domenica, maggio 31, 2020
Igor Righetti - Alberto Sordi segreto
Nel centenario della nascita fioccano le pubblicazioni su ALBERTO SORDI.
Questa, a cura del giornalista e cugino di Sordi, Igor Righetti, promette, dal titolo, rivelazioni e particolari inediti.
In realtà c'è ben poco di cui già non si sapesse e di particolarmente rilevante.
Un po' fastidiosi i reiterati attacchi a Nino Manfredi e Carlo Verdone e altrettanto superflui i numerosi riferimenti alla propria attività da parte dell'autore (incluso il CD con canzone dedicata a Sordi composta sempre dallo scrivente).
Per i fan un compendio curioso ma francamente poco utile e interessante.
Igor Righetti
Alberto Sordi segreto
Edizioni Rubbettino
15 euro
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Libri
sabato, maggio 30, 2020
Classic Rock e LIbertà
Nel nuovo numero di CLASSIC ROCK nello speciale dedicato ai MIGLIORI ALBUM degli ANNI 70, parlo di "All mod cons" dei JAM, "The Scream" di SIOUXSIE e "Rock On" degli HUMBLE PIE oltre che di un breve sunto dei migliori album di BLACK MUSIC.
Intervisto TAV FALCO.
Recensisco Perturbazione, Iskra, Boston Manor, Igorrr, Belfast Gypsies.
Su LIBERTA' domani un fondo su VASCO ROSSI (la scorsa settimana é toccato a Patti Smith).
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I me mine
venerdì, maggio 29, 2020
Maggio 2020. Il meglio
Procede bene l'anno con Igorrr, X, The Ranch, Lux Hotel, Real Estate, Gerry Cinnamon, Christian McBride, Gil Scott Heron/Makaya McCraven, Devonns, Soul Motivators, Isobel Campbell, Monophnics, Black casino and the Ghost, Martha High and the Italian Royal Family, Crowd Company, Ben Watt. Moses Boyd, Shabaka and the Ancestors, Jazz Sabbath, Field Music.
Per l'Italia Calibro 35, Ritmo Tribale, Mother Island, Dining Rooms, Dalton, Puglia, Era Serenase, Ok Bellezza, Caltiki e Handshake.
JAZZ SABBATH - Jazz Sabbath
Album registrato 50 anni fa dai Jazz Sabbath, puro cool jazz, be bop strumentale, eseguito magistralmente da Milton Keanes al piano con Jacque T'Fono al basso e Juan Take alla batteria.
Mai realizzato ma trafugato da quelli che diventeranno poi i Black Sabbath che gli ruberanno i brani e diventeranno famosi, trasformandoli in heavy metal.
Bellissima storia con tanto di doc esplicativo a cui partecipano membri di Whitesnake, Marky Ramone,Faith No More, Dream Thater, Royal Blood, Row Wood di Move e Elo e Robert Powell che intervista Keanes: https://www.youtube.com/watch?v=IKmeKtkiX3E&feature=emb_logo
In realtà Milton Keanes è Adam Wakeman, il tastierista di Black Sabbath e Ozzy Osbourne e l'idea per lanciare l'album è stupenda e molto Monty Python.
Ma altrettanto bello il disco, suonato in maniera divina.
GERRY CINNAMON - The Bonny
Bella storia quella del cantautore scozzese, 35 anni, refrattario ai media e al mainstream.
Sound minimale acustico tra Billy Bragg, Bob Dylan, il Lennon più scarno e un amore per Cure e Smiths.
Il secondo album "The Bonny" è aspro e crudo, intenso e vero.
Cool.
THE RANCH - Together to get here, to get here together
Arrivano da Malta con una cantante lettone, giovanissimi, musicisti di una bravura eccelsa, dotati di una freschezza esecutiva unica. Mischiano jazz rock, fusion, funk, soul, il math rock dei primi Battles, psichedelia, virtuosismi che riportano di volta in volta a King Crimson, Gong, King Gizzard and the Lizard Wizard e tanto altro.
Album spettacolare!
MOTHER ISLAND - Motel rooms
Terzo album per la band vicentina e nuovo piccolo gioiello di jingle jangle pop rock che abbraccia lo stupendo sound West Coast dei 60's, tra Jefferson Airplane e Byrds, tocchi country, atmosfere cinematografiche, canzoni di altissimo livello, la voce soulful alla Grace Slick di Anita Formilan a condurre le danze. Grandi!
DALTON - Papillon
In attività da sei anni, al terzo album, la band romana compie un grande salto in avanti, dimostrando maturità, spessore qualitativo, potenza sonora.
Il loro è un punk rock sincero e onesto che si muove tra umori 77 (dalle parti degli Slaughter and the Dogs), Oi! (Business, 4 Skins), una dose di classico rock 'n' roll stradaiolo, il combat rock di Clash e Ruts, un generoso abbraccio al glam rock più grezzo e istintivo dei 70 (vedi la lezione dei Jook) e richiami alla canzone d'autore italiana (un pizzico di Rino Gaetano).
Testi diretti e intensi (da quanto tempo non si sentiva cantare di sottoproletariato? vedi nel reggae punk "In disparte messi da parte (sottoproletariato"), eccellente la produzione (grazie al grande Glezos) e preziosa ospitata di Marco Giallini che recita all'inizio del disco.
Uno degli album dell'anno!
THE LOVETONES - Myriad
La band australiana, alter ego del compositore Matthew J.Tow, confeziona un delizioso album che, in sue molte parti, potrebbe essere tranquillamente un inedito del John Lennon solista (voce e musica) o, se preferite, Liam Gallagher, in altre accarezza Beatles e 60s'. Da ascoltare.
STEVE WYNN - Solo acoustic vol. 1
Doveva essere il lancio per un suo tour solista in acustico ma sappiamo come é andata a finire. Il disco é però davvero bello, chitarra acustica e voce, semplici ma stupende ballate, un mood a metà tra Lou Reed e Bob Dylan, tanto gusto e classe infinita.
DATURA4 - West Coast highway cosmic
Quarto album per la band di Dom Mariani e corroborante e corposo lavoro di rock blues a cavallo tra 60's e 70's, boogie, sferzate garage, tematiche Doorsiane, proto hard, freakbeat, psych. Un mix ben riuscito, ottime songs e soddisfazione garantita per gli amanti del genere.
HAGGIS HORNS -Stand up for love
Al quinto album la band inglese spara il colpo grosso con un perfetto lavoro di funk che guarda ai classici, ai KC and Sunshine Band, inserisce un grande brano reggae e tanto soul. Ottimo album.
KAMASI WASHINGTON - Becoming
Colonna sonora di un doc per Netfkix su Michelle Obama. Sound loung jazz pop francamente noioso e poco interessante. Si può evitare tranquillamente.
MALIA - The garden of Eve
Nata in Malawi da padre inglese, cresciuta a Londra, all'attivo una serie di album e collaborazioni, nel nuovo lavoro ci regala un ottimo mix di soul, blues, jazz, swing, rhythm and blues, cantato con una splendida voce e suonato con stile fresco e tanto groove.
Ascolto più che piacevole.
MARK LANEGAN - Straight songs of sorrow
Ennesimo viaggio nel suo mondo di incubi, (terribile) vita vissuta, depressione, atmosfere dolenti e perdizione. Tanti ospiti illustri e consueta voce che arriva dagli inferi. Deep blues e anima a brandelli.
BAXTER DURY - The night chancers
Al sesto album ormai Baxter non é più "il figlio di Ian" ma un artista maturo, riconoscibile e con una proposta molto personale, tra lirismo declamato su basi che occhieggiano a groove reggae ma soprattutto a un pop sound orchestrale anni 80. Un mix intrigante, solo apparentemente "facile".
TIM BURGESS - I love the new sky
La voce dei Charlatans con il quinto album solista. Pop molto godibile, sbarazzino, con pennellate psichedeliche e buone intuizioni.
SON LITTLE - Aloha
Già produttore di Mavis Staple, si muove nell'ambito del new soul rivisitato in chiave moderna, molto vicino al gusto semi acustico di Michael Kiwanuka e Leon Bridges. Non male, ottime canzoni, buon groove.
KING SOLOMON HICKS - Harlem
Divertente, sanguigno, ottimo album di classico blues, boogie, rock blues, rhythm and blues. Niente di nuovo sotto il sole ma poco importa, si ascolta più che volentieri e con grande piacere.
IL SENATO - Zibadone
Il Senato (il super gruppo composto da Luca Re, Fay Hallam, Andy Lewis e Alberto Fratucelli e Roberto Bovolenta dei Sick Rose) all'esordio sulla lunga distanza scrive il manifesto sonoro della propria esperienza artistica.
Da influenze prevalentemente di gusto 60's si arriva a suoni psichedelici freakbeat di matrice 70's, ballate alla Small Faces di "Odgen's..", soul pop, un pizzico di glam, qualche oscura cover.
Uno Zibaldone artistico molto ben prodotto e realizzato che attesta la band anglo/italiana tra le realtà più mature e in progress dell'ambito.
BOMBER 80 - Contro il tempo
Doverosa ristampa dalla sempre benemerita etichetta HellNation di un piccolo gioiello del punk rock Oi! italiano, uscito due anni fa. La band toscana ci regala dieci brani di una potenza ineguagliabile, tra punk rock, street punk, hardcore, nella migliore tradizione del sound Skinhead. Testi impegnati, diretti, densi, sound perfetto al servizio di una tecnica invidiabile e di brani semplicemente travolgenti.
Disco epocale.
BRAVATA - Pray for today
Fresco esordio sulla lunga distanza per la band pugliese (con la produzione di Danilo Silvestri e Lorenzo Moretti dei Giuda). Brillante sound chitarristico che guarda al Paisley Underground, tra Dream Syndicate e True West, aggiunge qualche asperità e contestualmente una vena power pop. Sapore "americano", canzoni brevi e dirette, eseguite con il giusto approccio e arrangiate alla perfezione. Promossi a pieni voti.
DAYGLO DEMONS - s/t
Un lavoro da one man band a cura del polistrumentista leccese Darius J.Fakir che suona tutto e butta in un calderone ribollente tonnellate di influenze (dallo space surf allo psychobilly, al garage punk, alla sperimentazione di sapore “No New York” e tanto altro). Il tutto frullato da un devastante approccio punk che travolge anche brani come “Invisible sun” dei Police e “Paperback writer” dei Beatles. Originalissimo e unico.
