Riprendo l'articolo che ho scritto sabato scorso per l'inserto "Alias" de "Il Manifesto".
La storia dell’etichetta discografica 2Tone, fondata da Jerry Dammers, tastierista degli Specials nel 1979, è una delle più appassionanti e significative nell’ambito delle realtà autoprodotte e autogestite.
Attraverso minuziosi dettagli la vicenda è raccontata nel libro “Too Much Too Young” di Daniel Rachel, recentemente pubblicato da HellNation con la traduzione italiana di Flavio Frezza.
“Nell’esatto momento in cui si instaurava il nuovo governo conservatore, la 2 Tone veniva alla ribalta presentandosi come una sorta di cooperativa socialista. In un periodo caratterizzato da forti ambizioni monetarie, l’etichetta seppe promuovere il collettivismo e la solidarietà nei confronti dei propri simili, utilizzando questi valori come antidoto ai mali provocati dalla dottrina dominante dell’individualismo e della sola affermazione di sé stessi. Al centro di tutto ciò c’era un pensatore marxista, umanitario e fortemente antirazzista, Jerry Dammers.”
Gruppi come Specials, Selecter, Madness, Bodysnatchers rivitalizzarono lo ska e i ritmi giamaicani, filtrandoli attraverso la nuova energia e sensibilità punk e portando ai vertici delle classifiche istanze socio politiche, integrazione (in ogni band, eccetto i Madness, c’erano elementi bianchi e neri), caratteristica ancora rara a i tempi, soprattutto quando poi le stesse band finirono in televisione e sui giornali.
Si trattava di una situazione in tutto e per tutto inclusiva, e ciò costituiva di per sé una presa di posizione politica. Giovani bianchi e neri venivano messi nelle condizioni di sentirsi uguali. Una cosa straordinaria, mai vista prima.
Anche se per i giovani giamaicani lo ska era qualcosa che apparteneva ai propri genitori.
Si trattava della musica di un’altra era, di anni lontani, con poco appeal per i gusti moderni, che anche nel Regno Unito era passata completamente di moda. Per comprendere le origini del fenomeno bisogna tornare al primo Dopoguerra.
Nel 1947, le navi SS Ormonde e SS Almanzora, provenienti dalla Giamaica, attraccarono nei porti di Liverpool e Southampton, facendo sbarcare un piccolo numero di cittadini britannici d’oltremare sulle coste del Regno Unito. Un anno più tardi la HMT Windrush trasportò fino al porto di Tilbury quattrocentoventi passeggeri giamaicani, molti dei quali avevano combattuto con gli alleati, che erano stati attirati dalla promessa di una vita prospera nella madrepatria.
Nel 1962, il numero di indo-occidentali giunti in Gran Bretagna ammontava a oltre 300.000 unità, e metà di loro erano giamaicani. L’impatto fu, per la maggior parte di loro, molto violento.
A partire dal cambiamento logistico.
Ricorda il toaster/cantante degli Specials, Neville Staple, che rimase a bocca aperta vedendo, appena arrivato, che le strade e le città erano illuminate anche di notte, abituato a villaggi in cui l’elettricità non era ancora arrivata o rigidamente razionata.
Il clima piovoso e freddo era l’antitesi di quello che avevano lasciato ma l’aspetto più devastante fu constatare che venivano considerati cittadini (formalmente ancora britannici, almeno fino all’indipendenza della Giamaica, nel 1962) di serie B, emarginati nelle periferie in case spesso fatiscenti e poco ben voluti dalla popolazione locale.
Lo stupore proseguì nel riscontrare che anche i bianchi facevano i lavori più duri e “umili” (contrariamente alla situazione nelle colonie caraibiche e asiatiche) e constatare di conseguenza che la loro presenza avrebbe costituito una concorrenza diretta agli autoctoni.
I progressivi ricongiungimenti famigliari portarono da Oltre Oceano anche i figli piccoli e altri ne nacquero durante la permanenza.
