lunedì, ottobre 02, 2023

Russia. Febbraio 2023 #2



L'amico SOULFUL JULES, abituale frequentatore, per motivi di lavoro, dell'ex Urss, ci introduce nel clima di alcune zone, tristemente famose in questi giorni.
Ci aiuta a capire e ad approfondire, al di fuori di divisioni ideologiche, polarizzazioni, supposizioni.


Le precedenti puntate di "Tales from ex Urss" sono qui:
https://tonyface.blogspot.com/search/label/Tales%20from%20Ex%20Urss

La prima parte è stata pubblicata qui: https://tonyface.blogspot.com/2023/09/russia-febbraio-2023-1.html

PARTE #2

La domenica mi alzo verso ora di pranzo che è una bella giornata, per quanto possibile a Mosca in inverno.
Il sole è tiepido, i cumuli di neve nei cortili si sciolgono in rivoli di acqua e sporco che bagnano le strade.

Per il pomeriggio ho scelto di visitare il Museo di Storia Russa Moderna, che ha sede in un palazzo con la facciata in stile neoclassico in ulica Tverskaja, in pieno centro.
Per quasi un secolo questo edificio ha ospitato il Club Inglese di Mosca, un’associazione elitaria che radunava nobili, commercianti, finanzieri e industriali. Con l’avvento dei bolscevichi e la scomparsa dei capitalisti il circolo venne chiuso e nelle stesse sale fu inaugurato il Museo della Rivoluzione, rimasto in attività fino al 1998.

Il percorso espositivo parte dalla metà del diciannovesimo secolo, quando la popolazione all’interno dell’impero russo contava circa 75 milioni di abitanti, l’85% contadini, i nobili meno del 2%.
Agli inizi del 1900 la città più industrializzata era San Pietroburgo con 130.000 operai, a seguire Mosca, Lodz nell’attuale Polonia e Riga in Lettonia.
Sono piegato sopra un maxischermo interattivo a leggere dati e statistiche quando nella sala entra un gruppo di scolaretti, avranno sette o otto anni al massimo, sono accompagnati dalle madri, non c’è un padre che sia uno, l’unico maschio adulto è la guida, un ragazzo sulla trentina, vestito e pettinato come se si fosse appena alzato dal letto.
Al di là dell’aria da cantautore anni settanta, con la barba incolta, gli occhiali tondi e il maglione rosso infeltrito, il tizio ci sa fare, coinvolge i ragazzini con un sacco di domande, anche un po’ banali ma sempre buone per mantenere alta l’attenzione, sono tutti smaniosi di rispondere, alzano la mano, senza far tanto casino. Questo è quello che dovrei fare io quando parlo con i clienti: cercare un dialogo.
La lezione frontale, la presentazione senza pause, che non riesce ad appassionare l’interlocutore, rompe le balle.
Eppure, certe volte non ci sono alternative, ti trovi davanti uno che se ne sta zitto tutto il tempo, al massimo fa qualche mugugno, parli da solo e te ne esci dalla riunione con addosso una frustrazione che a momenti ti squaglia.

Seguo la scolaresca nella sala accanto, la guida si è piazzata davanti a un poster della guerra Russo-Nipponica del 1905, oltre 120.000 morti in pochi mesi, in buona parte giapponesi. Invita i ragazzini a osservare le figure disegnate sul manifesto.
Sulla sinistra, in corrispondenza della costa orientale russa, è seduto un soldato con il volto gioviale e la barba folta, il colbacco di pelo e la giubba rossa.
Stringe un cannone sotto il braccio. Dall’altra parte, sulla destra, sono ritratti in scala ridotta due uomini vestiti secondo la moda occidentale, uno di questi solleva un ometto in uniforme e con gli occhi a mandorla.
Il ragazzo si rivolge ai bambini, parla lentamente, la voce nitida:
“Ecco, vedete, davanti al russo c’è un giapponese, piccolino, e chi è che sta dietro di lui, chi è che lo tiene in braccio?”
I bambini esitano, osservano, bisbigliano cose indistinte.
“Come sono vestiti quei due signori? Uno porta il cilindro, indossa una giacca lunga.” li incalza la guida, “Quello dietro fuma la pipa e si tiene le mani in tasca. E qual è quella città dove si va in giro tutti eleganti, col cilindro e la pipa in bocca?” domanda infine con un tono impostato, teatrale.
I ragazzini e le mamme rispondono in coro, eccitati: “Londra!”
“Giusto! C’erano gli inglesi e gli americani dietro al Giappone, vedete?”
Si alza un mormorio di soddisfazione, il gruppetto prosegue verso un’altra sala.

