mercoledì, ottobre 16, 2019

Lansky Brothers



"I put Elvis in his first suit, and I put him in his last".

Bernard Lansky è stato il proprietario del negozio Lansky Brothers a Memphis, Tennessee.
Davanti al quale era solito sostare il giovanissimo ELVIS PRESLEY ma senza avere mai i soldi per poter acquistare qualcosa.
Quando diventò una star del rock 'n'' roll si rivolse proprio a Lansky per il suo abbigliamento.

Fu lui a confezionargli il vestito per la sua prima volta al Ed Sullivan Show nel 1956 e sempre lui lo vestì nella bara nel 1977.
Suo clienti anche Roy Orbison, Isaac Hayes, Jonas Brothers, Robert Plant, Eddie Floyd, Stephen Stills, Steven Tyler, Dr. John.
Lansky è scomparso nel 2012.

martedì, ottobre 15, 2019

La regina Maria Sofia e l'inizio delle fake new



Nel 1862 la regina di Napoli, Maria Sofia Wittelsbach, (sorella minore di Sissi), appena deposta dai piemontesi dopo l’assedio di Gaeta e rifugiatasi col marito a Roma sarebbe stata fotografata nuda.
Le foto vennero messe in circolazione da agenti filo-piemontesi per discreditarne l'immagine nel timore che potesse capeggiare una rivolta anti piemontese.

L'aspetto inquietante è che le foto in realtà non esistevano ma erano un fotomontaggio, uno dei primi della storia della fotografia.

La polizia pontificia risolverà il caso grazie alla prostituta che aveva prestato il corpo per le foto che, pentita che accettò di rivelare l'inganno.
Nel frattempo Maria Sofia era in Baviera per poter partorire, lontano dal marito, il figlio avuto da un ufficiale pontificio.

Le foto ritraevano la prostituta in pose oscene e "totalmente ignuda, seduta semisdraiata in una poltrona, con la mano alla natura in atto di far ditali, avente in prospettiva di essa i ritratti di Sua Santità, del signor Generale De Goyon, dell’eminentissimo Antonelli“.

I colpevoli furono condannati ma le foto circolarono in tutta Italia e nel resto d’Europa presso fruitori che non avevano la benchè minima cognizione della possibilità di falsificare un'immagine fotografica.

lunedì, ottobre 14, 2019

Reverendo Lys - Born Losers



Un libro destinato ai BORN LOSERS.
Quei pochi impazziti per quei suoni ruvidi, penetranti, ammalianti, stordenti, travolgenti che, dai Sonics sono passati attraverso Fuzztones, Chesterfield Kings, Creeps e sempre più flebili sono arrivati ai nostri giorni.

Ma come dice Lys: "Il rock 'n' roll non ha bisogno di prove, ma di racconti memorabili".

Il Reverendo raccoglie con il suo personalissimo stile di scrittura, pieno di voluta esagerata enfasi e metafore (spesso, come è giusto che sia, senza limiti) una storia mirabile, quella del garage punk rock e di tutti quei perdenti che ancora gli sono appresso.
Decine di schede dedicate dai nomi apparsi come una meteora a quelli che hanno invece lasciato scritto un pezzo di storia.

A corredo una serie di preziose interviste esclusive a molti dei protagonisti.
Se siete Born Losers un testo imperdibile.
Se non lo siete, diventatelo, vivrete una vita inimitabile.

Il REVERENDO ha risposto ad una serie di domande relative al libro.

- Cosa ti ha spinto a pubblicare questo libro e quanto tempo ha richiesto?
Scrivere per me è un’esigenza quasi fisica, è un modo per “dialogare” con la musica che ascolto.
Una cosa del tutto naturale e indipendente, senza forzature dall’esterno o obblighi di nessun tipo.
La spinta ad organizzare parte del mio lavoro per realizzare un libro sul garage-punk nasce invece dalla frustrante consapevolezza che, nonostante gli scaffali dedicati alla musica nelle librerie siano sempre più ingolfati di volumi sul punk, sul metal, su qualsiasi cantautore più o meno noto, di enciclopedie, di autobiografie su chiunque, anche sull’ultima pugnetta uscita fuori da un talent che non ha nulla da raccontare ma che viene “spremuto” per speculare su quei cinque minuti di celebrità che la vita gli ha concesso senza peraltro averne spesso alcun merito, non ho mai visto (ad esclusione di una guida della Gremese molto lacunosa e dal taglio abbastanza impreciso uscita una decina di anni fa) un solo libro dedicato alla musica garage, argomento su cui invece da dire, leggere e ascoltare c’è davvero tanto.
Così, stanco di aspettare, alla fine ho deciso di diventare la penna che l’avrebbe scritto, anziché la matita che l’avrebbe sottolineato.
Sentivo che dovevo rendergli giustizia, in qualche modo.
In realtà il libro non ha avuto una gestazione lunga. In due mesi il suo “scheletro” era già pronto.
I tempi si sono allungati nell’attesa di ricevere le risposte da parte della gente che ho intervistato. Anche la revisione successiva per limitare i margini di sviste, errori, refusi è stato molto ristretto. Scrivo di petto, di stomaco ma ho un tiro abbastanza preciso.
Pensa che ho fatto la revisione bozza il giorno di Ferragosto, in spiaggia, dallo smartphone, sorseggiando sangria.

