sabato, marzo 09, 2024

Rock4Kids


Siamo tornati con Gianni Fuso Nerini a scuola (De Amicis di Piacenza) a parlare con i bambini di terza elementare.
Siamo partiti dalla nascita della musica (strumenti primitivi, prime forme di musica e composizione), abbiamo parlato del suono (gli ho fatto "eseguire" "4.33" di John Cage...), della voce (con filmato di Demetrio Stratos), abbiamo mostrato chitarra e basso elettrico (grazie al prezioso aiuto e alla disponibilità di Denis Cassi, dei Backdoor Society).
Entusiasmo, partecipazione, stupore sincero = la bellezza.
I semi sono stati buttati, chissà che un giorno qualcosa di bello germogli.
Grazie a Simona Bollani per il coordinamento e alle Maestre per l'aiuto e l'empatia.

Il progetto "Rock4Kids" ha come scopo primario accendere nei giovani la passione per la Musica, alimentare la loro curiosità, avvicinarli agli anni in cui la musica iniziava a sperimentare svariati generi, spesso senza troppe dinamiche commerciali, ma solo con il fine di creare un prodotto autentico e di qualità.
Un prodotto che potesse portare avanti un messaggio, che fosse di amore e di fratellanza o di protesta e disperazione; segni e gesti importanti che restano nel cuore del suo ascoltatore, rendendo quel pezzo intramontabile.
La missione di Rock4Kids è incredibilmente ambiziosa, nella sua assoluta semplicità: avvicinare le giovani menti alle radici della musica popolare, coglierne i messaggi e riportarle a una dimensione più genuina ed essenziale.
Ieri si è tenuto l'ultimo incontro dell'anno scolastico 2023-24 e l'entusiasmo dei bambini e degli insegnanti ci ha commosso e sorpreso.
Per tutti noi è stata un'avventura formativa e rigenerante, un percorso che ha gettato qualche piccolo seme qua e là.
Non finisce qui, il sottomarino giallo si prepara per nuovi fantastici viaggi!

(Simona Bollani, coordinatrice di Rock4Kids)

https://www.piacenzasera.it/2024/03/rock4kids-in-classe-il-progetto-che-insegna-ad-amare-la-musica/528289/

venerdì, marzo 08, 2024

Les Amazones d'Afrique

Riprendo, in occasione dell'Otto Marzo, l'articolo scritto al proposito domenica scorsa per il quotidiano "Libertà", nell'inserto "Portfolio" diretto da Maurizio Pilotti.

L’approssimarsi dell’Otto Marzo ci porta ogni anno a fare considerazioni speranzose e dense di auspici sulla condizione delle donne, in una società che si reputa moderna, all’avanguardia, paritaria, inclusiva. Ma l’attualità,ogni giorno, ci conferma come poco o nulla stia cambiando e il retaggio maschilista, il muro inscalfibile della predominanza maschile nel mondo del lavoro, nella società, nei ruoli apicali, sia ancora ben stabile al suo posto.
Per non parlare della violenza nei confronti delle donne che non accenna a ridimensionarsi e che non di rado viene sminuita per ragioni politiche o per semplice ignoranza dai media e dalla gente comune.
Si parla, giustamente, di educazione. Le denunce, il carcere o le condanne non cambiano, se non raramente, la mentalità.
Ci vuole l’educazione, che parta dall’infanzia, dalle scuole primarie ma anche in questo caso il tutto è spesso delegato alla buona volontà e visione prospettica di insegnanti saggi e previdenti che si sostituiscono a istituzioni in perenne ritardo e sempre meno attente al bene comune e all’aspetto civico.
Ma l’educazione la possono, anzi la devono, fare anche l’arte, la musica, lo spettacolo.

Spostiamoci in Africa Centrale, vastissimo territorio, martoriato da guerre, povertà, estremismi e, ultimamente, da una serie di golpe che hanno portato, se ce ne fosse stato bisogno, ulteriore autoritarismo, incertezza e abbandono delle esigenze delle persone.
E’ il luogo in cui si suppone abbia le radici il blues, portato nelle Americhe da quegli uomini e donne che proprio in questi luoghi furono schiavizzati nei secoli scorsi.
Quella musica che divenne la colonna sonora delle loro tristi esistenze e che nel corso del tempo si ibridò con le tradizioni dei coloni britannici, con i canti religiosi europei e che alla fine ci consegnò quell’incredibile mix di influenze che si chiamò blues, jazz, gospel, spiritual e alla fine rock ‘n’ roll e soul.

E’ qui che nel 2014 nasce un collettivo femminile e femminista, Les Amazones d’Afrique, grazie a un’idea di Valerie Malot, direttrice esecutiva e artistica dell'agenzia francese editoriale 3D Family (il cui obiettivo principale è promuovere artisti jazz e di world music) insieme a tre delle principali artiste della musica del Mali, Oumou Sangaré, Mamani Keïta e Mariam Doumbia (del favoloso duo Amadou e Mariam).
La direzione ideologica fu subito chiara e precisa, come sottolinea Malot: “Quello che abbiamo scoperto è che la repressione femminile nel continente e nel mondo è qualcosa che tocca ogni donna. Non è una questione di colore o di cultura.
È qualcosa di generico. Tutte le donne possono identificarsi in questo aspetto.”


Il progetto partì con queste premesse, cantare contro le discriminazioni di genere, contro la violenza, l’ingiustizia, educare le persone attraverso la musica, con le voci di donne conosciute, rispettate, seguite, con decine di migliaia di fan in tutta l’Africa.
Mischiando sonorità provenienti dal luogo di ognuna delle protagoniste ma attualizzandole con un approccio moderno, spesso vicino all’elettronica, all’hip hop, al pop. Occorre ricordare e sottolineare quando sia fallace l’abituale definizione che spesso usiamo noi occidentali di “musica africana”.
L’Africa ha cinquantaquattro stati, quasi duemila lingue (un numero imprecisato di dialetti), di cui settantacinque parlate da almeno un milione di persone, da cui conseguono forme culturali e musicali diversissime e di enorme complessità (soprattutto ritmica).
Le similitudini ovviamente ci sono ma sono più frequenti le differenze, anche sostanziali, tra, ad esempio, la tradizione del Corno d’Africa o quella nigeriana o quella congolese.

Al nucleo originario si unirono altre voci del Mali cone Massan Coulibaly, Mouneissa Tandina, Kandia Kouyaté, Rokia Koné, Inna Modja (franco maliana) e anche Angélique Kidjo dal Benin, Nneka dalla Nigeria, Pamela Badjogo dal Gabon.
A cui dopo il primo brano composto, “I play the Kora” (la Kora è uno strumento a corde usato nell’Africa dell’Ovest a lungo proibito alle donne. Da qui il titolo metaforico, “Io suono la Kora”) del 2015 si aggiunsero, talvolta sostituendo altre componenti, musiciste dalla Guinea, Costa d’Avorio, Burkina Faso. Tutte con altri progetti musicali in attività ma che, come dice Kandy Guirà “ci ritroviamo insieme per cantare di qualcosa che conta”.

Fafa Ruffino, franco-beninese, recentemente aggregatasi al progetto, spiega il fulcro dell’attività del collettivo in un’intervista ad AfroPop.org:
“Il nome "Amazzoni" deriva dalle donne guerriere dell'impero del Benin. Avevano un esercito di femmine. Ed è per questo che ci chiamiamo così, perché stiamo andando in guerra. È una guerra per difendere i diritti delle donne. Qui in Europa parliamo molto di uguaglianza di genere, ma in molti paesi dell’Africa, e anche in altre parti del mondo, le donne non godono dei diritti umani fondamentali. Ci sono giovani donne costrette a sposarsi, giovani donne che subiscono la mutilazione genitale ed è davvero un tabù parlarne. Inoltre, la società è diventata molto, molto patriarcale e le donne non hanno il diritto di dire nulla. Portano semplicemente questi fardelli e li trasmettono alle loro figlie. Ma oggi sono molte di più le donne che lottano contro tutto questo. Il cambiamento non è domani.”

Niariu, nata a Parigi, figlia di genitori Guineani rincara la dose: “Sta succedendo ora. Ci sono molte donne che si sollevano e lottano per questo, e dobbiamo dire loro che siamo tutte insieme e che siamo qui. Il problema è che non si connettono tra di loro. Vogliamo quindi che questo movimento connetta tutte le donne in modo che sappiano che non sono sole. Siamo tutte qui l'una per l'altra. E anche se senti che stai combattendo da sola nel tuo angolo, siamo tutte insieme e con te. La verità è che alle donne è stato fatto il lavaggio del cervello per secoli. È stato detto loro che sono meno degli uomini.
Quindi ora devono sapere che condividiamo un cervello. E noi siamo ancora più potenti degli uomini, sai? Portiamo un bambino per nove mesi! Questo è così potente. Questo potere ci è stato dato da Dio, o da qualunque cosa tu creda. Non si tratta, sai, di dire che gli uomini siano tutti cattivi. E non tutte le nostre canzoni parlano del tema della mutilazione genitale. Abbiamo canzoni sui matrimoni forzati e anche sulle vedove. Come in Benin, abbiamo tribù e un re. Che ha quattro regine. Quando muore, il nuovo re deve prenderle come mogli.
È così disgustoso. È pazzesco.
Questa legge è legale ed è ancora in vigore oggi. Ma le tradizioni si evolvono e si sono sempre evolute, ma è importante ricordare che abbiamo avuto anche la colonizzazione. Quindi abbiamo avuto un grande cambiamento nelle nostre tradizioni e avverto, nella post-colonizzazione, che in qualche modo siamo tornati indietro nella società”.


Les Amazones d’Afrique hanno inciso due album.
“Republique Amazon” è del 2017, pubblicato per la Real World di Peter Gabriel (dopo aver suonato al festival da lui organizzato, l’ormai famoso WOMAD Festival), con connotati più funk e tribali e i cui proventi sono andati alla Panzi Foundation, che cura le donne vittime di mutilazioni sessuali nella Repubblica Democratica del Congo.
Nell’album l’ipnotica “La Dame et ses valises” che l’ex presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha inserito nella sua annuale playlist di sue canzoni preferite, nel 2017:
“Vedo il modo in cui gestisci il tuo dolore / Perché sei rimasta in quell'oscurità per troppo tempo / Donna, non sai che sei una regina / Ma siccome la regina non c'è mai, tienilo in mente / Sicuramente saprai ricordare a loro cosa ti hanno fatto”.

