venerdì, novembre 15, 2024
John Entwistle
Poco più di un mese fa (il 9 ottobre) JOHN ENTWISTLE avrebbe compiuto 80 anni.
Riprendo un articolo che ho scritto per IL MANIFESTO, pubblicato nell'inserto "Ultrasioni / Alias" quattro anni fa.
Lo aveva dovuto chiarire, ad un certo punto, nell'album degli Who “Face dances” (1982) nel brano autografo “The quiet one”:
“Tutti mi chiamano quello tranquillo.
Non sono tranquillo, sono gli altri troppo eccessivi”.
Ma è sempre stato difficile crederlo. John Entwistle aveva un portamento distaccato, da vecchio gentleman inglese, modi raffinati, poche parole e un'attitudine che sembrava la più lontana possibile dalla classica vita dissipata ed eccessiva della rockstar.
Una recente biografia, “The Ox” (il bue, suo soprannome fin dagli esordi), del giornalista Paul Rees, a cui hanno contributo la prima moglie Alison, la seconda Maxine e il figlio Christopher, oltre agli amici e colleghi più intimi, svela invece un personaggio che si è consumato lentamente tra abusi di ogni tipo, fino all'imprevista (per chi non lo conosceva, più consapevoli e da tempo allarmati i suoi più intimi amici e collaboratori), fine, nel giugno del 2002, in un hotel di Los Angeles, dopo una notte di sesso e cocaina con una spogliarellista locale.
Le dichiarazioni contenute nel libro concordano unanimemente che avesse diverse personalità, due in particolare.
L'una, che lo accompagnava nel suo ruolo da rockstar, soprattutto in tour, in cui si abbandonava a un consumo smodato di liquori di ogni tipo, droghe, costantemente circondato da donne disponibili e da notti senza fine, spesso spese a raccontare le sue storie ad amici e fan fino all'alba e oltre.
L'altra è quella del tranquillo signore di campagna che attendeva con impazienza di tornare a suonare.
Si apriva in quei momenti nella sua anima un buco nero che lo assorbiva e lo faceva sprofondare nella depressione.
A cui cercava di sfuggire con acquisti compulsivi, qualsiasi cosa gli capitasse a tiro.
Bassi e chitarre, spesso costosissimi e rarissimi, erano le spese che preferiva.
Ne aveva accumulati qualche centinaio, di tutte le forme e marche. E poi auto di lusso a profusione (anche se non aveva, volutamente. la patente. Preferiva un autista che lo scarrozzasse ovunque mentre lui beveva sul sedile posteriore).
E, ancora, vestiti che comprava in maniera bulimica.
Durante un tour in America, si fermò in un negozio di abbigliamento country e comprò 100 paia di camicie da cowboy, di ogni foggia e colore, oltre a una dozzina di paia di stivali tutti uguali.
La sua casa (un vecchio maniero nella campagna inglese) era stracolma di supellettili e mobilio di ogni tipo, oltre che di un paio di studi di registrazione personali.
Un bar, costruito ad hoc, serviva ad ogni ora del giorno e della notte ai suoi numerosi (talvolta semi sconosciuti) ospiti, ogni ben di dio alcolico, dal gin allo champagne (ovviamente marche di prima qualità).
Ricorda un amico che lo andò a trovare in hotel alla fine di un tour e, negli anni 80, quando la cifra in questione era una piccola fortuna, aveva sul tavolo 20.000 dollari in banconote nuovissime. “Sto uscendo per spenderli tutti”.
Era totalmente ignaro del concetto di risparmio e di gestione del danaro.
Durante una lunga sosta nll'attività degli Who, organizzò e intraprese un tour a sue spese, pur di non rimanere fermo, con la John Entwistle Band, rimettendoci cifre importanti, tra affitto di impianti faranoici e teatri, che finirono per essere sovradimensionati rispetto al pubblico intervenuto.
Tutto questo lo portò più volte alla bancarotta, a cui rimediarono i vecchi amici Who con tour americani che ridavano ossigeno (per avere un'idea delle proporzioni, si parla di guadagni da tre milioni di dollari a testa alla volta) alle sue casse. Serviva a poco e per poco.
Riprendeva immediatamente a devastare conto corrente e il fisico.
Ma il musicista John Entwistle era inarrivabile.
Difficile discutere su chi sia stato il miglior bassista rock di tutti i tempi e non trovarlo ai vertici.
