisti coinvolti (le foto inserite erano state raccolte dall'autore nel corso degli anni nei mercatini dell'usato e raffiguravano persone sconosciute) ma furono in tantissimi a crederci e a fingere di conoscere l'inesistente Nat Tate (nome derivato da NATional Gallery e TATE Gallery).
In questo libro c'è il racconto originale e la conclusione di Boyd che lamenta il fatto che anche dopo l'ammissione della burla, non sono cessate le richieste di parlarne, di approfondire il discorso, addirittura uno dei disegni inseriti nel libro (opera dello scrittore), provocatoriamente incorniciato e messo all'asta da Sothesby's per beneficienza, fu venduto per 7.500 sterline.
EZIO GUAITAMACCHI - Amore, morte e rock 'n' roll
Di morti, più o meno eccellenti, nella storia del rock ce ne sono state in abbondanza, incluse quelle misteriose e controverse.
Ezio Guaitamacchi è andato alla ricerca degli ultimi giorni di una serie di rockstar, in un lavoro ben riuscito, in cui l'autore si accosta con delicatezza a un argomento così sensibile e delicato, attingendo da interviste, dichiarazioni, ricordi delle persone più vicine, riuscendo a trovare particolari inediti che vanno a completare il ritratto dell'artista.
Ci sono i grandi nomi che hanno accettato con consapevolezza l'imminente destino, da Bowie a Mercury, Lou Reed, Lemmy dei Motorhead, quelli colti all'improvviso e coloro la cui dipartita era abbondantemente annunciata, a causa dello stile di vita.
Tanti particolari, foto rare e una confezione sempre elegantissima, nel tipico stile delle pubblicazioni Hoepli, completano un libro sicuramente intrigante.
IAN PENMAN - Mi porta a casa, questa curva strada
Ian Penman è uno dei migliori critici musicali inglesi, da New Musical Express a The Face, Uncut, The Wire e The Guardian.
In questo libro sono raccolti suoi otto saggi, scritti con pungente ironia, riferimenti colti, un tratto agile e molto fresco.
Talvolta si perdono i rimandi ad aspetti e autori della cultura (musicale e non) inglese ma la lettura é consigliata e avvincente.
Si parla di James Brown e Prince, Charlie Parker, Elvis e Donald Fagen.
Si parla anche della Cultura Mod e leggerne é un vero piacere, con frasi che ne colgono al meglio l'anima.
Autori Vari - Cagliari 1970. Tracce oltre la leggenda
Dodici racconti e altrettante illustrazioni, dedicate a QUELLO scudetto, l'unico vinto, 50 anni fa. Gigi Riva e compagni compirono un'impresa unica e irripetibile.
Sia a livello calcistico che nel suo significato sociale e culturale.
Attraverso storie varie (a volte divertenti, altre ancora amare) si rivivono quei momenti (sempre accompagnati da un brano significativo dell'epoca).
ORGOGLIOSO di essere l'unico autore non sardo di nascita ma da sempre sardo dentro.
NICOLA GARDINI - Il libro é quella cosa
Una celebrazione del libro, le librerie, le pagine fruscianti, il possedere tanti libri, allineati, trama e testimonianza della nostra vita. L'autore condensa la sua passione in brevi riflessioni, divertenti, acute, spesso malinconiche. Un centinaio di pagine da leggere in un'oretta. Molto gradevole.
ANGELO MARCHESI - BLOOM FILES
Migliaia di concerti (e che concerti! Dai Nirvana al meglio del garage punk internazionale, Green Day, Hole, Queens of the Stone Age, Motorpsycho, Jon Spencer Blues Explosion e un numero incalcolabile di band italiane) ma anche cinema, teatro, eventi artistici di ogni tipo, corsi etc etc.
Non per nulla il BLOOM di Mezzago è uno dei migliori locali italiani di sempre.
Qui si cerca (faticosamente, nessuno ha mai tenuto un archivio di quanto accaduto tra quelle mura) di ricostruirne la storia, dai profondi anni 80 ad oggi, soprattutto attraverso decine di foto, volantini, articoli, testimonianze. Bello e anche struggente per chi ci ha vissuto così tante serate ad IMPARARE.
TERESA FABOZZI - Il giro
Delizioso breve romanzo (dai probabili, forti, evidenti riferimenti autobiografici) che ci porta in una versione al femminile di un frame di "Quadrophenia" tra oscuri mod club scozzesi, northern soul, modettes e una misteriosa love story. Veloce, avvincente, fresco, mod.
CLAUDIO GALUZZI - La pianura dentro
Preziosa ristampa del libro di poesie del 1993 di Claudio Galuzzi, scrittore, poeta, intellettuale, scomparso troppo presto e sempre rimpianto e nel cuore. Nuova veste e medesimo impatto.
GIANLUCA DI LEO - Unici eredi di un grande impero
Una full immersion nel mondo della ROMA CALCIO. Le storie, gli striscioni, gli inni, le bandiere,i gruppi ultrà, le citazioni, la curva, le sottoculture in curva e tanto altro.
Un libro totalmente giallorosso.
GIMMO - My rivers my blues
Un suggestivo viaggio tra parole, immagini, canzoni (riproducibili con lo smartphone attraverso dei codici QR), registrate sulle rive del Mississippi nostrano, il Po e il suo celebre affluente Trebbia. "MyRiversMyBlues é il mio canto alla bellezza della natura. Un inno alla ritrovata libertà"
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Il meglio del mese
mercoledì, dicembre 30, 2020
Il mio 2020
Un anno proficuo e bulimico per le mie velleità letterarie:
"PUNK. Born to lose", pubblicato da Diarkos, la ristampa di "Mod generations", la super visione a "Arcipelago Mod" di Stefano Spazzi ma soprattutto la partenza della mia editrice COMETA ROSSA EDIZIONI con il primo libro dedicato a "Sandinista!" dei Clash le cui 100 copie stampate sono andate esaurite in 5 ore.
E infine, oltre ad alcune prefazioni in vari libri la partecipazione a Cagliari 1970. Tracce oltre la leggenda con il racconto "Il Cagliari" e la ristampa del volumetto di Inchiostro Sprecato con il racconto "Spara Iuri spara"
Ferma la musica, con i NOT MOVING LTD ci siamo ritagliati una sola data e tanti progetti e idee per il futuro...
E' felicemente proseguita la collaborazione settimanale con il quotidiano di Piacenza LIBERTA', quella mensile con CLASSIC ROCK e VINILE, quella quotidiana con il portale RADIOCOOP.it, quella con IL MANIFESTO ed é iniziata quella con il portale Facebook GOOD MORNING GENOVA.
Con molto piacere continuo a fare parte delle giurie del PREMIO TENCO e dei ROCKOL AWARDS.
Tra le interviste di quest'anno:
Tav Falco, Steve Wynn, Bobby Solo, Gianni Leone, Ritmo Tribale, Matteo Guarnaccia, Hugo Race.
INTO 2021
I progetti non mancano, vediamo cosa ci riserveranno i prossimi incertissimi mesi.
Un nuovo capitolo di COMETA ROSSA vedrà la luce a fine aprile.
Ma ci sono in previsione un altro paio di libri entro la fine dell'anno.
Il blog proseguirà la sua incessante attività (corroborato da un seguito sempre crescente), musicalmente ogni mossa é subordinata a una realtà imprevedibile.
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Il meglio dell'anno
martedì, dicembre 29, 2020
Il calcio in India - Seconda parte
Ho chiesto a ALBERTO GALLETTI una ricerca sul CALCIO in INDIA.
In parole povere: perché una nazione di un miliardo di persone, di estrazione (forzatamente) anglofona non ha mai espresso anche solo a livello continentale un calcio accettabile?
Sabato 12 dicembre IL MANIFESTO ha pubblicato una riduzione di questo articolo.
PARTE SECONDA
Rise & rise
La prima vittoria della nazionale indiana di cricket in un Test Match contro l’Inghilterra nel 1952, aumentò di parecchio la popolarità di questo gioco, fino a li recluso nella torre d’avorio delle cerchie di altolocati veri e propri.
I buoni risultati del decennio successivo, culminati con un doppio successo nelle serie su Inghilterra e West Indies rispettivamente nel ’70 e nel ’71, insieme alla comparsa sulla scena del grande Sunil Gavaskar, consacrarono il cricket nuovo sport nazionale consegnando il calcio alla seconda fila.
L’ inaspettata vittoria dell’India al mondiale di cricket del 1983 poi, capovolse in un sol colpo gli equilibri di preferenze interni al cricket e tra cricket, calcio e hockey.
Da li in avanti l’ascesa del One Day Cricket in India divenne inarrestabile, fino a raggiungere gli assurdi di oggi ben espressi dall’ancor più assurdo ed insensato successo del T20 (non solo in India).
…and fall
Dopo i picchi del ’60 e del ’64 invece, la nazionale di calcio non era più riuscita a ripetersi, anzi le sue fortune declinarono abbastanza rapidamente; trend che è continuato, trascinando con se l’intero movimento, per quattro decenni .
Il calcio rimaneva uno sport gestito come il cricket, dominato da Calcutta, con qualche favoritismo regionale duro a spegnersi che si ripercuoteva sull’attività dei club, tutto sommato campanilistica.
In se sportivamente un bene, ma troppo frammentata e discontinua.
Non esisteva un campionato nazionale ma solo la Durand Cup, affiancata prima dal IFA Shield e poi dalla Santosh Cup.
Questi tre tornei rimanevano gli unici in ambito nazionale ma la loro formula, torneo ad eliminazione diretta, nonché struttura: alla Durand Cup partecipavano club militari o dipendenti da altri enti governativi, lo Shield era disputato dai club mentre la Santosh Cup da rappresentative statali, non era in grado di garantire una crescita costante ne tantomeno uniforme, nè considerevole al movimento.
Se uscivi al primo o al secondo turno , le partite competitive erano finite.
I club continuavano con i loro calendari pieni di tornei locali o amichevoli ma è chiaro che in questo modo le possibilità di migliorare non erano molte. Troppa frammentazione, troppa dispersione.
Bob Houghton, CT inglese dell’ India tra il 2006 e il 2011 definì ad esempio la Santosh Cup un inutile spreco di tempo e talento.
Questo in un’epoca in cui c’era già il campionato, figuriamoci prima.
Infatti nel 1996 la Federazione cercò di invertire la tendenza con la creazione della National Football League, il primo campionato indiano della storia.
Dopo oltre cento anni di attività sparsa e talvolta isolata e discontinua, il calcio in India si dotava di un sistema organizzato in categorie nazionali.
La NFL fu dotata di carattere semiprofessionistico, al posto del dilettantismo di prima, con il chiaro intento di incrementarne il livello.
Otto furono le partecipanti alla prima edizione. Un contratto con Sky fruttò alla federazione un milione di sterline l’anno.
L’anno successivo le squadre salirono a dieci e fu creata una Seconda Divisione con sistema di retrocessioni e promozioni automatiche.
Le cose parvero procedere in maniera positiva e nel 2006 fu aggiunta una terza divisione.
Non era proprio così, crescenti difficoltà economiche e il fallimento di un club già dal 2002, portarono gli organizzatori a dichiarare che il campionato navigava finanziariamente in pessime acque.
Oggi
La Federazione riprese ancora una volta in mano il pallino, questa vota in maniera più decisa.
La NFL fu ristrutturata, rinominata I-League e dotata di nuove risorse grazie al nuovo sponsor Oil & Natural Gas Corporation e ad un contratto di copertura televisiva decennale con la rete Zee Sports.
L’intenzione, stavolta, rendere il calcio indiano completamente professionistico per davvero.
La struttura prevedeva due divisioni da dieci squadre ciascuna, portate a dodici l’ anno dopo.
Rimaneva comunque un contesto ristretto in quanto le dodici formazioni provenivano da sole tre città, da cui seri interrogativi sul carattere nazionale del campionato.
Altre due squadre furono aggiunte nel 2009 provenienti da due nuove città.
Ciononostante la culla del calcio indiano rimane Calcutta, niente di strano comunque, basti pensare a Buenos Aires, Londra o Montevideo.