Anche “Amazones Power” del 2020 è stato un album particolarmente significativo ma è con il recente “Musow dance” che il collettivo raggiunge il massimo dell’espressività, grazie anche all’intervento nella produzione di Jacknife Lee, uno che ha già lavorato con U2 e Taylor Swift e che inserisce arrangiamenti arditi, futuristi, innovativi in un contesto tradizionale, creando un effetto che fotografa al meglio la cultura africana (con i distinguo del caso) odierna.

Un miliardo e 200 milioni di persone con un’età media di diciannove anni.
Un potenziale immenso che pensa, crea, immagina, lavora, cresce, inventa.
E di cui Les Amazones d’Afrique sono una delle tante voci.
Ascoltiamole e ci si aprirà un mondo.
Anzi un Continente.

giovedì, marzo 07, 2024

Tony Face Big Roll Band - Old Soul Rebel

“Old Soul Rebel” è stato, nel 2009, l’album d’esordio della Tony Face Big Roll Band, personale omaggio al mondo mod.
A fianco del sottoscritto alla batteria, una valanga di ospiti, amici e conoscenti, per 15 brani + 2 bonus tracks.

L'album fu costruito progressivamente, incidendo basi mandate poi in giro per il mondo ai vari ospiti.

Con la partecipazione di Bob Manton dei Purple Hearts, Chris Philpott degli Small World, il compianto Tony Perfect dei Long Tall Shorty, Allan Crockford (Prisoners, JTQ, Galielo 7), Adrian Holder (ex The Moment), Oskar Giammarinaro degli Statuto, Rita Lilith Oberti, Luca Re dei Sick Rose e Il Senato, Sergio Milani dei Kina, Doug Roberson dei Diplomats of Solid Sound, Paolo Apollo Negri, il Link Quartet, Yo Kalb dei Soulsnatchers, i Temponauts, i Mini Vip, Lucio Calegari dei Wicked Minds, Kathy Ruestow e Abbie Sawyer delle Diplomettes.

Il CD è reperibile presso www.areapirata.com o scrivendomi su www.facebook.com/tonyface.bacciocchi

1) INTRO
Un collage di rumori e suoni, messo insieme in studio, un po’ alla “Revolution 9”. Era l’intro della mod opera rock inizialmente concepita, poi lasciata decadere.
Ci sono gli Who, Quadrophenia, i Beatles, Robert Johnson, i Mondiali del 2006, Fidel Castro, Jacqueline Taieb, George Best.

2) SOMEBODY STOLE MY THUNDER
Un'eccellenza dal crepertorio sterminato di Georgie Fame, tra i miei preferiti di sempre.
Suona il LINK QUARTET del periodo “Beat.it” (2002, quello che reputo il migliore), canta l’immensa voce del grandissimo CHRIS PHILPOTT degli SMALL WORLD.

3) CAMEL WALK
Un brano delle Ikettes (le coriste di Ike & Tina Turner) dei mid 60’s , suonato da me, PAOLO APOLLO NEGRI al piano e Hammond, DOUG ROBERSON dei DIPLOMATS OF SOLID SOUND alla chitarra e YO KALB degli olandesi SOULSNATCHERS alla splendida voce.

4) ABBA
Gioiello degli svedesi Paragons del 1966. Un jingle jangle garage (già rifatto dai Cynics, il cui cantante ringrazio per avermi spedito il testo corretto).
Suonato, con PAOLO APOLLO NEGRI al Farfisa, i TEMPONAUTS alle chitarre e basso, e cantato dal mitico LUCA RE dei SICK ROSE.

5) HARLEY GNARLEY / GLORY BOYS
Un brano appositamente composto da ADRIAN HOLDER ex leader dei MOMENT (grandissima mod band dei mid 80’s) con me alla batteria e Paolo Apollo Negri all’Hammond e Fender Rhodes che abbiamo suonato sotto la sua traccia vocale e di chitarra.
Alla fine un frammento di una cover di “Glory Boys” dei Secret Affair registrato live nel 1980 con i CHELSEA HOTEL (quando a fianco di brani punk suonavamo anche brani mod di S.A., Jam, Chords).

6) HEY BULLDOG
Sempre con Paolo Apollo Negri ma affiancato da due giovani promesse del rock piacentino Sore e Bongio (già TFP) in una versione caleidoscopica del mio brano preferito dei Beatles (già pubblicato su singolo in vinile dalla HammondBeat Records).
Ai cori ci sono due vecchie conoscenze (gli amici John e Paul).

7) VISIONARY
Sempre a Bongio e Sorre ho chiesto di suonare un brano degli Husker Du come se lo facesse Graham Coxon.
Il risultato è un classico del punk che suona come i Jam nel 77. Alla voce SERGIO MILANI degli Husker Du italiani, i leggendari KINA.

8) I DON’T NEED NO DOCTOR
In una piovosa domenica pomeriggio nella sala prove/studio dei MINI VIP abbiamo, in poche take, tirato fuori una grintosissima versione di uno dei brani di rythm and blues che più amo “Don’t need no doctor” di Ray Charles.

9) LADY DAY AND JOHN COLTRANE
Con PAOLO APOLLO NEGRI in una sera all’Elfo studio abbiamo suonato una soulful version di questo gioiello di Gil Scott Heron ,che YO KALB dei SOULSNATCHERS ha reso perfetto e a cui LUCIO Electric Swan CALLEGARI dei WICKED MINDS ha aggiunto un inimitabile tocco funk con una splendida chitarra (già uscito su singolo in vinile per la Hammond Beat).

10) KEEP THE FAITH
Io e Paolo in un ritaglio di tempo abbiamo anche fatto questo brano originale.
Uno strumentale in pieno mood Link Quartet.
In due a volte si fanno grandi cose.
Al basso si è poi aggiunto Allan Crockford (Prisoners, James Taylor Quartet, Solarflares, Galileo 7 etc).
"Keep the faith" era il titolo originale dell’album.

11) HARMONY Sempre io e Paolo ma con l’aggiunta delle favolose voci di Kathy Ruestow and Abbie Sawyer delle Diplomettes.
Ci doveva pure essere una chitarra, ma poi funzionava anche così.
E’ un pezzo di Sly and the Family Stone del 1969, uno dei suoi migliori.

12) HEY SHA LO NEY
Io e i Temponauts e alla voce BOB MANTON dei PURPLE HEARTS.
La versione è vicina all’originale di Mickey Lee Lane e lontana da quella degli Action.
Bob non ha internet e ci siamo sempre sentiti via sms.....

13) LOVE IS LIKE AN ITCHIN IN MY HEART
Io, Paolo e il compianto TONY PERFECT dei LONG TALL SHORTY coverizzando in chiave soul punk le Supremes.
La sua parte me l’ha mandata su una cassetta C90 usata senza custodia in una busta di carta distrutta dal viaggio.

14) SPETTRO
E’ una versione in italiano di “Ghost” dei Jam che gli STATUTO inserirono sulla loro prima tape “Torino Beat”.
Alla voce c’è OSKAR , alla chitarra Ennio Piovesani, allora nei Tailor Made ora negli Statuto.

15) THESE BOOTS ARE MADE FOR WALKING
Un brano che con LILITH abbiamo sempre fatto dal vivo.
Questa versione ha il drumming rubato agli Stairs e il finale mette insieme un po’ di cose 60’s, prima di riprendere l’intro con cui si apre il disco

BONUS TRACKS

16) JAZZARYTHM ACID STOMP
17) UNSQUARE DANCE

Nel 1989 feci uscire un 45 della Tony Face Big Roll Band che si ispirava all’ancora semi sconosciuto James Taylor Quartet e al modern jazz in generale.
Il primo è un brano originale, il secondo una cover di Dave Brubeck.

mercoledì, marzo 06, 2024

I Maneskin e la rinascita del rock in Italia

Nel 2021 i MANESKIN vincono il Festival di Sanremo, subito dopo l'Eurovision e decollano verso un successo mondiale (mediatico e, pare, anche sostanziale).

Tra i nomi più divisivi, criticati e spernacchiati nei social (e non solo), sono stati visti come un probabile volano per riportare il rock nelle orecchie dei più giovani.
Il loro successo faceva preludere a un ritorno di rock band nostrane grazie allo spirito di emulazione.

A tre anni da quei momenti la domanda (oziosa) è dunque:
il rock è tornato in Italia (grazie ai Maneskin)?

Le classifiche dei dischi più venduti da noi degli ultimi anni dicono esattamente il contrario.
Nei primi 100 titoli compare al massimo una manciata di titoli che, a parte gli stessi Maneskin, sono sostanzialmente compilation o ristampe di classici (Pink Floyd, Beatles, Nirvana, Ac/Dc etc).

Personalmente dal mio piccolo "osservatorio" del mio lavoro a RadioCoop posso azzardare una "conclusione".
Dovendo vagliare e ascoltare un centinaio di "prodotti" ogni giorno (3.000 al mese, 30.000 l'anno) tra demo, singoli, vinili, ep, album, ho una visuale abbastanza esaustiva su ciò che si muove nel sottobosco musicale italiano.

Ebbene si, il materiale rock è aumentato, anche visibilmente.

Ma escludendo l'ambiente più underground (quello punk, garage, alternative etc che ha sempre vissuto una realtà a parte, indifferente a classifiche o a Maneskin di sorta) il rock che arriva è esattamente "figlio" dei Maneskin.

Un mix di Vasco/Ligabue/Le Vibrazioni/Europe/gli stessi Maneskin/un po' di grunge, spesso iper prodotto, curatissimo e levigato.
Idee ridotte al lumicino, piattezza interpretativa e compositiva, immagine caricaturale.

Peccato....

martedì, marzo 05, 2024

Secret Affair live @Bottega 26 - 2 marzo 2024

L'amico GIAMPAOLO MARTELLI era presente in quel di Poggibonsi alla Bottega 26 al concerto dei SECRET AFFAIR, unica data italiana.

Evento organizzato nei dettagli dalla Scooter Society Black Rooster del Chiantishire, gli oscuri galletti hanno addirittura previsto, con ragionevolissimo sovrapprezzo, le vettovaglie per gli astanti.

