venerdì, dicembre 31, 2021

Dicembre 2021. Il meglio del mese


Nei giorni scorsi si è dato ampio rendiconto dell'anno trascorso ma il sunto del mese è immancabile.

PAUL WELLER - An Orchestrated Songbook con Jules Buckley & la BBC Symphony Orchestra
Registrato dal vivo il 15 maggio 2021 con l'orchestra della BBC Symphony Orchestra diretta da Jules Buckley e l'accompagnamento di Steve Cradock alla chitarra.
Diciotto brani riarrangiati con archi e fiati e un'impronta classica, sontuosa, solenne, pescati dall'ormai infinito repertorio, dai Jam (una commovente "English Rose" e "Carnation", gioiello spesso dimenticato che però non trae giovamento da questo pomposo trattamento) agli Style Council (quattro, che molto meglio si prestano all'uso dell'orchestra, con tanto di Boy George alla voce - incerta - in una comunque buona versione di "You're the best thing") alla lunga carriera solista, in cui spiccano quel capolavoro soul che è "On sunset" e una sempre bella "Wild Wood" con la voce di Celeste.
L'inarrestabile Paul si è tolto un'ennesima soddisfazione con risultati come sempre di alta qualità.

PIAGGIO SOUL COMBINATION & LAKEETRA KNOWLES - Soultimate
Ancora un gioiello di soul, latin, boogaloo, northern soul in arrivo dalla band toscanca che padroneggia la materia con una capacità unica. Soprattutto nella scelta dei suoni e nella capacità di riprodurre alla perfezione quelle atmosfere. Le canzoni sono di livello eccelso, il groove abbonda, album superlativo.

SMALL JACKETS – Just like this!
Spacca come sempre la band romagnola, che se ne esce con un album d torrido rock blues, rock ‘n’ roll, i 70’s nell’anima, un groove funk soul e un favoloso tiro che li ha sempre contraddistinti. I nove brani sono sempre di altissimo livello e rendono l’album pulsante e arrembante, tra i migliori italiani del 2021.

G.U.N. Inc - Grim Up North Inc.
Poderoso e spettacolare esordio di una super band che raccoglie nomi noti della scena italiana (da Hormonauts a Upset Noise), alle prese con un'originalissima miscela di punk e hardcore (tra TSOL e il meglio della scena californiana degli 80). Violentissimi, esecuzioni impeccabili, uno degli album dell'anno nell'ambito.
https://guninc.bandcamp.com/releases

GABRIELS - Bloodline
Un ep intenso per il trio di L.A. Un modernissimo gospel blues, ammantato di umori jazz, la voce di Jakb Lusk che riporta a quella di Antony Hegarty, un mood oscuro e minaccioso, grandi arrangiamenti orchestrali.
Da tenere d'occhio.

TERRACE MARTIN - Drones
Ospiti di grande prestigio (da Kendrick Lamar a Snoop Dogg, Leon Bridges, Kamasi Washington) per un album in cui un nusoul dal gusto jazz si accompagna a RnB, jazz, tribalismo. Moderno e pieno di spunti innovativi.

KINA - Questi anni
Un prezioso documento che sublima la storia dei KINA, una delle più importanti (hardcore punk) band italiane di sempre.
Il box contiene lo splendido docufilm "Se ho vinto se ho perso" di Gianluca Rossi (i dettagli del film con intervista al batterista Sergio Milani qui: http://tonyface.blogspot.com/2019/07/se-ho-vinto-se-ho-perso-di-gianluca.html), a cui si aggiunge un elegante libretto a cura di Marco Pandin con foto, testi e interviste ai protagonisti, relativamente al tour di reunion del 2019.
Documentato da un CD di un'ora registrato nelle 12 date tra Italia, Germania, Olanda in cui la band suona alla perfezione, potentissima e con una registrazione di primissima qualità.
In aggiunta cartoline e reperti vari.
Per chi reputa che Quegli anni siano stati importanti, un documento imperdibile.