La nazionale non beneficiò molto della trasformazione del campionato, rientrata dopo un’ assenza di 27 anni in Coppa d’Asia nel 2011, fu eliminata al primo turno dopo tre sconfitte.
Questo non ha impedito alla squadra di essere accolta con grandi trionfalismi al rientro in patria.
Segno che il battage televisivo funziona, e anche che nessuno ancora ci capisce più di tanto.
Anche in termini di spettatori non è che le cose vadano così bene: la media spettatori in campionato nel 2014 è stata di 5.618 spettatori a partita.
La squadra più seguita è risultata il Mohun Bagan con una media di 17.068 spettatori a partita, davanti al Shillong Lajong con 11.308, tutte le altre sono sotto le diecimila unità.
Numeri da Serie A norvegese, un Paese di poco meno di 5 milioni e mezzo di abitanti.
Da segnalare comunque che a Calcutta, il derby di I-League del novembre 2011 fece registrare la bella cifra di 90.000 spettatori.
I club continuarono ad avere problemi finanziari.
I giocatori chiesero, e talvolta ottennero, più soldi, ma gli incassi delle partite rimasero magri, le partite giocate alle tre del pomeriggio non invogliano; il merchandising e altre entrate da partita inesistenti e i diritti tv vanno direttamente in tasca alla federazione che poi ridistribuisce con parsimonia o non ridistribuisce affatto.
Qualche giocatore nel giro della nazionale ha fatto provini in Scozia e Inghilterra e poi è finito a giocare in Danimarca.
Insomma, non tutto sto successo.
Nel 2010 però, la AIFF, in anticipo di quattro anni sulla scadenza, decise di terminare il contratto con Zee Sport in virtù di un’offerta superiore di Reliance-IMG, multinazionale con sede a Mumbay, pari a 105 milioni di dollari per i successivi quindici anni.
I club si ammutinarono rigettando l’offerta di Reliance o forse quello che la AIFF avrebbe riservato loro.
Dopo una vertenza legale senza sbocchi, l’offerta fu ritirata.
La questione non finì li perché ne Reliance ne la AIFF , che annusava il colpo grosso, gettarono la spugna.
Così, sull’onda del successo senza precedenti della cricket IPL, nel 2013 Reliance fonda, con il patrocinio federale, la Indian Super League che prese il via nell’ottobre 2014.
Anche qui l’obiettivo, dichiarato, è quello di far crescere il calcio (professionistico) in India bla bla bla, ma a guardarci dentro bene si vede che fu un’operazione di showbiz più che sportiva.
Fondata e gestita da una controllata di Reliance Industries Ltd che individuò otto città e indisse un’asta per aggiudicarsi la proprietà delle nuove franchising o franchigie.
Si può fare più o meno tutto se dietro hai reti televisive, multinazionali e stelle del jet-set indiano, dalle star di Bollywood ai nazionali di cricket, semidei dell’ India di oggi, che manifestano interesse verso un tipo di investimento del genere.
Compreso aggirare i regolamenti FIFA che vietano la disputa di più di un campionato nazionale in ogni Stato.
FIFA che però, davanti ad una potenziale esplosione del calcio in India, non ha esitato a concedere una speciale dispensa per la formazione e la disputa di questo torneo, che però non riconobbe inizialmente come campionato nazionale.
L’ asta fruttò qualche centinaio di milioni di dollari.
Quando gente come Tendulkar, Ganguli, Dhoni e soprattutto Kohli vi partecipano per aggiudicarsi la proprietà delle franchigie, il delirio massmediatico è assicurato.
E con esso la partecipazione dei colossi televisivi (a pagamento) indiani.
Star, uno dei canali più potenti, una volta terminata l’aggiudicazione delle franchigie comprò il 35% per cento della Indian Super League versando 300 milioni di dollari agli organizzatori e garantendosene i diritti televisivi per dieci anni.
Dopo questo fondamentale colpo di scena arrivò puntuale l’incredibile voltafaccia di FIFA e federazione asiatica che riconobbero la ISL come campionato ufficiale, parallelo e non organicamente inserito nella struttura della I-League che rimane il campionato ufficiale, in modo di permettere alle prime due classificate di partecipare alla Aian Champions League.
Senza vergogna.
La cosa sembra però funzionare, almeno un po'.
Dando una rapida scorsa ad alcune cifre, si scopre che il Pune FC, ad esempio, in cinque stagioni ha avuto medie spettatori comprese tra le 16.738 e le 18.724 presenze a partita, con una percentuale di riempimento dello stadio compresa tra il 91% e il 98.54%.
Tutti numeri maggiori di quelli dell’Atalanta.
Meglio ancora i Kerala Blasters, che nei primi tre campionati ha fatto registrare medie superiori ai cinquantamila spettatori a partita.
In Italia negli ultimi otto anni c’è riuscita, due volte, solo l’Inter.
Le presenze allo stadio nel 2018/19 sono state di buon livello.
Le squadre sono dieci, non ci sono retrocessioni o promozioni, ma un criterio di allargamento del franchising tipo quello della MSL.
Industria dello spettacolo pura e semplice creata per le tv.
La media spettatori più alta è risultata essere 20.016, la più bassa 4.981, quella del campionato 13.155.
La partita di campionato con il record di pubblico è stata ATK- Kerala con 42.102 spettatori, ma poi , inspiegabilmente, la finale del campionato ne ha fatti registrare solamente 7.372.
Ancora l’attenzione del pubblico non si concentra sul calcio in se, ma probabilmente sul contorno.
Diciamo comunque numeri da campionato svizzero, tanto per capirsi.
I biglietti costano l’equivalente di 3/ 4 dollari, non sufficienti a dare incassi in grado di contribuire alla gestione dei club e sono quindi i diritti televisivi, aggiudicati l’anno scorso ai due giganti Star e Hotstar a tenere in piedi la baracca.
Tutte le 100 partite del campionato vengono trasmesse in diretta.
Il pubblico televisivo potenziale nel 2019 è stato valutato in 168 milioni di telespettatori e questo, insieme alla previsione di raggiungere presto i 250 milioni, conta di più del livello mediocre del campionato.
Non così male, ma non si diventa forti con gli spettatori tv e milioni fatti in pubblicità, quelli servono per arricchire chi organizza il campionato e i proprietari delle squadre.
Si diventa forti giocando e, non si scappa, bisogna partire dal basso, dai bambini.
La Durand Cup e il Santosh Trophy hanno continuato a svolgersi, Houghton è stato rimpiazzato da Igor Stimac e la nazionale continua a combinare qualcosa solo nella Coppa dell’Asia Meridionale e neanche sempre.
Domani
Ci sono poi due problemi , escludendo il cricket, con il calcio in India.
Il primo è che, anche a chi il calcio piace importa poco del calcio indiano.
Guardano quasi tutti la Premier League o altri campionati europei e sono tifosi di Manchester United, Real, Barcellona o Liverpool.
Sembra esserci una totale ignoranza sui protagonisti attuali del calcio indiano giocato, tra i calciofili indiani tutti conoscono Messi e Ronaldo, ma nessuno sa dire la formazione della nazionale e a malapena conoscono nome del giocatore più famoso.
Un fatto questo che evidenzia la mancanza di campioni e/o idoli locali o meglio ancora la tendenza a snobbare i calciatori del posto preferendogli le superstar mondiali.
Forse può non sembrare ma credo che lo spirito di emulazione, molto importante tra i giovani sportivi, possa risultare poco determinante quando gli idoli cui ispirarsi non sono del posto.
Risulta inoltre mortificante per i calciatori indiani come puntualizza il capitano della nazionale che afferma di preferire gli insulti all’indifferenza, almeno sarebbe segno che a qualcuno di noi importa qualcosa.
In un panorama del genere, scalzare il cricket dal piedistallo sul quale si trova mi pare come voler scalare il Mortirolo con un triciclo.
Il calcio oggi in India non dà nessun tipo di visibilità, celebrità o tantomeno ricchezza per chi lo pratica, soldi e prestigio sono associati al cricket.
Ed ecco qui ecco il secondo problema che riguarda la società indiana e la mentalità corrente.
Se giochi nella IPL, o per i Mumbai Indians o meglio ancora in nazionale, benissimo.
Se sei un calciatore del Dempo è meglio che lasci stare e finisci di studiare.
Questo è il pensiero dominante, quello che i genitori impongono ai figli.
I genitori vogliono avere motivo di vanto per i loro figli verso altri genitori, questa è la mentalità imperante.
Quindi, a meno che tu non sia un cricketer promettente, i genitori scoraggiano apertamente la pratica sportiva e non accettano altro dai figli che non sia lo studio.
Alcuni incolpano la mancanza di strutture, ma non mi pare essere questo il problema quando posti come il Sud America, soprattutto, ma anche l’Africa, producono giocatori e squadre di grande livello partendo da una mancanza di strutture di base.
Ma i bambini e ragazzini sudamericani e africani giocano a calcio ovunque, così come i bambini indiani giocano a cricket ovunque capiti.
Bisogna invogliarli a giocare.
A Pune, il presidente del Pune FC, un businessman che ha studiato in Inghilterra, fanatico del calcio e tifoso del Liverpool (ma si può?) sta organizzando un settore giovanile partendo dalla realizzazione di un impianto sullo stile dei club europei che ha intenzione di alimentare andando a rastrellare talenti negli slums della città , ce ne sono in abbondanza.
E’ convinto di poterci trovare il prossimo Maradona.
Al di là degli auguri mi sembra comunque questa la strada da seguire.
A Pune il calcio è comunque molto popolare.
La nazionale continua il suo percorso deludente, inserita nel gruppo D di qualificazione al mondiale 2018, si è piazzata ultima in gruppo che comprendeva anche Iran, Oman, Turkmenistan e Guam; non esattamente delle potenze.
In quelle per il prossimo mondiale a fine 2019 è penultima nel gruppo E con 3 punti in cinque partite, staccatissima da Oman (13) e Qatar (12).
Se avranno il coraggio di destinare una grossa fetta degli introiti della ISL per finanziare il calcio alla base, creare settori giovanili con allenatori provenienti da paesi calcisticamente evoluti, invece di strapagare il CT della nazionale o gli allenatori e giocatori stranieri della squadre della ISL, e la pazienza di aspettare, magari fra una ventina d’anni cominceremo a vedere qualcosa. Ma sembra che la strada imboccata si a un’altra.
Le squadre della ISL non hanno settori giovanili, non servono per un campionato che dura tre mesi.
Non rischiano di far giocare un ragazzo indiano senza esperienza in un torneo ad alta spettacolarità (televisiva).
Molto triste.
Si rischia inoltre di mandare in crisi il campionato vero, la I-League, che non è in grado di pagare i giocatori allo stesso livello della ISL.
Parecchi sono i giocatori che già hanno cambiato campionato.
La struttura a franchigia tipo NBA non prevede, almeno nell’immediato futuro, una struttura piramidale che rimane per me requisito fondamentale per l’allargamento della base, del consenso verso il calcio e il conseguente aumento di competitività.
Struttura che la I-League ha, in quanto campionato ufficiale, e che andrebbe sostenuto e potenziato mentre invece stà soccombendo, schiacciato dal peso dei milioni di dollari dell’altro campionato.
Non stanno cercando di far crescere un movimento sportivo che eventualmente potrà avere consenso e un certo successo di pubblico, ma stanno cercando di formare squadre per uno spettacolo televisivo che ha già trovato un pubblico.
Sconsolante.
La sconfitta dello sport e il trionfo dello showbusinness.
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Storie di calcio
lunedì, dicembre 28, 2020
Il calcio in India - Prima parte
Ho chiesto a ALBERTO GALLETTI una ricerca sul CALCIO in INDIA.
In parole povere: perché una nazione di un miliardo di persone, di estrazione (forzatamente) anglofona non ha mai espresso anche solo a livello continentale un calcio accettabile?
Sabato 12 dicembre IL MANIFESTO ha pubblicato una riduzione di questo articolo.
PARTE PRIMA
L’ INDIA E LA COPPA DELL’ ASIA MERIDIONALE
Un torneo anomalo.
In tempi di globalizzazione, unificazione di tornei su vasta scala, e allargamento a dismisura di mondiali ed europei, come mai la federazione asiatica e la FIFA consentono e riconoscono ufficialmente lo svolgimento di un torneo del genere?