Il locale in cui si svolge la serata appare piu’ che adatto per l’occasione, spazioso e accogliente e con quell’aria underground che tanto ci piace.
Stranote nell’ambiente le facce in the crowd presenti, sorridenti e smaglianti.
Atmosfera più che rilassata, togetherness e senso di appartenenza in stato praticamente solido.

Il tutto allietato dalle selezioni musicali presentati da dj provenienti dal meglio della cricca scooterista nazionale; ogni genere apprezzato da mods e dintorni è stato scrupolosamente scandagliato sia prima che dopo il live.
Ma veniamo ai nostri.

Davanti a un pubblico assolutamente compiacente i Secret Affair incominciano a scaldare l’atmosfera con una serie di pezzi ‘minori’.
Aprono con Dancemaster da Business as usual seguita da Walkaway da Soho dreams e poi la classicissima Going to a go-go e ancora Turn me on sempre da Soho.
Con One day in your life, l’atmosfera si scalda, poi So cool sempre da Behind e New Dance, ancora dal loro primo disco, precedono Glory boys, da lì snoccialano una serie di anthems assai cari a tutti gli odiatori della punk elite : Lost in the night, Do you know, Sound of confusion intervallate da due cover I don’t need no doctor di Ray Charles e una riuscitissima Do i love you che Springsteen scansate.

Prevedibile l’apoteosi che accoglie Time for action, forse il brano piu’ rappresentativo del revival 79 assieme a Maybe tomorrow dei Chords.

Chiudono i bis, Let your heart dance e la commovente My world, brano di culto per la scena mod internazionale, cui aggiungono, nel tripudio generale, I’m not free (but I’m cheap).

I componenti la band appaiono ovviamente appesantiti e incanutiti, voce e agilità sul palco non sono indubbiamente quelle dei momenti migliori.
Il gruppo di Ian Page e Dave Cairns riesce comunque a produrre un live più che godibile e a riproporre degnamente canzoni che, giustamente, sono veri e propri pezzi di storia.

L’avvocato del diavolo potrebbe sostenere che non si siano mossi da lì, il paragone con l’‘evoluzionista’ Weller, col quale divisero palchi e fortune a cavallo delle decadi ’70 e ‘ 80, è improponibile.
Si potrebbe altresì obbiettare che continuino a fare il verso ai se’ stessi ventenni, ma non è che quello che facciamo un po’ tutti noi?
Quello cui abbiamo assistito è stato più che un concerto un rito pagano di consacrazione di ciò in cui, giusto o sbagliato che sia, crediamo da oltre quarant’anni, officiato in modo inappuntabile da uno dei gruppi che ne fu fautore e protagonista.

‘Non ci sono regole nella danza delle verità, solo danza allora, che il tuo cuore balli’

E’ stato bellissimo esserci.

lunedì, marzo 04, 2024

CCCP IN DDDR, io c’ero

Foto per gentile concessione di Andrea Amadasi.

E' con immenso piacere ospitare le parole dell' Amico GINO DELLEDONNE, presente in quel di Berlino ai concerti dei CCCP.
Il suo scritto è quanto di più affine alle mie opinioni sulla faccenda, in mezzo alla ridda di voci esecrande e scandalizzate, adoranti e sbrodolate di questi giorni.


Quando Tony mi ha chiesto di scrivere un pezzo per il blog circa la reunion dei CCCP a Berlino stavo precisamente partendo da Linate e, sinceramente, ho accettato con non pochi dubbi circa il come avrei assolto al compito.
Non sono un critico musicale e nemmeno un profondo conoscitore di ogni risvolto - in pensieri, parole, opere e omissioni, pubbliche e/o private - del gruppo e dei suoi componenti.
Non ho neppure un approccio da tifoso rispetto a niente, figurarsi la musica della quale sono solo un ascoltatore che si autodefinisce attento, probabilmente con eccessiva presunzione.

Oggi, tornato da pochi giorni, sono convinto che raccontare esclusivamente dei concerti all’Astra Kulturhaus sia limitativo e non possa rendere i motivi del come e del perché una band italiana abbia spinto circa cinquemila persone (il conto è presto fatto: la sala contiene circa 1500 unità da moltiplicare per i tre concerti sold out di pressoché solo pubblico italiano) ad una transumanza, per quanto ne sappia io, mai avvenuta nel panorama artistico, quanto meno nazionale.
Per questo motivo mi prendo la libertà di fare una lunga ma, ritengo, necessaria premessa.

All’epoca non avevo seguito i live del gruppo perché nel 1983 ero da poco rientrato da un lungo soggiorno in Venezuela e nel 1984 nasceva mia figlia, quindi incombenze ben più pressanti e prioritarie mi hanno distolto ob torto collo da concerti e da tante altre cose.
Nonostante tutto ho seguito i CCCP da “remoto” e li apprezzavo perchè trovavo in loro peculiarità che non riconoscevo in altre formazioni, per quanto amate o apprezzate.
Molti anni dopo ho avuto modo di incontrare più volte e chiacchierare con Massimo Zamboni mentre Giovanni lo avevo seguito nei suoi concerti da solista in A cuor contento e alle performances equestri del Teatro Barbarico.

Poi, qualcuno sa perché, più di recente, ho avuto la fortuna di incrociare tutti e quattro, Massimo, Giovanni, Annarella e Danilo (Fatur), in occasioni private nel ruolo defilato di silenzioso spettatore delle fasi di allestimento di Felicitazioni! - l’incredibile mostra ai Chiostri di San Pietro a Reggio Emilia (apertura straordinariamente prolungata fino alla fine di Marzo) - e del Gran Galà Punkettone al Teatro Valli.

Sebbene molti abbiano avanzato dietrologie di imperdonabile (!) programmazione mercantile tutto, dal mio punto di osservazione, è avvenuto a seguito di una concatenazione di eventi che ha originato un enorme effetto domino.
Tutto nasce quando a qualcuno balza alla mente che stava scoccando il quarantennale di Ortodossia, il primo EP dei CCCP, che in qualche modo sarebbe stato bello celebrare.
Segue poi l’incontro con dei pazzi incoscienti che si mettono in testa di produrre un documentario indipendente su Le Idi di Marzo, l’evento organizzato da giovani militanti del Pci ancora più pazzi e incoscienti nel 1988 a Melpignano - unico comune rosso in un Salento monocolore democristiano - con gruppi italiani e russi e del successivo tour del 1989 a Mosca e Leningrado (non ancora San Pietroburgo), in piena perestrojka e pochi mesi prima del crollo del Muro di Berlino.
Il documentario è quel Kissing Gorbaciov che pochi giorni fa era tra i cinque finalisti ai Nastri d’Argento del cinema italiano e, agli inizi di febbraio, dopo 10 settimane di proiezioni in giro per l'Italia, organizzate all’insegna della più sincera autarchia DIY, era l'unico documentario in classifica tra i primi 50 film.

Per questo, a forza di dai e dai, è tornata la voglia ai CCCP di raccontarsi e grazie ai bauli e all'instancabile lavoro di Annarella (“esecutrice testamentaria” del gruppo, sono le parole scherzose di Giovanni per riconoscerle l’enorme lavoro e responsabilità) ha preso corpo la mostra di Reggio Emilia, (oggi, ad un mese dalla chiusura, ha sfondato il muro di più di 40.000 biglietti staccati) della quale il Gran Galà Punkettone doveva essere una festa di arte varia con giusto due o tre pezzi eseguiti dal gruppo.

Come sappiamo, a grande richiesta, le serate sono state due.
Così come anche a Berlino doveva tenersi un solo concerto che sono diventati tre a forza di sold out.

Dopo la mostra, che ho visitato tre volte, ho avuto conferma di tante cose che mi frullavano per la testa:
una su tutte è che i CCCP non sono mai stati un gruppo meramente musicale ma piuttosto un Collettivo dove i concerti mettevano in scena una varietà di performance la cui somma andava a costruire un immaginario che usa e usava tutti gli artifici e i linguaggi della postmodernità che irrompeva ovunque in quei primi anni ‘80.

I CCCP, credo personalmente e senza nessuna voglia di convincere nessuno o aprire sterili dibattiti, non sono stati “the great r’n’r swindle”, come si autodefinivano i Sex Pistols, ma ritengo siano stati per larga parte “the great r’n’r misunderstanding” visti i tanti fans che, all’epoca e all’oggi, si sono soffermati alla superficie iconografica di un gruppo che diceva, faceva e rappresentava tanto di più (e più in profondità), usando come strumento e pretesto i simboli di un mondo in declino.
Conferme ulteriori sarebbero venute poi da queste tre giornate berlinesi, “Là dove tutto è cominciato”, come diceva Giovanni Lindo Ferretti presentando mesi fa i concerti nella capitale tedesca.

L’Astra Kulturhaus è un vecchio fabbricato un tempo Casa della Cultura delle ferrovie di stato della DDR, a ridosso dei binari della stazione di Warschauer Strasse a Friedrichshain in piena Berlino Est.
Tutta l’area e i tanti ex magazzini sono oggi il Raw, una vivacissima enclave alternativa e antagonista che non si sa per quanto ancora potrà resistere all’assedio delle gru e delle impalcature di quell’enorme cantiere edilizio che è la Berlino del post-Muro. Il Muro che per altro, a poche centinaia di metri, è ancora per lunghi tratti in piedi sulla sponda della Spree.

Avevamo i biglietti per CCCP in DDDR del 25 febbraio, quello che doveva essere la prima e unica data ma che poi è diventata la seconda delle tre. La terza D aggiunta all’acronimo della Germania Est non è un giochetto ma un’aggiunta estremamente pertinente per Deutsche Demokratische DISMANTLED Republik.
Dismantled, Smantellata…e basta guardarsi intorno per cogliere quanto sia davvero esatta quella terza D per scattare un’istantanea del settore ex filo-sovietico della città.

Il giorno prima altri amici avevano partecipato al concerto, sui social girava di ogni, soprattutto si parlava dei fischi che avevano seppellito Scanzi.
Chi non era a Berlino aggiungeva anche questo alla lista dei motivi per cui non si doveva più vedere i CCCP, anche alcuni di quelli che erano all’Astra assumevano posizioni da duro e puro antiferrettiane urlando “Salvini!” e altre stronzate presto smorzate dal resto della platea.
Una delle cose che hanno particolarmente colpito, non solo me, era la quantità di giovani mischiata ad un pubblico più anagraficamente compatibile con la storia del gruppo, che all’epoca lo avessero visto o meno.