Gli adulti affrontavano problematiche come disoccupazione e impieghi a bassa retribuzione che facevano allontanare l’idea di un futuro ritorno nelle terre natìe.
I loro figli stringevano rapporti di amicizia a scuola, diventavano parte integrante della società inglese e vedevano le West Indies come luoghi esotici e lontani.
I ragazzi bianchi entrarono in contatto con generi come lo ska e il calypso, i neri scoprivano Beatles, Who, Rolling Stones.
Pauline Black, voce dei Selecter:
“Si stava verificando una sorta di ibridazione. Molti ragazzi neri, figli di immigrati, ascoltavano il pop bianco. Questi intuirono che esisteva la possibilità di far evolvere il dialogo già in corso tra musica bianca e musica nera”.
Negli anni Sessanta lo ska entrò nelle classifiche, veniva ballato nei club, molti artisti ne furono influenzati.
Perfino i Beatles lo citarono nell'assolo di “I Call Your Name”, già nel 1964 (il brano è di John Lennon, ai tempi grande appassionato del genere), mentre con “Ob-La-Di Ob-La-Da” del 1968, di Paul, fecero un vero e proprio brano ska.
Allo scadere del decennio, psichedelia, hard rock e prog e l’arrivo di soul e funk fecero cadere nel dimenticatoio il genere, che pur era stato la colonna sonora durante la cerimonia per il passaggio da colonia all’indipendenza della Giamaica nel 1962.
Ci volle il punk a riportare in auge queste sonorità.
Partendo dall’ibridazione con il reggae che band come Clash, Stiff Little Fingers, Police, Ruts, Members inserirono nel loro sound e che avvicinò sempre di più bianchi e neri nel contrasto al rinascente neo fascismo in Inghilterra, guidato dal National Front che reclutava sempre più giovani, in un periodo sociale oscuro e dal futuro incerto, in cui il governo di Tatcher si scagliava contro la classe lavoratrice, i poveri, le frange sociali disagiate e faceva forza sulla discriminazione razziale per dividere le masse.
Sotto le bandiere del Rock Against Racism si unirono gruppi punk e new wave con neo nate band reggae (dagli Aswad agli Steel Pulse).
Gruppi come gli Specials si accorsero che il reggae era troppo lento e rilassato per potere essere accostato a brani punk.
“Pensavamo che proporre un tipo di musica integrata e britannica fosse più salutare che vedere dei bianchi che suonavano il rock e dei neri dediti ai propri generi musicali: lo ska rappresentava l’integrazione tra queste due tendenze”. (Jerry Dammers).
Convinto marxista, Dammers decise di creare una struttura che si autoproducesse, in cui ogni componente delle band decidesse comunitariamente, senza imposizioni dall’alto di una casa discografica, costruendo un movimento orbitante intorno all’etichetta, incentrato su ideali di eguaglianza ed equità.
Dammers aveva in mente un equivalente britannico della Motown, caratterizzato da una musica ben identificabile che poi, nel tempo, si sarebbe gradualmente evoluta.
“Non c’erano contratti formalizzati. Gli accordi venivano siglati da una stretta di mano, più che una casa discografica, era una presa per il culo delle stesse”.
Ci provò, quasi contemporaneamente, ma con scarso successo, anche Paul Weller, con la sua Respond Records a costruire una realtà simile.
I musicisti provenivano spesso da situazioni di grande disagio, con lavori precari, alloggiati in monolocali al limite della vivibilità, senza un soldo in tasca.
La musica e l’idea della 2Tone diede loro speranze, energia e alla fine il meritato successo. Anche i testi erano peculiari e affini all’aspetto politico dell’operazione.
Si parlava della quotidianità più dura, di disoccupazione, violenza nelle strade, razzismo, abusi sessuali, gravidanze adolescenziali, arroganza di polizia e potere.