A quanto pare in Asia fanno un po' tutti quello che vogliono e, a partire dal 1984, la federazione asiatica ha man mano autorizzato la formazione di federazioni sub continentali con avvallo FIFA.
Nel 1997 le federazioni di India, Pakistan, Sri Lanka, Bangladesh, Nepal, Maldive fondarono così la South Asian Football Federation, mantenendo l’affiliazione alla federazione asiatica principale.
Il Bhutan si aggregò nel 2000 e l’ Afghanistan dal 2005 ma lasciò poi nel 2015.
Oggi le sub-divisioni , a connotazione geografica, della Federazione asiatica sono cinque.
Non è che per caso le federazioni coinvolte si sono autodeterminate visto che nella competizione maggiore, la Coppa d’Asia, non fanno mai strada?
Può darsi, nelle passate diciassette edizioni, solo una volta una delle partecipanti alla Coppa dell’Asia Meridionale è finita tra le prime quattro: l’India nel 1964 fu seconda.
Considerando però la data di nascita di queste sub-federazioni a cavallo del nuovo millennio, propendo più per la versione marketing, cioè quello di uno sviluppo del prodotto calcio regionalizzato in cui l’obiettivo principale è stato senz’altro l’ottimizzazione dei proventi, in special modo i diritti tv, e dei profitti economici.
Non mi addentro oltre, non mi interessa.
Le squadre convenute nella SAFF diedero quindi vita alla South Asian Federation Cup utilizzando un torneo che già si disputava tra le medesime squadre fin dal 1993, la South Asian Association of Regional Co-operation Gold Cup.
La prima edizione fu disputata a Lahore in una settimana. Quattro partecipanti in un girone unico all’italiana, partite di sola andata.
Vinse l’India.
Questo l’ Albo d’Oro della competizione:
1993 India 7pt; Sri Lanka 4pt
1995 Sri Lanka 1-0 India
1997 India 5-1 Maldive
1999 India 2-0 Bangladesh
2003 Bangladesh 1-1 (5-3 rig.) Maldive
2005 India 2-0 Bangladesh
2008 Maldive 1-0 India
2009 India 0-0 (5-3 rig.) Maldive
2011 India 4-0 Afghanistan
2013 Afghanistan 2-0 India
2015 India 2-1 dts Afghanistan
2018 Maldive 2-1 India
Di rilievo il dominio indiano, ma anche la forza delle Maldive.
Due estremi: da una parte un paese con un miliardo e duecento milioni di abitanti e una superficie di circa undici volte l’Italia; dall’altra un altro formato da un piccolo arcipelago corallino con una superficie di 300 kmq, poco più della Provincia di Trieste, la più piccola d’Italia o del Comune di Montalcino, con una popolazione di poco inferiore alle 400mila unità, la stessa di Bologna.
Per quanto riguarda le Maldive ci può anche stare, probabilmente giocano tanto, giocano in tanti e sono abbastanza bravi.
L’ Uruguay, ad, altri livelli, insegna.
INDIA: GIGANTE ADDORMENTATO O INDIFFERENTE?
Quello che sembra essere più interessante, se proprio ci si vuol far del male, è chiedersi come mai l’India non abbia mai espresso una squadra, un movimento calcistico o anche solo qualche calciatore, all’altezza delle proprie dimensioni o almeno di un certo livello.
Albori
Si gioca a calcio, in India, da prima che un pallone rotolasse in Italia, l’origine è la stessa: ce lo portarono gli inglesi.
L’esercito qui, a differenza di Genova, dove furono i marinai e i lavoratori delle navi carbonifere battenti bandiera di Sua Maestà a introdurre il nuovo gioco.
Si può già cogliere una differenza negli ambiti in cui il foot-ball germogliò dapprincipio, militare nel sub-continente, perlopiù civile o al massimo legato alla marina mercantile in Italia e nel resto del mondo fuori dall’ Impero.
Questo influì inizialmente sulla diffusione e lo sviluppo del gioco che, in India, rimase per lungo tempo appannaggio di circoli ristretti e chiusi.
Il che non vuol dire che non avesse comunque guadagnato una certa popolarità tra i locali che sicuramente lo videro giocare da subito.
Il primo torneo calcistico disputato in India fu la Durand Cup nel 1888, dieci anni prima del nostro primo campionato, lo stesso anno in cui prese il via il campionato inglese.
E’ la quarta competizione di coppa più vecchia al mondo, dopo quelle di Inghilterra, Scozia e Galles; la più vecchia in Asia.
La sua storia può essere considerata un po lo specchio di ciò che il calcio è stato in India fino ad un certo punto. Diciamo fine millennio.
Istituita dall’allora Ministro degli Esteri dell’India Sir Mortimer Durand, era riservata inizialmente ai vari reggimenti dell’esercito britannico di stanza in India.
Si giocava ogni anno nello stesso posto e quando fu poi allargata anche ai reparti delle forze armate indiane, la fase finale continuò a disputarsi a Simla una località dove gli inglesi avevano costruito un sanatorio nel quale Durand era convalescente dalla tubercolosi quando istituì il trofeo.
Questo fino al 1938 quando fu interrotta dallo scoppio del secondo conflitto mondiale, fu ripresa nel ’40 e trasferita a Nuova Delhi quindi interrotta di nuovo.
Quell’anno vinse il Mohammedan Sporting Club, primo club indiano e non militare a riuscirci. Fino a quel momento i vincitori erano stati unicamente reparti dell’esercito britannico.
Riprese nel ’50, dopo l’indipendenza.
Passò sotto l’egida dell’esercito indiano che ne ha mantenuto il controllo organizzativo e amministrativo fino al 2006.
Si disputa ancora e, sebbene possa essere in qualche modo considerata l’equivalente indiano della FA Cup inglese, il torneo non è mai veramente uscito dal guscio entro il quale nacque e si sviluppò.
Non ha mai costituito perciò il mezzo per ottenere proselitismo calcistico presso le masse. Perché le masse in India non contavano.
Mentre i militari si divertivano col loro torneo , nel 1893 a Calcutta vedeva la luce la Indian Football Association.
Approssimativamente si calcola che fossero 200.000 i sudditi di Sua Maestà residenti nell’allora capitale dell’ India Britannica; una presenza notevole che, oltre agli ovvi motivi economici e politici che ne giustificavano (per così dire) la presenza, comportava l ‘inevitabile fondazione di tutti quei soggetti che caratterizzavano la vita sociale britannica dell’epoca, inclusi gli sport club.
Qui in particolare, fin dal 1877, un ragazzo di nome Nagendra Prasad Sarbadhikari , studente alla Hare School, cominciò a diffondere il suo entusiasmo per il gioco del calcio, trasmessogli da soldati britannici, tra i compagni di scuola.
Gli insegnanti europei incoraggiarono il ragazzo e gli altri studenti alla pratica sportiva e il Boys Club, da loro fondato all’interno della scuola, è considerato il primo tentativo riuscito di formazione calcistica composta da indiani.
Sempre a Calcutta, tre delle famiglie aristocratiche più in vista del Bengala fondarono nel 1889 il Mohun Bagan Athletic Club, la più antica squadra di calcio di tutta l’Asia, una delle più vincenti del paese.
E’ più vecchio del Genoa, e anche del Liverpool.
Nagendra Prasad ne fu poi capitano e può considerarsi a tutti gli effetti il padre del calcio indiano, più di Durand, che era scozzese e non aveva praticamente mai giocato.
Nel 1890, sempre a Calcutta prese il via la Rovers Cup.
Il torneo, che fu molto importante fino agli anni ’80, venne abolito nel 2001 causa congestione nel calendario.
Nel 1891 fu fondato il Mohammedan Sporting Club ad opera di alcuni degli esponenti più in vista della, minoritaria, comunità musulmana della città.
Ciò che sembra essere una costante nel mondo della pedata indiana è senz’altro il rango dei fondatori e dei membri appartenenti a ciascuno dei club fondati da indigeni.
Rango che in virtù della struttura sociale divenne così un elemento essenziale dei club in quanto non era permesso il mescolarsi tra membri di caste diverse e di conseguenza allargare la partecipazione ad essi.
Sorsero poi altri club in giro per la città e nel 1893 fu fondata la Indian Football Association .
Già nel 1898 fu organizzato il primo campionato, la Calcutta Football League. Vinse il 28° Reggimento Fanteria del Gloucestershire, che aggiunse alloro sportivo a quello assai più prestigioso insignito loro dal Duca di Wellington per la valorosa condotta a Quatre Bras, fondamentale nella vittoria di Waterloo e nella capitolazione definitiva di Napoleone.
Parentesi
Citazione merita anche il Calcutta Football Club nonostante sia stato una squadra di rugby.
Fu attivo dal 1872 al 1878, anno in cui il club fu sciolto per gravi divergenze sulla gestione del bar, comprensibile trattandosi di inglesi. A questo punto i soci ritirarono gli averi del club dal conto in banca che furono loro liquidati in rupie d’argento.
Volendo essi perpetuare il ricordo del CFC fecero fondere le rupie d’argento da un orafo locale che ne creò un trofeo e donato alla Rugby Football Union inglese, del quale il club era membro, dietro promessa che fosse messa in palio annualmente ad imperitura memoria. Prontamente la RFU mise in palio il bellissimo trofeo per l’annuale partita contro la Scozia già dall’anno successivo. E’ la Calcutta Cup, per la quale si gioca ancora oggi.
Chiusa parentesi.
Diffusione
Come accennato appena sopra, il calcio in India, introdotto dapprima dai colonizzatori, rimase , una volta diffusosi tra la popolazione locale, materia per le classi alte.
Niente di così strano in realtà, anche a Genova in origine fu così, ma dopo un primo decennio di attività i soci britannici, unitamente a quelli italiani appartenenti al ceto alto-borghese, aprirono il circolo via via sempre più e, con il passare del tempo, il requisito fondamentale passò dall’essere il censo ad essere capace di giocare.
Questo in India non fu possibile in quanto la società, almeno per l’ 80% della popolazione di fede induista è divisa in caste.
E le caste tra di loro non si possono frequentare o interagire, niente. Compartimenti stagni. Non approfondisco, ma questo è.
E’ chiaro quindi che la diffusione del gioco in India sia stata, almeno fino ad un certo punto, ‘orizzontale’ , diciamo così, invece che verticale come accaduto in Europa, ma anche in Sud America.
Di conseguenza, almeno fino al 1950, anno dell’abolizione ufficiale delle caste, i club sono rimasti chiusi dal di dentro senza nessuna possibilità di accesso per individui che non appartenessero alla stessa casta.
Se ne deduce che, a differenza della società occidentale, britannica in particolare, dove il calcio ha fornito dall’introduzione del professionismo in avanti un occasione di riscatto sociale, in India è rimasto sempre un passatempo per chi poteva permettersi di praticarlo e mantenere così un certo prestigio presso i propri pari rango e i colonizzatori.
Questo, mi si perdoni l’ardire, è stato sicuramente un gran bel freno a mano tirato in ottica miglioramento della competitività del calcio.
Ciò che sicuramente accadde, anno dopo anno, fu che i soci giocatori dei vari club rimanevano bene o male gli stessi, magari con qualche aggiunta ogni tanto, ma certo non venivano tesserati giocatori pur se di particolare bravura appartenenti alla casta dei diseredati.
I soci erano quelli che giocavano.
Una situazione completamente diversa da quella dei club europei dove, indipendentemente da quelle che possono essere le tue origini, ti verrà sempre offerto un posto in una squadra se hai dimostrato di saper giocare.
Non in India, dove si è sempre giocato solo con l’unico merito di essere soci di un club.
Questo spiega perché, fino ad un certo punto il calcio sia stato lo sport più popolare: non erano poi cosi in molti gli appassionati di sport.
Ad ogni modo, le competizioni a Calcutta crebbero velocemente in popolarità, aiutate dalla massiccia e decisiva presenza britannica, dilagando un po' ovunque.
La federazione indiana colà fondata era in realtà una federazione regionale, quella del Bengala, nonostante portasse il nome ‘Indian’.