Fin dall’inizio del concerto è apparsa subito chiara una cosa:
sul palco non c’erano ologrammi dei CCCP – Fedeli alla linea o una cover band di loro stessi e tanto meno eravamo ad una rievocazione celebrativa e nostalgica di un gruppo amato quarant’anni prima.
Eravamo di fronte ad un meraviglioso e, per molti, un inatteso “dove eravamo rimasti?”. Del resto le parole di Giovanni, in apertura dello spettacolo d’arte varia chiamato CCCP in DDDR, dicono già tutto: "Cantavamo "Kebab traume in der Mauer Standt", non mangio kebab da decenni e non sogno o non ricordo, il mio è un sonno da sfinimento.
Smantellato il Muro, l'oltrecortina, il dopoguerra la città intorno è una città del nord come le altre.
Cantavamo "Wir sind die Turken for morgen”, roba da forza lavoro a basso costo ma sepolto Ataurk è la Sublime Porta lo skyline d'Istanbul, mica roba nostra. Nella mia Berlino il Reichstag è un palazzotto vetusto fuori mano in fondo al parco e sul parco davanti al tramonto pascola un branco di cervi.
Dietro c'è il Muro e una torretta per guardare oltre. Sic transeat gloria mundi, passami quella canna". Da lì in poi, da Depressione Caspica al finale con Kebab Traume dei Daf è stato tutto perfetto.

Zamboni sempre una garanzia nel grattugiare la chitarra, Giovanni… beh, Giovanni è sempre Giovanni, anzi, ancora di più. L’attualizzazione del testo di Radio Kabul con l’inserimento di “si sta all’erta come un russo del Donbass, come un armeno nel Nagorno Kharabakh".

Perfetta Annarella, la Benemerita soubrette, con i suoi interventi, i suoi mille cambi d’abito e l’instancabile sbandierare i feticci di un’ostalgie del filosovietismo germanico e nostrano. Perfetto l’artista del popolo Fatur, con le sue performance “faturiste” degne di un posto nel panorama dell’Arte Povera.
Perfetta la potenza musicale, anche grazie all'inserimento di buona parte degli ex Ustmamò, altri montanari reggiani, Ezio Bonicelli al violino, la chitarra di Simone Filippi, il basso di Luca Rossi e le percussioni di Simone Beneventi e Gabriele Genta.

Provocatoriamente arrivo a dire che è stato perfetto persino Scanzi, compreso o incompreso corpo estraneo (come lo fu né più né meno l’Amanda Lear di Tomorrow), provocazione punk decisamente deliberata fin dalle serate reggiane del Gran Galà Punkettone al Teatro Valli.
Che poi cos’ha detto di così fischiabile il televisivo – temo sia questa la sua colpa, ma è probabilmente proprio questo il motivo della provocatoria chiamata sul palco dei CCCP – Scanzi?
Come a Reggio Emilia (là applaudito) ha fatto il suo monologo da fan del gruppo, ricordo elegiaco da cameretta adolescenziale in prima persona singolare.

Niente di così scandaloso e chi lo fischiava sembrava più che fischiasse un sé stesso allo specchio.

Però ci ha pensato Ferretti a chiarire sui fischi "Quanto odio, lui è qui proprio perché vi sta sui coglioni. Noi portiamo il disordine, non sono come tu mi vuoi".
Ma tutto questo, alla fine, è un dettaglio anche un po’ noioso che parla più del parterre che del palco.
Oppure è solo una mia cinica e disincantata opinione da anti-tifoserie ottenebrate che lascia il tempo che trova, quindi fingiamo che non lo abbia detto.

Su tutto, però, resta indimenticabile la vera chiusura di una serata perfetta: a palco vuoto e luci accese si è alzato spontaneo dal pubblico un singalong di Madre, che ben presto ha coinvolto pressochè tutto il pubblico.
Roba da far alzare quattro dita di pelle d’oca anche ai più aridi (tipo me).

Se i CSI, evoluzione successiva di Ferretti e Zamboni, cantavano “Percorsi incomprensibili tracciano alfine la nostra vita irriducibili, irriducibili, irriducibili...Ciò che deve accadere accade…” a Berlino, coi CCCP, quello che doveva accadere è accaduto.
Ed è stato bellissimo.

domenica, marzo 03, 2024

Crocodile Rock al Rathaus Piacenza

GIOVEDÌ 7 MARZO ALLE 18:30 al "Rathaus" di Piacenza via Pietro Giordani 4 #darwinday con la presentazione di CROCODILE ROCK - Storie, aneddoti, curiosità e tutto ciò che unisce musica e animali, il libro (di Ezio Guaitamacchi e Antonio Bacciocchi, edito da Hoepli) che racconta quanto e come il mondo animale abbia influenzato quello musicale

venerdì, marzo 01, 2024

Marco Fazzini e Roberto Jacksie Saetti - Mingle with the Universe

Dalle nostre parti ERIC ANDERSEN ha sempre avuto poca risonanza, se non in un agguerrito e fedele nucleo di fan, che lo ha spesso portato in tour, ci ha lavorato (il violinista Michele Gazich in particolare), lo ha seguito lungo tutta la lunga e gloriosa carriera.

Il suo primo album è del 1965, ha collaborato con mostri sacri come Bob Dylan, Lou Reed, Joni Mitcehll, James Taylor, Andy Warhol, Rick Danko della Band.
Talvolta circostanze sfortunate ne hanno fermato la carriera che però conta una serie di piccoli gioielli come "Blue river" e "Ghosts Upon the Road".

In questo libro (in italiano e inglese) sono raccolte una lunga intervista sulla sua carriera, la traduzione di alcune delle canzoni più famose, suoi scritti esclusivi e varie testimonianze di chi ha lavorato e collaborato con lui.
Un eccelente modo per (ri)scoprirlo.

Marco Fazzini e Roberto Jacksie Saetti
Mingle with the Universe
Agenzia X Edizioni
309 pagine
16 euro

giovedì, febbraio 29, 2024

Febbraio 2024. Il meglio

Secondo mese dell'anno e abbiamo già qualcosa da segnalare.
Dall'estero Bella Brown and the Jealous Lovers, Les Amazones d'Afrique, Kula Shaker, Tibbs, Idles, Mo Troper e Popincourt.
Tra gli italiani Rudy Bolo, Enri Zavalloni, Any Other, Bebaloncar e Paolo Benvegnù.


BELLA BROWN and the JEALOUS LOVERS - Soul Clap
Da Los Angeles un album semplicemente esplosivo. Bella Brown canta come un incrocio tra Tina Turner, Aretha, Sharon Jones. Con lei suona una band da paura.
Tutti insieme escono con questo esordio mozzafiato in cui troviamo Funkadelic, Parliament, Sly and the family Stone, il James Brown degli 80, Prince, Labelle, afrofunk, disco e un groove irresistibile, travolgente, spettacolare.

KULA SHAKER - Natural Magick
Tornano i KULA SHAKER con il settimo album di una tormentata carriera.
"Natural Magick" è il lavoro che ci può aspettare dalla band di Crispian Mills e soci (di nuovo con la line up originale).
Freakbeat, pop rock, influenze sempre marcatamente 60's, psichedelia, riferimenti "indiani", Beatles ultimo periodo a profusione.
Personalmente non chiedo, non pretendo, né mi aspetto altro e saluto un ottimo album di una delle migliori band del Britpop.

LES AMAZONES D'AFRIQUE - Musow Danze
Supergruppo femminile e femminista formato in Mali nel 2015 da Kandia Kouyaté, Angélique Kidjo, Mamani Keita, Rokia Koné, Mariam Doumbia, Nneka, Mariam Koné, Massan Coulibaly, Madina N'Diaye, Madiaré Dramé, Mouneissa Tandina et Pamela Badjogo, grandi voci in rappresentanza della miriade di musica che arriva dall'Africa (NON ESISTE una "musica africana" ma MILLE- forse più - MUSICHE AFRICANE). Cantano contro la violenza sessuale, le mutilazioni genitali femminili, diritti.
In questo nuovo album a fianco di una delle fondatrici Mamani Keïta (Mali) ci sono Fafa Ruffino (Benin), Kandy Guira (Burkina Faso), Dobet Gnahoré (Côte d’Ivoire), Alvie Bitemo (Congo-Brazzaville), Nneka (Nigeria). Produce il grande Jacknife Lee. Nell'album ci sono ritmi tribali, hip hop, highlife, afrobeat, elettronica, influenze tradizionali, soukous, voci incredibili, un grandissimo groove.

REAL ESTATE - Daniel
Sesto album per la band americana e un'altra delizia da mettere in conto. Il loro ormai classico jingle jangle sound che guarda ai Sixties si unisce al Paisley Underground, Power Pop, Feelies con la penna di Alex Chilton che aleggia qua e là. Non sarà un capolavoro ma è fresco, solare, lieve, divertente.

IDLES - Tangk
Personalmente non bazzico abitualmente queste lande sonore, cosiddette POST PUNK, ma ho apprezzato i dischi precedenti e trovo questo nuovo sforzo riuscito, con la volontà di andare avanti, senza adagiarsi sugli allori recenti.
Ci sono tante nuove influenze e la consueta rabbia, seppure più controllata e meditata.
Ipnotica "Hall & Oates", incredibile citazione (con ritornello preso da "She cracked" dei Modern Lovers), mortifera la conclusiva "Monolith", contagioso il funk punk/ The Streets di "Pop Pop Pop".
L'aspetto preponderante è che qui ci sono IDEE.
Non è facile trovarne così tante nelle produzioni recenti.

BRITTI - Hello I'm Britti
Esordio per una giovane e grande voce che arriva da New Orleans, con la produzione di Dan Auerbach. Soul venato di country, molto melodico, a tratti non lontano da certe atmosfere care a Sade ma che molte volte si vivacizza e prende ritmo. Molto interessante, un nome da tenere d'occhio.

BRITTANY HOWARD - What now
La voce degli Alabama Shakes torna con un album pieno di ingredienti sparsi ma estremamente saporiti: soul, Prince, soul, blues, funk, jazz, psichedelia, disco, house. Il tutto condensato in un sound attuale, moderno, pulsante.
Merita un ascolto attento e ripetuto.