- Il rock’n’roll ha "salvato" la vita a tanti di noi. Secondo te ha ancora quel potere salvifico per i giovani?
In realtà non penso che il rock’n’roll abbia mai salvato la vita a nessuno.
L’ha trasformata, questo si.
Profondamente. Ne accenno anche nell’introduzione al libro.
Ci ha reso persone diverse, non necessariamente migliori, ma sicuramente diverse.
Anche per chi l’ha vissuto come musicista, il rock’n’roll non ha mai salvato nessuno.
Non credo neppure al rock’n’roll come comunità, perché in realtà è qualcosa di molto individualista, a tutti i livelli.
Lo vedo piuttosto come rifugio.
E come tale, stai certo che i giovani non sceglieranno di rifugiarsi qui se non per un’esigua minoranza, perché le modalità espressive del rock’n’roll sono in realtà del tutto anacronistiche. E’ una fiamma che non li tocca, anche quando li lambisce.
I codici espressivi sono totalmente cambiati ed è giusto che sia così.
Io non li demonizzo, perché il rock’n’roll ha perso la sua carica eversiva. Non fa più paura a nessuno. E’ diventato nostalgia e la nostalgia non appartiene ai giovani, per loro fortuna.

- In alternativa cosa può salvare (o dannare) la vita nel 2019?
Ci può salvare non lasciarci intrappolare dal pensiero omologato e coltivare la passione per qualcosa.
Ci salva sostituire il vetro di uno smartphone con uno specchio, abbandonare il mondo in vetrina e dare spazio al mondo interiore.
Capire chi siamo.
Non inseguire niente e nessuno se non i nostri sogni. Soprattutto se sono realmente nostri. Se insegui il sogno di qualcun altro c’è sempre un punto della corsa in cui resti fregato.

- Ascolti sempre tanta musica? Cosa ?
Ascolto sempre tantissima musica. Più per curiosità che come necessità, è questa la differenza con venti o trenta anni fa.
Mi piace scoprire sempre cose nuove o approfondire ascolti di dischi ascoltati distrattamente o semplicemente quando non era il loro momento.
Molto spesso il giudizio su un disco cambia in base al momento in cui ti ci sei imbattuto. Molti dischi andrebbero riascoltati in fasi diverse della vita, in momenti diversi della giornata.
Ci vuole una cultura d’ascolto che spesso fa a pugni con la nostra pigrizia. Cosa ascolto?
Roba diversissima, anche se non appartengo a quelli che dicono che “amano tutta la musica”. Chi ama tutta la musica in realtà non ne ama nessuna.
Ascolto garage rock ma anche roba elettronica (da Burial alla trap) per dire.
Molto punk di tutte le epoche, molta musica nera, la new-wave che per me è sempre rimasta “new”, sempre moderna, espressivamente innovativa.
Gente come Bauhaus, Japan, Wall of Voodoo per me rimangono intoccabili al pari di Clash, Redskins, Husker Du o Fugazi.
Amo molto anche certi cantautori, italiani e stranieri.
Potrei farti mille nomi.
Quello che odio profondamente è gente come Ramazzotti e Pausini. Ma credo siano peggio tutte quelle band finto-alternative che vanno per la maggiore adesso, che dicono di scrivere canzoni in cameretta ma sognano di suonare al Circo Massimo. L’It-pop è il male estremo.