CALTIKI - Amazzoni
L’esordio del trio romano è un riuscitissimo e super frizzante miscuglio tra l’Adriano Celentano sbarbato che canta con i Rokes ma con un tiro alla Hives. Le 10 canzoni, dedicate ad altrettante figure femminili, guardano alla classica tradizione garage punk, al beat italiano, al primo rock n roll ma senza particolari istanze revivaliste, anzi, declinando il tutto in chiave attuale e con un groove da dancefloor. Divertente e fresco.
AA.VV. - Go Down Records 2003/2020
17 anni di attività decine di album e un livello qualitativo sempre altissimo ha fatto della nostra Go Down Records una delle etichette leader nell'ambito stoner/hard/psych/rock mondiale. I 28 brani contenuti in questa godibilissima compilation antologica sono una perfetta fotografia dello spettro musicale abbracciato dalla label. Consigliatissima.
AA.VV. - Last white X-Mas
Un documento di straordinaria importanza per la scena hardcore punk italiana, tra le più seguite e apprezzate nel mondo, durante gli anni 80. La registrazione, nel 1983, di un concerto, a Pisa, di tutti i gruppi hardcore punk toscani. Qualità eccellente (grazie ad Ale Sportelli, vero maestro nel recuperare materiale analogico) e una fotografia di un'epoca incredibile e irripetibili con monumenti della scena come CCM; Wardogs,Putrid Fever, I Refuse it ma anche gli Useless Boys che aprivano le porte alla scena neo garage italiana.
AA.VV. - Rec it be
“Rec It Be” omaggia la pietra miliare della musica “Let It Be” dei Beatles, che nella stessa data festeggia i cinquant’anni dalla pubblicazione. Settantatre musicisti italiani ( la “Sgt. Pepper’s Only RecLab’s Band”) si sono ritrovati nei RecLab Studios di Larsen Premoli e hanno rifatto da cima a fondo, fedelmente, l'iconico ultimo album dei Fab Four.
Sempre rischioso (e faticoso) cimentarsi con i monumenti intoccabili del rock ma il risultato alla fine é brillante, dignitoso e fresco e piacerà sicuramente anche ai più accaniti (e puntigliosi) Beatles fans.
Spiccano le versioni di "I me mine", "Ive got a feeling" e "One after 909".
Un disco da avere anche per le finalità benefiche del progetto:ogni ricavo (biglietti del concerto, CD, merchandising, offerte…) sarà donato all’associazione no-profit Oscar’s Angels Italia, che opera con volontari in tutte le principali strutture oncologico pediatriche per portare assistenza, aiuto e momenti di gioia ai bambini e ragazzi affetti da gravi patologie, nonché sostegno ai genitori e alle famiglie.
JACKSON BROWNE - Downhill from everywhere / A little soon to say
Da sempre impegnato nel sociale e per le tematiche ambientali, Jackson Browne torna con un singolo con due brani che si riallacciano alla relazione tra la tragica situazione attuale e i danni creati dall'uomo alla Terra. Un'intensa ballata e un rock di classica impostazione West Coast testimoniano la vitalità e la freschezza di un autore iconico e mai dimenticato.
ASCOLTATO ANCHE:
DANZIG (la voce dei Misfits omaggia Elvis senza essere una particella di Elvis. Disco inutile dell'anno), MARCOS VALLE (elegante, ricercato mix di fusion, brasil, pop), GHOSTPOET (ambient/avanguardia/decadente), CASSOWARY (nu soul, jazz e fusion), LAKE (pop un po' in stile Stereolab, parecchio melenso e con tanta melassa), BLACK HISTORY MONTH (istigazione al suicidio), CAFE RACER (noiosi), MOSES SUMNEY (alt jazz/soul/hip hop/elettronica. Non facile), PERFUME GENIUS (pop soul un po' anonimo)
LETTO
ALBERTO ANILE - Alberto Sordi
Alberto Anile é un giornalista e storico del cinema che già si era occupato di ALBERTO SORDI in uno splendido numero monografico della rivista "Bianco e nero", dedicato al "Sordi segreto" ( http://tonyface.blogspot.com/2019/03/bianco-e-nero-sordi-segreto.html).
Nel nuovo volume dedicato all'Albertone nazionale scava nella sua storia alla ricerca di particolari inediti, semi sconosciuti, attingendo dai documenti (archiviati con cura maniacale dall'attore) del Fondo Sordi.
Tra cui foto eccezionali.
Volume rilegato elegantissimo e di rara bellezza che si addentra in vicende e particolari inediti della vita e della carriera di Sordi (dall'incontro con Stanlio e Olio da cui emerge una foto mai vista, al film progettato su Gladio, i rapporti difficili con Totò, gli scontri aspri con Nanni Moretti, la scena tagliata in "Roma" di Fellini).
Corretta (e spesso spietata) l'analisi sull'attore e (soprattutto) il regista (in verità mediocre), interessanti gli sguardi sull'impenetrabile vita privata.
Brillante la constatazione storica che Sordi era seguito da un pubblico cittadino, delle "prime visioni" mentre nei cinema di paese e di provincia, di seconda e terza visione a trionfare é sempre Totò.
Grande libro per i fan.
Prefazione (immancabile) di Carlo Verdone.
GLEZOS - Zenga e i suoi fratelli
Non tragga in inganno il titolo.
NON é una biografia di Walter Zenga, mitico portiere di Inter, Nazionale, attuale allenatore del Cagliari (dopo esperienze in mezzo mondo), dalla polemica facile e dalla favella esplicita.
Anche se la sua figura aleggia costantemente in questo appassionante viaggio a ritroso nella periferia milanese degli anni 70, nel calcio di quartiere, quello più popolare e vero da cui lo stesso Zenga, vicino e amico dell'autore, partì per arrivare all'amata Inter.
Ci sono i vividi ricordi delle domeniche "al campo" (non allo stadio) dove i milanesi andavano ogni volta.
Perché si tifava Milan o Inter ma la seconda squadra del cuore era comunque l'altra milanese e di domenica si andava a vederle giocare.
Ci sono squadre come la Macallesi, la Milanese, l'Enotria, l'Ausonia, le partite di quartiere, la passione, gli aneddoti, i bar, lo stadio quando i tifosi si potevano spostare alla fine del primo tempo nell'altra curva dove attaccava la tua squadra.
Racconti di prima mano, sinceri, diretti, divertenti, talvolta acri, altre volte malinconici, sempre sottilmente romantici, scritti bene e coinvolgenti.
Pieno di dettagli, ricordi inediti, particolari preziosi.
Semplicemente bello.
ROSSANO LO MELE - Scrivere di musica
CHI SCRIVE DI MUSICA SI ARROGA IL DIRITTO DI SPIEGARE AGLI ALTRI COSA STANNO SENTENDO.
NON E' UNA FACCENDA DA POCO
Difficile dirlo meglio.
L'autore lo può fare.
Direttore di "Rumore", batterista dei Perturbazione, insegnante di Linguaggi della musica contemporanea presso l'Università Cattolica di Milano.
In questo veloce, agile, chiaro e limpido saggio su ciò che significa "scrivere di musica" non si erge mai a dotto medico e sapiente ma spiega con molta trasparenza, umiltà e immediatezza, cosa vuol dire agire in un ambito così complesso e, altrettanto, abusato (da cani e porci. E io mi metto in prima fila).
Tutto é accuratamente sostenuto dalla lunga e difficile esperienza personale, da annotazioni in cui é facile riconoscersi, citazioni che abbracciano il pur sempre ampio spettro della critica musicale.
Sarebbe importante che fosse letto da tanti improvvisati, pretenziosi e arroganti aspiranti al "giornalismo" musicale ma anche per chi é un tantino più navigato è un testo molto interessante per rimettere in fila un po' di concetti basilari.
Consigliato.
JOHANN WOLFGANG GOETHE - Viaggio in Italia
Il grande scrittore, poeta, umanista e tanto altro JOHANN WOLFGANG GOETHE compì tra il 3 settembre 1786 e il 18 giugno 1788 un lunghissimo viaggio in Italia, sotto falso nome.
Ne trasse una lunga serie di annotazioni e un libro interessantissimo, pubblicato in due volumi tra il 1816 e il 1817.
Un'Italia rurale, povera, talvolta primitiva ma che riluce di testimonianze storiche di incredibile valore.
Che, per suo stupore, vengono lasciate decadere e vengono vissute in quanto elemento del circostante e non come opere d'arte.
Si innamora di Venezia, Roma e Napoli, entra in contatto con la popolazione ma anche con nobili, artisti, intellettuali, scrittori. Descrive spesso la natura che lo circonda e si compiace del clima e del carattere degli italiani, confrontandolo con quello dei suoi conterranei.
Critica (da protestante) in modo altezzoso e distante la Papa e chiesa cattolica.
Un libro molto intrigante, curioso, a tratti appassionante e divertente.
COSE VARIE
Ogni giorno mie recensioni italiane su www.radiocoop.it, ogni domenica "La musica ribelle", una pagina sul quotidiano "Libertà", ogni mese varie su CLASSIC ROCK.
Periodicamente su "Il Manifesto".
IN CANTIERE
Tutto fermo come è noto.
I progetti non mancano: entro l'anno un paio di nuovi LIBRI (tra cui una sorpresa molto particolare), uno a cui ho collaborato attivamente, una ristampa, un altro agli inizi del 2021.
Si lavora intanto a un nuovo disco.
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Il meglio del mese
giovedì, maggio 28, 2020
Get Back. Dischi da (ri)scoprire
Ogni mese la rubrica GET BACK ripropone alcuni dischi persi nel tempo e meritevoli di una riscoperta. Le altre riscoperte sono qui:
http://tonyface.blogspot.it/search/label/Get%20Back
MANO NEGRA - Patchanka
Nel 1989 una delle più formidabili macchine di musica dal vivo inizia la sua avventura discografica con un album esplosivo che ne definisce la magnificenza (anche se talvolta ancora molto acerbo) e il profilo musicale: punk, folk, blues, hip hop, rock 'n' roll, beat, soul. ska, reggae, funk, ironia, strada, politica: la PATCHANKA!!!