DJ HARRISON - Shades of Yesterday
Molto piacevole questo nuvo lavoro dell'artista americano che si addentra in rivisitazioni in chiave neo soul (non troppo lontane dagli originali) di Stevie Wonder, Donald Fagen, una discreta "Tomorrow never knows" dei Beatles e cose più oscure.
Per un ascolto qua:
https://djharrison.bandcamp.com/album/shades-of-yesterday

J MASCIS - What Do We Do Now
Quinto album solista del Dinosaur Jr che si propone con l'abituale stile folk rock distorto indolente e malinconico. Non un lavoro esaltante ma sicuramente dignitoso e che gli appassionati e fan apprezzeranno.

KID KAPICHI - There Goes The Neighbourhood
Il terzo album del quartetto inglese ne conferma la sfacciataggine sonora, tra attitudine punk, sorta di Sleaford Mods con le chitarre elettriche, una discreta dose di elettronica e un'aggressività tipicamente Brit. La miscela funziona, la band è ottima.

CCCP Fedeli alla Linea - Altro che nuovo nuovo
Registrato nel 1983 con la formazione iniziale con la voce di Giovanni Lindo Ferretti, la chitarra di Massimo Zamboni, la batteria di Zeo Giudici e il basso di Umberto Negri, è un documento degli esordi abrasivi e innovativi della band assurta a nuova vita, travolta da polemiche e adorazione isterica negli ultimi tempi, tra reunion, ristampe, mostra, film etc.
Due inediti, una cover dei DAF e un brano ancora embrionale, poi trasformatosi in "BBB", a fianco di quelli che diventeranno classici. Per completisti alla ricerca di un passato irripetibile.

CASINO ROYALE - Dainamaita XXX
Nel 30° anniversario dalla pubblicazione del favoloso e influente "Dainamaita" i Casino Royale ne pubblicano una ristampa in vinile in tiratura limitata con l'aggiunta di una confezione gatefold raffinatissima e i remix (particolarmente riusciti) dei brani "Treno Per Babilon" e "Re Senza Trono". Per chi lo aveva perso un'occasione speciale per scoprire uno dei migliori album della musica "underground" italiana di sempre.

SMALLTOWN TIGERS - Crush on you
Primo album per l'all female trio nostrano, già protagoniste dell'ottimo miniLp d'esordio "Five things" e di una frenetica attività live che le ha portate in giro per l'Europa, anche a fianco dei Damned. Il loro è un sound semplice e diretto: punk rock, rock 'n' roll, Ramones, garage, in cui irruenza, urgenza e spontaneità la fanno da padrone pur se con brani comunque elaborati a livello compositivo, mai banali e scontati. Una band che si è presa un posto di rilievo nella scena garage punk mondiale e che difficilmente lo mollerà.

PAOLO ZANGARA - Scusi dov'è il bar?
Paolo Zangara ha un lunghissimo curriculum artistico, diviso tra un grande numero di progetti, sempre validi ed eclettici (dai Lo.Mo. agli Ophiuco), la cui attività è stata coronata da riuscite e frequenti uscite discografiche. La nuova veste solista è insolita e inedita. Gli otto brani autografi scavano nella tradizione della canzone d'autore italiana degli anni Sessanta e primi Settanta, quando spesso si ammantava di influenze jazz. Dalle esperienze nella Penisola dell'ammaliante Chet Baker, a Gino Paoli, le tonalità ombrose di Sergio Endrigo, lo swing di Nicola Arigliano e Fred Buscaglione, oltre alle immancabili matrici di due maestri come Luigi Tenco e Piero Ciampi. Zangara si è circondato di eccellenti musicisti, il mood è perfettamente a fuoco, la qualità delle composizioni di altissimo livello. Eccellente.

PIER ADDUCE - Dove vola la cicogna
Pier Adduce è un cantautore eclettico che si muove agilmente da anni in contesti autorali, soprattutto con il suo alter ego Guignol, in cui la tradizione della canzone più colta italiana si sposa a influenze disparate (da Nick Cave a Leonard Cohen). Il nuovo album, a suo nome, sposta le coordinate sonore verso un uso più accentuato dell'elettronica, mantenendo però inalterato lo scabro incedere di un rock sempre aspro e debitore alla lezione post wave. I testi come sempre sono una parte importante della poetica di Adduce, tra immagini simboliche e crudo realismo da "lingua allenata a battere il tamburo con una voce potente adatta per il vaffanculo". Un'ennesima conferma della qualità della sua scrittura.

MARIA MAZZOTTA – Onde
Interessantissimo l’incrocio sonoro della cantante salentina, in cui azzarda accostare melodie, suggestioni, ritmi mediterranei e folk con sferzate rock talvolta di sapore quasi noise. La voce potente si sposa alla perfezione con la tradizione ma è a perfetto agio anche quando i ritmi e i suoni si fanno cattivi e aspri (vedi una delle vette dell’album, “Sula nu puei stare”, con la chitarra di Bombino e sapori rock blues psichedelici). Tutto l’album è pervaso da un’attitudine tribale, da un approccio blues primitivo e crudo, perfino minaccioso (vedi la magistrale interpretazione di “Terra ca nun senti” del maestro Alberto Piazza, reinterpretata in origine da Rosa Balistreri, un confronto che Mazzotta riesce a sostenere con una versione percussiva e devastante). Lavoro sorprendente per forza e intensità.

BEBALONCAR – Diary of a lost girl
Torna l’inquietante creatura di Scanna (ex Ugly Things, Primeteens, Sciacalli, Bohemians, Pamela Tiffins e tanto altro), già protagonista nel 2022 di un brillante esordio con “Suicide lovers”. Il nuovo album ricalca i sentieri tracciati nel precedente lavoro: minimalismo sonoro, atmosfere drammatiche, solenni, oscure e malate, Velvet Underground, Jesus and Mary Chain e umori shoegaze si mischiano in una miscela personale e originale, lungo dieci brani. Una conferma.

THE ODD - Back home (future passed eventually)
L'esordio della band piacentina è un condensato di suggestioni sonore che riportano agli anni Sessanta (beat psichedelico) e agli Ottanta del Paisley Underground (tra Rain Parade e True West). I quattro brani hanno un incedere mid tempo, avvolgente e dal tratto onirico. Una partenza sicuramente interessante e che lascia ben presagire per il futuro.

EROTIK TWIST - The Street, The Night, The Rebel
Una creatura minacciosa esce dalle acque limacciose di una palude marchigiana e si materializza in questo nuovo progetto, frutto dell'unione di veterani della scena punk e rock n roll locale. Il risultato è un album caratterizzato da un groove malato, aspro, distorto, dal substrato hard funk ma che pesca nel rock n roll più primitivo e oscuro. Non mancano atmosfere di gusto shoegaze e di ispirazione Velvet Underground e una sorprendente cover di "Ratamahata" dei Sepultura. Un lavoro molto personale e dalla spiccata originalità.

LARRY MANTECA - Zombie Mandingo
Larry Manteca anche in questo nuovo album ci fa entrare in una colonna sonora di un film di exploitation mai realizzato, riportandoci di colpo negli sgranati Bmovie anni 70. Nove brani strumentali registrati tra 2013 e 2019, ripresi recentemente per un nuovo mix. Il mood è il consueto funk, dalle tinte afro, chitarre con il wah wah, percussioni, flauto solista a tessere le linee melodiche, Fela Kuti, Isaac Hayes di "Shaft", il Curtis Mayfield di "Superfly" e Piero Umiliani a braccetto. Gli appassionati impazziranno di gioia.

KOKADAME – Live a pezzi
La dimensione preferita dei Kokadame è quella (caoticamente) live che ci viene fedelmente restituita in questo disco (in vinile, tiratura limitata di 150 copie) registrato a fine dicembre 2023. Dodici brani tra punk rock, riff hard, testi urlati e tranquillamente (finalmente!) incuranti del politically correct. La band ha la giusta attitudine, un grande tiro, suona bene e compatta, la registrazione è ottima.

MASSIMO GALASSI – Un grido per voi
L’ex chitarrista dei Sick Boys Revue esce con un ep aspro e rabbioso, dedicato al mondo operaio (al quale l’autore appartiene) da sempre sfruttato e vessato. I cinque brani riportano all’epica antagonista di Billy Bragg e ai nostri Gang e Filippo Andreani, sono minimali, chitarra e voce, con testi dolenti e duri. Un lavoro che prelude a un futuro molto interessante.

SHE'S A FISH - Effulgent
L'album del musicista veneziano è un avvolgente viaggio psichedelico in cui convergono anche elementi indie, folk, pop, rock, shoegaze, Britpop. L'anima del Syd Barrett solista aleggia spesso nella colonna vertebrale delle composizioni (vedi ad esempio "You hat") ma ci sono anche i Beatles dell'Album Bianco, gli Oasis più ispirati ("While this time away"), Julian Cope e altri viaggi lisergico cerebrali, coinvolgenti e intriganti. Molto interessante.

Various Artists I See You Live On Love Street – Music From Laurel Canyon 1967-1975
Un box è molto interessante, che gironzola nella California del Laurel Canyon, quartiere di Los Angeles dove alla fine degli anni Sessanta risiedevano grandi nomi del rock. Si immagina una potenziale colonna sonora, dal 1967 al 1975, che si poteva ascoltare passeggiando da quelle parti. Dai Doors a David Crosby, Stephen Stills, Monkees, Buffalo Springfields, Poco, Mamas and Papas, a una serie di rarità e nomi minori è davvero un bel sentire.