CRISTINA DONA' - Desidera
A sette anni di distanza dal precedente lavoro (anche se non è certo rimasta con le mani in mano tra concerti, collaborazioni e altri progetti), la Donà, tra i nomi di vertice della scena cantautorale alternativa italiana, torna con un nuovo sorprendente album. Aspro, complesso, sperimentale, spigoloso, in cui alterna elettronica, orchestrazioni, la sua classica e riconoscibile scrittura. Ancora una volta siamo ad altissimi livelli.

RATS - Tenera è la notte
I Rats stupirono l’Italia (ma anche il mondo, visto il grande apprezzamento che dedicò loro John Peel alla BBC) con l’esordio “C’est disco”, nel 1981. La prima formazione, con la voce di Claudia Lloyd, non ebbe però ulteriore fortuna e il secondo album, pronto per le stampe, non vide mai la luce. La band proseguì con un’altra formazione, spostando l’indirizzo artistico/sonoro verso lidi più rock ‘n’ roll. Dopo quaranta anni viene finalmente stampato “Tenera è la notte”, evidenziando il rammarico per un’occasione perduta, tanto è ancora valido il materiale. Post punk dalla forte personalità grazie a una vena rock che aggiunge carattere e originalità. Un documento preziosissimo.

MAGIC POTION - Cast a spell
Band nata a Roma nella seconda metà degli anni Ottanta all'indomani della scissione dei Technicolour Dream, due album all'attivo e una serie di brani sparsi tra demo e 45 giri, ritrova la luce con una ristampa dell'opera omnia, più un brano registrato pochi mesi fa, "Cast a spell che era la B side di "Magic Potion" 45 giri degli Open Mind, da cui la band prende il nome, sorta di chiusura del cerchio.
Il sound della band era tipicamente psichedelico, strettamente avvinghiato ai colori inglesi tardo 60's, primi Pink Floyd in particolare. La preziosa ristampa ci consente di apprezzare una band di grande gusto e qualitativamente avanti rispetto al periodo delle incisioni.

TOM MORELLO - The Atlas Underground Fire
La seconda parte dell'album di collaborazioni coin gli artisti più disparati (Springsteen, Vedder, Damian Marley nel primo, Idles, Metallica, Ben Harper tra i tanti del nuovo). L'impressione è di un grande minestrone senza nessun amalgama, con brani scollegati, stili contrastanti, senza un filo conduttore.

KILLS BIRDS - Married
Bella grattuggiata che arriva da LA. Punk, noise, post punk, durezza chitarristica diffusa. Non male anche se un po' anonimi.

ALAN EVANS TRIO - Elephant Head
Album di ottimo funk strumentale con molte infueze conematografiche. Pur nella sua prevedibilità e scontatezza.

MODERN STARS - Psychindustrial
Secondo album per la band laziale che conferma la predisposizione a un sound atipico ai nostri giorni, che scava nelle lande più oscure e ipnotiche dello shoegaze ma con le radici ben piantate nel terreno ancora fertile dei Velvet Underground. Sette brani notturni e cadenzati per un lavoro molto personale.