Il tutto cantato su ritmi ballabili, melodie divertenti, soprattutto quando dal vivo si scatenava un’energia che colloca le band come una prosecuzione del punk, sia nell’attitudine che nell’atteggiamento antisistema, contro le autorità e l’autoritarismo.
L'etichetta ebbe un enorme successo, vendette milioni di dischi, sostenne l'antirazzismo, combatté sessismo e incoraggiò persone di idee differenti a sposare il multiculturalismo.
Diede un concreto esempio di unione tra razze e culture, spesso ancora considerate conflittuali.
Il successo e la popolarità dei gruppi usciti dalla 2Tone (purtroppo finita malamente qualche anno dopo, tra scioglimenti, litigi, debiti), riportò in auge molti protagonisti della scena originale giamaicana.
Personaggi come Laurel Aitken, Desmond Dekker, Skatalites, tornarono in tour, trovando in Europa e Stati Uniti platee colme di nuovi fan.
Il figlio di John Mayall, Gaz Mayall, oltre a divertirsi con la ska band dei Trojans, incominciò a passare parecchie volte oscuri brani giamaicani nelle sue serate londinesi da DJ nel suo Gaz' Rockin Blues Club, “inventando” l'improbabile “celtic ska”, combinazione di ritmi in levare e cornamuse.
Il nuovo ska si espanse in America con band come Toasters, Untouchables (meno rigidi e più aperti ad altre sonorità), Bim Skala Bim, e in Europa, arrivando anche in Italia.
Dopo alcuni goffi tentativi puramente commerciali di Alberto Camerini, Donatella Rettore, Edoardo Bennato, furono band come Statuto e Casino Royale, in particolare, a proporne una versione fedele allo stile originale, mettendo i semi per una nuova generazione di amanti del ritmo in levare, dai Persiana Jones, agli Strike, Arpioni e Vallanzaska, tra i tanti.
Questi ultimi si sposteranno anche verso lidi affini, come swing, jive e pop, costruendo una carriera di buon successo, anche in virtù di un nome quanto mai suggestivo e accattivante.
Gli Statuto hanno cambiato spesso pelle artistica, rimanendo sempre ancorati però all'universo mod ma conservando in ogni concerto ampio spazio alle origini, a cui frequentemente tornano, anche discograficamente.
Diverso il discorso dei Casino Royale che dopo i primi due album hanno virato, con “Dainamaita”, album del 1993, verso un sound che ha incominciato ad assorbire mille influenze, dall'hip hop al funk, all'elettronica, pur se, occasionalmente, il gusto del tempo in levare è rimasto inevitabile.
Grazie all'esempio della 2Tone lo ska si sparse in tutto il mondo, rivitalizzandolo e portandolo a ibridarsi con una musica e un ambito solo apparentemente sorprendente, il punk. In realtà era già entrato in qualche brano del genere ma trova la inaspettata sublimazione con l'arrivo della cosiddetta “Third Wave Ska”, sviluppatasi soprattutto in America negli anni Novanta. Band che introducono elementi della musica giamaicana in repertori prevalentemente punk rock e hardcore.
Non alternandoli, come fecero Clash e Ruts, ad esempio, ma mischiandoli con una percentuale di punk maggioritaria rispetto allo ska, di cui si mantiene soprattutto il ritmo in levare, velocizzandolo ancora di più rispetto ai gruppi inglesi a cavallo dei Settanta e Ottanta.
A partire dai Rancid (vedi “Time Bomb” da “And Out Come The Wolves” del 1995), passando ai Sublime, che fecero largo uso di ritmi in levare. Ma probabilmente i re del “genere” furono i Bostoniani Mighty Mighty Bosstones con ritmi velocissimi, chitarre distorte e sezione fiati a macinare riff soul. Anche i No Doubt di Gwen Stefani hanno flirtato, in chiave più pop, con lo ska, in varie canzoni.
E ancora Operation Ivy sorta di prime movers del genere, Goldfinger, Voodoo Glow Skulls, gli spagnoli Ska-P, fino ai più recenti californiani The Interrupters, piombati nelle classifiche americane nel 2018 con “She's Kerosene” e i Bad Operation da New Orleans, con testi politicizzati.