ASCOLTATO ANCHE:
LONDON AFROBEAT COLLECTIVE (afrobeat funk pieno di ritmo e groove), POM (dall'Olanda buona band pop con influenze 60's un po' alla Cardigans e Blondie), LIME GARDEN (le Breeders in chiave più pop, carino ma trascurabile),

LETTO

Dafne Boggeri in collaborazione con Sara Serighelli - Out of the grid: Italian Zines 1978–2006
Una mappatura delle realtà editoriali indipendenti che si sono sviluppate sul territorio italiano tra il movimento del '77 e l'avvento del web 3.0. a cura di Dafne Boggeri in collaborazione con Sara Serighelli.
450 pagine (in inglese) in cui si testimonia l'attività di 100 fanzine (dal 1978 al 2006) che spaziano dal punk al reggae, alla new wave, mod (c'è anche la mia "Faces"), arte e tanto altro.
Formato A4, copertine, interni delle pubblicazioni, brevi introduzioni, varie interviste.
Un ennesimo tassello che contribuisce a conservare la memoria di un'epoca unica e particolarissima.
Interessante la sottolineatura sulla necessità, in Italia, per ogni pubblicazione, di essere registrata "presso la cancelleria del Tribunale Civile nella circoscrizione in cui viene fatta la pubblicazione" con un "direttore responsabile ovvero un giornalista regolarmente iscritto all’Ordine dei Giornalisti nell’albo dei Professionisti o in quello dei Pubblicisti." Sostanzialmente tutte le fanzine sono di fatto illegali (se non affiliate a situazioni in regola, vedi la funzione che faceva Stampa Alternativa ai tempi). Ovviamente solo raramente le fanzine adempivano e adempiono a queste regole.

Massimiliano Guareschi - Going underground. Stile, gusto e consumi nelle sottoculture giovanili
Un saggio molto colto e approfondito sul fenomeno delle sottoculture, in un'ottica filosofica, zeppa di riferimenti e rimandi a contesti storici e sociopolitici.
Si parla di estetica, identità, appartenenza, la componente politica delle varie sottoculture, la volontà antagonista e "sotterranea", allo stesso tempo, la ricerca di visibilità nei confronti degli "esterni", il bisogno di affermare la propria autenticità e riconoscibilità in tale veste.
La cultura della working class si riduce a stereotipo e icona , giocata all'interno delle più diverse combinazioni stilistiche. Addirittura a brand: le Dr.Martens e le Fred Perry degli skin, parte integrante del ritorno idealizzato a uno stereotipo working class evidentemente mai esistito in quella perfezione formale.
Per gli appassionati e studiosi dell'ambito sottoculturale un interessanto compendio che si addentra di più nel tema, evitando le consuete descrizione già abbondantemente note.

Giovanni Battista Menzani - Dove il fiume muore
Un maldestro e improbabile rapimento si trasforma in un iniziatico viaggio di una "Armata Brancaleone" di giovani e ragazzini, verso una libertà impossibile all'interno di una società oppressiva, finta e falsa, molto corrispondente a quella che viviamo oggi e che toglie al romanzo di Menzani ogni tratto distopico.
Sullo sfondo una Pianura Padana (Piacenza in particolare) e le rive del Po in disfacimento ambientale e sociale.
La descrizione a pagina 91 è quanto di più drammaticamente corrispondente al reale, sorta di foto in lettere di un moderno Luigi Ghirri:
Le rotonde invase dalle sterpaglie.
I poster del Circo Togni sui pilastri dei viadotti, tutti quei pagliacci dall'aria triste tra il cemento e le pozzanghere.
Le pensiline in plexiglass.
I grovigli di bicilette incatenate.
Le barriere antirumore coperte da graffiti a spray.
Le cataste di new jersey.
I cartelli stradali pieni di adesivi.
I poster della pubblicità scoloriti dal sole.
Ivan sembrava aver scritto la guida turistica di un paese inesorabilmente in declino.
Il racconto è cinematografico e avvincente, in costante equilibrio tra l'esilarante e il drammatico.
Un libro che si fa amare e rimane dentro.

Aldo Gianolio e Piercarlo Poggio - John Coltrane. Tranesonic o il riflesso dell'universo
La vita del grandissimo JOHN COLTRANE, elaborata con meticoloso puntiglio e grande cura, anche molto "tecnica", con tanto di spartiti di alcuni dei brani più significativi, in questa nuova pubblicazione editoriale della rivista "Blow Up".
Poco più di 100 pagine per introdurci al genio di uno dei jazzisti e musicisti più influenti e significativi della storia.
"Soultrane" "Giant steps", "A love supreme", "Ascension", "Meditations", le collaborazioni prestigiose, la prematura scomparsa nel 1967 a 40 anni.
Un testo che unisce le esigenze dei cultori dell'artista con chi si avvicina alla sua opera più prosaicamente e superficialmente.

Stefano Mannucci - Batti il tempo
Una serie di gustosi racconti dal taglio biografico, in cui si innestano vicende più o meno conosciute della lunga vicenda pop rock jazz.
Dalla travagliata e breve storia tra Miles Davis e Juliette Greco, allo sbarco degli Stones in USA, la collaborazione tra Beatles e Stones, John Lennon e il rapporto in bilico tra ammirazione reciproca e una rivalità sotterranea con Bob Dylan, la relazione spietata tra Jackson Browne e Joni Mitchell e tanto altro.
Stefano Mannucci, decano del giornalismo rock italiano e storica voce di Rai Stereonotte e Radiofreccia, si destreggia con consumata abilità tra musica e riferimenti diretti al contesto storico e sociale in cui si svolgevano.
La parte più interessante arriva nelle ultime pagine, ambientate in un futuro (imminente?) in cui l'Intelligenza Artificiale fa rivivere i miti del rock, sia visivamente, in affollati concerti di ologrammi, sia proponendo nuovi brani che nessuno saprebbe distinguere da un falso.
"A costi ragionevolmente contenuti, i falsari possono prosperare sull'Industria della Nostalgia e sull'irragionevole testardaggine di chi non si rassegna a sapere nell'Oltretomba i proprio beniamini" inaugurando "il "filone dalla non-storia del rock".

COSE VARIE
° Ogni giorno mie recensioni italiane su www.radiocoop.it (per cui curo ogni settimana un TG video musicale - vedi pagina FB https://www.facebook.com/RadiocoopTV/).
° Ogni domenica "La musica ribelle", una pagina sul quotidiano "Libertà"
° Ogni mese varie su CLASSIC ROCK.
° Ogni sabato un video con aggiornamenti musicali sul portale https://www.facebook.com/goodmorninggenova
° Sulle riviste/zines "GIMME DANGER" e "GARAGELAND"
° Periodicamente su "Il Manifesto" e "Vinile".


mercoledì, febbraio 28, 2024

The Staple Singers

Ogni mese la rubrica GET BACK ripropone alcuni dischi persi nel tempo e meritevoli di una riscoperta.
Le altre riscoperte sono qui: http://tonyface.blogspot.it/search/label/Get%20Back

Speciale STAPLE SINGERS
Difficile scegliere i migliori album della lunga discografia di Roebuck "Pops" Staples e figli/e Cleotha, Pervis, Mavis, Yvonne.
Alcuni titoli sono però particolarmente significativi.

Uncloudy Day (1959)
Will the Circle Be Unbroken (1960)
Gli esordi gospel blues, voci e chitarra o poco più.
Basici, crudi, intensissimi.
Bob Dylan parlò della favolosa Uncloudy Day nella loro versione:
"Era la cosa più misteriosa che avessi mai sentito... ci pensavo anche sul banco di scuola... Mavis sembrava avere più o meno la mia età nella foto di copertina. Il suo canto mi ha semplicemente messo fuori combattimento. E Mavis era una grande cantante, profonda e misteriosa. E anche in giovane età, sentivo che la vita stessa era un mistero."


This land (1963)
La band mantiene la matrice gospel ma introduce nuovi elementi sonori, folk e country, coverizza "Blowin in the wind" di Dylan e "This land" di Woody Guthrie. Il sound è più ricco e raffinato e guadagna in fruibilità.
Criticati per avere abbandonato le radici Roebuck "Pops" Staples commentò:
"Penso che sia tutto buon materiale. Penso che sia ora che l'intera nazione inizi ad ascoltare qualcosa che significhi qualcosa e pensi che questa terra appartiene a tutti. Se tutti la pensassero così avremmo Stati Uniti migliori. "

For What It's Worth (1967)
Uno degli album con maggiore forza espressiva della band in cui le influenze rock si mischiano al classico stile gospel. Il brano dei Buffalo Springfield che dà il titolo al disco è un picolo capolavoro, ma ci sono anche "Wade in the water", "If I had a Hammer" e tanto altro.

Be Altitude: Respect Yourself (1972)
Passati alla Stax, dopo un paio di album prodotti da Steve Cropper, passano nelle mani di Al Bell. Il sound è meno primitivo e basico, più soul e fruibile. Alle loro spalle la Muscle Shoals Rhythm Section e i Memphis Horn fanno faville in un infermale groove che permea ogni brano. "Respect yourself" è irresistibile, "I'll take you there" li porta al primo posto delle charts (pur rubando il riff iniziale a "The liquidator" di Harry J Allstars), il resto è esaltante e spesso non dissimile dalle coordinate care a Aretha Franklin.

Let's do it again (1975)
Fuggiti dalla bancarotta della Stax approdano alla Custom di Curtis Mayfield che compone, suona la chitarra e produce l'album, colonna sonora dell'omonimo film con Sidney Poitier.
Il connubio produce una miscela funk soul con la voce di Mavis Staple in primo piano e i classici cori gospel come perfetto contorno. La title track raggiunge il primo posto delle classifiche di Billboard e sarà l'ultimo successo della band.

martedì, febbraio 27, 2024

Bob Marley One love di Reinaldo Marcus Green

Ospito molto volentieri la recensione dell'amico PIER TOSI, massimo consocitore di reggae e affini, del biopic dedicato a BOB MARLEY.

La sua partita 'One Love', il bio-pic di Bob Marley prodotto dai figli Ziggy e Cedella e la settantasettenne moglie Rita per la Paramount (nella lista dei producers spicca anche il nome di Brad Pitt) l'ha già vinta essendo il film campione di incassi in tanti paesi tra cui gli USA e l'Italia a pochi giorni dalla sua release e questo la dice lunga sul persistere del potere di seduzione dell'aura del rivoluzionario artista reggae a quasi quarantatrè anni dalla sua scomparsa.

'One Love' è assai ben raccontato ed interpretato: Kingsley Ben-Adir e Lashana Lynch nelle parti di Bob e Rita sono veramente ineccepibili ed il loro sforzo per entrare decisivamente nei personaggi è evidenziato dalla più che opportuna visione in lingua originale, nonostante anche il doppiaggio in italiano sia stato fatto veramente come meglio non si sarebbe potuto.