LETTO

Paul McCartney - The lyrics: 1956 to the Present
Uno dei migliori (IL migliore?) libri musicali di sempre.
Anche se pertinenza soprattutto dei più profondi conoscitori di Paul e Beatles, contiene spunti imperdibili e storie uniche e importanti.
Estratto da cinquanta ore di conversazioni con il poeta Paul Muldoon, raccolte tra il 2015 e il 2020, "The Lyrics" è un monumentale (doppio) volume di 900 pagine arricchito da incredibili e inedite memorabilia, estratte dal suo archivio di oltre UN MILIONE di pezzi.
Paul parla di 154 brani che ha firmato, dai Beatles a oggi.
E' ironico, colloquiale, schietto, talvolta nostalgico, molto amabile nel raccontare in modo disarmante una delle carriere artistiche e umane più entusiasmanti degli ultimi 100 anni.
I brani sono in ordine alfabetico e quindi le storie si intrecciano, si salta dalla fine degli anni 50 agli 80, si torna ai Beatles, si corre ai Wings.
Non di rado i brani sono semplici facciate B di dimenticati 45 giri dei Wings o oscuri momenti di dischi minori.
Paul racconta di quelli dedicati ai suoi animali, il cane Martha ("Martha My dear"), il pony Jet ("Jet") o alla sua jeep ("Helen Wheels").
Quando in "Obladi Oblada" parla di Desmond, fa riferimento a Desmond Dekker e non a caso il brano è su un ritmo ska.
Il padre di Paul, Jim comprò il suo pianoforte da Henry Epstein, padre di quel Brian che anni dopo divenne mentore e manager dei Beatles.
Quando decide di comporre una "canzone scozzese" perché constata che ci sono solo tradizionali, scrive "Mull of Kyntire", consapevole che nel 1977, in piena esplosione punk sarebbe stato ignorato. Diventa il 4° singolo più veduto di sempre in UK e un classico.
Ci parla della sua infanzia proletaria (orgogliosamente più volte rivendicata), di come nelle sue canzoni ci siano spesso doppi sensi, messaggi nascosti, riferimenti colti, derivati da letture e studi, altri semplicemente e volutamente sciocchi.
C'è spesso il ricordo commosso di John e una lettura lucida dei loro contrasti.
Inserisce accordi (vedi "Michelle") solo perché "ci stanno bene".
"Ticket to ride" si riferisce anche a Ryde, sull'isola di Wight, dove i giovani Paul e John andarono in autostop a trovare gli zii di Lennon.
L'aspetto più interessante è la descrizione di come compone, come scrive, come si ispira ed è bellissima la rivelazione che segue:
"Con i Beatles non sapevamo leggere o scrivere la musica, così ce la inventavamo.
Molto di quello che abbiamo fatto è derivato da un profondo senso di meraviglia e non dallo studio. Non abbiamo mai davvero studiato musica".
Un libro definitivo che sviscera ulteriormente il mondo beatlesiano, prezioso proprio perché i quattro di Liverpool hanno rappresentato uno dei momenti più importanti nella storia del rock. Divertente perché Paul lo sa essere con uno humor particolare e personale, entusiasmante perché ci porta nelle profondità più oscure del suo mondo.
"Il bello dei Beatles è che eravamo una piccola band maledettamente brava.
Tutti e quattro sapevamo come accompagnarci l'un l'altro e suonare insieme e questa era la nostra forza. Con "Get back" volevo fare tornare la band agli esordi.
Ma far rivivere i Beatles di una volta non era possibile.
Era troppo tardi per consigliare di non dimenticare chi eravamo stati e da dove eravamo venuti."

Laura Carroli - Schiavi nella città più libera del mondo
La bellezza di una lotta sta nella lotta stessa, non tanto nel suo successo...
E Laura ha lottato sempre.
Ha vissuto il passaggio dall'antagonismo post 77 con gli "indiani metropolitani", abbracciando fin da subito la nascente scena punk bolognese, dagli incerti inizi in cui confluiva di tutto, alla creazione di quell'entità unica che furono i Raf Punk, l'Attack Punk Records, il collettivo nazionale "Punkaminazione" e tanto altro.
Laura racconta la vita complessa di chi si divideva tra lavoro, occupazioni, concerti, aggressioni fasciste, viaggi senza soldi in Europa e nell'agognata Londra dei primi anni 80:
La città è un gran luna park, un parco di divertimenti con tutto ciò che si può desiderare dalla vita, ma per salire sulle giostre ci vogliono molti soldi, non si può fare il giro di tutti i baracconi.
La scena hardcore e la "scelta" Crassiana, la scoperta e il lancio dei CCCP, avventure tragicomiche e sullo sfondo una disperata, erotica quanto dolce storia d'amore.
Lo sguardo è lucido e disincantato, nessuna agiografia dei "bei tempi", solo un ritratto fedele di come e cosa è stato e chi ci è stato (molti ricordi coincidono, eravamo nello stesso luogo).
Le considerazioni sono sempre acute e fanno spesso emergere aspetti mai sottolineati:
E' divertente vedere la rovina hardcore che si svolge solto il palco...tutti cercano di raggiungere il palco per fare tuffi e ributtarsi nelle onde tumultuose di corpi sudati trascinati da una musica forsennata.
Si, il maschio è servito, noi ragazze siamo state estromesse dalla brutalità muscolare...non c'è più posto per noi.
Laura continuerà, dopo questa esperienza, per altre strade, sperimentando, cercando, vivendo sempre intensamente.
Un'ennesima testimonianza di un periodo lontano che ha lasciato in chi lo ha vissuto una visione diversa della vita e che ha consentito a tanti di affrontarla in modo differente e con un altro sguardo.

