mercoledì, novembre 02, 2022
The Jam
Riprendo l'articolo che ho pubblicato domenica su "Libertà".
Il 30 ottobre del 1982 una ferale notizia tagliò l'anima a fettine di noi malcapitati adoratori di un certo tipo di musica.
Paul Weller annunciava con una lettera scritta a mano a noi iscritti al fan club che i Jam si erano sciolti.
Ferita ancora più profonda in quanto del tutto inaspettata, perfino dagli stessi componenti del gruppo e dal suo manager personale, che altri non era che suo padre. La band aveva sbancato, come ormai faceva da anni, le classifiche inglesi con il nuovo album “The gift” e il 45 giri “Town called malice”, che diventerà poi un classico della musica pop rock inglese.
Weller si convince che in questa veste i Jam non potranno più progredire, che la musica che ha in mente necessita di altri musicisti, con un’altra mentalità: lo stile del bassista Bruce Foxton e del batterista Rick Buckler non possono stare al passo con le sue nuove idee. Weller patisce, inoltre, anche la cieca devozione dei fan, sempre meno interessati ai contenuti delle canzoni, ai messaggi, ai cambiamenti stilistici che ha introdotto recentemente e che vorrebbe radicalizzare ancora di più.
C'erano state alcune tensioni negli ultimi tempi tra i membri del gruppo, culminate in alcune frasi poco felici nei confronti del batterista (“non ci sono batteristi in questo nuovo album”) e nel video del recente singolo “The bitterest pill” in cui il protagonista è il solo Weller con gli altri due relegati a ruolo di comparsa. Ma si poteva pensare a un periodo di tensione e insoddisfazione da risolversi con un po' di riposo.
Ma come ha ricordato successivamente, Paul subiva una pressione troppo alta:
“All’inizio il tuo ego ti dice che tutto questo è fantastico. Ma verso la fine stava assumendo proporzioni pazzesche. Mi avevano fatto diventare il portavoce di una generazione e cose del genere e avevo solo ventidue anni. Non avevo ancora veramente vissuto e, a essere onesti, non avevo nessuna risposta per tutte queste cose che mi venivano chieste. Non fu l’unica causa che portò allo scioglimento dei Jam ma contribuì sicuramente.”
Faranno ancora una serie di concerti di saluto, uno splendido nuovo 45 giri, “Beat surrender” e ci saluteranno per sempre. Le cose prenderanno una brutta piega quando finiranno in dispute di carattere legale su presunti diritti non equamente divisi che porterà a una drastica rottura dei rapporti. Con il bassista si ritroveranno solo tantissimo tempo dopo, collaborando anche artisticamente, con il batterista non si sono mai più parlati.
Weller inizierà l'avventura con gli Style Council che gli darà di nuovo successo, in virtù di una scelta sonora decisamente lontana da quella dei Jam ed evidentemente inconciliabile con il precedente gruppo, per poi dedicarsi a un'altrettanto fortunata carriera solista. Gli altri due proseguiranno sempre nell'ombra, soprattutto Rick Buckler che finirà anche in disgrazie economiche.
Una storia iniziata a metà degli anni Settanta nella cittadina anonima di Woking, come gruppo che suona rock 'n' roll per divertimento.
Poi l'illuminazione del punk che lancia il messaggio che chiunque può farcela, salire su un palco, non importa il grado di preparazione tecnica. L'importante è suonare, sfidarsi, sfidare il pubblico.
Weller chiarì bene la questione:
“So che sembra banale ma prima del punk non c’era nulla a cui fare riferimento. Le discoteche erano l’unica forma di alternativa giovanile, ma non mi sono mai interessate.
Allo stesso modo, quando ascoltai per la prima volta My Generation degli Who, se per qualcuno poteva sembrare nostalgia, per me era qualcosa di completamente nuovo. In quei suoni, in quelle chitarre, in quell’immagine c’era odore di gioventù. Mi considero un modernista e credo che lo sarò sempre. È ciò su cui fondo la mia identità.”
Ma l'asso nella manica del gruppo è il padre di Paul, John Weller, classico esponente della working class inglese, ex pugile, determinato, con la massima fiducia nel gruppo del figlio.
Li incoraggia, li porta in giro a suonare, ne gestisce gli iniziali magri affari, fa da servizio d'ordine, li convince a registrare un demo che poi porta personalmente a tutte le case discografiche.
“Decca, Pye… dammi un nome e io ci andavo. Rubavo qualche soldo alla cassa per le spese di casa di Ann, saltavo sulla mia vecchia Austin e filavo direttamente a Londra. Avevo provato a fare qualche telefonata ma senza risultato, così, fanculo, andavo direttamente da loro.”
La perseveranza li premia.