TUFF DARTS - Tuff Darts
Tra le prime band a bazzicare il CBGB's e il Max Kansas a metà dei 70's e puntualmente finita nel calderone "punk", guidata inizialmente da Robert Gordon, diventato poi uno dei principali esponenti della scena rock n roll revival/rockabilly.
L'unico album, uscito nel 1978, nonostante la copertina "punk" (foto del mitico Mick Rock) é un lavoro tra power pop, un po' di Lou Reed, qualche asperità chitarristica, ben lontano dal concetto punk rock.
ROBERT GORDON - Fresh fish special
Uscito dai Tuff Darts Gordon inizia la carriera solista a fianco nientemeno che di Link Wray. Rockabilly/rock 'n' roll aspro ma allo stesso tempo molto melodico/Elvis.
In questo secondo lavoro del 1978 troviamo "Fire" di Springsteen in cui c'è lo stesso Bruce alle tastiere.
Ai cori i Jordanaires abitualmente con ELvis.
Album fighissimo.
IDRIS MUHAMMAD - House Of The Rising Sun
Poderoso album di jazz funk, datato 1974 con ospiti superlativi come David Sanborn, Michael Brecker, Fred Wesley.
Il drumming di Idris è incredibilmente potente, espressivo, con una tecnica sconfinata.
Notevole.
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Get Back
mercoledì, maggio 27, 2020
Alberto Anile - Alberto Sordi
Alberto Anile é un giornalista e storico del cinema che già si era occupato di ALBERTO SORDI in uno splendido numero monografico della rivista "Bianco e nero", dedicato al "Sordi segreto" ( http://tonyface.blogspot.com/2019/03/bianco-e-nero-sordi-segreto.html).
Nel nuovo volume dedicato all'Albertone nazionale scava nella sua storia alla ricerca di particolari inediti, semi sconosciuti, attingendo dai documenti (archiviati con cura maniacale dall'attore) del Fondo Sordi.
Tra cui foto eccezionali.
Volume rilegato elegantissimo e di rara bellezza che si addentra in vicende e particolari inediti della vita e della carriera di Sordi (dall'incontro con Stanlio e Olio da cui emerge una foto mai vista, al film progettato su Gladio, i rapporti difficili con Totò, gli scontri aspri con Nanni Moretti, la scena tagliata in "Roma" di Fellini).
Corretta (e spesso spietata) l'analisi sull'attore e (soprattutto) il regista (in verità mediocre), interessanti gli sguardi sull'impenetrabile vita privata.
Brillante la constatazione storica che Sordi era seguito da un pubblico cittadino, delle "prime visioni" mentre nei cinema di paese e di provincia, di seconda e terza visione a trionfare é sempre Totò.
Grande libro per i fan.
Prefazione (immancabile) di Carlo Verdone.
Ettore Scola a proposito del luogo comune che Sordi rappresentasse l' "italiano medio":
Tutt'altro che medi, i suoi personaggi non possono interpretare l'anima dell'italiano medio ma sono semmai la proiezione di quello che l'italiano medio vorrebbe essere, anche senza confessarlo.
Di qui l'incondizionata complicità con Albertone, lo straordinario processo di identificazione, anzi di desiderio di identificazione da parte del pubblico prima romano, poi italiano.
Sordi è un prodotto non del popolo ma della piccola borghesia o di quegli strati popolari non operai come se ne trovano specialmente nelle aree depresse, che sono sotto l'influenza ideologica piccolo borghese.
(Pier Paolo Pasolini)
Alberto Anile
Alberto Sordi
Edizioni Sabinae
Euro 30
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martedì, maggio 26, 2020
SK Rapid Wien 1940/41
Seconda parte della rassegna “Il piede in due scarpe.” a cura di ALBERTO GALLETTI.
Il periodo è lo stesso della prima; il motivo, sotto sotto, anche.
La Germania nazista e le sue mire espansionistiche (eufemismo).
Nel marzo del 1938, la Germania nazista, sotto la spinta della visione di Hitler di una Germania allargata, dal Reno ai Carpazi e oltre, completava la seconda sfida alle potenze vincitrici del primo conflitto mondiale annettendosi l’Austria (Anschluss) e installandovi un governo fantoccio composto dai nazisti locali.
Il campionato austriaco 1937/38 fu comunque concluso, lo vinse il Rapid Vienna.
Si giocava però, stranamente, a calcio anche in Germania fin da fine ‘800 e, altrettanto stranamente, la pratica venne mantenuta dal 1933 in avanti.
I nazisti anzi riformarono la struttura del calcio tedesco che diventò se possibile, più articolato e complicato di quanto già non fosse; sicuramente ne valutarono la popolarità ritenendola un formidabile veicolo propagandistico già in essere e che andava solamente mantenuto e, naturalmente, controllato.
Caratterizzato da un dilettantismo assoluto, il calcio tedesco era governato dalla federazione (DFB) la quale era presente sul territorio tramite i comitati regionali, veri e propri baluardi della sportività e del dilettantismo.
Per questo motivo il campionato era diviso in una serie di Oberlighe regionali le cui vincenti spareggiavano poi su scala nazionale per l’assegnazione del titolo di Deutschemeister.
La teoria, neanche sbagliata, era che i campionati a livello locale fossero meno impegnativi dal punto di vista del tempo da dedicarvi e dei costi da sostenere, ergo non vi era necessità che i giocatori diventassero professionisti e i club e i tesserati potevano venir controllati, e lo erano col solito rigore teutonico, con più facilità.
La fase finale in cui ci si trovava a dover affrontare squadre provenienti dai quattro angoli del Reich veniva propagandata e vissuta come una serie di gite premio per i più bravi.
I nazisti mantennero il concetto ma aumentarono il numero di suddivisioni portandolo a sedici, le Oberlighe erano sette, e le chiamarono Gaulighe.
Qualcuno, tra i nuovi dirigenti federali imposti dal terzo reich, fece un tentativo di organizzare un girone unico nazionale con relativa introduzione del professionismo ma le sezioni regionali della DFB rigettarono la proposta con un furore e uno sdegno tali che c’è da chiedersi se i relativi dirigenti non abbiano poi subito ritorsioni da parte dei nazisti, non saprei.
Il Rapid Wien nel 1938 era uno dei club più prestigiosi e una delle squadre più forti e vincenti d’Europa, britannici esclusi.
Trascinati dal formidabile Franz ‘Bimbo’ Binder, uno dei più fenomenali attaccanti austriaci ed europei di ogni tempo (1006 gol in 756 partite!), i ferrovieri facevano sfracelli in giro per il continente da circa un decennio.
Era costui un corazziere da 1,92m per 85 kg e benché un po' lento e a volte impacciato, risultava difficile da contenere; di testa era quasi insuperabile e aveva una facilità di tiro con entrambi i piedi letale.
La nazionale austriaca degli anni ’30, era conosciuta in giro come Wunderteam.v Quattro erano i titolari in pianta stabile di quella squadra forniti dal Rapid: i mediani Franz Wagner e Josef Smistik, e i due formidabili bombardieri Binder e Bican,un altro con numeri spaventosi, pur se quest’ultimo passerà all’Admira nel ’37.
Fu una squadra, l’Austria, che non ebbe ‘sta gran fortuna nel suo momento di maggior splendore.
Perse solo tre partite su trentuno tra il ’31 e il ’34, nelle quali andò a segno 101 volte, una delle quali a Londra dove cedette 4-3 a una manciata di minuti dal termine, non dopo aver causato più di un mal di pancia ai padroni di casa e avendo dato, a tratti, spettacolo.
Li batteranno poi a Vienna nel ’36 gli inglesi; nel ’31 avevano battuto la Scozia 5-0.
v Si presentarono ai mondiali del ’34 da favoriti, insieme ai padroni di casa che invece non avevano mai incantato nessuno per lo stile del loro gioco, anzi; ma che vinsero quel mondiale battendo proprio gli austriaci in semifinale.
La differenza la farà un gol di Guaita sul quale gli austriaci protestarono veementemente per una carica sul loro portiere che non aveva trattenuto il tiro di Meazza.
Questo ci poteva stare, far-west nelle aree di rigore italiane negli anni trenta (e ancora oggi) e arbitraggi casalinghi.
Quello che non ci doveva stare, e che probabilmente neppure si sarebbero immaginati è che a toglierli di mezzo per il mondiale successivo, al quale si erano qualificati, e del quale sarebbero stati comunque tra i favoriti, fu la politica; abbiamo visto come.
Per colmo della beffa, i migliori giocatori austriaci si ritrovarono a dover giocare nella Germania; Binder ad esempio lo fece, trovava poco spazio con Meisl che gli rpeferiva Sindelar, più tecnico, il quale invece rifiutò di giocare per i nazisti e fu misteriosamente trovato morto nel suo appartamento.
Ad ogni modo, tutto quello che ho riassunto a proposito della grandezza calcistica austriaca e del Rapid viene dimostrata alla prova dei fatti immediatamente successiva all’Anschluss che comportò, calcisticamente, l’aggiunta dei quarti di finale della Coppa d’Austria a quelli della Coppa di Germania.
Una volta terminata questa fase, in pratica un nuovo ottavo di finale, si proseguì con i quarti di finale veri e propri con quattro squadre tedesche e quattro austriache.
Il Rapid Vienna si sbarazzò facilmente del Fiat Wien e poi entrò nella Coppa di Germania dove fece fuori nell’ordine: Waldhof Mannheim 3-2; 1.FC Nürnberg (una delle due squadre tedesche dominanti all’epoca) 2-0; e infine il FSV Frankfurt per 3-1 nella finale di Berlino e si aggiudicò clamorosamente, ma calcisticamente neanche tanto, la Coppa di Germania.
Uno smacco per i nazisti, o forse no; magari il capo della DFB era un tipo come Max Von Sydow in ‘Fuga per la vittoria”….dubito.
Dal 1938/39 il campionato austriaco divenne quindi la diciassettesima Gauliga, vinse l’ Admira Wien, il Rapid fu terzo, che quindi avanzò alla fase del campionato tedesco arrivando fino alla finale dove venne disintegrata dal grande Schalke 04 (l’altra squadra tedesca egemone di quel periodo) dei tempi di guerra per 9-0.
Nel 1939/40 il Rapid riprese il controllo del campionato e vinse la Gauliga Ostmark davanti al Wacker SC.