Essendo stata la prima, ce ne furono e ce ne sono altre, nonché la più forte per numero di iscritti, praticanti eccetera, fece le veci della federazione nazionale fino alla formazione di quella vera e propria nel 1937.
Un primo tentativo di formare una rappresentativa dell’India fu fatto già al 1924, si trattava di una selezione mista composta da britannici residenti a Calcutta e indiani.
Non ci sono certezze, ma si può accettare che la prima squadra che si possa chiamare India è quella che andò a Ceylon nel 1933 e vinse 1-0.
L’anno dopo a Calcutta fu invitata la Cina, l’incontro finì pari, 1-1. Il successo di queste rappresentative accelerò i tempi e nel 1937 fu formata la All Indian Football Federation che unirà sotto di se le sei federazioni regionali allora esistenti, tra cui la potente IAF, che ad ogni modo fino ad allora era iscritta alla Football Association inglese. Di fatto un comitato regionale distaccato nel Bengala.
La AIFF cominciò a prendere sul serio la formazione di una squadra nazionale che rappresentasse qualcosa in più che non fosse la sola Calcutta. Un primo team fu inviato in tour in Australia dove raccolse successo sia in termini di risultati che di popolarità presso il pubblico.
Barefoot, really?
La pietra angolare dal calcio Indiano rimane senz’altro l’Olimpiade londinese del’ 48.
Fu il primo torneo di rilevanza internazionale al quale partecipò e non mancò di stupire immediatamente.
Elogiati per la prestazione offerta, un po da tutti, lasciarono il segno nel torneo per un altro motivo.
Sorteggiati nell’incontro degli ottavi di finale contro la Francia, i giocatori indiani si presentarono sul campo di Lynn Road a Ilford scalzi.
Questo particolare mi provoca un grattacapo retrospettivo bello grosso in quanto a questo punto bisogna chiedersi come, fino ad allora, si fosse giocato a calcio in India: gli inglesi tra di loro con le scarpe e gli indiani scalzi?
E quando si incontravano inglesi ed indiani?
E la prima rappresentativa del ’24?
Riuscirono a convincere gli inglesi a giocare scalzi, non credo; viceversa? Non saprei.scalzi Metà con le scarpe metà senza?
E poi, non costituiva uno svantaggio, al di la dell’inghippo regolamentare?
A sentir loro e a leggere le cronache dell’epoca sembrerebbe di no.
La partita con la Francia, terminata con una sconfitta di misura (1-2), si rivelò un trionfo in termini di simpatia per la compagine dai giocatori scalzi.
Furono, a quanto pare, lodati per il bel gioco dalla stampa sportiva britannica, che fece di loro gli indiscussi beniamini di quel torneo.
Io però dico:
Sbagliarono due rigori e subirono il gol della sconfitta all’ 89’, magari con le scarpe avrebbero segnato i rigori e vinto.
Oppure mi sbaglio e il risultato fu onorevole solo perché i francesi usarono un certo riguardo per cercare di non far male più di tanto gli avversari scalzi?
Io sono quanto di più lontano esista dagli analisti pseudo-analitico-scientifici che infestano il calcio del giorno d’oggi, però, che valore si da ad una partita del genere?
Si qualificarono anche al mondiale del ’50 in virtù del forfait delle avversarie nelle qualificazioni e poi si ritirarono a loro volta in quanto la FIFA, memore dell’ Olimpiade di due anni prima, li ammonì a presentarsi in campo indossando scarpe regolamentari, cosa che loro si rifiutarono di fare.
Ci fu una breve diatriba ufficiale al termine della quale, considerando i giocatori indiani le scarpe un handicap, preferirono non imbarcarsi neanche per il Brasile.
Erano stati sorteggiati nel girone dell’Italia.
Iniziò qui il periodo d’oro del calcio indiano che si protrarrà fino a decennio successivo inoltrato.
La popolarità in patria crebbe moltissimo provocando un boom di praticanti e pubblico.
In un’ottica di valutazione del movimento calcistico indiano e, specificatamente in relazione alla domanda ‘come mai non sono mai stati forti?’, la questione delle scarpe non può essere lasciata andare.
Se veramente hanno giocato scalzi, o al massimo con piedi e caviglie bendati fino al 1950, è chiaro che l’evoluzione tecnica, ma anche atletica, del calcio indiano è stata molto diversa da quella del resto del mondo dove i giocatori indossavano scarpe.
Come si corre e si rimane in equilibrio scalzi su un prato?
La concentrazione sul gesto tecnico rimane invariata quando la preoccupazione principale è restare in equilibrio?
Come si calcia sull’erba con il piede d’appoggio scalzo che tende a scivolare in avanti?
La forza impressa è uguale?
Come si salta?
Come si gioca una partita a piedi nudi contro giocatori che indossano scarpe con tacchetti?
Contrasti: chi ci si butta in certi contrasti a piedi nudi?
Le dita risultano completamente prive di protezione, sarà stato in origine anche un gioco da gentlemen, però…
Fermo restando che possano averlo trovato normale, è vero anche che gli inglesi giocare li hanno sempre visti.
E gli inglesi sicuro han sempre giocato con le scarpe, anche sotto le più tremende calure delle estati indiane. Mah..
Io mi sbilancio e dico che per me la mancanza di competitività del calcio indiano viene in larga misura da qua.
Mezzo secolo, forse di più, di sviluppo del giocare senza scarpe per me fu determinante.
L’altra parte è dovuta all’anomalo sviluppo del gioco in relazione all’indole e alla struttura sociale locale.
Bisogna infatti chiedersi quale tipo di mentalità sportiva possa aver partorito un’idea simile e quale tipo di società possa partorire tale mentalità, sapendo benissimo che il resto del mondo usa scarpe .
In questo modo non si accettano appieno le sfide insite nel gioco e di conseguenza la pratica lungo sei decenni ne risulta inferiormente sviluppata rispetto a quella di chi la pratica correttamente, cioè indossando le scarpe.
Si può obiettare che la sconfitta del ’48 contro la Francia costituisse un buon risultato, certamente lo fu.
Ma non riesco a nascondere lo scetticismo di chi ha giocato seriamente almeno un po', non importa il livello.
I francesi che approccio ebbero alla partita quando si ritrovarono di fronte avversari scalzi? Mah..
Poi però lo scetticismo sembra sconfessato dalla trasferta olandese intrapresa sull’onda dell’ entusiasmo olimpico.
Sconfitti di misura, ancora 2-1, a Rotterdam dallo Sparta, i nazionali indiani stupirono tutti castigando amaramente l’Ajax ,con centravanti Rinus Michels, strapazzato con un sonoro 5-1.
Il periodo dal ’48 al ’64 è comunque riconosciuto come l’epoca d’oro del calcio indiano.
Le scarpe costituiranno di nuovo un problema per il mondiale ’50 ma poi l’India si qualificherà per tre olimpiadi consecutive cogliendo il suo miglior risultato di sempre nel ’56 a Melbourne, un quarto posto di tutto rispetto.
Dal ’52 accettarono di indossare le scarpe e dopo l’ Olimpiade del ’60 iniziò il declino.
FINE PRIMA PARTE
domenica, dicembre 27, 2020
Calciolandia. Il Meglio del 2020
Come ogni anno ALBERTO GALLETTI ci riassume quello CALCISTICO appena trascorso.
Sta per chiudersi l’anno solare 2020 con la stagione calcistica nel pieno dell’attività.
E’ stato un anno orribile.
Il calcio ne ha risentito, come tutti gli altri aspetti della vita, devastati da questa schifosa sciagura che ci affligge.
Comunque, ancora una volta ho messo in fila un po della roba che ho visto quest’anno e che sono riuscito a ricordare.
Le partite a porte chiuse sono inguardabili.
MIGLIOR GIOCATORE 2020
1 Robert Lewandowski (Bayern)
2 Song Heun-min (Tottenham Hotspur)
3 Zlatan Ibrahimovic (Milan)
4 Kevin De Bruyne (Manchester City)
5 Josip Ilicic (Atalanta)
Prima della finale di CL aveva uno score stagionale di 55 gol in 46 partite, numeri da capogiro.
Nella stagione 2019/20 capocannoniere in CL, capocannoniere in Bundesliga, capocannoniere in Deutsche Pokal e vincitore di tutte e tre le competizioni.
Attaccante da Pallone d’Oro, e sarebbe ora che la smettessero con le pagliacciate pubblicitarie, per una volta, e glielo dessero.
Il coreano è un attaccante di livello superiore.
Anche per lui numeri fuori dalla norma e rispetto a chi lo precede in questa lista gioca anche meglio.
Sono diversi ovviamente..
Redivivo, Zlatan, trascina il Milan a livelli impensabili fino a prima del suo arrivo.
Nessun dubbio che abbia innalzato la competitività dell’ambiente.
E’ perfino riuscito a far sembrare bravo Pioli e a fargli rinnovare il contratto.
Kevin De Bruyne lo riconfermo, acuti non ne ha avuti, ma la partita la fa sempre e quando comincia a macinare fa mezza squadra da solo, e come tratta la palla!
Il mio centrocampista preferito.
Una rivelazione, che stagione Josip Ilicic!
Gli ho visto fare cose, soprattutto gol, fuori dal mondo.
MIGLIOR SQUADRA DI CLUB 2020
1 Bayern
2 Leeds United
3 Tottenham Hotspur
4 AC Milan
5 Atalanta
Anno solare stratosferico per i bavaresi, miglior squadra dai tempi del Milan di Sacchi.
Certo in Germania ne avran piene le scatole, comunque una squadra stellare, e non certo per i nomi.
Due stagioni in seconda serie per i bianchi di Bielsa con prestazioni fantasmagoriche.
Questo 2020 è stato l’anno dei risultati:
promozione, dopo la delusione dell’anno prima e anche qui niente super-nomi ma un lavoro fatto a fondo sulla struttura e le abitudini calcistiche del club.
Il discorso continua anche in PL.
Per ora stanno andando forte, pur in una PL stranamente equilibrata.
Le carte in regola per arrivare in fondo stavolta mi pare ci siano, a cominciare dal manico.
Dalla ripresa dopo il primo lockdown, il Milan ha avuto un cammino straordinario.
L’impatto di Ibra mi è sembrato decisivo ma quel che è buono, per loro, è che tutti l’han seguito e la squadra ha acquistato convinzione e gioco. Una scia di risultati impressionante ed inaspettata.
Anche per loro possibilità concrete.
2020 strepitoso anche per l’Atalanta.
MIGLIOR SQUADRA NAZIONALE 2020
Doveva essere l’anno dell’Europeo invece, per i motivi di cui sappiamo, l’attività è stata praticamente inesistente fatte salve le stucchevoli amichevoli di inizio stagione truccate da finta competizione.
Comunque:
1 Italia
2 Brasile
3 Belgio
4 Svizzera
5 Inghilterra
MIGLIOR GOL 2020
1 Joshua Kimmich in Barcellona 2-8 Bayern, CL del 14 agosto (per l’azione di A. Davies)
2 James Maddison in Manchester City 2-5 Leicester City, PL del 27 settembre; gol del 1-4
3 Tony Kroos in Valencia 1-3 Real Madrid, Supercoppa di Spagna del 8 gennaio
4 Dominic Calvert-Lewin in Tottenham 0-1 Everton, PL del 13 settembre
5 Jack Harrison in Leeds United 5-2 Newcastle United del 16 dicembre
MIGLIOR PARTITA 2020
Personalissima, anche qui.
Scelte tra le partite guardate per un motivo o per l’altro.
Fondamentali le preferenze personali e il risultato finale.
1 Aston Villa 7-2 Liverpool, PL del 4 ottobre
2 Chelsea 0-3 Bayern, CL del 25 febbraio
3 Real Madrid 3-4 Real Sociedad, Copa del Rey del 6 febbraio
4 Barcellona 2-8 Bayern, CL del 14 agosto
5 Leeds United 5-2 Newcastle United, PL del 16 dicembre
5 Rangers FC 3-2 Standard Liegi, EL del 3 dicembre
SORPRESE 2020
Un bentornato alla Scozia in un torneo ufficiale dopo 22 anni di assenza.