Anche tutti gli altri attori, tra cui protagonisti del reggae odierno come le cantanti Sevana e Naomi Cowan (loro le parti rispettivamente delle coriste Judy Mowatt e Marcia Griffiths) e Aston Barrett Jr. (figlio del leggendario bassista dei Wailers da cui ha ereditato il nome, interpreta proprio la parte del padre) forniscono più che buone prove attoriali muovendosi armoniosamente nelle varie sequenze intorno alla figura dell'artista.

Il film fa una scelta parziale raccontando un periodo di circa un anno e mezzo della vita di Bob Marley ma sicuramente un momento decisivo e drammatico della sua carriera tra l'attentato subito a Kingston nel dicembre del 1976 e la partecipazione, sempre in Giamaica, al One Love Peace Concert nell'aprile del 1978.
In mezzo c'è l'abbandono, per motivi di sicurezza, della sua terra per approdare a Londra, la genesi di 'Exodus' (1977), forse il suo disco più celebrato, la scoperta del tumore della pelle che è la prima avvisaglia del male che lo porterà alla morte a trentasei anni nel maggio del 1981 ed il raggiungimento dello status di superstar globale attraverso i trionfi di un indimenticabile tour europeo.

Le vicende tracciano un viaggio che Marley percorre tra le avversità per trovare se stesso e raggiungere la maturità della sua voce universale.
Come per tutti i progetti di questo tipo (mi vengono in mente i bio-pic di Aretha Franklin, Elvis, Ray Charles o Miles Davis) si tratta di trovare un modo simbolicamente efficace di ritrarre personaggi di grande complessità rischiando fortemente di precipitare nell'agiografico infarcendo il racconto cinematografico di una sequela di stereotipi ma in questo caso il rischio è scongiurato e l'immagine che esce di Marley è quella di un essere umano indubbiamente speciale che vince i suoi fantasmi attraverso la dedizione alla musica e la sua missione di diffusione della Rastafari livity.

Storie come queste hanno molti modi per essere raccontate ed il coinvolgimento dei figli Ziggy e Cedella e della loro madre nella produzione giustifica il fatto per cui viene ritratto il cantante in costante dialogo con la figura della moglie/sorella Rita i cui consigli ed il cui affetto sono fondamentali nella sua formazione: la figura di Cindy Breakspeare all'epoca importante dal punto di vista affettivo per Marley non è che nel film una figura distante e senza voce nonostante la presenza di Cindy nei titoli di coda come consulente.

Le scelte di sceneggiatura sono comunque mediamente ben giustificate ed orchestrate a parte alcuni episodi: in un flashback la figura del patriarca della musica giamaicana Coxsone Dodd, titolare del leggendario marchio Studio One e primo produttore dei Wailers, è ritratta come quella di un personaggio dai modi spicci e la pistola facile: gli autori non hanno resistito alla tentazione di far confluire in questo personaggio fondamentale i caratteri di altri producers coevi (si pensi al rivale di Coxsone, l'ex poliziotto Duke Reid) e questa è quasi una mancanza di rispetto per la memoria dell'uomo che fornì una casa dove stare al giovane Marley quando sua madre emigrò in USA.
In un'altra scena si sceglie di ritrarre i contatti di Bob Marley ed il suo entourage con il mondo del punk mostrando la compagnia di dreads ad un concerto dei Clash in un club londinese ed anche questo evento non è supportato da alcuna delle più importanti fonti biografiche.

Una scena dal valore simbolico è l'incontro del cantante con l'uomo che gli sparò nell'attentato alla ricerca di un perdono che Bob non esita da accordargli.
Anche questo episodio non è supportato dalle fonti biografiche ed è una licenza narrativa degli autori che ad avviso di chi vi scrive scade un po' nell'agiografico.

La musica comunque ha il giusto valore nell'economia del film con tanti episodi entusiasmanti riguardanti concerti, attività di studio e sale prove e magistrali scene di Marley al lavoro nella composizione dei brani di 'Exodus'.
La toccante scena che vede la superstar cantare 'Redemption Song' nel cortile di casa sua davanti a Rita ed i suoi bambini è l'apice emozionale di un'opera quindi decisamente riuscita nel ritrarre questo grande artista e che per questo merita assolutamente il suo successo.

lunedì, febbraio 26, 2024

Il basso perduto di Paul McCartney

Riprendo l'articolo che ho scritto ieri per "Libertà", dedicato al ritrovamento del "basso perduto" di Paul McCartney.

Come più volte constatato il mondo del rock è ormai un museo a cielo aperto con i suoi più vecchi protagonisti ancora in (discreta) forma a interpretare fino alla fine la rappresentazione di un glorioso passato, gli indomiti fan a raccoglierne le sacre spoglie (l'ennesima ristampa del solito disco, le reliquie esposte in mostra, l'agognato autografo, lo strumento accarezzato dall'idolo di turno, l'imperdibile registrazione di un abbozzo di brano inedito con chitarra scordata), in un declino poco decoroso per ciò che è stata una ragione di vita per così tante persone.

Anche perché le nuove generazioni, pur con qualche dovuta, rara, eccezione non hanno saputo avvicendarsi ai mostri sacri che il periodo punk sembrava avere ridotto al silenzio ma che invece tornarono saldamente in sella, senza troppi problemi.
Alla fine, piaccia o meno, chiunque voglia indicare una lista credibile dei migliori album rock di tutti i tempi deve inevitabilmente guardare al periodo d'oro degli anni Sessanta e Settanta, con qualche sporadica aggiunta dai due decenni successivi.

In questo contesto ha fatto grande scalpore il ritrovamento di una sorta di Sacro Graal della musica pop rock moderna, il basso perduto di Paul McCartney.
Paul lo aveva acquistato nel 1961 ad Amburgo, dove i Beatles suonavano nei peggiori locali della città (ancora con il batterista Pete Best in formazione), costruendo di fatto la loro formidabile carriera con concerti che si protraevano anche per otto ore al giorno e che divennero la palestra ideale per affrontare qualche tempo dopo interminabili tour mondiali con una perizia tecnica comune a pochi all'epoca.

Nella band c'era anche il bassista Stu Sutcliffe che decise, dopo essersi fidanzato con la fotografa Astrid Kirchner, di rimanere in Germania, abbandonare la carriera musicale e dedicarsi alla pittura. Purtroppo morì poco tempo dopo, nella primavera 1962, per un'emorragia cerebrale. Paul, chitarrista della band, passò al basso. Essendo mancino ne ordinò uno apposito in un negozio della città che gli procurò un Hofner con la forma “a violino” che diventò una peculiarità dell'immagine della band (e che Paul ha sempre usato nel corso degli anni nei suoi concerti).

Pare che, non essendo ancora in commercio la versione per mancini, fosse un prototipo.
Fu il basso che usò fino al 1963 per poi relegarlo a “riserva” dopo averne acquistato uno di miglior fattura della stessa marca e forma, ma che rispolverò anche successivamente nelle riprese del film “Let it be” / “Get back” e nel video di “Revolution” del 1968.

Il basso sembrerebbe scomparire nel 1969 durante le registrazioni live in studio dell'album “Let it be” ma è stato invece poi accertato che in realtà fu rubato il 10 ottobre 1972 a Notting Hill, durante un tour dei Wings, dal furgone lasciato incustodito e carico di strumenti. Da allora se ne perdono le tracce fino a quando nel 2018 un liutaio della Hofner lancia una campagna per il ritrovamento del prezioso reperto.
Lo scorso anno due giornalisti, Scott e Naomi Jones, si uniscono alla ricerca, portando a casa i frutti sperati, quando un erede di uno dei successivi possessori lo riconosce in casa propria, si mette in contatto con Paul e lo restituisce.
Nel frattempo i ladri lo avevano smerciato in un pub londinese, insieme ad altri amplificatori, probabilmente ignari di cosa avevano tra le mani e di quanto, anche e soprattutto commercialmente, fosse di valore.
Finisce poi nelle mani di una famiglia che lo lascia in una soffitta per decine di anni.

Il liutaio Nick Wass, da cui la ricerca è partita, spiega come è iniziato il tutto:
“Ero già in contatto con Paul e il suo staff. Di tanto in tanto volevano pezzi di ricambio, nel caso durante un tour si guastasse qualcosa. Mi hanno anche chiesto di realizzare un altro basso dello stesso formato e stile del suo classico Hofner, cosa che ho fatto. Ho parlato con Paul e mi chiese esplicitamente:
“Ma tu non sai dove è finito il mio basso perduto? Tu sei della Höfner e dovresti sapere dov'è!” Ovviamente non ne sapevo nulla, ma è lì che è nata l’idea di cercarlo. Quando parlo del mio rapporto con Paul tutti si emozionano e mi chiedono se l'ho incontrato, ma è sempre stato solo una questione d'affari, di lavoro, non da fan”
.

In accordo con Paul e il suo management Nick Wass decide di riprodurne una copia uguale in ogni particolare a quello rubato e di cederlo all'ex Beatle che lo userà occasionalmente. Inizialmente la sua ricerca sortisce qualche indizio, nonostante siano pochi gli organi di stampa a darne notizia, apre un sito a cui si rivolgono alcune persone che sostengono di averlo ma dopo accurati esami l'esito è sempre negativo: mancano alcuni particolari o le date di produzione non sono conciliabili.
Solo con l'intervento recente dei due giornalisti le acque si muovono, la notizia ha una copertura mondiale e le informazioni incominciano ad essere sempre più numerose e dettagliate. Tra cui la vera data del furto che fino ad allora era rimasta al 1969.

Si fece invece sentire uno dei due fonici che avevano in custodia il furgone, Ian Home:
"Ero il fonico degli Wings. Io e il mio collega Trevor Jones avevamo un camion da tre tonnellate che usavamo per spostare l'attrezzatura per Paul da un luogo o da uno studio all'altro. Il furgone fu caricato, era notte fonda, intorno alle 22, del 10 ottobre 1972 e decidemmo di non scaricarlo, ma di lasciarlo vicino alla casa di Trevor, dove alloggiavamo. Non siamo riusciti a trovare un posto dove parcheggiare, quindi l'abbiamo portato da qualche parte nelle vicinanze, a Nothing Hill.
Abbiamo chiuso il furgone con un lucchetto, ma quando siamo tornati la mattina seguente abbiamo scoperto che qualcuno era entrato. Due amplificatori Vox AC-30 e il basso erano spariti.
Abbiamo bussato a tutte le porte per chiedere informazioni, ma nessuno aveva visto niente. Lo denunciammo alla polizia e ovviamente dovemmo dire a Paul che il suo basso era sparito, temendo di perdere il lavoro. Ma Paul era tranquillo: "Non preoccuparti, sono cose che succedono, ho altri bassi".