Proseguì poi la sua stagione nel Campionato Tedesco arrivando in semifinale dove venne estromesso (1-2) dal Dresdner SC dopo i tempi supplementari. Binder realizzò 50 gol stagionali, uno sproposito; 32 in campionato, inclusi sei in una partita al malcapitato NSTG Graslitz Praga.
I nazisti ovviamente non vedevano di buon occhio i successi delle squadre austriache, vero che Hitler aveva argomentato sull’unità di tutti i popoli tedeschi per giustificare i carri armati nelle strade di Vienna, ma vero anche che la supremazia doveva essere dei tedeschi veri e propri, e loro soltanto.
Gli austriaci erano semmai dei cugini, il problema qui era che giocavano a calcio molto meglio dei tedeschi.
Sono numerose le ‘testimonianze’ dell’epoca sui favoritismi alle squadre tedesche in partite contro squadre austriache in quel periodo, alcune delle quali gravi e smaccate.
Gli austriaci dal canto loro sono dotati della stessa testardaggine e del medesimo spirito di irriducibilità dei tedeschi, nonché del medesimo orgoglio.
Questo, vedremo, sarà decisivo nella parte finale di questa storia.
Il campionato tedesco di quegli anni è quanto di più frammentato, complicato ed estenuante si possa immaginare.
Ho già detto del potere delle sezioni regionali della DFB che tenevano in pugno la formula del campionato per far si che il professionismo non riuscisse in alcun modo far breccia.
In dettaglio quella della stagione 1940/41 che interessa la nostre vicende:
Prima fase: Quindici Gaulighe a girone unico con un numero di partecipanti variabile tra sei e dieci; cinque di queste a due gironi con finale locale. Partite di andata e ritorno. Tutte le vincenti si qualificano alla fase nazionale.
Seconda Fase: Due Gruppi da due gironi e due gruppi a girone unico con partite di andata e ritorno. Le vincenti si qualificano alle semifinali.
Semifinali: gara unica in campo neutro
Finale: gara unica in campo neutro
Finale 3° e 4° posto: gara unica in campo neutro.
Una maratona interminabile, anche per chi ha sempre cercato di districarsi in mezzo a una selva (oscura) di risultati.
La stagione del Rapid prende il via il 3 novembre: avversario l’ Admira, che deve avere qualche problema in difesa, vista la finale del ’39, e viene travolta 6-0. Poi due sconfitte consecutive 1-3 casalingo contro il First Vienna e un’ inopinato tombolone casalingo contro il Wiener Sport-Club.
Resteranno le uniche due in tutto il girone.
Ci saranno dei risultati roboanti: 11-1 al Grazer AC; 9-0 e 11-3 al Linzer ASK; e alcuni eclatanti: un pareggio 5-5 contro il FC Wien e una vittoria per 5-4 contro il Floridsdorfer.
Il Rapid vince la Gauliga Ostmark con 28 punti davanti a First Wien e Wacker Wien appaiati al secondo posto con 20. Bimbo Binder segna 27 gol in diciotto partite, il compagno d’attacco Kaburek 19; in totale 82 reti segnate in diciotto incontri, 29 quelle subite, una macchina da guerra, mi si perdoni l’inciampo.
Si qualifica quindi alla seconda fase dove viene inserito nel gruppo 4 insieme a Kickers Stoccarda, Monaco 1860 e VfL Neckarau.
Si riprende ad aprile inoltrato così come si era finito, il Neckarau viene demolito a domicilio 7-0. Il girone non è comunque una passeggiata e la settimana successiva i Kickers Stoccarda bloccano il Rapid sull’ 1-1 in casa, davanti ad una folla strabocchevole di oltre 31.000 spettatori.
La visita a Grünwalderstraße il sabato successivo divenne quindi molto importante per la classifica: con entrambe le squadre appaiate a tre punti, una sconfitta avrebbe quasi certamente compromesso il cammino di una delle due contendenti.
Venne la sconfitta, 2-1 per il Monaco 1860 che passò in testa alla classifica con cinque punti a metà percorso.
Nel girone di ritorno il Rapid infilò tre vittorie consecutive; regolando i diretti avversari bavaresi all’ultima giornata per 2-0 davanti ad una folla record per il piccolo Pfarrwiese di 35.00 spettatori e vinse il girone, complice anche il fatto che la settimana prima i bavaresi avevano inopinatamente perso in casa del Neckarau.
In semifinale se la vedrà di nuovo con il Dresdner Sc che lo aveva eliminato l’anno prima e pure estromesso dalla coppa, sempre in semifinale, a novembre.
v La sfida è fissata per l’8 giugno a Bytom, oggi Polonia, lo stadio è gremito.
Risolve una doppietta di Binder che segna un gol per tempo nello stesso minuto, il 9’.
Vittoria netta per 2-0 che manda il Rapid alla finale per il titolo di campione tedesco per il 1941.
Finale fissata per il giorno 22 giugno, stesso giorno in cui il führer lanciò l’assalto all’Unione Sovietica con l’Operazione Barbarossa.
La finale ebbe un andamento analogo, per i tedeschi, ma una durata molto più ridotta e nessuno si fece male.
Lo scenario non avrebbe potuto essere migliore, l’Olympiastadion di Berlino, in tutta la sua scenografica grandiosità architettonica tanto cara al regime, strapieno: 95.000 gli spettatori accorsi, tanti da Vienna.
Ad attendere il Rapid il favoritissimo Schalke 04, la squadra più forte della Germania che, eccezion fatta per il 1935/36, era ininterrottamente finalista dal 1932/33; cinque volte aveva trionfato, due volte nelle ultime due stagioni.
C’era di che preoccuparsi.
In realtà non fecero neanche in tempo a preoccuparsi perché i campioni in carica, ben decisi a cogliere la terza affermazione consecutiva, nonché a sistemare la questione su chi fosse migliore tra loro e i cugini austriaci, partirono a razzo e all’ottavo minuto era già avanti 2-0 grazie a Hinz ed Heppenhoff.
Il Rapid non si scompose, la proverbiale tenacia delle squadre austriache, tanto cara ai tifosi, consentì loro di rimanere in partita.
Quando il primo tempo sta per chiudersi senza altre marcature l’arbitro concede un rigore al Rapid che Binder, proprio lui, sbaglia; si va al riposo sul 2-0.
Nel secondo tempo la rete di Hinz al 12’ mette quasi la parola fine sulla contesa: 3-0 per lo Schalke.
Tre minuti più tardi Schors, sempre tra i migliori, accorcia per il Rapid. Fa 3-1 e manca mezz’ora; tanto in una partita se pensi di avere ancora qualcosa da dire.
E qualcuno in campo che avrebbe ancora qualcosa da dire c’è: è Bimbo Binder che non vorrebbe essere ricordato come quello che ha perso una finale scudetto sbagliando un rigore.
Dopotutto adesso è il centravanti della Germania, 9 presenze e 10 gol; non può uscire da uno stadio del genere senza aver lasciato il segno, e lo lascerà.
Nel giro dei successivi otto minuti realizza una tripletta, incluso un rigore, che stavolta non fallisce, e il gol della vittoria con una punizione potentissima sotto la traversa a simboleggiare una rimonta prepotente e fortissimamente voluta: 4-3!
Al fischio finale i giocatori tedeschi circondano l’arbitro accusandolo di aver causato la loro sconfitta, con particolare riferimento al rigore del pari; ma la partita è finita e il Rapid Wien è campione di Germania.
Rimane un risultato storico e irripetibile, che fece diventare il Rapid la prima, e finora unica, squadra straniera a vincere il campionato tedesco e una delle poche squadre a vincere il campionato in due nazioni diverse.
Non riuscirà però a ripetersi nelle stagioni successive concluse rispettivamente al 3°, 6° e 7° posto; magari pagarono l’affronto di quello storico successo.
Lo Schalke andò in finale anche l’anno dopo, ancora contro una squadra austriaca, e stavolta vinse. I nazisti nell’ Operazione Barbarossa subirono un tracollo simile a quello dello Schalke e nella primavera del ’45 vennero definitivamente annientati.
Nel 1945/46, alla ripresa dell’attività dopo la fine del conflitto, il Rapid vincerà il primo campionato del dopoguerra nell’ Austria di nuovo indipendente.
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lunedì, maggio 25, 2020
Glezos - Zenga e i suoi fratelli
Non tragga in inganno il titolo.
NON é una biografia di Walter Zenga, mitico portiere di Inter, Nazionale, attuale allenatore del Cagliari (dopo esperienze in mezzo mondo), dalla polemica facile e dalla favella esplicita.
Anche se la sua figura aleggia costantemente in questo appassionante viaggio a ritroso nella periferia milanese degli anni 70, nel calcio di quartiere, quello più popolare e vero da cui lo stesso Zenga, vicino e amico dell'autore, partì per arrivare all'amata Inter.
Ci sono i vividi ricordi delle domeniche "al campo" (non allo stadio) dove i milanesi andavano ogni volta.
Perché si tifava Milan o Inter ma la seconda squadra del cuore era comunque l'altra milanese e di domenica si andava a vederle giocare.
Ci sono squadre come la Macallesi, la Milanese, l'Enotria, l'Ausonia, le partite di quartiere, la passione, gli aneddoti, i bar, lo stadio quando i tifosi si potevano spostare alla fine del primo tempo nell'altra curva dove attaccava la tua squadra.
Racconti di prima mano, sinceri, diretti, divertenti, talvolta acri, altre volte malinconici, sempre sottilmente romantici, scritti bene e coinvolgenti.
Pieno di dettagli, ricordi inediti, particolari preziosi.
Semplicemente bello.
Quando per strada vedevo uno con i capelli lunghi, mi veniva in mente Pierino Prati, non i Beatles. Paolo Baldoneschi
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domenica, maggio 24, 2020
LIbertà - Portfolio - La musica ribelle
E' con una certa emozione che saluto il ritorno alla mia pagina domenicale sul quotidiano "LIBERTA'" con la rubrica "Musica Ribelle" all'interno dell'inserto "Portfolio" diretto da Maurizio Pilotti che mi volle in questa avventura (non per niente ex bassista dei Gang).
Una consuetudine bruscamente interrotta il 1 marzo dalla tragedia che ci sta colpendo e che ha infierito con particolare ferocia sulla "mia" Piacenza.
Il ritorno di questa pagina é un segnale che mi rende felice.
E pertanto brindo alla vita, al presente e al futuro, alla musica, alla cultura, alla salute, alla gioia, al lavoro per tutte e tutti.