Vero che l’Europeo è allargato a 24 squadre, una cosa ridicola, ma comunque sono riusciti a rialzare la testa e a qualificarsi.
Alphonso Davies, quando mi è apparso, è stato una delle cose migliori che io ricordi nel calcio dall’ apparizione di Gullitt.
La vera rivelazione nei piani alti inglesi.
Gol a grappoli e primo ‘cap’, potenzialmente il futuro per l’attacco inglese. Bravissimo Dominic Calvert-Lewin.
Nonostante le controversie su origine e assetto societario, che condivido quasi interamente, una semifinale di Champions raggiunta partendo da zero in dieci anni o poco più è un traguardo notevole.
Ammessi alla Deutsche Pokal in qualità di vincitori della coppa regionale del Saarland l’anno prima, il 1FC Saarbrücken (IV Serie) arriva in semifinale eliminando solo squadre di prima e seconda serie.
Memorabile la vittoria ai rigori contro il Fortuna Dusseldorf davanti ad uno stadio pieno come un uovo.
Jack Harrison, non in graduatoria, ti tengo d’occhio.
1 Scozia qualificata all’europeo 2020
2 Alphonso Davies (Bayern)
3 Dominic Calvert-Lewin (Everton)
4 RB Leipzig semifinalista in CL
5 1.FC Saarbrücken semifinalista in Deutsche Pokal
MIGLIOR ALLENATORE 2020 Hans Flick!
Che partite!
Ingaggiato a tempo dal Bayern come traghettatore, traghetta i bavaresi nella stratosfera delle prestazioni calcistiche.
Marcelo Bielsa è veramente il numero uno.
E’ talmente grande che non va neanche ad allenare squadre da Champions, che comunque probabilmente non lo cercano.
Quello che conta è che lui non li prenderebbe in considerazione comunque.
Si pone obiettivi, li studia e li insegue.
Quest’anno l’ha pure raggiunto.
E che partite! Va al secondo posto per via di questo Bayern interstellare.
Non me lo aspettavo.
All’inizio ero scettico e dopo l’anno scorso perplesso. E’ quindi sempre vero che il lavoro in profondità richiede tempo.
Bravo Steve Gerrard, speriamo continui così.
Mai piaciuto Maureen.
Mi pare comunque che ciò che costò al Tottenham il titolo nel 2016, cioè la difesa, sia stata migliorata.
Potrebbero avere chances. Se fa vincere il campionato agli Spurs magari cambierò opinione su di lui; non troppo eh…
Il Gasp è da anni il mio allenatore italiano preferito, ma allena chi allena ragion per cui finisce quinto.
1 Hans Flick (Bayern)
2 Marcelo Bielsa (Leeds United)
3 Steve Gerrard (Rangers FC)
4 Jose Mourinho (Tottenham)
5 Giampiero Gasperini (Atalanta)
MIGLIOR DIVISA 2020
Il giudizio è basato sui miei personalissimi criteri, di stampo tradizionalista e ispirati alla conservazione del patrimonio delle divise per giocare a calcio che considero da sempre importantissimo e motivo di distinzione. Per giocare a calcio bisogna presentarsi vestiti come si deve.
1 Dundee FC 2020/21
2 Rangers FC 2020/21
3 Feyenoord 2020/21
4 Dinamo Kiev 2020/21
5 Valencia CF 2020/21
MIGLIOR DIVISA DA TRASFERTA 2020
1 Argentinos Juniors 2020/21
2 Vasco da Gama 2020/21
3 Tottenham Hotspur 2020/21
4 Triestina 2019/20
5 PSG 2020/21
I miei complimenti vanno a tutti coloro che ho menzionato e anche a tutti quelli che, pur meritevoli, ho volutamente tralasciato o dimenticato.
Un ultimo pensiero infine ai protagonisti del grande calcio che fu scomparsi in questo sciagurato 2020: Pietro Anastasi, Pierino Prati, Gigi Simoni, Mario Corso, Ezio Vendrame, Jack Charlton, Nobby Stiles, Ray Clemence, Diego Maradona, Alejandro Sabella, Paolo Rossi, Gerard Houllier.
A tutti buone feste!
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Il meglio dell'anno,
Storie di calcio
sabato, dicembre 26, 2020
Classic Rock
Nel nuovo numero di CLASSIC ROCK c'é un'intervista al sottoscritto realizzata da Alessandro Bottero sulle nuove uscite librarie.
Poi le classifiche di fine anno con le preferenze dei vari collaboratori, un pezzo su Allen Klein e le sue truffe a Beatles, Stones etc, Jack White, Little Feat e tanto altro.
Io intervisto i Gang e i Kupra.
Recensisco poi Gang, Shame, Fuzztones, Banda Popolare dell'Emilia Rossa, Hiroshi, Linda Collins, Bouncing Souls, L'Albero, Bluedaze, Nagual, la compilation "Her Dem Amade ME", Nero Kane, Deadburger Factory, JSP Crew, la compilation "391 vol. 9 - Lombardia" e il libro di Ferruccio Quercetti e Oderso Rubini "Bologna 1980-Il concerto dei Clash".
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I me mine
giovedì, dicembre 24, 2020
I migliori album del 2020
In passato i migliori album furono:
nel 2005 White Stripes, Oasis e Supergrass
nel 2006 Bellrays, Capossela, Who e Beatles
nel 2007 Graham Day, Pj Harvey, Amy Winehose
nel 2008 Last Shadow Puppets, Oasis, Racounters
nel 2009 Madness, Dylan, Rancid
nel 2010 Gil Scott Heron, Paul Weller, Lanegan/Campbell
nel 2011 Beady Eye, PJ Harvey, Meat Puppets
nel 2012 Secret Affair, Neneh Cherry and the Thing, Macy Gray, Martha High, Patti Smith
nel 2013 Strypes, Miles Kane, Franz Ferdinand, Excitements, Julie's Haircut
nel 2014 Sleaford Mods, Damon Albarn, Temples, The Ghost of a Saber Tooth Tiger e Benjamin Booker
nel 2015: Paul Weller (fuori concorso), Kamasi Washington, Gaz Coombes, Ryley Walker
nel 2016: Iggy Pop, Fantastic Negrito, Motorpsycho, Myles Sanko, Last Shadow Puppets con Rolling Stones e David Bowie fuori concorso
nel 2017: Gospelbeach, Kamasi Washington, Paul Weller, Dream Syndicate, Liam Gallagher
nel 2018: Fantastic Negrito, Kamasi Washington, Gaz Coombes, The Good The Bad and the Queen, Spiritualized
nel 2019: Specials, Nick Cave and Bad Seeds, Dream Syndicate, Juliana Hatfiled, Chris Robinson Brotherhood.
TOP TEN
BOB DYLAN - Rough and rowdy ways
“I was born on the wrong side of the railroad track/Like Ginnsberg, Corso and Kerouac”.
In una riga la storia di una vita.
Difficile fare meglio. Ma lui é Bob Dylan. Che scrive il miglior album da un sacco di tempo.
Dolente crudo blues decadente. E la sua voce, le sue liriche.
Poi c'è "Murder most foul".
17 minuti per un'opera che travalica ogni concetto musicale e mette la pietra tombale sul secolo scorso.
Troppo importante.
BOB MOULD - Blue Hearts
Il grande Bob non finisce mai di stupire ed entusiasmare. Il nuovo album è un capolavoro di immediatezza, ruvida, spontanea, urgente. Brani stupendi che riportano ai migliori Husker Du (chitarra, basso e batteria), tematiche anti Trumpiane e conseguenti politiche socialmente devastanti. Un brano più bello dell'altro.
FANTASTIC NEGRITO - Have you lost your mind yet
Chiamato a una conferma artistica che avvalorasse lo spessore dei primi due album, l'artista americano risponde con fermezza e in modo più che convincente. I primi passi sono stati una grande sorpresa: Fantastic Negrito ha sparigliato le carte della black music moderna, assemblando funk, soul, blues, rap, gospel, rock e un'attitudine punk che, soprattutto dal vivo, ha fatto ricordare il fuoco che ardeva nei concerti di James Brown, Prince, Sly and the Family Stone.
Al terzo album si é ovviamente perso l'effetto sorpresa e sappiamo bene cosa attenderci da Fantastic Negrito ma ciò non attenua il valore di un lavoro che si candida facilmente al top dei migliori dell'anno in corso. Una garanzia!
SUZANNE VEGA - An Evening Of New York Songs And Stories
Si erano un po' perse le tracce della cantautrice americana.
Si ripresenta con uno stupendo live, intimo, minimale, scarno, in cui sfodera una classe di incredibile livello. 24 brani tra cui i classicissimi "Luka", "Tom's diner" e "Marlene on the wall", una versione superba di "Walk on the wild side" di Lou Reed, la splendida "Frank and Ava". In mezzo estratti dal ricco repertorio, dialoghi divertiti e divertenti, un'atmosfera calda e rilassata, un album bellissimo.
GIL SCOTT HERON / MAKAYA MC CRAVEN - We're new again
Richard Russell della XL fu l'artefice del ritorno di Gil Scott Heron in studio, nel 2010, con "I'm new here". Mentre Gil era in prigione gli preparò le basi e ne uscì un capolavoro.
Nel decennale dell'uscita Russell ha messo a disposizione le registrazioni della voce e del piano di Gil al jazzista Makaya McCraven per una rivisitazione dell'opera. Lo stesso Gil ammise "Questo è un album di Richard...lo desiderava troppo e a me non avrebbe certo danneggiato. Così: perchè no?".
Non ho mai amato questo tipo di operazioni ma il risultato finale è talmente interessante, creativo, intrigante e stimolante che non si può che plaudire l'iniziativa.
Jazz, spiritual jazz, elettronica, funk, l'universo black.
E la voce di Gil è sempre commovente e TROPPO intensa.
IGORRR - Spirituality and distortion
Gautier Serre da una quindicina d'anni percorre una strada unica, originalissima e stupefacente. Nella sua musica convergono brutal metal (di cui ospita spesso esponenti di spicco nei suoi dischi), death metal, grind core, elettronica estrema, sonorità classiche, barocche, folk balcanico, mediterraneo e francese, sperimentalismi di ogni sorta. Un'affascinante e sconvolgente visione sonora dal sapore inedito, suonata in modo eclatante, di assoluta inventiva, condita da una buona dose di (auto)ironia.
SONGHOY BLUES - Optimisme
Terzo album per la band di Timbuctu, Mali. Un sorprendente intreccio di desert african sound e un approccio punk rock, durissimo, diretto, abrasivo. Le chitarre sferzano riff acidissimi su ritmiche spezzate e melodie di sapore "antico" e sciamanico.
Roba nuova.
THE JAYHAWKS - XOXO
Attività trentennale all'insegna di un alt country molto personale e una svolta ora verso un sound accattivante e intrigante che guarda alla West Coast dei 60's, melodie Beatlesiane, stupende ballate, brani di qualità eccelsa.
Disco commovente, avvolgente, delizioso.
PRETENDERS - Hate fo sale
Torna nella band Chrissie Hynde, affiancata alla composizione dal nuovo chitarrista James Walbourne ma soprattutto alla produzione dal mago Stephen Street, già con Smiths, Blur, New Order, Cranberries. Album frizzante, elettrico, pulsante, che si permette brevi pause più riflessive di gusto soul, un brano reggae ma che propone soprattutto canzoni immediate, dall'attitudine punk rock. Mezzora di musica, efficace, belle canzoni e una delle voci rock più belle di sempre che, alla soglia dei 70 anni, mette ancora in riga tutti.
THE X - Alphabetland
Sono passati 40 anni dall'insuperabile classico "Los Angeles", poco meno di 30 dall'addio discografico (il pessimo "Hey Zeus" é del 1993 ma il chitarrista Billy Zoom se ne era già andato da parecchio).
Una serie di live, varie reunion con la line up originale, tour, la lotta contro brutte malattie di Exene e Billy, progetti solisti. Ma di nuovi dischi non se ne parlava (nel 2017 Billy Zoom dichiarava laconicamente che "non funzionerebbe, la chimica non sarebbe la stessa, viviamo distanti, non suonerebbe come un disco degli X").