Nel 1914 inizia la prima guerra mondiale, soltanto in Russia si contano quattordici milioni di mobilitati e quasi due milioni di morti.
Nell’area dedicata alla Rivoluzione del 1917, c’è una registrazione con la voce di Lenin che arringa la folla, il tono solenne e cadenzato di uno scolaretto che recita una poesia davanti a tutta la classe.
Con i bolscevichi al potere, la Russia ritira le proprie truppe dal conflitto ancora in corso e per i cinque anni successivi è dilaniata dalla guerra civile.
Alla fine i comunisti avranno la meglio sui controrivoluzionari.

Se all’inizio della mostra troviamo un po’ di sciabole, un paio di revolver e qualche schioppo della guerra russo-turca, man mano che si avanza nel processo di sviluppo e modernizzazione, le armi diventano più sofisticate e imponenti, cannoncini, pistole automatiche e mitragliatrici occupano un sacco di spazio nelle sale di inizio novecento.
Il potenziamento della tecnologia in campo militare è uno dei fattori che porta allo scoppio della seconda guerra mondiale o Grande Guerra Patriottica, come viene chiamata in Russia.
Alla fine del conflitto, soltanto nell’Urss si contano oltre ventisei milioni di morti.

L’area riservata alle mostre temporanee è dedicata alla battaglia di Stalingrado, un evento che ormai ha assunto i contorni della leggenda e di cui in questi giorni si celebra l’ottantesimo anniversario. Tre mesi di combattimenti, oltre un milione di vittime e una città annientata incarnano uno dei simboli della vittoria dei sovietici sui nazisti e in questo periodo di ricorrenze, il paragone con la cittadina di Bakhmut, nel Donbass, è sempre presente, sia da noi che da loro.
Prima della guerra ci abitavano poco più di 70.000 persone, per oltre novant’anni era stata indicata nelle mappe come Artemovsk, finché nel 2016, in seguito al processo di de-comunistizzazione avviato dal presidente Porošenko, aveva ripreso il nome originario, legato al fiume Bakhmutka, che attraversa la città.
Nei tg russi viene ancora chiamata Artemovsk, le riprese mostrano le facciate sventrate e annerite di quegli edifici che non sono collassati del tutto, e a parte la qualità del girato e la parvenza di qualche colore che non sia il nero o il grigio, sembra proprio di vedere Stalingrado alla fine della guerra: macerie, detriti, fumo nero e una manciata di muri portanti che hanno resistito alle cannonate.

Nelle sale che documentano la perestrojka, il periodo delle riforme economiche e sociali a metà degli anni ottanta, c’è una musica drammatica in sottofondo, carica di echi tragici, dolorosi. Foto e video proiettati trasmettono disagio, incertezza, come nei nostri documentari sugli anni di piombo.
Stessa atmosfera di dolore e smarrimento nella sezione che ripercorre gli ultimi anni dell’Unione Sovietica.
Tanti reperti, striscioni, vestiti sporchi e filmati un po’ sgranati per documentare il tentato golpe nell’agosto del 1991, quando una parte dell’esercito e del KGB cercò di deporre Gorbacёv e di attaccare il parlamento con i carri armati.
Il progetto eversivo trovò l’opposizione della gente comune, nelle principali città furono indetti scioperi, un po’ ovunque nacquero manifestazioni spontanee di protesta, attorno alla Casa Bianca vennero erette barricate per ostacolare l’assalto dei blindati. Nella notte tra il 20 e il 21 agosto, mentre le truppe erano pronte ad attaccare il parlamento, ci furono morti e feriti tra i civili.

Alla fine la rivolta rientrò, nessuno volle assumersi la responsabilità di un bagno di sangue, i golpisti furono arrestati. Il 24 agosto Michail Gorbačёv si dimise da segretario del PCUS. La fine della sua carriera politica rafforzò quella di Boris El’cin, neo-eletto presidente della Federazione Russa. Pochi mesi dopo venne sancito lo scioglimento dell’Urss che inaugurò una fase di transizione verso il capitalismo e la democrazia, un decennio di instabilità sociale ed economica. C’è una bacheca in cui sono raccolti cioccolatini, giocattoli, conserve e vestiti inviati dai paesi europei, beni di prima necessità che nel 1991 a Mosca e nel resto del paese scarseggiavano.
Sono passati più di trent’anni e l’incubo di quel periodo è sempre vivo, ancora oggi, per il russo medio, la paura più grande è che il paese cada nel caos.

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