Buona vita!
PS: Patti Smith è una delle artiste di cui parlo in un mio nuovo progetto letterario, molto "importante", che vedrà la luce entro la fine dell'anno.
Oh, the path leads to the sun
Brother sister time has come
(Patti Smith - Easter)
sabato, maggio 23, 2020
Africa Airways – Mile High African Funk
Sei compilation (dal 2015 ad oggi) proposte dalla label inglese AFRICA SEVEN (www.africaseven.com) che raccolgono delizie, rarità, incredibili brani dalla scena FUNK AFRICANA dai 70 ai primi anni 80.
Ma non solo: troviamo anche soul, afro funk, disco, la scena psych funk e tanto altro. Grandi grooves!!!
We don't have any particular musical release agenda apart from, "is it of African origin, does it have a beat?, do we like it?".
Volume 1 Funk Connection 1973-1980
https://africaseven.bandcamp.com/album/africa-airways-one-funk-connection-1973-1980
Volume 2 Funk Departures 1973-1982
https://africaseven.bandcamp.com/album/africa-airways-two-funk-departures-1973-1982
Volume 5 Brace Brace Boogie 1976 - 1982
https://africaseven.bandcamp.com/album/africa-airways-five-brace-brace-boogie-1976-1982
Volume 6 - Six Mile High Funk
https://africaseven.bandcamp.com/album/africa-airways-six-mile-high-funk-1974-1981
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venerdì, maggio 22, 2020
Steve Wynn - Solo Acoustic Vol. 1 + Intervista
STEVE WYNN é uno dei migliori autori degli ultimi decenni.
Con i DREAM SYNDICATE ha scritto pagine di storia della musica rock e il recente ritorno in scena ne ha confermato qualità e spessore.
Ma anche la carriera solista é sempre stata all'altezza del suo indiscusso profilo.
Il nuovo lavoro solista é interamente acustico (il primo della lunga carriera), voce e chitarra, registrato in un solo giorno ad Austin, in preparazione per un tour che l'emergenza attuale ha poi bloccato ma che é stato riprogrammato per il prossimo anno.
Un album di incredibile intensità, crudo, diretto, scarno, semplice, di un fascino commovente.
La sua voce é matura, sicura, unica con quelle cadenze che lo fanno sembrare un bellissimo ibrido tra Lou Reed e Bob Dylan.
Risalta la qualità del suono e l'esecuzione sempre pulita ma allo stesso tempo vera, live in studio, tra folk, blues, country, rock con un'unica concessione al repertorio dei Dream Syndicate ("Merittville").
Per ascoltarlo e acquistarlo su Bandcamp:
https://stevewynn1.bandcamp.com/album/solo-acoustic-vol-1
https://www.stevewynn.net/
STEVE WYNN ha accettato di buon grado di rispondere ad una serie di domande (che finiranno in un'intervista su CLASSIC ROCK) da cui ho estrapolato quelle relative a questo album.
"Solo acoustic vol 1" è il tuo primo album completamente acustico.
E sembra essere il primo di una serie.
Sì, sicuramente.
Mi è rimasto abbastanza materiale dalla sessione di Austin per un secondo disco.
E molto probabilmente - per necessità e perché mi diverto molto - farò più spettacoli acustici e anche elettrici da solista quando tutto inizierà a riprendersi.
E' più sicuro, più facile da gestire e, soprattutto, consente una comunicazione diretta con i fan.
Adoro la forza e la forza delle tue canzoni e della tua voce, specialmente nella versione acustica.
L'album è stato registrato in breve tempo, giusto?
Sì, un giorno ad Austin, in cui ho registrato 26 canzoni. È stata una bella sessione.
Negli ultimi anni ho ascoltato parecchio Bill Callahan.
È un grande cantautore, audace paroliere e la sua voce è distintiva e bella. Ma ho anche adorato la produzione dei suoi dischi.
Sembrano tutti così fantastici.
Ho controllato i credits e ho visto che erano quasi tutti registrati da Brian Beattie in uno studio di Austin, in Texas.
Sapevo che era il suono che avrei voluto avere nel mio primo disco acustico solista.
I Dream Syndicate suonavano ad Austin il 1 ° novembre dell'anno scorso.
Mi sono messo in contatto con Brian ed era libero in quei giorni, quindi ho programmato di registrare una selezione di canzoni dal mio repertorio che pensavo fossero adatte al suo approccio e al suo suono.
L'approccio di Brian è stato davvero quello di mettermi in una stanza, circondarmi di microfoni vintage, chitarre e processori e catturare la mia esibizione nel modo più onesto e duro possibile.
Ho registrato 26 canzoni in una sessione di 8 ore e mi sono sentito libero, libero e libero.
È stato fantastico.
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giovedì, maggio 21, 2020
Sebastiao Salgado
Sebastiao Salgado è uno dei più grandi fotografi viventi.
Autore tra le tante cose di "La mano dell'uomo" libro di 400 pagine, tradotto in sette lingue e presentato in forma di mostra in sessanta musei e luoghi espositivi di tutto il mondo.
Salgado si sta battendo contro il fascista Bolsonaro che sta di fatto lasciando che il Coronavirus si espanda in Amazzonia tra le tribù indigene, prive di difese immunitarie e a rischio di estinzione.
Ci vivono 290 comunità, tra cui 102 gruppi etnici che non hanno mai avuto contatti con il resto del mondo, parlano duecento lingue differenti e custodiscono una sapienza nel rapporto con la natura che noi abbiamo perduto.
Bolsonaro, fin dall’inizio, è contro gli indios.
Ha abolito tutti i filtri all’ingresso nei loro territori.
Sta dalla parte dell’agro-business, degli allevatori di bestiame, dei cercatori di metalli preziosi, delle sette religiose, sono tutti questi che lo hanno eletto. Quello che succede deriva da una volontà politica, non da una distrazione”
Salgado ha lanciato un appello (firmato già da 5 milioni di persone): contro lo sterminio per virus delle popolazioni indigene dell'Amazzonia.
Il Manifesto è stato promosso da Sebastião Salgado e Lélia Wanick Salgado.
Può essere firmato sulla piattaforma Avaaz https://bit.ly/2WC9qF4
Per capire il clima che si trova a fronteggiare in Brasile la Funai (Fondazione nazionale dell’Indio), l’organo del governo incaricato della protezione dei popoli indigeni, per vendetta ha staccato dalle pareti della sua sede i 15 quadri donati dal fotografo e li ha messi all’asta.
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mercoledì, maggio 20, 2020
Pretty Things
La recente scomparsa di PHIL MAY mette la definitiva parola "fine" sulla lunga e interminabile carriera dei PRETTY THINGS, tra le band più sottovalutate dei 60's, autori di capolavori come "S.F.Sorrow" e di piccolo gioielli sparsi.
Di seguito un breve excursus nella loro intricata discografia.
Il primo omonimo album del 1965 viene registrato in poche ore, live in studio, nel modo più diretto e grezzo possibile.
Quasi tutte cover di Bo Diddley, blues, Chuck Berry, puro rhythm and blues, scarno, elettrico, duro.
Si spingono più in là qualche mese dopo con un nuovo album "Get the picture?", con una serie di brani autografi, l'ingestibile batterista Viv Prince che suona occasionalmente, indurendo il sound, introducendo fuzz, brani meglio costruiti e talvolta di ispirazione proto psichedelica, pur essendo il rhythm and blues la base portante e i Rolling Stones un punto di riferimento costante (con un pizzico di Kinks).
Il terzo album "Emotions", sempre rinnegato dalla band (peraltro sempre più azzoppata da defezioni e problemi interni), uscì nel 1967 più per chiudere il contratto con la Fontana che per esigenze artistiche. Tanto più che fu rimaneggiato da fiati e orchestrazioni aggiunte dalla produzione che riteneva troppo scarno il contenuto.
Che appare in effetti molto pasticciato ma contiene ottimi brani, atmosfere psichedeliche, sapori Kinksiani.
Non male.
Nel 1968 "S.F.Sorrow" sancisce l'entrata nella storia per la band di Phil May e Dick Taylor. La prima opera rock (nonostante la storia che lega i brani dell'album non abbia la scorrevolezza della successiva "Tommy" degli Who, comunque direttamente influenzata dal lavoro dei Pretty Things).
Psichedelia, freakbeat, folk rock, British blues e tanto in un album epocale.
Venderà poco e solo con il tempo verrà rivalutato per il suo giusto spessore.
Con la dipartita di Dick Taylor e altri cambiamenti di formazione Parachute del 1970 è un'ottima fotografia del passaggio dai 60's al decennio successivo con un'iniezione di rock blues ancora tinto di psichedelico con i brani che si allungano e le atmosfere dilatano.
Non male ma non del tutto a fuoco.
"Freeway madness" (1972) li porta verso un sound che mischia easy rock, atmosfere barocche, glam, pop 70.
Con "Silk torpedo" (1974) approdano alla Swan Song dei Led Zeppelin e sfornano un potente e fresco album tra hard, glam, sapori Queen, rock FM. Irriconoscibili anche se efficaci.
"Savage eye" del 1976 segna la fine dell'esperienza della band con Phil May, L'album é debole, pomposo e decisamente poco significativo.
La band si scioglie e da questo si ritroverà successivamente in varie formazioni, soprattutto per l'attività concertistica, compilation e qualche album non particolarmente significativo.
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martedì, maggio 19, 2020
Olanda-Brasile 2-0 Germania 1974
ALBERTO GALLETTI ci riporta nel magico mondo delle PARTITACCE
OLANDA - BRASILE - Dortmund ‘74
Un tentativo di successione al trono violento.
Uno scontro che trascese la sfida calcistica e finì per andare all’osso della questione: uno scontro tra due culture, due stili di vita diversi e due modi di intendere il calcio opposti.
La partita tra Brasile e Olanda al mondiale del ‘74, oltre a decidere la finalista finì per essere la partita più violenta mai vista ad un mondiale.
Un regolamento di conti in piena regola.
La formula della X Coppa del Mondo prevedeva, dopo una prima fase a gironi in cui le prime due di ciascuno dei quattro gironi da quattro squadre andavano avanti, una seconda fase con due gruppi da quattro:
le due vincenti si sarebbero disputate la finale, le due seconde classificate quella per il 3° e 4° posto.