E invece dopo un singolo arriva un album fresco, pulsante, vitale, bello, in cui ritroviamo tutta l'alchimia che ha reso grandi gli X. 27 minuti, 11 brani che spaziano dal loro classico rock n roll/punk a un consueto omaggio al funk ("Cyrano De Berger's back", cover dei Flesheaters, da tempo in repertorio), a furiosi hardcore ("Goodbye year goodbye" e "Delta 88 nightmare") al clamoroso finale in chiave smooth jazz/spoken word di "All the time in the world" con la chitarra di Robbie Krieger dei Doors (che chiude il cerchio a 40 anni dal primo album prodotto da Ray Manzarek).
Per gli amanti della band un disco da amare incondizionatamente, per i cultori di un certo suono e periodo un ritorno comunque ad altissimi livelli.
PAUL WELLER - On sunset
Il quindicesimo album di PAUL WELLER ne conferma la grande classe compositiva, la voglia costante di non volersi riproporre uguale a sé stesso, il gusto di sperimentare.
"On sunset" é un BUON ALBUM, con ottimi brani ma che suona eccessivamente di maniera, raramente ha un guizzo, un graffio, una fiammata.
Rimane qualitativamente sopra una spanna di buona parte della produzione attuale, non é lecito aspettarci ogni volta un capolavoro da chi é in giro da ormai 45 anni ma sicuramente non sarà ricordato sul podio delle sue migliori prestazioni. Ancora una volta stupisce la pochezza grafica della copertina.
I 7 minuti e mezzo di "Mirror ball" aprono il disco con un brano dal ritmo funk disco ricco di tratti sperimentali, assoli, sonorità ardite.
"Baptiste" (con Mick Talbot all'Hammond, presente anche in "Village" e "Walkin" e Lee Thompson dei Madness al sax) ha un tempo saltellante e un gusto soul.
Ancora un groove disco funk in "Old father tyme" che a volte sembra una riedizione soft di "Woo see mama" da "Kind of revolution".
Rilassato e innocuo pop soul in "Village" molto in odore di Style Council che spuntano decisi nella successiva "More" con anche l'apporto vocale di Julie Gros dei francesi Le SuperHomard e la chitarra di Josh McClorey degli Strypes. Umori bossa e uno sguardo a Bobby Womack e Bill Withers.
"Sunset" ruba gli accordi iniziali a "My sweet Lord" di George ma poi diventa una ballata piena di effetti, fiati, archi, cambi armonici e uno dei migliori episodi dell'album.
"Equanimity" ci porta in clima vaudeville caro a Kinks e al Paul McCartney tardi Beatles, con tanto di solo di violino di Jim Lea degli Slade.
Curiosamente anche la successiva "Walkin" si muove su coordinate simili anche se risulta un riempitivo un po' anonimo. Con "Earthbeat" siamo di nuovo in piena era Style Council: pop soul "sintetico" solare, "autostradale" e gradevole ma poco più (Paul dice sia stato ispirato da Pharell Williams.
Alla voce Col3trane, giovane artista della scena nu soul inglese - pare fidanzato di una delle sue figlie...).
Chiude "Rockets" una ballata orchestrale tipicamente Paul McCartney, suggestiva, ben fatta e ricca di classe.
IL RESTO (in ordine sparso)
LIAM GALLAGHER "MTV Unplugged"
Spesso irriso e sbeffeggiato, sicuramente sottovalutato, OUR KID si é lentamente (ri)costruito una dignità artistica di valore.
Adorato in UK, esce ora con un live semi acustico, ‘MTV Unplugged’', con orchestra e coro gospel. Quattro brani degli Oasis e sei suoi (in questa "Sad Song" con l'ex sodale Bonehaed) e un album, per noi FAN, denso, commovente, intenso.
FUZZTONES - NYC
Rudi Protrudi torna con un nuovo frizzante album che omaggia la sua amatissima New York, riprendendo alcuni dei brani più amati, dai Ramones ai Dead Boys, Fugs, Willy DeVille, ma anche una conturbante Dancing barefoot di Patti Smith e una fantastica versione del classicissimo New York New York di Frank Sinatra. Nulla di nuovo ma un album divertentissimo ed entusiasmante da ascoltare.
JAZZ SABBATH - Jazz Sabbath
Album registrato 50 anni fa dai Jazz Sabbath, puro cool jazz, be bop strumentale, eseguito magistralmente da Milton Keanes al piano con Jacque T'Fono al basso e Juan Take alla batteria.
Mai realizzato ma trafugato da quelli che diventeranno poi i Black Sabbath che gli ruberanno i brani e diventeranno famosi, trasformandoli in heavy metal.
Bellissima storia con tanto di doc esplicativo a cui partecipano membri di Whitesnake, Marky Ramone,Faith No More, Dream Thater, Royal Blood, Row Wood di Move e Elo e Robert Powell che intervista Keanes.
In realtà Milton Keanes è Adam Wakeman, il tastierista di Black Sabbath e Ozzy Osbourne e l'idea per lanciare l'album è stupenda e molto Monty Python.
Ma altrettanto bello il disco, suonato in maniera divina.
GERRY CINNAMON - The Bonny
Bella storia quella del cantautore scozzese, 35 anni, refrattario ai media e al mainstream.
Sound minimale acustico tra Billy Bragg, Bob Dylan, il Lennon più scarno e un amore per Cure e Smiths.
Il secondo album "The Bonny" è aspro e crudo, intenso e vero.
Cool.
THE RANCH - Together to get here, to get here together
Arrivano da Malta con una cantante lettone, giovanissimi, musicisti di una bravura eccelsa, dotati di una freschezza esecutiva unica. Mischiano jazz rock, fusion, funk, soul, il math rock dei primi Battles, psichedelia, virtuosismi che riportano di volta in volta a King Crimson, Gong, King Gizzard and the Lizard Wizard e tanto altro.
Album spettacolare!
HOTEL LUX - Barstool Preaching
Da Portsmouth, abbracciati alle nuove leve brit come Shame, Fontaines DC, Goat Girl. Giovanissimi, aspri, melodicamente dissonanti, "storti", addirittura Doorsiani, assorbendo Wire, Gang of Four, Fall.
Ep d'esordio da urlo!
ISOBEL CAMPBELL - There is no other
Sinuoso, avvolgente, sensuale, sussurrato nel classico, svenevole, stile della Campbell, assente dalla carriera solista da 14 anni.
Tra dream pop, folk, psichedelia, soul, gospel, ballate crepuscolari, un lavoro bellissimo, rilassante che restituisce la voglia di vivere in pace con se stessi e il mondo.
REAL ESTATE - The main thing
Quanta levità, leggerezza psichedelica, solare, estiva, californiana, 60's. Quanti echi dal Paisley Underground, Rain Parade in particolare. E quanti brani incredibilmente belli in questo quinto album della band New Yorkese. Un vero gioiello. Molto prezioso.
FONTAINES DC - A hero's death
Secondo album per la band irlandese e un passo avanti deciso, maturo, consapevole per scrivere un nuovo capitolo di grande valore e spessore. Il loro post punk miscela con grande sapienza Velvet Underground e Fall, irruenza e dolce disperazione.
Suoni scarni e taglienti, cupi e perfino apocalittici.
Una band che conta.
TOOTS AND THE MAYTALS - Got to be tough
Torna all'incisione, dopo dieci anni di silenzio, Frederick Toots Hibbert, vera e propria leggenda della musica giamaicana, autore di grandi classici come 54-46 that's my number, o Pressure Drop (ripreso anche dai Clash) e l'altrettanto conosciuta Monkey man (cavallo di battaglia degli Specials ma anche nel repertorio di Amy Winehouse). Visse in diretta il passaggio dal rocksteady/ska al reggae, alla fine dei 60 ma la sua musica è sempre stata però un mix di influenze, inclusi soul, gospel, rock, non disdegnando nei testi tematiche socio politiche.
Una formula che ripropone con autorevolezza e creatività anche nel nuovo album, che stupisce per varietà, immediatezza, freschezza e grande modernità.
Non di sola pertinenza per gli amanti della musica in levare ma un album completo e fruibile per tutti i palati.
GORILLAZ - Song machine, season one: strange timez
Partito senza troppe idee e prospettive, inizialmente incentrato su una serie di singoli e video, con ospiti eccellenti e trasformatosi in vero e proprio album. Lo stile è il consueto mix di hip hop, pop elettronico, reggae, dub, brit sound e un'infinità di altre influenze (SANDINISTA dei Clash in primis), gli ospiti (da Elton John a Beck, Robert Smith, Peter Hook), portano tutti un consistente pezzo di sé, rendendo l'album godibilissimo, interessante, riuscitissimo.
WIDOWSPEAK - Plum
Quinto album per il duo di New York, con un sound che mischia magistralmente country, jingle jangle, dream pop, vari rimandi psichedelici (che ricordano a tratti gli Opal e il Paisley Underground). Affascinanti, seducenti, avvolgenti.
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mercoledì, dicembre 23, 2020
I migliori dischi italiani del 2020
Ho scelto 43 album italiani che mi sono piaciuti parecchio.
Negli scorsi anni era andata così
nel 2007 Statuto e Temponauts
nel 2008 Assalti Frontali
nel 2009 Julie's Haircut, Edda e Teatro degli Orrori
nel 2010 June e Statuto
nel 2011 Verdena, Peawees, Enrico Brizzi, Dellera, Paolo Apollo Negri, Statuto
nel 2012 An Apple Day, Barbacans, Julie’s Haircut
nel 2013 Julie's Haircut, Statuto, Raphael Gualazzi, Cesare Basile, Giuda
nel 2014 Edda, Finardi, Bologna Violenta, Bastard Sons of Dioniso, Steeplejack
nel 2015 Cesare Basile, Iacampo, Mimosa
nel 2016 Winstons, Afterhurs, Michele Gazich, Statuto, Radio Days
nel 2017 Edda, Bastard Sons of Dioniso, Cesare Basile, Era Serenase, Mauro Ermanno Giovanardi, Alex Loggia
nel 2018 Nicola Conte, Roberto Vecchioni, Calibro 35, Iacampo, Evil Knievel
nel 2019 Piaggio Soul Combination, Winstons, Massimo Volume, Giuda, Julie's Haircut, Cesare Basile<BR>
TOP TEN
RITMO TRIBALE - La rivoluzione del giorno prima
Tornano i Tribali con il primo album dal 1999. E spaccano come sempre con la consueta grinta, con le ritmiche serrate, chitarre compresse, liriche sempre più mature e incisive. Ci sono il grunge dei 90, l'attitudine punk rock, i Killing Joke e la migliore post wave anni 80 ma soprattutto un'immediata riconoscibilità, una personalità unica, onesta, sincera.
CALIBRO 35 - Momentum
Uno dei migliori gruppi italiani in circolazione, tra i pochi di respiro internazionale, riconosciuto e certificato perfino nella difficile e sospettosa terra d'Albione, approda al settimo album.
L'aspetto più interessante è la costante parabola evolutiva, partita da un omaggio alle colonne sonore poliziesche della cinematografia italiana dei 70 e arrivata a contaminazioni di vario tipo, in una miscela sempre più originale e distintiva. Troviamo le consuete caratteristiche dei Calibro 35, funk cinematico, strumentali tipicamente da colonna sonora ma anche una serie di spostamenti verso le forme più evolute del new jazz, rap, hip hop, con quel afflato psichedelico che permea da sempre il tutto e l'aggiunta in tre brani di voci ospiti.
I Calibro 35 sono già un passo avanti, non verso il futuro ma nel futuro.
Indicano la strada, creano la tendenza, mescolano, suonano benissimo, sono immediatamente riconoscibili.
DINING ROOMS - Art is a cat
La musica italiana produce da decenni lavori di ottima qualità, che talvolta assurgono all'eccellenza ma che molto raramente hanno la potenzialità di affiancare le produzioni internazionali.
I motivi sono molteplici, analizzati e discussi migliaia di volte.
I DINING ROOMS fanno parte di quegli sporadici raggi creativi che riescono tranquillamente a stare al passo con il mondo.
Non a caso sono da sempre parte del tessuto creativi di MILANO, l'unica città "europea" italiana ma che ha saputo tenere un legame con le proprie radici.