Gil Scott Heron - L'avvoltoio
L'esordio di Gil Scott Heron come scrittore, nel 1970, ne denota già il carattere di futuro compositore di alcuni dei migliori testi della black music.
Preciso, duro ma soprattutto causticamente ironico, utilizza le storie per portare alla luce i problemi dell'America e del trattamento riservato agli afro americani.
Per scrivere il libro interruppe i (pur fruttuosi) studi universiatri, rischiando di non terminarli (ce la fece e si laureò alla Johns Hopkins University di Baltimora).
"Non credo sia un'esagerazione dire che la mia vita sia dipesa dall'essere riuscito a finire "L'avvoltoio" e a farlo pubblicare.
Metterlo insieme è stato il mio modo di camminare bendato sulla fune, sapendo che se non avesse funzionato, se non fosse stato pubblicato, non ci sarebbe stata nessuna rete di protezione in cui cadere e nessun buco in cui nascondermi, niente soldi per andare da qualsiasi parte".
"Volevo scrivere una storia che ognuno, che chiunque potesse trovare godibile, su cui tutti potessero formulare delle ipotesi a mano a mano che leggevano.
Ma i miei personaggi, il loro modo di parlare e la loro lingua dovevano essere fedeli al ghetto e l'omicidio fedele alla cultura del sottobosco criminale e ai suoi simboli"...spero che il birdwatching vi piaccia".
(Gil Scott Heron. New York. 1996).
Il mensile “Essence” lo definì “un forte inizio per uno scrittore con cose importanti da dire”. Il romanzo racconta la strana storia dell’omicidio di John Lee, attraverso le parole di quattro uomini che lo conobbero quando era solo un ragazzo che lavorava dopo la scuola, in attesa che accadesse qualcosa.
I racconti dei quattro sono il pretesto per descrivere un'America in cui soprusi, razzismo, violenza e ideali infranti erano all'ordine del giorno e che cinquant'anni dopo non sembrano, in molti casi, essere cambiati.
Un thriller brillante, veloce, ben scritto con freschezza e grande verve. Tradotto brillantemente da Paola Attolino che esalta tutte le sfumature dei dialoghi in "black english".
Gil scriverà un altro eccellente romanzo "La fabbrica di negri" ("Nigger's factory" (tradotto in italiano da Shake) ma preferirà poi votarsi alla poesia e alla forma canzone.
"Il romanzo non si presta a una scrittura immediatamente politica che è invece possibile nella poesia e nella canzone.
Il mio lavoro è serio ma è anche intrattenimento. perché voglio raggiungere la gente".

Vivien Goldman - La vendetta delle punk
Tra i tanti aspetti che hanno reso il PUNK così IMPORTANTE c'è stata la centralità della figura femminile che ha preso posto sul palco finalmente non più come figura comprimaria ma come protagonista principale.
Bastino nomi come Patti Smith, Siouxsie, Chrissie Hynde o Debbie Harry ma c'è tutto un sottobosco meno noto che va da PolyStirene a Pauline Black, Rhoda Dakar, le Slits, le Raincoats, Vi Subversa, Pussy Riot o nomi rivoluzionari come Grace Jones e mille altre che hanno aperto porte, orizzonti, possibilità a tante altre ragazze e ricodificato un genere apertanente e dichiaramente maschilista come il "rock".
Vivien Goldman, prestigiosa giornalista musicale, ma non solo, scrive un pregevole saggio in cui percorre varie esperienze di questi personaggi analizzando quattro temi fondamentali come identità, denaro, amore e protesta che dimostrano quanto il punk sia stato un elemento determinante e importante per la liberazione delle donne. Si parla anche di artiste sconosciute ma per ogni capitolo c'è una playlist dettagliata per andare alla ricerca di nomi oscuri.
Ma anche di nomi famosi:
"Oggi alcune delle sobillatrici sono artiste super commerciali come Beyoncé. Probabilmente è una delle nuove svolte della musica di protesta".
Un libro che va oltre un mero elenco di nomi, al contrario un'analisi profonda di un periodo di enorme importanza in ambito non solo musicale ma sociale e culturale.