In virtù dei risultati fin lì registrati, la partita dell’ultimo turno del gruppo A tra Brasile e Olanda avrebbe designato la finalista, come in una semifinale secca.
O quasi, il Brasile aveva come risultato utile solo la vittoria, all’Olanda sarebbe bastato il pari.
Gli ingredienti per una partita memorabile c’erano tutti: da una parte i brasiliani campioni uscenti, non più la squadra che aveva incantato il mondo quattro anni prima.
Erano rimasti solo Rivelino, forse al suo apice, e Jairzinho forse un po spento: due fenomeni ad ogni modo; ma i nuovi Dirceu, Francisco Marinho, Luis Pereira e il capitano Mario Marinho eran tutta gente di alto, livello; gli mancava un grande attaccante, questo credo di si.
Di fronte a loro i pretendenti numero uno al loro scettro: l’ Olanda totale di Michels e Cruyff, rappresentante il calcio nuovo, in ascesa rapidissima.
Dominatori in Europa a livello di club negli ultimi quattro anni, nonché celebrati da mezzo mondo come il nuovo verbo calcistico definitivo, la bellezza calcistica in terra: il Vangelo secondo Neeskens.
Fu una partita memorabile, ma non unicamente per contenuti puramente legati al gioco.
Luglio ’74, l’estate tedesca non è foriera di clima soleggiato, la giornata è grigia e minaccia pioggia.
Gli spalti sono gremiti da una folla strabocchevole: il contingente arancione al seguito dell’Olanda è numerosissimo, la distanza da casa non è poi molta.
Il Brasile comincia meglio.
Sono, si può obiettare finchè si vuole ma è così, tecnicamente migliori degli avversari (a parte un paio) e creano le prime occasioni della partita; Dirceu manda fuori di un soffio a tu per tu col portiere dopo un quarto d’ora. L’Olanda fa pressing sui portatori di palla brasiliani già nella loro metàcampo ma non gli riesce molto bene, in aggiunta, quando riescono a rubar palla, la buttano via con lanci lunghi nella metacampo brasiliana vuota, facile preda dei difensori brasiliano che ripartono a giocar da dietro.
Calcio totale zero.
Poi cominciano i falli: Ze Maria a piedi uniti sulle caviglie di Neeskens; Suurbier su Luis Pereira; Neeskens spinge con violenza da dietro Valdomiro che rotola a terra; Van Hanegem in scivolata piede a martello sulla caviglia di Rivelino che lo salta (grandissimo), fa un tunnel a Jansen (immenso: sempre Rivelino) il quale lo atterra con una gamba tesa; Peres da una violenta spallata a Neeskens lanciato in corsa facendolo stramazzare a terra; tackle a forbice sulle caviglie di Van Hanegem su Paulo Cesar, mezzo placcaggio di Krol su Paulo Cesar, ancora Krol che entra in volo con due piedi sulle caviglie di Luis Pereira; ostruzione di Peres su Suurbier lanciato in area; Rivelino scalcia da dietro Van Hanegem che tenta di restituire la pedata e si prende una spallata che lo manda a terra; calcio da dietro di Valdomiro a Cruyff.
Poi quasi alla fine del primo tempo il primo dei due capolavori del crimine: lancio per Cruyff inseguito da Luis Pereira, l’olandese controlla in corsa splendidamente e si avvicina al limite allargandosi verso la bandierina, Luis Pereira lo rincorre ma è in ritardo netto e lo placca magistralmente con gesto tecnico che a Twickenham sarebbe valso solo applausi e magari la nomina a man of the match; qui, giustamente, cartellino giallo.
Si chiude il primo tempo: calci totali!
Secondo tempo, si è messo a piovere:
Rivelino ubriaca Neeskens che lo stende con una gamba tesa; Peres e Neeskens entrano insieme a gambe tese, fortunatamente tutti e quattro i piedi finiscono sulla palla che carambola verso la linea laterale dovè c’è Valdomiro che controlla, ma sopraggiunge Krol che lo falcia da dietro.
Di nuovo Krol (quanto picchia!) da dietro su Valdomiro; Jensen ha qualcosa da dire a Rivelino che, quando questi gli arriva appresso lo spinge per terra con disprezzo e poi lo manda a fare in culo.
Rijsbergen (forse) a piedi uniti su Jairzinho: violento; Peres stende Rensenbrink con una spallata in uno contro uno da rosso diretto, niente; Rivelino falciato da dietro da Van Hanegem a centrocampo; Francisco Marinho salta due avversari in dribbling e avanza sull’out destro, giunge nei presi dell’area e Suurbier lo falcia, rotolando a terra il brasiliano gli molla una pedata, l’olandese gli molla un pugno; pugno in testa di Rivelino a Jensen; Rivelino evita un entrataccia di Jensen, saltando, sopraggiunge Rensenbrink che non c’entrava niente e gli balza di culo sul fianco, Rivelino resta in piedi e da una culata a un altro olandese che gli si era avventato contro per abbatterlo, infine un terzo olandese cerca di sferrargli un calcio volante, lo manca, vola a terra e si finge morto perché nel frattempo è arrivato l’arbitro che ha visto tutto.
Poi grande azione Rivelino-Valdomiro con doppio triangolo, Rivelino stà per scartare Suurbier che lo atterra con una gomitata.
Quindi secondo capolavoro del crimine: Neeskens, palla al piede, evita Rivelino e fugge verso l’out sinistro, sopraggiunge Luis Pereira che lo falcia da dietro senza pietà e stavolta gli fa male. Qui l’arbitro estrae il cartellino rosso (diretto, mi pare); quindi show del terzino brasiliano che uscendo si becca una sequela di insulti dai tifosi olandesi piazzati li sopra.
Scortato da un paio di compagni si prende la maglietta in mano e la agita verso chi gliene sta dicendo di tutti i colori e poi alza freneticamente le mani, quasi fosse una macumba, facendo con entrambe il segno ‘tre’: tre mondiali ha vinto questa maglia, tre; voi zero (e zero resteranno).
Poi lascia perdere e entra nel tunnel degli spogliatoi, gli inservienti dello stadio fanno cenno verso gli spalti di non lanciare oggetti in campo. In mezzo a tutte ‘ste botte si giocò anche una partita.
L’Olanda srotolò il suo canovaccio: pressing alto che costringeva spesso i portatori di palla a buttarla via o a retrocedere chiudendo ogni sbocco e sistematico ricorso al fuori gioco che esasperò i brasiliani molto di più dei calci, ai quali erano sicuramente abituati e li mandò in corto circuito mentale facendogli perdere la pazienza.
Calci che comunque menarono per tutto l’incontro, cominciando per primi ed usandoli come arma tattica, ad ogni entrata, ad ogni intervento.
Il Brasile, quando in possesso palla cercò di giocare come sempre, sfruttando il campo per costruirvi manovre, palla terra, geometrie, fasce laterali; gli olandesi, forti di risorse fisiche e mentali che i brasiliani non avevano, questo gli va riconosciuto, giocarono novanta minuti di anticalcio. Certo non si limitarono a quello, ma la provocazione sistematica, al limite del regolamento e degli usi e costumi dell’epoca, vinse la partita ben prima che Neeskens ficcasse in rete il primo pallone.
Riconosco loro comunque il ruolo a tutto campo di Cruyff e il portiere che usciva dall’area a spazzare in tribuna trent’anni prima degli altri.
Due occasioni gol fallite clamorosamente dal Brasile da distanza ravvicinata nel primo tempo su giocate di Rivelino.
Due i gol, entrambi nella ripresa.
Al 50’ Neeskens riceve sulla tre quarti e allarga per Cruyff che gli chiude un gran triangolo, la palla torna verso Neeskens che si fionda in area, in anticipa in scivolata Luis Pereira e con un pallonetto scavalca Leao.
Gli olandesi che fin li avevano combinato poco prendono coraggio e possesso del campo in zona più avanzata, e si mettono anche a giocare un po. Il Brasile reagisce, costruisce trame regolarmente frustrate dal fuorigioco e dalle scarpate degli olandesi, il nervosismo aumenta.
Al 65’ Rensenbrink, in sospetto fuori gioco, controlla appena al di la della metà campo e serve lungo linea Krol che fila verso il fondo e crossa al centro per Cruyff che chiude i conti con una meravigliosa spaccata volante spiazzando Leao.
Per il Brasile si spegna luce.
Ci provano ancora, ma la convinzione viene meno mentre il nervosismo aumenta ancora; comunque a momenti segnano.
L’Olanda ha buon gioco nel controllare e nel distendersi in contropiede.
Le botte continuano fino al triplice fischio del Sig. Tschenscher al quale vanno i miei complimenti per averli fatti giocare fino al novantesimo; non perse mai la testa: ‘solo’ tre cartellini gialli ed uno rosso, e non rovinò la partita.
Di gran lunga il migliore in campo.
Gli isterici di oggi avrebbero fatto finire la partita entro 45’ a furia di cartellini rossi.
E grandi tutti i ventidue in campo che si diedero legnate tremende, ma senza mai trascendere; segno di grande educazione e rispetto calcistici, e non solo, e giocarono fino alla fine una partita da uomini, una delle più grandi mai giocate.
Una delle migliori che abbia mai visto.
La successione non fu completa e sul trono ci andarono, con merito, i tedeschi.
Dortmund, Westfalenstadion; 3 luglio 1974,
X Coppa del Mondo FIFA, Secondo Turno, Terza Giornata.
Olanda 2-0 Brasile
Olanda: Jongbloed ; Suurbier, Haan, Rijsbergen, Krol; Jansen, Van Hanegem ,Neeskens (85′ Israel); Rep, Cruijff, Rensenbrink (67′ de Jong)
Brasile: Leao ; Zè Maria, Mario Marinho, Luis Pereira, Francisco Marinho ; Carpegiani, Rivelino, Paulo Cesar (61’ Mirandinha); Valdomiro, Jairzinho, Dirceu
Arbitro: K. Tschenscher (BRD)
Marcatori: 50’ Neeskens (O), 65’ Cruyff (O)
Espulsi: 84’ Luis Pereira (B)
Spettatori: 53.700
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Partitacce
lunedì, maggio 18, 2020
Dalton - Papillon
In attività da sei anni, al terzo album, la band romana compie un grande salto in avanti, dimostrando maturità, spessore qualitativo, potenza sonora.