Nel nuovo album (l'ottavo oltre a conque di remix e rework) Stefano Ghittoni e Cesare Malfatti hanno saputo, ancora una volta, (rac)cogliere quel respiro universale che ora ci porta in un club londinese, ora tra le atmosfere "smokin" new yorkesi, ora tra spire dub e drum n bass, mentre in sottofondo corrono una forte anima soul, echi jazz, hip hop.
E' il respiro del mondo che si muove e assorbe quello che vibra intorno.
ERA SERENASE - Spine
Il duo genovese, dopo il brillante esordio con l'album "Crystal ball", torna con un convincente ep di quattro brani che segna un evoluzione dall'arrembante, fresco, possente rap del debutto, verso atmosfere più avvolgenti, dance, mature, con un retrogusto malinconico e inquietante.
Un nuovo gioiellino.
MOTHER ISLAND - Motel rooms
Terzo album per la band vicentina e nuovo piccolo gioiello di jingle jangle pop rock che abbraccia lo stupendo sound West Coast dei 60's, tra Jefferson Airplane e Byrds, tocchi country, atmosfere cinematografiche, canzoni di altissimo livello, la voce soulful alla Grace Slick di Anita Formilan a condurre le danze.
J.S.P. CREW - Lotto con me stesso
L'esordio della crew romana è una clamorosa dimostrazione di come si possa ancora creare del NUOVO, partendo dalle radici. In questo caso rap old school, tra Assalti Frontali/Onda Rossa Posse e Beastie Boys con un'attitudine alla Rage Against the Machine.
Il tutto supportato da un groove jazz e funk, con tinte soul blues, una band che suona, una voce che rappa testi crudi e diretti, arrangiamenti moderni e attuali come arriva dal melting pot sonoro che insegna la nuova scena jazz inglese (da Shabaka Hutchings agli Ezra Collective). Bravi, bravissimi, stimolanti, tra i migliori album italiani del 2020.
PUGLIA - Blind faith and a little wine
Splendido, maturo, originale, personale, album per Marco "Puglia" Puglisi che si inerpica in sentieri inusuali per il panorama italiano, proprio perché hanno un respiro internazionale (e il suo eccellente inglese lo aiuta parecchio in tal senso). Sonorità semi acustiche che ci portano alla scrittura di Alex Chilton ma che non disdegna marcati riferimenti beatlesiani (dalle parti di Paul McCartney soprattutto), a Ray Davies dei Kinks, agli XTC ("Fancy" sembra un'outtake dalla loro indimenticabile discografia), Syd Barrett, fino alle linee melodiche del Pete Townshend dei 60's.
ASPIC BOULEVARD - Memory Recall of a Replicant Dream
Originale, curato, creativo viaggio psichedelico in un mondo infarcito di elettronica vintage che ci riporta a strani mix di Kraftwerk, Pink Floyd del periodo "Ummagumma", Silver Apples, i Beatles più sperimentali, Soft Machine, primi Tangerine Dream, afflati prog. Un album fenomenale, di raro spessore compositivo. Eccellente.
ROSALBA GUASTELLA - My little songs
Eccellente esordio per la musicista, cantante, autrice torinese, già voce dei No Strange. Un album in cui spazia, in un ambito prevalentemente semi acustico, da tonalità blues al folk psichedelico a cenni jazzy. Voce calda e avvolgente, curioso incrocio tra Sandy Denny e Pj Harvey, brani di pura eccellenza compositiva. Un album atipico nel panorama italiano, dal respiro assolutamente internazionale e di rara efficacia.
DALTON - Papillon
In attività da sei anni, al terzo album, la band romana compie un grande salto in avanti, dimostrando maturità, spessore qualitativo, potenza sonora.
Il loro è un punk rock sincero e onesto che si muove tra umori 77 (dalle parti degli Slaughter and the Dogs), Oi! (Business, 4 Skins), una dose di classico rock 'n' roll stradaiolo, il combat rock di Clash e Ruts, un generoso abbraccio al glam rock più grezzo e istintivo dei 70 (vedi la lezione dei Jook) e richiami alla canzone d'autore italiana (un pizzico di Rino Gaetano).
Testi diretti e intensi (da quanto tempo non si sentiva cantare di sottoproletariato? vedi nel reggae punk "In disparte messi da parte (sottoproletariato"), eccellente la produzione e preziosa ospitata di Marco Giallini che recita all'inizio del disco.
IL RESTO (in ordine sparso)
KLASSE KRIMINALE - Vico dei ragazzi
Con i Nabat hanno fatto la storia dello street punk e della Oi! Music italiana, colonna sonora ideale per la scena skinhead. Attivi dal 1985, una quindicina di incisioni alle spalle, si ripresentano con un album durissimo e crudo in cui si intrecciano brani in odore di primi Clash e Stiff Litte Fingers, testi politici e una potenza sonora comune a pochi.
GIORGIO CANALI & ROSSOFUOCO - Venti
CCCP, CSI, PGR, la produzione e la collaborazione con i principali nomi dell'alternativa rock italiana, una lunga e prestigiosa carriera solista nel curriculum. Il nuovo album, come sempre incurante delle regole commerciali, è doppio, con venti brani composti e realizzati, a rigorosa e inevitabile distanza, durante il primo periodo di chiusura totale, contrariamente alla consuetudine che vedeva la band alle prese con un lavoro collettivo.
Il sound non perde però di efficacia, violenza, cattiveria, aggressività, anche quando indulge in momenti di disperata malinconia.
Nel suo estremismo lirico e sonoro rimane un personaggio unico e indispensabile per la nostra musica e le nostre coscienze.
ALLISON RUN - Walking on the bridge (Opera omnia 1985-1990)
L'opera omnia (raccolta da Federico Guglielmi) della breve carriera degli Alison Run dimostra un esempio di maestria compositiva e, soprattutto, capacità nell'incredibile cura degli arrangiamenti che riuscivano ad affiancare i Pink Floyd della fine 60, gli XTC, gli ultimi Beatles.
In questo box ci sono tutte le pubblicazioni ufficiali, un album di demo e uno dal vivo. Indispensabile per i cultori del genere.
BLUEDAZE - Skysurfers
Sono giovani e bravissimi i quattro varesini in questo frizzante e fresco esordio.
Dream pop, psichedelia, un groove sempre intenso e pulsante che riporta a certe esperienze semi retrò di Cardigans, Primitives e Transvision Vamp oltre ai quasi mai citati Blondie. Compongono bene, Elisa canta alla perfezione, la band gira nel modo giusto. Brillante partenza.
LILAC WILL – Tales from the sofa
Mai un termine come delizioso é più appropriato se accostato all’esordio della band di Latina. Che ci avvolge in delicate ballate folk acustiche color pastello, dal gusto autunnale, romantiche e malinconiche ma allo stesso tempo spensierate e piene di aria fresca e raggi di sole. Tra Any Other ai Kings of Convenience e uno sguardo al folk inglese dei 70 in odore di Fairport Convention, un mondo di belle sensazioni.
PAOLO DOESN'T PLAY WITH US - Muffled Heart Sounds
Eccellente lavoro per il trio bolognese, magnifico interprete di un folk che intreccia un approccio classico con armonie dream pop, accenni country e uno sguardo alla tradizione dei Fairport Convention. Senza dimenticare un affascinante costante richiamo al lato folk dei Led Zeppelin e di certe opere soliste di Robert Plant. Perfettamente arrangiato e suonato, compositivamente sempre di alto livello. Grande disco.
PATRIZIO FARISELLI AREA OPEN PROJECT – Live in Tokyo
Favoloso concerto registrato nel maggio 2019 a Tokyo dall’ex tastierista degli Area, Patrizio Fariselli, accompagnato da Claudia Tellini, Marco Micheli e Walter Paoli. Spazio a composizioni dal nuovo “100 ghosts” ma soprattutto al repertorio degli Area.
Un ambito difficile e pericoloso da affrontare, al confronto di tale eredità artistica. Ma capolavori come “Luglio, Agosto, Settembre (Nero)”, “Gioia e Rivoluzione”, “L’Elefante Bianco” o le meno conosciute ma altrettanto efficaci “Il bandito del deserto” o “Gerontocrazia” ne escono alla perfezione, con un nuovo approccio, arrangiamenti modernizzati e attuali. Grande finale con gli Arti e Mestieri in “The wind cries Mary” di Hendrix.
MAD DOGS - We are ready to testify
Spettacolare ritorno per la band marchigiana con un fantastico terzo album che mette insieme suggestioni di ogni tipo in arrivo dal panorama del rock 'n' roll più grezzo e crudo.
Si sente il groove australiano di Radio Birdman, Lime Spiders, New Christs, l'impronta del classico Detroit Sound, il garage punk dei Miracle Workers, il beat 'n' roll dei Flamin Groovies e tanto altro. Grande album.
WARM MORNING BROTHERS – Not scared anymore
I fratelli Modicamore (affiancati in questa occasione dal violoncello di Elena Castagnola) aggiungono un altro prezioso tassello alla loro ricca discografia. Rimangono imperterriti e coerenti nel loro classico solco dai colori pastello, talvolta autunnali, altre volte afosamente estivi o avvolti dal tepore invernale di una stufa a legna, in un mix di folk che spazia tra Simon & Garfunkel, Fleet Foxes, il McCartney acustico, sapori 60’s, malinconiche delicatezze di stampo Nick Dr IL SENATO - Zibadone
Il Senato (il super gruppo composto da Luca Re, Fay Hallam, Andy Lewis e Alberto Fratucelli e Roberto Bovolenta dei Sick Rose) all'esordio sulla lunga distanza scrive il manifesto sonoro della propria esperienza artistica. Da influenze prevalentemente di gusto 60's si arriva a suoni psichedelici freakbeat di matrice 70's, ballate alla Small Faces di "Odgen's..", soul pop, un pizzico di glam, qualche oscura cover.
Uno Zibaldone artistico molto ben prodotto e realizzato che attesta la band anglo/italiana tra le realtà più mature e in progress dell'ambito.
FIVE FACES - Meali
Il quartetto genovese torna con un formidabile album, tutto in italiano che, con un grande sound, perfettamente prodotto da Craig Coffey, sfodera dieci brani di classe cristallina tra punk, beat, mod, soul, una grande energia e un finale spettacolare in cui riprendono in chiave reggae "Creuza de ma" di De Andrè (con un insert di "Bankrobber" dei Clash da brividi).
MANGES - Punk Rock Addio
La band spezzina tocca i 27 anni di carriera. Una vita intera a macinare brani in pieno stile Ramones, diretti, semplici, elementari, brevi, sempre tremendamente efficaci. Non sfugge alla regola il quinto album della carriera, con tanto di inedito scritto per loro nien te meno che da CJ Ramone.
Funziona tutto al punto giusto e nel migliore dei modi. Perfetto.
BOMBER 80 - Contro il tempo
Doverosa ristampa dalla sempre benemerita etichetta HellNation di un piccolo gioiello del punk rock Oi! italiano, uscito due anni fa. La band toscana ci regala dieci brani di una potenza ineguagliabile, tra punk rock, street punk, hardcore, nella migliore tradizione del sound Skinhead. Testi impegnati, diretti, densi, sound perfetto al servizio di una tecnica invidiabile e di brani semplicemente travolgenti.
OK BELLEZZA - The Goods
Il quartetto novarese (di cui la metà proveniente da quella meravigliosa esperienza che furono i MiniVip) si presenta con un album di rara efficacia. Suonato benissimo, capacità tecniche superbe e un gusto artistico di primo livello. I dodici brani autografi viaggiano in quell'indimenticabile mondo dei 60's di brani strumentali che mischiano jazz, soul e rhythm and blues tra Booker T and the Mg's, Jimmy Smith, Jack McDuff.
GUIGNOL - Luna piena e guardrail
Ottavo album per la band di Pier Adduce, sempre più personale e distintiva. La perseveranza paga, il progetto è cresciuto sempre di più e coglie ora uno degli episodi più significativi della lunga carriera con un album completo, maturo e intrigante. Il sound viaggia come sempre tra la canzone d’autore dalle parti di Tenco, Ciampi, Bindi, unita al groove maledetto e demoniaco del Nick Cave più blues. Ben fatto, diretto, essenziale.