Gil Scott Heron - L'avvoltoio
L'esordio di Gil Scott Heron come scrittore, nel 1969, ne denota già il carattere di futuro compositore di alcuni dei migliori testi della black music.
Preciso, duro ma soprattutto causticamente ironico, utilizza le storie per portare alla luce i problemi dell'America e del trattamento riservato agli afro americani.
Per scrivere il libro interruppe i (pur fruttuosi) studi universiatri, rischiando di non terminarli (ce la fece e si laureò alla Johns Hopkins University di Baltimora).
"Non credo sia un'esagerazione dire che la mia vita sia dipesa dall'essere riuscito a finire "L'avvoltoio" e a farlo pubblicare. Metterlo insieme è stato il mio modo di camminare bendato sulla fune, sapendo che se non avesse funzionato, se non fosse stato pubblicato, non ci sarebbe stata nessuna rete di protezione in cui cadere e nessun buco in cui nascondermi, niente soldi per andare da qualsiasi parte".
"Volevo scrivere una storia che ognuno, che chiunque potesse trovare godibile, su cui tutti potessero formulare delle ipotesi a mano a mano che leggevano.
Ma i miei personaggi, il loro modo di parlare e la loro lingua dovevano essere fedeli al ghetto e l'omicidio fedele alla cultura del sottobosco criminale e ai suoi simboli"...spero che il birdwatching vi piaccia".
(Gil Scott Heron. New York. 1996).
Il mensile “Essence” lo definì “un forte inizio per uno scrittore con cose importanti da dire”.
Il romanzo racconta la strana storia dell’omicidio di John Lee, attraverso le parole di quattro uomini che lo conobbero quando era solo un ragazzo che lavorava dopo la scuola, in attesa che accadesse qualcosa.
I racconti dei quattro sono il pretesto per descrivere un'America in cui soprusi, razzismo, violenza e ideali infranti erano all'ordine del giorno e che cinquant'anni dopo non sembrano, in molti casi, essere cambiati.
Un thriller brillante, veloce, ben scritto con freschezza e grande verve.
Tradotto brillantemente da Paola Attolino che esalta tutte le sfumature dei dialoghi in "black english".
Gil scriverà un altro eccellente romanzo "La fabbrica di negri" ("Nigger's factory" (tradotto in italiano da Shake) ma preferirà poi votarsi alla poesia e alla forma canzone.
"Il romanzo non si presta a una scrittura immediatamente politica che è invece possibile nella poesia e nella canzone. Il mio lavoro è serio ma è anche intrattenimento. perché voglio raggiungere la gente".