Il loro è un punk rock sincero e onesto che si muove tra umori 77 (dalle parti degli Slaughter and the Dogs), Oi! (Business, 4 Skins), una dose di classico rock 'n' roll stradaiolo, il combat rock di Clash e Ruts, un generoso abbraccio al glam rock più grezzo e istintivo dei 70 (vedi la lezione dei Jook) e richiami alla canzone d'autore italiana (un pizzico di Rino Gaetano).
Testi diretti e intensi (da quanto tempo non si sentiva cantare di sottoproletariato? vedi nel reggae punk "In disparte messi da parte (sottoproletariato"), eccellente la produzione (grazie al grande Glezos) e preziosa ospitata di Marco Giallini che recita all'inizio del disco.
Uno degli album dell'anno!
A seguire un'intervista alla band.
Quali sono le principali ispirazioni dell’ album?
E’ corretto trovarci una dose di canzone d’autore italiana? Personalmente ho sentito qua e là il Rino Gaetano più intenso e disperato…
La verità è che in Papillon non sappiamo davvero trovare fonti d’ispirazione differenti dagli altri album.
Crediamo che il nostro bagaglio musicale - cioè le cose che ci piace ascoltare - vengano fuori in ordine sparso, senza un vero senso logico, quindi forse è corretto dire che una buona dose di canzone italiana c’è, anzi consentici di dire un’ottima dose.
Ci fa piacere che tu ci abbia sentito il Rino Gaetano più intenso e disperato: ognuno sente sempre qualcosa di diverso, e per noi sono tutte attribuzioni graditissime: c’è chi ci sente molto Battisti, chi Vasco Rossi. E questo non ci dispiace, purché manteniamo una nostra identità musicale.
I testi hanno tematiche dirette, reali. Si riferiscono alla vostra quotidianità?
La difficoltà di questo album è stata proprio la traduzione delle nostre quotidianità in musica, e non perché non fossero presenti nei brani, anzi.
E’ proprio il contrario: quando si hanno emozioni forti diventa più complesso trasferirle in note, in sound.
Quindi abbiamo aspettato che i tempi fossero maturi per avere un punto di osservazione migliore, poi è stato davvero un attimo buttare giù i brani.
Sono davvero in pochi ad osare ancora parlare di sottoproletariato, soprattutto in musica.
Come se non esistesse più, cancellato dalla storia e dalla società….
Diciamo che sono davvero in pochi quelli che osano “vedere” che c’è ancora un sottoproletariato.
Molti credono che solamente perché ci si rifiuta di guardare qualcosa, questo smette di esistere. ‘In disparte messi da parte’ è un brano che parla: non racconta solo le loro vite, ma le mette a confronto con le nostre, che spesso sono vite non vissute, sempre attente a non cadere, con la paura di perdere una vita che in fondo “non avete mai vissuto”.
Il brano si snoda passando da sonorità più ritmate a una timbrica più incalzante, più dura, violenta.
È un viaggio che parte da una comfort zone per poi passare tra le fiamme di qualcosa che ci è sfuggito e ci condanna a una vita sprecata, in fondo solo per paura di guardare.
In che misura è stata importante la produzione esperta di un personaggio storico come Glezös?
Non sappiamo quanto la figura di un produttore sia davvero fondamentale in generale, ma possiamo dire con certezza che nel nostro caso la figura di Glezös lo è stata.
Solo una persona con la sua esperienza sia musicale che personale poteva entrare così rapidamente e con opera decisionale nel nostro gruppo.
E credimi, solamente con le sue qualità ha potuto ‘gestire’ l’album: l’empatia che riesce a trasmettere non è cosa che si compera al mercato.
Ha saputo capire profondamente la nostra ‘libertà’ di composizione, senza porre vincoli se non il nostro gusto.
Ma forse bisognerebbe chiedere a lui come ci si trova a lavorare con noi... ah ah ah!!
Avete avuto il piacere di ospitare un personaggio come Marco Giallini. Mi dite qualcosa su questa collaborazione?
Nasce tutto da un’ idea di Aldo Santarelli, che tempo fa regalò il nostro 45 giri ‘Ci siamo persi’ a Marco Giallini, suo grande amico.
Dopo avere recepito l’apprezzamento di Marco nei nostri confronti, Aldo ha pensato di proporci lui come interprete del sonetto del Belli ‘Lì du’ gener’ umani’, che avevamo scelto come apertura dell’album.
Ne abbiamo discusso e dopo alcune riflessioni abbiamo accettato.
Il fattore che ci ha convinto non è la popolarità dell’attore - che anzi ci ha messo anche un po’ in crisi - ma bensì l’uomo, che ha sempre rivestito un ruolo di anti-eroe in un mondo sempre più costruito sull’avere a discapito dell’essere.
Cosa vi aspettate da Papillon?
Quello che ci aspettavamo l’ abbiamo già avuto. Volevamo scongiurare il timore che i brani, gli arrangiamenti e la qualità del suono non fossero all’altezza delle storie raccontate nell’album.
Questo non è accaduto, quindi il nostro obbiettivo primario lo abbiamo raggiunto.
Il fatto che l’album piaccia ci dà felicità, e ora non vediamo l’ora di tornare a suonare e vedere come si trasformerà suonato su un palco.
Con la gente davanti, per cantarlo finalmente tutti insieme.
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domenica, maggio 17, 2020
PRAISE POEMS - A journey into deep, soulful jazz & funk from the 1970s
ùù
E' uscito in questi giorni il SETTIMO volume di PRAISE POEMS - A journey into deep, soulful jazz & funk from the 1970s serie di compilation edita dalla TRAMP RECORDS.
Si viaggia in sconosciute gemme di deep soul, sonorità jazzy, mellow funk degli anni 70.
Materiale molto fruibile e interessante.
Curiosa la scelta di copertine decisamente poco attinenti al contenuto e fuorvianti.
Da scoprire.
https://tramprecords.bandcamp.com/album/praise-poems-a-journey-into-deep-soulful-jazz-funk-from-the-1970s
E' uscito in questi giorni il SETTIMO volume di PRAISE POEMS - A journey into deep, soulful jazz & funk from the 1970s serie di compilation edita dalla TRAMP RECORDS.
Si viaggia in sconosciute gemme di deep soul, sonorità jazzy, mellow funk degli anni 70.
Materiale molto fruibile e interessante.
Curiosa la scelta di copertine decisamente poco attinenti al contenuto e fuorvianti.
Da scoprire.
https://tramprecords.bandcamp.com/album/praise-poems-a-journey-into-deep-soulful-jazz-funk-from-the-1970s
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sabato, maggio 16, 2020
Nina Antonia - In cold blood
Per ragioni lavorative ho riletto la drammatica storia di JOHNNY THUNDERS, immortalata da Nina Antonia cinque anni fa, tra eccessi di ogni tipo, tragedie, continue cadute, rari successi, la storia dei New York Dolls che potevano essere star ma non ce la fecero per un soffio, gli Heartbreakers e il punk, la carriera solista, il tunnel profondissimo da cui non uscì vivo.
Racconti di prima mano, spietati e diretti.
Stampa italiana a cura della Pipeline.
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venerdì, maggio 15, 2020
Rossano Lo Mele - Scrivere di musica
CHI SCRIVE DI MUSICA SI ARROGA IL DIRITTO DI SPIEGARE AGLI ALTRI COSA STANNO SENTENDO.
NON E' UNA FACCENDA DA POCO
Difficile dirlo meglio.
ROSSANO LO MELE lo può fare.
Direttore di "Rumore", batterista dei Perturbazione, insegnante di Linguaggi della musica contemporanea presso l'Università Cattolica di Milano.
In questo veloce, agile, chiaro e limpido saggio su ciò che significa "scrivere di musica" non si erge mai a dotto medico e sapiente ma spiega con molta trasparenza, umiltà e immediatezza, cosa vuol dire agire in un ambito così complesso e, altrettanto, abusato (da cani e porci. E io mi metto in prima fila).
Tutto é accuratamente sostenuto dalla lunga e difficile esperienza personale, da annotazioni in cui é facile riconoscersi, citazioni che abbracciano il pur sempre ampio spettro della critica musicale.
Sarebbe importante che fosse letto da tanti improvvisati, pretenziosi e arroganti aspiranti al "giornalismo" musicale ma anche per chi é un tantino più navigato è un testo molto interessante per rimettere in fila un po' di concetti basilari.
Consigliato.
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giovedì, maggio 14, 2020
Il Senato - Zibaldone
IL SENATO (il super gruppo composto da Luca Re, Fay Hallam, Andy Lewis e Alberto Fratucelli e Roberto Bovolenta dei Sick Rose) all'esordio sulla lunga distanza scrive il manifesto sonoro della propria esperienza artistica.
Da influenze prevalentemente di gusto 60's si arriva a suoni psichedelici freakbeat di matrice 70's, ballate alla Small Faces di "Odgen's..", soul pop, un pizzico di glam, qualche oscura cover.
Uno Zibaldone artistico molto ben prodotto e realizzato che attesta la band anglo/italiana tra le realtà più mature e in progress dell'ambito.
A seguire un'intervista a Luca Re, Fay Hallam e Andy Lewis.
1) Il Senato è nato come un'esperienza quasi saltuaria ed estemporanea. Si può dire che ora sia diventato un gruppo stabile?
LUCA
Beh in effetti tutto è nato in maniera molto estemporanea da un’ idea tua e di Alex!
Diciamo che concerto dopo concerto, tour dopo tour conoscendoci meglio e suonando parecchio insieme ci abbiamo preso gusto.
Ci divertiamo e questa è la cosa più importante, siamo riusciti a mettere insieme un album grazie soprattutto all’ impegno straordinario di Andy e Fay.
Cosa succederà in futuro non lo so. Di sicuro vogliamo aver la possibilità di suonare il disco dal vivo, non appena questo sarà possibile!
2) Gli inizi avevano una dimensione molto mod oriented. Ora vi siete spostati verso sonorità più freakbeat e quasi 70's. Evoluzione spontanea o scelta precisa?
FAY
No non si tratta di una scelta pianificata a tavolino.
Questo tipo di orientamento è stato determinato dalle canzoni che suoniamo dal vivo e dai pezzi che abbiamo composto per l’ album.
ANDY
E' esattamente come dice Fay!
Non si tratta assolutamente di una scelta pianificata. La nostra è stata una sorta di evoluzione naturale che ci ha portato a questo suono, insieme al mod sound più tradizionale a tutti piace il pop , il glam, il freakbeat, la new wave e il funky.