Ian ha poi lavorato altri sei anni per Paul.
Nick Wass si ricorda di una mail che aveva ricevuto sei mesi prima in cui il mittente raccontava una storia molto simile e lo ricontattò immediatamente.

“Il ragazzo che aveva scritto ha detto che era un autista di ambulanza. Una volta lui e un paramedico avevano un paziente nella loro ambulanza, che raccontò loro la storia. Ho chiesto maggiori informazioni e questa volta è stato il paramedico a dirci di più. Ci ha raccontato di aver sentito qualcosa detto da un paziente, ma conosceva troppi dettagli. Nessuno se lo ricorderebbe da una conversazione.”
La giornalista Naomi Jones ha indagato e scoperto chi viveva in tutti gli otto appartamenti della casa nel 1972, di fronte alla quale era stato parcheggiato il camion. E uno di quelli era il paramedico.
Confessò che il padre non era un santo e che qualche furto alle spalle lo aveva, tra cui anche quello del basso.
Lo nascose dal proprietario di un pub per poi venderlo al figlio del padrone di casa che a sua volta lo passò al fratello che lo ripose in soffitta per quasi cinquant'anni.
Quando la moglie sentì parlare sempre più insistentemente di questa storia si ricordò dello strumento in soffitta, ne mostrò qualche foto allo staff di Paul che riconobbe immediatamente il basso.

“Avevamo fantasticato di miliardari giapponesi o americani che se lo erano accaparrato a suon di milioni e invece era quasi dietro a casa in una soffitta. Quando Paul lo ha recuperato, mi ha telefonato, il che è abbastanza insolito. Era emozionato come un ragazzino: "Ho il basso!. Non ci sono dubbi. Alcune caratteristiche sono molto, molto difficili da replicare. Non c’è dubbio.”

Ora il basso è in restauro, visto che non era conciato benissimo, anche a causa di un maldestro ritocco fatto già nei primi anni Sessanta. Il manico è rotto e anche i pick up sono da sostituire ma tutto sommato sostiene Wass di avere avuto tra le mani situazioni ben peggiori.

Paul, da vero e sincero appassionato, non attende altro che impugnarlo di nuovo in studio o dal vivo, nell'estrema sublimazione e celebrazione del sacro rituale del rock 'n' roll.

domenica, febbraio 25, 2024

Classic Rock

Nel nuovo numero di CLASSIC ROCK recensisco gli album di Swanz the Lonely Cat (con anche intervista), Herself, The Bowers, Tryptamin, Kid Kapichi e la compilation "I see you live on love street".

venerdì, febbraio 23, 2024

The Lambrettas

La band siforma a Brighton a fine anni Settanta con il nome di Shakedowns, suonando nei pub, cover e qualche originale, soprattutto quando al chitarrista Doug Sanders si unisce il cantante e chitarrista Jez Bird.
Con l'arrivo del bassista Mark Ellis e del batterista Paul Wincer cambiano nome in The Lambrettas, accodandosi all'esplosione del cosiddetto Mod Revival del 1979.

I puristi della scena li considerano dei "plastic mods" anche se musicalmente si inseriscono alla perfezione stilisticamente, con un sound molto personale e una scrittura compositiva di primo livello.

Terry Rawlings li irride nel libro "Mod, vita pulita in circostanze difficili":
I Lambrettas spuntarono dal nulla rivendicando il secondo 45 giri mod mai pubblicato, il rifacimento di "Poison Ivy".
Ciò produsse la nuova apparizione di un gruppo Mod a Top of the Pops, il che implicava che le parole parka e Lambretta a quel punto si fossero impresse a fuoco nella coscenza del pubblico.
Nessuna finezza in questo caso. Non ricordo un gruppo punk che si chiamasse Safety Pins (spille da balia) o Pogos, e voi?"


Trovano un contratto con la Rocket Records di Elton John e il 9 novembre 1979 pubblicano il 45 d'esordio "Go Steady" (un beat tirato e molto orecchiabile).
Sul lato B l'ottima "Cortinas" (poi ripresa nel primo album in un nuova versione con il titolo di "Cortina MK II") e "Listen listen listen" di sapore Jam.

"Abbiamo trovato un'etichetta abbastanza velocemente. Abbiamo fatto qualche concerto a Brighton e poi a Londra, dove i club erano pieni quando suonavamo. Ogni casa discografica voleva ingaggiare la propria piccola band Mod e noi abbiamo optato per la Rocket. Abbiamo fatto un singolo chiamato "Go Steady" che è arrivato all'80° o 90° posto in classifica e a quel punto pensavamo di essere i Beatles."
(Doug Sanders)

Con il secondo 45 giri fanno centro.
Una versione in chiave ska del classico "Poison Ivy" dei Coasters, prodotto da Pete Waterman (che ai tempi aveva lavorato con Specials e Peter Tosh e produrrà una serie di hit con Dead or Alive, Kylie Minogue, Rick Astley, Bananarama, Mel and Kim, Donna Summer, Cliff Richard e membro el trio di compositori Stock Aitken Waterman) production) che arriva al settimo posto nelle chart inglesi, vendendo 250.000 copie (sul retro una rocciosa canzone che guarda ai 60's e ai Jam, "Runaround").
La copertina riprende quelle della 2Tone con un mod in parka al posto del classico simbolo della label ska.

Una delle persone dietro la nostra versione di "Poison Ivy" era Pete Waterman perché lavorava nel reparto A&R della Rocket Records, quello fu uno dei suoi primi lavori nel mondo della musica.
In realtà, il primo disco d'argento che Pete ha ottenuto tra i miliardi che ha avuto siamo stati noi.
"Poison Ivy" era stata coverizzata parecchio tempo prima nello stesso filone, molto vicino all'originale e non vedevamo il motivo di farlo in quel modo quindi l'abbiamo lavorato come una cosa Ska.
Era in linea con il tempo e piuttosto ballabile e venne trasmesso fino alla morte alla radio e andò abbastanza bene.

(Doug Sanders)

"Beat boys in the Jet age" (uno splendido titolo in pieno stile mod) è l'album che esce nel 1980, zeppo di ottime canzoni, dalla title track a due brani ska ("Poison Ivy" e "Watch out I'm back"), a una serie di episodi dai ritmi serrati ed eccellenti melodie ("Da-a-a-nce", uscita come singolo va al 12° posto delle chart).
"Page Three" faceva invece riferimento alla terza pagina del The Sun che aveva sempre una foto di una donna discinta.
La rivista fece causa e il brano fu pubblicato come singolo con il titolo diverso di "Another Day, Another Girl", arrivando al 49° posto.

L'album, che rimane un piccolo classico della scena Mod, ancora oggi molto fresco e attuale vendette discretamente con buone recensioni e un dignitoso 28° posto in classifica.

Nell'autunno del 1980 arrivano in concerto anche in Italia, aprendo per i Madness.
Il 9 ottobre al Palalido di Milano dimostrano di essere una band solida e preparata con un set efficace e coinvolgente, molto tirato e più aggressivo rispetto all'album, suonando anche una cover riuscitissima di "Come on" di Chuck Berry, oltre ai loro successi.

"C'era un vuoto a quel tempo nel mondo della musica. C'erano le grandi band, il punk aveva fatto il suo tempo e c'era questo divario. Furono le Moddy band, tipo power-pop, a riempirlo.
Siamo stati davvero fortunati, perché con il nome Lambrettas abbiamo portato un sacco di gente ai nostri concerti."

(Jez Bird)

La band cerca di andare avanti, lascia il mondo mod, nel momento in cui sta declinando, ne sveste gli abiti (assumendo un look casual) e per il secondo album "Ambience" del 1981 tenta un salto in alto verso il successo.

Purtroppo sarà un fallimento anche perché il sound cerca di avvicinarsi a quello dei Police e a un pop iperprodotto, dalla direzione incerta e poco definita.
Le canzoni non sono compositivamente male ma spesso piuttosto anonime (nonostante una discreta versione di "I want to tell you" dei Beatles).
Cambiano due volte batterista e ci provano un'ultima volta con un'imbarazzante cover funk dance di "Somebody to love" dei Jefferson Airplane nel 1982 (anche il lato B autografo non è meglio).

La band si scioglie per riformarsi successivamente, suonando in piccoli club e in eventi mod.

Jez Bird incide alcuni demo, una nuova versione di "Da a a ance" e il tema di "Starsky and Hutch" per la compilation "Cult Themes from the 70s Vol.1" ( https://www.youtube.com/watch?v=6shIVn7EXso).

Jez muore a 50 anni nel 2008.
"Sono ancora un Mod nel cuore. Ho ancora i vestiti, gli Harrington, i Doc Martens.
In un certo senso ti vizia per la vita reale avere così tanto successo da così giovane, ma non lo cambierei per nulla al mondo"

(Jez Bird)

Doug Sanders e Paul Wincer dal 2009 rimettono in piedi la band con altri elementi, incidendo nel 2017 il discreto ep "Go 4 it" con quattro brani senza lode né infamia inclusa la cover dei Kinks "All day and all the night" con arrangiamento di fiati.

Nel 2021 Amanda Sanders, ex moglie di Doug Sanders, ha pubblicato la biografia della band Beyond The Jet Age: The Story of The Lambrettas con contributi di Pete Waterman, Neville Staple, Toyah, Mike Read, Chris Waddle e Dave Davies.
Reperibile qui: https://www.waterstones.com/book/beyond-the-jet-age/amanda-sanders/9781910489819

The Lambrettas - Go steady
https://www.youtube.com/watch?v=0_gYhX9oGPA

The Lambrettas - Poison Ivy
https://www.youtube.com/watch?v=NHV87pdzFIc

The Lambrettas - "Da-a-a-ance" TOTP 1980
https://www.youtube.com/watch?v=5us3XIyLqRA

The Lambrettas - Decent Town
https://www.youtube.com/watch?v=69ylyCnZSBw

The Lambrettas - Somebody to love
https://www.youtube.com/watch?v=P7Sza4iGTjc
Related Posts with Thumbnails