Gianrico Carofiglio - La nuova manomissione delle parole
Carofiglio riprende la prima edizione del libro, uscita undici anni fa, e ne fa un aggiornamento rapportato ai nostri giorni, radicalmente diversi, da un punto di vista sia politico che sociale.
Si parla di linguaggio, della sua aderenza alla "verità" e alla sua conseguente manomissione per fini elettorali e/o di tornaconto personale.
Si attinge spesso da altri libri, a citazioni, estraendo contributi significativi alla comprensione del saggio e della tesi di Carofiglio.
Il libro è un atto politico, una scelta di campo, una scommessa sulla possibilità di distinguere la buona dalla cattiva politica.
La scelta delle parole è un atto cruciale e fondativo: esse sono dotate di una forza che ne determina l'efficacia e che può produrre conseguenze...le parole possono costituire la premessa e la sostanza di pratiche manipolatorie ma anche razziste, xenofobe o criminali.
La disamina si concentra dal camio comunicativo che abbiamo vissuto/subito da Berlusconi in poi, di cui personaggi come Salvini e affini hanno saputo fare (drammaticamente) tesoro.
Le frasi fatte si impadroniscono di noi. Di noi e della politica, che, negli ultimi 30 anni, nel nostro paese è stata più che mai dominata dalla ripetizone di slogan volgari ma virali, di metafore grossolane. Come diceva Primo Levi: Quante sono le menti umane capaci di resistere alla lenta, feroce, incessante, impercettibile forza di penetrazione dei luoghi comuni?"
Libro intenso e denso ma lettura veloce e di grande efficacia.