MODERN STARS - Silver needles
Il terzetto romano ci porta nei meandri più profondi della psichedelia, declinata in chiave moderna, con una forte parentela con lo shoegaze. Spacemen3, Loop, raga indiani ma anche tanta lisergia di gusto 60 dalle parti di "Tomorrow never knows" dei Beatles. Un percorso coraggioso e desueto per i nostri tempi. Notevole.
BLACK CASINO AND THE GHOST - Farewell Marshall Brunswick
Terzo album per la band italo/inglese guidata dalla voce intrigante di Elisa Zoot. Un affascinante mix di atmosfere psichedeliche, shoegaze, pennellate gospel blues, umori 60/70's. Ma soprattutto tanta originalità e personalità.
HANDSHAKE - An ice cream man on the moon
I fiorentini Handshake, attivi da un lustro, si propongono con un esordio di immediata presa pur nella sua complessità compositiva, ricco di creatività, canzoni fascinose, suoni di gusto vintage ma che si inseriscono alla perfezione in un contesto di modernità, con freschezza e immediatezza.
Melodie Beatlesiane si intrecciano alle band più visionarie del Brit Pop storico (dai Ride ai Kula Shaker), agli Spiritualized, fino alle sue diramazioni più attuali (dai primi Temples ai Tame Impala), per arrivare a un approccio futurista che guarda a qualcuno dei tanti sentieri tracciati e percorsi da Beck.
Colpiscono la ricerca sonora, certe deviazioni sperimentali, la qualità e la maturità delle canzoni a livello compositivo.
BIG MOUNTAIN COUNTY - Somewhere else
Al secondo album la band romana compie un notevole salto di qualità e maturità, affinando il personalissimo psych rock, portandolo tra ritmiche e sapori kraut e un gusto danzereccio funk che richiama la scena di Madchester dalle parti degli Happy Mondays, senza dimenticare le cadenze pulsanti alla Franz Ferdinand.
Un lavoro completo, intrigante, frizzante.
RUSSO AMORALE - Europe
Un esordio fiammeggiante di ispirazione, oscuro calore, suggestioni noir. Tra deep blues (in un demoniaco incrocio tra Mark Lanegan, Manuel Agnelli, Guignol, Tindersticks, soprattutto a livello vocale), canzone d’autore italiana (da Sergio Endrigo a Tenco e Ciampi), folk e un’attitudine punk di fondo, “Europe” è un album sorprendente per vitalità, cattiveria, sfrontatezza. Da ascoltare ripetutamente. Molto, molto, molto bello. Massimo dei voti.
PERTURBAZIONE - (dis)amore
La lunga carriera della band torinese si arricchisce di uno dei capitoli più ambiziosi e complessi, un lungo concept di 23 brani sulle variabili dell'amore. I Perturbazione sono tra coloro che meglio sanno coniugare canzone d'autore, pop e amore per sonorità oblique che vanno dagli Smiths ai Belle and Sebastian. Ottimo album, di ampio respiro e grande maturità.
DAVID FLORIO - Italy is a strange place
Polistrumentista e autore dalla lunga e prestigiosa carriera a fianco di eccellenze italiane, da Zucchero a Mario Biondi. L'esordio solista lo coglie alle prese con un sound anomalo per le nostre parti, tra latin soul, funk, un gusto vicino allo Stevie Wonder dei 70 e agli Steely Dan. Tanto groove e un grande album.
ORANGE COMBUTTA - Vol.pe 1
Il collettivo di musicisti emiliani corre al passo con i tempi, affiancando agevolmente tante buone suggestioni che arrivano dalla Londra o dalla New York nel nu jazz contaminato da elettronica, hip hop, funk e soul. Aggiungendo in questo caso una mantecatura psichedelica a rendere il tutto più originale. Si parla un linguaggio caro a nomi come Yussuf Dayes o Ezra Collective o ai nostrani Dining Rooms ma con più voglia di sperimentare. Interessantissimi e "avant" !
CASINO ROYALE - Quarantine Scenario
Torna la storica band milanese con un’opera collettiva, nata dalla condivisione del brano “Scenario”, anticipazione ed estratto dal nuovo progetto intitolato “Polaris”.
Nel periodo di clausura da Covid il gruppo ha fatto girare il brano ad amici e colleghi tra Italia e resto del mondo. In decine hanno contribuito con oltre un’ora di musica tra sperimentazione, elettronica, ambient e tanto altro, facendolo diventare la colonna sonora di un film di Pepsy Romanoff che ha immortalato le immagini di questo storico, unico, momento.
Coordinati da Alioscia Bisceglia hanno contribuito tra i tanti Alessandro Baricco, Howie B, Gianni Miraglia, C’Mon Tigre, Max Casacci, Dj Gruff.
UMBERTO PALAZZO - L'Eden dei lunatici
Già membro di Massimo Volume, Santo Niente e Allison Run, autore della colonna sonora dei film “Jack Frusciante è uscito dal gruppo” e “Lost In The City”, Umberto Palazzo pubblica, a sorpresa, il secondo album della carriera solista. Registrato in un mese, durante la quarantena, si addentra in un mondo sonoro che ci riporta a fine anni 70, tra Lucio Battisti, Ivan Graziani, Lucio Dalla, Enzo Carella, Alan Sorrenti ma evocando anche il white pop funk dei primi Style Council (“L’unica ricchezza”) e un gusto funk dalle tinte “latine” (“Incontri misteriosi” e “La baia”) in un mix decisamente inusuale, originale, efficace.
THE BLUEBEATERS - Shock!
Tornano con una significativa novità i grandi Bluebeaters, maestri dello ska e rocksteady italiano. Dodici nuovi brani inediti e totalmente autografi, dopo una lunga carriera all'insegna delle cover. Che funzionano alla perfezione con anche il prezioso aiuto di una serie di nuovi nomi della scena musicale italiana come Bianco, COEZ, Zibba, a Carota de Lo Stato Sociale, Willie Peyote, CIMINI.
Album solare, festoso, accattivante, suonato perfettamente e con splendidi arrangiamenti, moderni e freschi.
GIANNUTRI - Al ritorno dalla campagna
Il duo trevigiano firma un secondo album, sempre incentrato intorno a un concept. E di nuovo ci delizia con un pop di grande levatura compositiva, di primissima qualità, che guarda alla scrittura di Samuele Bersani con un innesto di melodie di gusto 60's, un pizzico di rock e una creatività rara da trovare nella canzone d'autore nostrana. Un imperdibile piccolo gioiello.
MARCO PARENTE - Life
Marco Parente è uno dei migliori (cant)autori in Italia. Stile personalissimo, distinto, malinconico, elegante, ironico. Un timbro vocale unico si unisce alla cadenza dinoccolata delle canzoni che ora occhieggiano al blues, altre volte abbracciano la bossa o in cui senti un po' delle infinite anime di Lucio Battisti.
Ma la peculiarità (rara e preziosa) è che se ascolti, ad esempio, la splendida "Avventura molecolare" ti accorgi che avrebbe potuta scriverla solo Marco. Con Cesare Basile, Iacampo, Manuel Agnelli, nell'olimpo di si sa scrivere canzoni.
POST NEBBIA - Canale passaggi
Un bellissimo album, solare, fresco, cool, con quel pop psichedelico tinto di lounge a metà tra Tame Impala e Stereolab in cui si inseriscono pulsanti groove di modern funk. Un concept riuscito e stimolante.Disco delizioso.
RICCARDO JOSHUA MORETTI & ALEX EZRA FORNARI – 12
Un connubio anomalo tra un compositore classico come Riccardo Joshua Moretti e Alex Fornari già voce di uno dei primi gruppi new wave italiani, i Pale Tv (poi Pale) e poi dedito a un’interessante carriera solista su base cantautorale ma con riferimenti a post punk, Bowie e tanto altro.
Il risultato è particolarmente interessante e stimolante, tra poesia, brani sospesi tra neo classicismo e cantautorato con testi recitati e improvvise quanto spiazzanti incursioni nella trap. Disco più che originale e personale.
DEADBURGER FACTORY - La chiamata
Uno dei gruppi di lavoro musicale e artistico più particolari e originali in circolazione, da oltre venti anni, in Italia.
Il sesto album è un nuovo imprevedibile viaggio sonoro tra impennate post core, sprazzi avant-jazz, sperimentazione, psichedelia, elettronica, poliritmi accentuati dal costante uso di una doppia batteria che rende il tutto caratterizzato da un potente pulsare ritmico.
Un lungo stuolo di ospiti, una confezione grafica ricchissima ed elegante (finalmente!) rendono "La chiamata" un album multimediale e semplicemente eccellente.
NERO KANE – Tales of faith and lunacy
Un secondo album che conferma tutte le qualità e l’originalità dell’autore, che sposta la sua visione blues dai polverosi deserti americani a una dimensione mitteleuropea, grazie alla voce di Samantha Stella, che rievoca in modo inquietante il fantasma vocale di Nico e ci immerge spesso nei Velvet Underground più cupi o nelle apocalittiche atmosfere degli album solisti della cantante tedesca.
Album molto intenso, a tratti addirittura minaccioso, l’ideale nel mondo sonoro ormai liofilizzato che ci circonda. Finalmente un sound vero.
RAB4 – Breakneck Ballads
Temprata da anni on the road in tutta Italia e mezza Europa, la band emiliana, guidata da Seba Pezzani, giornalista e traduttore, ma soprattutto profondo conoscitore della tradizione rock e blues, firma il secondo album di una lunga carriera.
Un disco che trasuda sincerità, passione, anima, che si muove negli infiniti anfratti della roots music americana, tra folk, blues, rhythm and blues, country, rock ‘n’ roll, black music, tra echi di Bruce Springsteen e John Cougar Mellencamp, non disdegnando sguardi alla scena inglese dei 60 e 70. Un album compositivamente maturo, perfettamente arrangiato ed eseguito.
Tra i migliori album rock italiani dell’anno.
HER DEM AMADE ME – Siamo sempre pronte, siamo sempre pronti
LORENZO "ORSO" ORSETTI TEKOSER era un combattente per la libertà.
Anche la nostra.
Lorenzo è caduto in Siria per mano dell’ISIS il 18 marzo 2019, all’età di 33 anni.
Lorenzo combatteva per la giustizia e per un mondo più equo e quindi stava dalla PARTE GIUSTA.
Gli sono stati resi numerosi omaggi, ricordi, riconoscimenti per il suo sacrificio.
Questa compilation è un ulteriore pensiero alla sua memoria.
I proventi saranno interamente devoluti al centro Alan’s Rainbow di Kobane per dotarlo di un ambulatorio pediatrico che sarà intitolato a Lorenzo Orsetti Tekoşer, partigiano internazionalista.
Invito ognuno di voi ad acquistarne una copia, pure in questo periodo così schifoso per i portafogli e con altre urgenze.
Se potete anche più copie da regalare a compagne e compagni, amiche e amici, invitandoli a fare lo stesso.
Un piccolo gesto per cambiare un mondo.
E poi c'è la musica, molto bella, interessante, sincera, intensa, con i brani di 24 Grana, Serena Altavilla, Assalti Frontali, Angela Baraldi, Cesare Basile, Paolo Benvegnù, Giorgio Canali & Rossofuoco, Pierpaolo Capovilla, Marco Colonna, Vittorio Continelli, Max Collini, Cristiano Crisci, Dagger Moth, Ginevra Di Marco, Er Tempesta, Giancane, La Rappresentate di Lista, Lucio Leoni, Malasuerte, Mokadelic, Nummiriun, Rita Lilith Oberti, Marco Parente, Carmelo Pipitone, Rapper C J A SAP, Marina Rei, Roncea, Tre Allegri Ragazzi Morti, Giovanni Truppi, Margherita Vicario, e il contributo artistico di Zerocalcare, che ha fornito le illustrazioni presenti nel booklet, tratte dal suo fumetto “Macelli”.
La compilation è frutto di una direzione artistica collettiva; ogni artista ne ha coinvolto un altro in una catena che solo per motivi tecnici si è dovuta fermare a 24 canzoni.
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