Esplorare differenti territori musicali è ciò che ha reso eccitante e divertente la realizzazione di questo disco e a mio avviso tutto suona molto fresco e spontaneo!
3) Come é nato l'album a livello compositivo e come e dove lo avete registrato essendo la band anglo/italiana?
LUCA
L’ idea di fare un LP è nata alla fine del 2018 dopo il tour in Germania dove l’accoglienza è stata particolarmente calorosa.
Abbiamo cominciato a scambiarci demo a distanza e a provare separatamente.
Poi nella primavera del 2019 il contingente italiano è volato in UK e in un fantastico studio nel Kent in 4 soli giorni abbiamo registrato le basi dell’ LP.
Poi a settembre 2019 abbiamo finito il tutto qui in Italia. Andy ha portato qui il suo studio mobile e grazie alla disponibilità del locale “Le Valvole”, in altri 4 giorni abbiamo finito il tutto.
4) Lockdown permettendo cosa avete in programma per la promozione?
LUCA
Avevamo già programmato un tour di due settimane qui in Italia che doveva farci suonare un po' in tutto il nord proprio in questo periodo, c’erano già delle date in UK per la fine di giugno e un altro mini tour questa volta nel sud Italia per la fine di luglio.
Al momento nessuno sa quando si potranno riprendere i concerti live.
Siamo già stato invitati al Mod Weekender dell’ anno prossimo a Bristol. Speriamo che almeno quello possa andare in porto.
5) Quali sono i dischi che più possono avere influenzato l'album?
FAY
Abbiamo cominciato a suonare dal vivo l’ anno scorso pezzi come 'Dr Rock' e 'It's a Good Thing' , queste canzoni sembravano fatte apposta per la band e da li in poi abbiamo incominciato ad indurire il nostro suono.
ANDY
Se si ascolta con attenzione il disco, si possono sentire svariate influenze che vanno dagli Stranglers, agli Slade, ai Dr Feelgood, ai Sonics, Marc Bolan e David Bowie, Sly And The Family Stone, Caravan, The Move e gli Equals, ma è sempre presente il classico mod e soul sound che ancora caratterizzano i nostri spettacoli dal vivo.
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mercoledì, maggio 13, 2020
Hazel Scott
Riprendo l'articolo che ho scritto per IL MANIFESTO di sabto 9 maggio 2020.
Il razzismo e il segregazionismo che infettarono ufficialmente gli Stati Uniti fino agli anni 70 (e successivamente in modo più subdolo e sotterraneo si sono ben conservati fino ai nostri giorni, con tanto di massiccia e gradita esportazione in Europa e resto del mondo) fecero un numero enorme e imprecisato di vittime.
Da quelle linciate e appese a una corda a quelle (tutt'ora) assassinate per “legittima difesa” da polizia e bravi cittadini timorati di Dio, fino a coloro che non poterono mai sviluppare il proprio talento e le proprie capacità, artistiche e lavorative, a causa del colore della pelle.
Alla faccia del “paese delle opportunità”.
In ambito artistico non si contano le carriere spezzate, boicottate, mai iniziate, di chi non si piegò ai brutali divieti, alla separazione, coercizione, prevaricazione.
Se in aggiunta eri pure donna e tenevi testa alle “regole”, la tua vita (artistica e non) era il più delle volte segnata.
Nina Simone fu sostanzialmente costretta a lasciare gli States (che gliela fecero pagare pesantemente, sospendendo distribuzione e pubblicazione dei nuovi album) a causa delle sue posizioni che non contemplavano alcun compromesso su certe tematiche, altre si adattarono ad aggiustamenti più o meno onorevoli, cercando di fare passare il “messaggio” in modo meno diretto ed esplicito.
Hazel Scott, eccelsa pianista, voce potente, caldissima e suadente, genio del jazz e della musica, spesso reputata di essere degna di apparire, nella storia, al fianco di nomi tutelari come Duke Ellington o Count Basie (nella cui orchestra suonò all'età di 15 anni, in radio e nei club!), stretta amica di Billie Holiday che la aiutò ad entrare nello star system, è stato un esempio perfetto, nella sua perversa negatività, in tal senso.
Negli anni 50 fu severamente punita per il suo impegno per i diritti civili e per quelli della comunità nera, inserita dal Comitato per attività anti americana nel famigerato “Red Channels” che indicava gli artisti vicini al Partito Comunista Americano, che di fatto la privò della possibilità di svolgere un'attività artistica negli Stati Uniti.
“C'è solo un tipo di persona libera in questa società ed è bianco e maschio” (Hazel Scott).
Se ne andò a Parigi, esibendosi per anni in Europa, tornando in patria solo a metà degli anni Sessanta, quando però ormai reinserirsi nel circuito era impresa ardua (anche a causa dei cambiamenti stilistici e del gusto del pubblico). Nata a Trinidad, di origine nigeriana Yoruba, cresciuta a New York, bambina prodigio (definita già all'età di otto anni “un genio”), stella predestinata del jazz, incominciò prestissimo, in virtù di una tecnica smisurata e di una capacità esecutiva pressoché unica, a farsi strada nel mondo dello spettacolo.
“Ho sempre saputo di essere dotata, che non è la cosa più semplice da far conoscere al prossimo perché non sei consapevole del dono ricevuto ma solo per quello che ci fai”.
Arrivò a Hollywood negli anni 40, entrando nel cast di diversi film e diventando protagonista di numerosi musical teatrali di grande successo da “I dood it” diretto da Vincent Minelli a “Raphsody in blue”, sulla vita di Gershwin.
Divenne famosa per sapere arrangiare pezzi classici (da Liszt a Bach e Chopin) in chiave jazz e blues, il cosiddetto “Swinging Classic”, entusiasmando anche la first lady Eleanor Roosvelt, presente a un suo concerto. Ma il ruolo perennemente assegnatole, come era prassi ai tempi, di macchietta (la donna di servizio nera che suona allegra e sorridente per i padroni bianchi, in un cast in cui non ci sono altri personaggi di colore) che non volle sapere di accettare (clausola che poneva sempre come essenziale prima di firmare un contratto) la indusse a lasciare il cinema e a tornarsene a New York.
Dove ottenne, prima donna nera in assoluto, un proprio show televisivo, l'“Hazel Scott Show”, dove, per tre giorni la settimana, suonava la musica che preferiva (jazz, boogie, blues), anticipando di parecchi anni, quello che divenne il primo importante show musicale condotto da un nero, di Nat King Cole, personaggio molto più accomodante e sicuramente meno impegnato politicamente. Intransigente, pose sempre regole ferree sulle modalità dei suoi concerti, come ad esempio il rifiuto di esibirsi in luoghi in cui vigeva la separazione razziale (cosa che ovviamente le tagliò un gran numero di possibilità di live).
Negli anni 50 una corda divideva il pubblico bianco da quello nero nei club e nei teatri (talvolta sistemata in fretta e furia quando gli organizzatori si rendevano conto di avere chiamato a esibirsi un artista nero, del cui colore della pelle era ignari in precedenza).
Ray Charles fu condannato, ancora nel 1961, per avere annullato un concerto in Georgia, una volta saputo che gli spettatori sarebbero stati separati.
Alla fine degli anni 50 al gruppo di colore dei Flamingos, prima di un concerto in Alabama , fu intimato dalla polizia locale di cantare guardando solo in alto, verso il loggione, dove erano confinati i neri e di non azzardarsi a volgerlo verso la platea dove avrebbero potuto vedere o incrociare lo sguardo con qualche donna bianca.
Certo, si tratta di casi limite dai tratti, drammaticamente, quasi folkloristici, ma il clima generale, soprattutto al Sud, era questo.
E se quanto descritto era l'aspetto più visibile ed eclatante, nella vita quotidiana, nei rapporti sociali, nelle situazioni più banali, le differenze erano marcate e il solco profondo.
“Perché qualcuno dovrebbe venire ad ascoltare una “negra” e poi rifiutare di sedersi vicino a una persona come me?”, dichiaro' la Scott.
La sua vita le poteva bastare, era famosa, ben pagata e il futuro le avrebbe riservato ancora di meglio. Ma la sua caparbietà e onestà la spinsero a presentarsi al Comitato di cui sopra con una dichiarazione chiara, pulita e precisa:
“Gli attori, i musicisti, gli artisti, i compositori e tutti gli uomini e le donne delle arti sono desiderosi e ansiosi di aiutare e servire il nostro paese. Il nostro paese ha bisogno di noi oggi più che mai.
Non dovremmo essere cancellati dalle feroci calunnie di uomini piccoli e meschini."
Parole che le costarono la carriera e la cancellarono di fatto dalla scena artistica. Lo show fu sospeso, le date divennero sempre più rare. Partì per Parigi (dove frequentò altri artisti fuggiti dall'America sempre più Maccartista, da Dizzie Gillespie a James Baldwyn), si esibì in Africa, Medio Oriente, si separò dal marito Adam Clayton Powell, attivista e politico, primo afroamericano a essere eletto membro del Congresso nello stato di New York. Tornò in America solo nel 1967 dove ritrovò solo una piccola parte della considerazione artistica precedente, continuando a suonare in tutto il paese, fino al 1981 quando un cancro la portò via definitivamente all'età di 61 anni.
Il suo nome scomparve velocemente dalla storia e finì a lungo nel dimenticatoio.
Nel 2019 Alicia Keys, durante la consegna dei Grammy Awards ha voluto onorare il talento di Hazel, suonando in contemporanea due pianoforte, pratica che rese famosa la Scott in una ripresa cinematografica. I giornali hanno ripreso l'immagine, il video e la notizia riportando agli onori della cronaca il ricordo dell'immensa pianista jazz.
Per apprezzare il talento smisurato di Hazel Scott ci sono antologie in abbondanza ma un disco in particolare svetta per importanza, classe e soprattutto tecnica, che unisce la genialità di tre mostri sacri della musica jazz.
Hazel al piano è superlativa ma ad accompagnarla, seppure in modalità rispettosa e mai prevaricante niente meno che Charlie Mingus al contrabbasso e Max Roach alla batteria.
“Relaxed piano moods”, del 1955, è un disco superbo (valga, da solo, “The jeep is jumping”, sublimazione dello swing e della tecnica jazzistica).
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