VISTO

The Beatles Get back di Peter Jackson
Uno degli eventi più attesi degli ultimi anni, di cui si erano avute alcune interessanti anticipazioni ma che, contro ogni aspettativa, è riuscito ancora una volta, in modo tipicamente beatlesiano, a sorprendere e a cambiare la narrazione e la sostanza della “vera” storia dei Beatles.
Il regista Peter Jackson (al suo attivo pellicole come “Il Signore degli anelli”, “King Kong”, “Lo Hobbit”) ha selezionato tra 60 ore, girate da Michael Lindsay Hogg nel 1969, “riducendole” a sole otto (!), per confezionare uno dei docu film più particolari, nella sua unicità, della storia del rock.
Il film di Lindasy-Hogg, “Let it be”, era già uscito nel maggio 1970 (vincendo un Oscar per la colonna sonora), poco dopo lo scioglimento della band, mostrata in drammatica decadenza.
“Get Back” di Jackson cambia le carte in tavola e ci propone tutt'altra storia, con un gruppo in preda a cambiamenti e scontri personali ma ancora terribilmente vivo e creativo ma che, soprattutto, continua a volersi un sacco di bene.
Due puntualizzazioni sono necessarie: il film è pertinenza (quasi) esclusiva dei fan più sfegatati e profondi conoscitori dei Beatles. Solo loro sono in grado di apprezzare, sopportare, comprendere in pieno la lunghezza del film.
Per il resto del mondo le prove, gli scherzi, i dialoghi, i litigi, le improvvisazioni caotiche, le cover raffazzonate risulteranno insignificanti, noiose e inutili.
In seconda battuta, come si è sempre erroneamente creduto, non è rappresentata “la fine dei Beatles”, che, dopo queste riprese, resteranno insieme ancora per un altro anno, sfornando quello che è presumibilmente il loro capolavoro, “Abbey Road”. “Get back” è invece la ricostruzione del mese di lavoro della band che porterà, il 30 gennaio 1969, al famoso e breve concerto sul tetto della Apple Records, qui interamente documentato.
Si parte dal 2 gennaio 1969, quando Paul, John, George e Ringo si ritrovano in un enorme studio di Twickenham per preparare uno spettacolo, un rientro sulle scene, un ritorno alle origini (“Get back”) della band, dopo anni di voluta assenza dai palchi, una serie di capolavori discografici, l'ascesa nell'Olimpo della musica, arte, cultura, assurti a opera d'arte vivente.
Paul McCartney vuole che la band, dopo i sempre più numerosi contrasti degli ultimi tempi, si ricomponga per sfuggire alla forza centrifuga che sta proiettando ognuno versi altri progetti. Pensa ai Beatles che riprendano in mano gli strumenti e suonino come facevano agli esordi (sette anni prima, solo sette anni, durante i quali hanno cambiato il mondo della musica e non solo), per ritrovare spontaneità, freschezza, genuinità.
E che tutto ciò venga dettagliatamente filmato, dalle prove fino allo show finale. Che, anticipa il preveggente Paul, “tanto sarà il nostro ultimo concerto”.
Il progetto iniziale prevede di esibirsi a Sabrata, in Libia, nei resti del teatro romano. In poco tempo l'idea, pur suggestiva, viene cassata.
Si passerà a un concerto londinese a Regent's Park, a Londra. Ma l'unico a volerlo è lui, agli altri non interessa più risalire su un palco.
Passano i giorni, le tensioni salgono, John sembra assente (con Yoko costantemente a fianco), George infastidito e incattivito, Ringo annoiato.
Paul cerca di stimolarli “Non siamo pensionati del rock”), prende le redini delle prove ma finisce sempre malamente, tra nervosismo (George gli si rivolge, durante un'accesa discussione, in modo sprezzante, “Non mi infastidisci Paul, ormai non mi infastidisci più”), tempo perso, musicisti annoiati.
Alla fine George si alza e lascia il gruppo. “Ci si vede in giro in qualche locale” dice. La scena è incredibile, i tre sembrano non prendersela, pensano a sostituirlo con Eric Clapton, poi si lasciano andare all'isteria e alla depressione, con occhi lucidi e sconforto palpabile.
Lo convinceranno a ritornare e da lì la faccenda cambia radicalmente. Sono tutti più distesi, propositivi, emerge l'imponente figura artistica e creativa di Paul che compone, arrangia, crea in diretta capolavori immortali, rende geniali le bozze degli altri.
In mezzo gli scherzi, le battute, il caustico humor dei quattro che ritrovano unità e voglia di fare e stare insieme. Soprattutto quando si aggiunge Billy Preston, geniale tastierista (suonerà con Stones, Aretha Franklin, Ray Charles, Bob Dylan, Miles Davis, Elton John e mille altri) che passa a salutare i ragazzi (conosciuti ad Amburgo anni prima) e si ritrova di punto in bianco nella band. Osservare la sua faccia quando glielo propongono, così, sui due piedi, e quella dei quattro Beatles, subito entusiasti ad ascoltare quello che suona, è imperdibile.
La sublimazione dell'innocenza.
Ricordiamoci che Billy aveva 23 anni, i “quattro” andavano dai 25 ai 28. Anche se nel nostro immaginario ci appaiono adulti, immortali, saggi e onniscienti erano ancora ragazzi giovanissimi. La sua presenza rivitalizza la band, nascono nuove canzoni. Nel film ne vediamo la prima scintilla, le progressive modifiche, i reciproci suggerimenti, i cambiamenti, in un lavoro corale, condiviso, in cui ognuno apporta il proprio contributo.
Fino ad avere sotto gli occhi “Let it be”, “The long and winding road”, “Two of us”, “Don't let me down”, “Get Back” e le radici di successivi capolavori come “Something”, “All things must pass”, “Jealous guy”.
La band stringe i tempi, lo show, non ancora definito, si avvicina e alla fine decidono (ennesimo colpo di genio) di farlo sul tetto della Apple, nei cui studi si sono spostati.
Gli dei della musica assurgono al cielo, si avvicinano al divino.
Lasciando a terra l'incredibile fauna che li circonda anche durante le registrazioni (mogli, compagne, fonici, produttori, discografici, fotografi, cameramen, amici in visita, manager, personaggi di vario tipo).
E da lì, il 30 gennaio 1969, in un breve concerto di una manciata di brani, lanciano l'ultimo messaggio al mondo.
E' il momento clou del film (e degli anni Sessanta).
La gente in strada non capisce, sono i Beatles, si sentono ma non si vedono, si crea affollamento, in tanti salgono sui tetti circostanti per avvicinarsi e guardarli insieme (inconsapevolmente) per l'ultima volta, la maggior parte apprezza, in pochi protestano perché la confusione creata “danneggia il commercio”.
I Beatles, a dispetto dei detrattori ignoranti, suonano benissimo, cantano divinamente, diventano un unicum di suono, immagine, creatività.
L'icona Beatles risplende in tutta la sua luminosità, solamente perché sono loro e perché nessun altro è mai stato e mai sarà più come Paul, John, George e Ringo insieme.
Gli anni Sessanta si chiudono e un'epoca irripetibile lascia spazio ad altro (meglio o peggio è pertinenza esclusiva del giudizio personale).
Il capolavoro dei Beatles è stato nello sciogliersi alla fine del decennio di cui sono stati simbolo. Anche se, emerge chiaro dal film, non ne avevano alcuna intenzione all'epoca.
George confida a John e Yoko di voler fare un album solista con lo scopo di poter aver finalmente lo spazio che ormai meritava ma che nei Beatles non poteva avere, sottolineando che sarà anche un modo per rafforzare l'unità del gruppo.
Alcuni brani, che ritroveremo negli album solisti dei componenti, sono in predicato di entrare nel prossimo album della band.
Il motivo scatenante dello scioglimento emerge, inconsapevolmente, verso la fine del film, quando il manager Allen Klein si offre di gestire gli affari della band.
Paul vorrà il padre della moglie Linda, gli altri tre rifiuteranno e i Beatles finiranno (anche per questo).
E finalmente da queste immagini Yoko Ono, da sempre vituperata e considerata la causa della rottura, viene “scagionata”. E' sempre appiccicata a John ma non interferisce mai, se ne sta in silenzio, legge, prende appunti, fa persino l'uncinetto.
Sostiene la fragilità di John, ne smussa le asperità del carattere. E' costantemente presente ma con dolcezza, mai ingombrante o invasiva.
Uno dei momenti più esplosivi del film è quando arriva la polizia a sospendere il concerto sul tetto. Sono due giovani ragazzi che sotto gli elmetti e il piglio autoritario nascondono un caschetto alla Beatles.
Ma devono mantenere fede al loro ruolo.
Imbarazzati, impacciati, probabilmente devastati dall'ingrato compito. Le telecamere li spiano nel loro straziante dilemma.
Un altro elogio all'innocenza.
Tutto intorno esplodono i colori, la naiveté e la freschezza dei protagonisti, l'abbigliamento del pubblico del concerto sul tetto, le pettinature, le minigonne, le giacche a tre bottoni, la sensazione di un mondo nuovo che stava per esplodere.
“Get Back” è un inimitabile ritratto di un'epoca tanto esaltante quanto finita.
E che i Beatles hanno rappresentato, tanto più in queste immagini, in cui li vediamo veri, presenti, “umani” in maniera imbarazzante.
E per questo ancora più vicini e immortali.