Il gruppo suona sempre più spesso a Londra, incomincia a crearsi un piccolo nucleo di fan.
I Jam suonano un mix di rhythm and blues, rock classico degli anni Sessanta ma con l'energia e la sfrontatezza del punk.
All'interno del quale faticano ad essere accettati, sia per la lontananza voluta dall'estetica più sguaiata di quella scena, sia per l'amore di Weller, per quella a lui cara, di Who e Small Faces e di tutta la scena degli anni Sessanta. Sin dall'inizio cerca di inserire nei testi tematiche sociali, in maniera talvolta maldestra (saranno addirittura accusati di essere di destra), affidandosi per la sua idea politica soprattutto a un autore come George Orwell, il quale, a una visione critica nei confronti dell’autoritarismo, affiancava l’amore per il proprio Paese, l’Inghilterra, per il quale auspicava il meglio, ma non certo in funzione delle idee conservatrici o destrorse.
Consapevole del crescente aumento della disoccupazione, di una ricchezza in mano a pochi privilegiati, dell’emarginazione delle classi meno abbienti, Weller tentava di esprimere politicamente tale disagio, seppure in maniera ancora rozza e primitiva.
“Cercavo di dire quello che pensavo, perché ci credevo, giusto o sbagliato che fosse. Probabilmente il più delle volte era sbagliato".
È lo sguardo di un adolescente su un mondo che non comprende, non apprezza e di cui rigetta regole e imposizioni. A prescindere.
Inseguendo una nuova “young idea”, qualunque essa sia, al di fuori dalle posizioni politiche e partitiche preconfezionate e omologate. Approdano finalmente all'agognato esordio con l'album “In the city”, nel 1977, disco pieno di rabbia e violenza sonora ma già avanti rispetto al punk più scontato.
Che la scrittura di Weller e soci sia diversa e con riferimenti più profondi rispetto alla media della scena inglese, si evince dal secondo disco “This is modern world”, sorprendentemente pubblicato solo sei mesi dopo il primo.
Erano tempi in cui non si facevano troppi calcoli commerciali e “industriali” ma si badava solo all'urgenza espressiva. Il nuovo disco è più debole ma egualmente ottimo e fa da preludio al primo piccolo capolavoro della band,
“All Mod Cons” in cui i Jam si lasciano alle spalle ogni retaggio punk, abbracciano un raffinato ed energico pop beat che guarda al passato ma è fresco, attuale e diretto. Tentano la carta dell'opera rock con “Setting Sons” ma sarà un lavoro confuso e riuscito a metà, che testimonia un periodo di crisi artistica.
Dubbi che saranno fugati dal clamoroso successo del singolo “Going underground” del dicembre del 1980 che li consegna all'Olimpo del rock britannico e ai primi posti delle classifiche.
I testi diventano sempre più accurati e profondi, rappresentano al meglio la società inglese, in crisi e oppressa dalle politiche neo liberiste, le musiche si fanno raffinate, i brani compositivamente complessi e ricercati, i successivi "Sound affects" e "The gift" sono i loro capolavori, entrano soul e funk a piene mani, dai soliti locali il gruppo passa a palasport e poi stadi, i dischi vendono milioni di copie.
Ma Paul Weller ha in serbo l'amara sorpresa.
Un po' come fecero i suoi tanto amati Beatles preferisce fermarsi all'apice del successo, invece di conoscere il declino. La lettera di commiato, che conservo ancora gelosamente è una lucida confessione e sincero addio:
“Ci sono molti motivi che potrei spiegarvi ma il principale è che abbiamo fatto tutto quello che potevamo fare insieme come gruppo e così ritengo sia meglio smettere quando siamo al top piuttosto che continuare per inerzia. Voglio che quello che abbiamo fatto insieme rimanga intatto e questa è un’altra ragione dello scioglimento. Ma è principalmente perché sento che non possiamo più andare avanti come gruppo. Ci sono anche altri motivi, più personali. La pressione è tremenda, soprattutto essendo io il compositore e una specie di ‘leader’ c’è una costante pressione per scrivere il prossimo LP, il prossimo singolo etc. Da un certo punto di vista va bene, perché aggiunge stimoli al mio lavoro ma allo stesso tempo non sono mai stato capace di sedermi e apprezzare quello che abbiamo fatto. Sono stati sei anni ma non penso che potrei prendermene altri sei così. Credo che alla fine mi farebbe impazzire. Dio vi benedica.”
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Paradossalmente ho conosciuto prima gli Style Council (che ho avuto modo anche di vedere dal vivo) e poi i The jam. Ho amato molto i primi (a parte le ultime cose in stile house) e moltissimo i secondi. Chissà se ci sarà mai una reunion ??
RispondiEliminaLutto nazionale e mondiale
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