Una potenza inaudita, una tecnica unica e personale, un suono, elaborato nel tempo, mai eguagliato. Aveva la capacità di suonare i brani in studio una sola volta (vedi le evoluzioni di “The real me”, che apre “Quadrophenia”, suonata una volta sola, senza aver praticamente mai ascoltato bene il brano, giusto per provare il suono. Talmente sublime che venne mantenuto su disco in quella primissima e unica versione!).
Talvolta, in studio di registrazione, quando gli altri del gruppo erano troppo impegnati a litigare o a riprendersi da qualche sbronza, era solito, per non annoiarsi, rifare le parti già incise per riproporle sostanzialmente uguali a prima, semplicemente perfette.
Dal vivo era quello che teneva insieme la follia ritmica di Keith Moon e le improvvisazioni di Pete Townshend. Impassibile e immobile sul palco mentre intorno a lui gli altri tre scatenavano l'inferno.
Provò anche una carriera solista da affiancare all'attività saltellante degli Who ma mancarono le soddisfazioni. Se il primo album “Smash your head against the wall”, intriso del suo consueto humor nero è un ottimo lavoro, ispirato e ben fatto molto meno riusciti sono i sei successivi, sparsi nel corso degli anni, spesso registrati più per fuggire dalla depressione, causata dall'inattività, che per reali esigenze artistiche.
Fu anche parte anche della All Star Band di Ringo Starr, negli anni 90, nascondendosi dal batterista dei Beatles quando voleva bere. Ringo, dopo un passato di pesante alcolista, si era ripulito da tempo ed esigeva che nessuno facesse uso di alcolici e droghe durante il tour. Gli ultimi anni con gli Who sono all'insegna di un enorme successo, stadi pieni, la celebrazione del mito, gli ultimi sopravvisuti con Rolling Stones e Paul McCartney della grande leggenda del rock, ormai musealizzata e consegnata alla storia e al passato, icone di un'epoca irripetibile. Pagati cifre astronomiche, tra hotel di lusso, aerei, Limousine, i migliori ristoranti.
Ma vivono il tutto separatamente, Dormono in luoghi diversi, ognuno ha un proprio camerino, suonano, spesso senza nemmeno guardarsi in faccia, intascano il cachet e se ne vanno. John subisce più degli altri una situazione artificiosa e il suo “buco nero” diventa sempre più profondo.
Nel frattempo i volumi spaventosi con cui ha suonato per anni lo hanno reso ormai quasi completamente sordo.
Il suo amplificatore sul palco è sempre al massimo, non riesce più a sentire gli altri, osserva costantemente le mani di Pete Townshend, per capire che accordi stia facendo per seguire correttamente il brano in esecuzione.
Talvolta Townshend, infastidito, gli voltava volutamente le spalle per dispetto.
Nel suo vortice autodistruttivo John ha sempre trascurato cocciutamente ogni tipo di tutela della propria salute. Incurante della progressiva perdita di udito, ha anche sempre accuratamente ignorato il consiglio da parte di amici e famigliari di curare la dieta alimentare, assolutamente devastante, fatta quasi esclusivamente di cibi fritti e bistecche alla griglia, senza alcun tipo di frutta e verdura.
Negli ultimi tempi molti amici notavano con orrore che aveva la pelle sempre più grigiastra e un aspetto pessimo.
La vicinanza con la nuova compagna Lisa, cocainomane, alcolista, estrema in ogni sua manifestazione, lo trascinò ancora più a fondo, fino alla notte fatale del 2002.
Per apprezzare il genio e il talento di John Entwistle i dischi solisti sono davvero poco significativi, se non per i fan più accaniti e completisti.
Nella discografia degli Who l'album che ne esalta al meglio la capacità tecnica e creativa è senz'altro “Quadrophenia”, del 1973, e in cui John arrangia e suona tutta la sezione fiati (era un abilissimo con il corno ma se la cavava anche con tuba, tromba e sax).
John ha sparso la discografia degli Who di brani di sua composizione, spesso di eccellente qualità. In particolare l'inquietante “Boris the spider”, le altrettanto sinistre “Fiddle about” e “Cousin Kevin” dall'opera “Tommy” e la perfida “My wife”, dedicata alla prima moglie Alison.
Meno conosciute ma altrettanto belle “Silas Stingy” e l'elettronica futuristica “905” da “Who are you”.
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