Anche in Italia questa contaminazione trova estimatori e seguaci, in particolare nei Punkreas, Shandon, Matrioska e nella prima incarnazione dei liguri Meganoidi che con il brano che porta il loro nome fanno esplodere l'album d'esordio “Into the darkness, into the moda” del 2000.
Anche i romani Banda Bassotti non esitano a lavorare di ska nel loro repertorio aspro e rude.
Meno compromessi con il punk i torinesi Fratelli Di Soledad, indirizzati verso contaminazioni che li avvicinano di più alla patchanka alla Mano Negra, a cui guardano anche i romani Radici nel Cemento, più reggae oriented.
Un'ulteriore contaminazione, non frequentissima, è quella del cosiddetto ska jazz in cui la mistura dei due ambiti dà vita a un sound prevalentemente basato sull'uso dei fiati e che contempla anche l'improvvisazione dei solisti.
Il nome più conosciuto è quello degli americani New York Ska-Jazz Ensemble, nati nel 1994 e tutt'ora in attività con una decina di album nel carniere. In Italia i bergamaschi Orobians, in pista dal 1997, con una mezza dozzina di album ne hanno raccolto la gustosa eredità.
Il mischiare suoni, generi, tendenze, è sinonimo di evoluzione, sperimentazione, volontà di non rimanere attaccati forzatamente alle radici in una costante ripetizione di sonorità del passato.
Allo stesso modo i puristi di un suono, di una cultura e filosofia, cercano spesso di riappropriarsi ciò che ritengono gli appartenga, anche a salvaguardia di fondamenta che rischiano di perdersi e, attraverso le progressive contaminazioni, allontanarsi inesorabilmente dal seme originario.
Ed è così che, spontaneamente, in reazione allo ska punk, tornano band che suonano lo ska originale, ritornando anche a vestire un abbigliamento più consono e affine al contesto, con completi e pork pie hat.
E' quello che fanno Giuliano Palma (ex Casino Royale) & the Bluebeaters, supergruppo con componenti di varie band, dal 1993 in poi, con la particolarità di coverizzare in levare brani più o meno famosi della canzone d'autore italiana.
La formula ha grande successo, soprattutto dal vivo.
Tanto che all'indomani dell'abbandono del cantante la band prosegue con il nome di The Bluebeaters. Lo scorso anno i campani The Officinalis hanno realizzato un ottimo album di ska jazz strumentale, “Back To Sorrento” mentre dalla Svizzera hanno risposto i Cosmic Shuffling con “Cosmic Quest” con anche numerose influenze reggae e rocksteady.
I nomi storici come Specials, Madness, Bad Manners, Selecter proseguono le carriere, sia discograficamente che a livello concertistico, pur avendo spesso svoltato musicalmente verso altre forme sonore ma conservando sempre un forte legame con il Jamaica Sound.
In tutto il mondo nascono e proliferano nuove band ska o che si rifanno comunque a questo suono e ritmo, nato ormai da quasi settanta anni e che continua a trovare adepti, consensi e fan, in virtù di un ritmo irresistibile, che può essere tanto energico e travolgente, quanto rilassante e che culla i sensi.
Che ha sempre portato con sé un significato intrinsecamente politico e sociale, di unità e sorpasso delle differenze.
Proprio come uno dei principali scopi della citata 2Tone Records: educare il pubblico e fargli capire che si trattava di musica inventata dai neri: dovete accettare il fatto che il mondo non è bianco, ma a due colori.
La 2 Tone tentava di infondere nella testa della gente l’idea di uguaglianza e di dare un freno al razzismo.
In qualche modo, pur in un mondo così cupo e oscuro, ce l'ha parzialmente fatta.
martedì, febbraio 18, 2025
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splendido articolo. alberto
RispondiEliminaGrazieeee
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