The Peeble and the Boy di Chris Green
Ero partito con parecchi pregiudizi e molto scetticismo per questo nuovo film "mod" e invece mi sono piacevolmente ricreduto.
La trama è esile, qualità e contenuto non entreranno nella storia della cinematografia ma alla fine, soprattutto per chi ha vissuto e vive la cultura mod, "The Peeble and the Boy" è godibilissimo.
Il giovane John, al funerale del padre (che aveva raramente frequentato), scopre che era un mod.
Decide di portare le sue ceneri da Manchester alla spiaggia di Brighton con lo scooter del padre, indossando il suo parka, in occasione di un concerto di Paul Weller.
Lo accompagnerà la dolce ma decisa Nicki.
Vivranno diverse avventure tipiche di un road movie, ritroveranno le tracce del padre, personaggio noto nell'ambito mod degli anni 80 e renderanno giustizia alla sua memoria (evito di svelare la vicenda fino in fondo).
Sullo sfondo mods, scooter, parka, poster mod, colonna sonora con Jam, Style Council, Paul Weller, Chords, Secret Affair e tanti riferimenti "quadrophenici".
Nel film anche una breve comparsa di Patsy Kensit (co produttrice del film).
Tono un po' mieloso/melodrammatico ma la visione è consigliata.
Un'ulteriore sottolineatura è la constatazione di come un film del genere sia improponibile in luoghi extra Gran Bretagna in cui il fenomeno è comprensibile per la quasi totalità degli spettatori mentre altrove risulterebbe assolutamente indecifrabile e la trama oscura nei suoi significati.
In UK il Mod è diventato Cultura, altrove è rimasto nicchia.

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