- Solita domanda banale 10 titoli essenziali di dischi da Born Losers Non esistono domande banali. Sono le risposte ad essere tali.
Se vogliamo definirlo dentro il perimetro del mio libro e del genere di pertinenza direi che basterebbero i dieci volumi di Back from the Grave.
Quelle band sono i veri “born losers”, destinate all’oblio assoluto nonostante la brama effimera di successo e tuttavia custodi di un approccio viscerale, crudo, impulsivo verso il rock’n’roll.
Basici e basilari.
Perché, vedi, quella del perdente non è una vocazione soggettiva.
Nessuno si siede ad un tavolo per perdere. Sarebbe un fesso, non un perdente.
E’ la storia a decidere poi che ruolo avrai nella partita, il destino a stabilire che ti eri seduto dalla parte sbagliata del tavolo da gioco.
E non sempre perché tu sia un incapace, anzi.
Spesso a decidere il tuo destino è un giornalista compiacente, l’endorsement giusto presso una casa discografica, il denaro che hai in tasca, il tuo grado di resistenza al compromesso.
Una grandissima serie di variabili che con le tue capacità artistiche hanno poco a che fare, in fin dei conti.

sabato, ottobre 12, 2019

New British Jazz:
THE COMET IS COMING - The Afterlife
NEJIRA - Blume
JOE ARMON-JONES - Turn to clear view
KOKOROKO - s/t



THE COMET IS COMING - The Afterlife
Shabaka Hutchings e la sua band tornano con un ep di sei brani come sempre all'insegna dell'avanguardia del new british jazz. Funk, elettronica, jazz, hip hop, spiritual e cosmic jazz.
Interessante e perfetto specchio di come si sta evolvendo il jazz più progressista.
Ascoltare "Lifeforce II" (vedi video) che sviluppa un groove alla Tallking Heads con un'ipnotica matrice spiritual.

https://www.youtube.com/watch?v=H8q8vq13pJc

NEJIRA - Blume
Brillante esordio per il collettivo prevalentemente femminile. Sezione di quattro fiati, batteria, contrabbasso, chitarra. Grande groove jazz funk a anche nu soul, hip hop e altre contaminazioni sparse tra afro e reggae.

https://www.youtube.com/watch?time_continue=4&v=UhKMz0H1NdE .

JOE ARMON-JONES - Turn to clear view
Membro degli Ezra Collective con un album solista pregevolissimo in cui jazz, funk, soul e spiritual soul si amalgamano alla perfezione.
Con l'aiuto di alcuni amici/che (tra cui la favolosa Georgia Ann Muldrow - vedi il video), un lavoro avvolgente, sinuoso, super cool.

https://www.youtube.com/watch?v=R1Li_bri66k

KOKOROKO - ep
Ensemble di otto elementi alle prese con un ep di esplicita ispirazione afro jazz in chiave molto dilatata, lenta, liquida.
Un sound più tradizionale e meno innovativo rispetto alla direzione caratteristica della scena New Brit Jazz.

https://www.youtube.com/watch?v=jo7f059kJ-A

venerdì, ottobre 11, 2019

The Fool



THE FOOL è stato un collettivo artistico olandese le cui opere, nella seconda metà dei 60's, influenzarono notevolmente la scena psichedelica inglese, a partire dai BEATLES.

Il progetto partì nel 1961 da Marijke Koger e Simon Posthuma (che aprirono un negozio di controcultura ad Amsterdam), a cui si unirono successivamente Josje Leeger, Barry Finch e il fotografo Karl Ferris.

Nel 1965 misero in scena un happening intitolato Stoned in the Streets in cui era previsto uno "spogliarello elettronico" di Marijike.
Si spostarono poi ad Ibiza a disegnare e vendere poster e lì vennero scoperti dal fotografo Ferris che ne pubblizzò le opere a Londra dove i due andarono presto ad abitare, diventando gl stilisti per Procol Harum e Cream (di cui abbellirono anche gli strumenti con disegni psichedelici).
Fecero copertine per i Move, l'Incredibile String Band, gli Hollies.


Un giorno si presentarono a casa loro John Lennon e Paul McCartney:
Durante la prima visita di John e Paul nella nostra casa di Bayswater, videro il "Wonderwall", composto da un armadio decorato e un busto, contro un muro ad arco, dipinto nello stile che fino ad allora era nuovo per il mondo.
"Mi piace, voglio viverci", disse John quando ha visto il "Wonderwall", e Paul era altrettanto entusiasta. Poi Marijke fece tarocchi a Paul. Da quell'episodio Paul prese ispirazione per la scrittura di "The Fool on the Hill".


Furono sempre loro a vestire i Beatles per il video di "I am the walrus", nel film "Magical Mistery Tour" oltre a quello di "All you need is love" e successivamente a dipingere la facciata della Apple Boutique, gli interni e a curare la linea dei vestiti.
Ad aiutarli un collettivo di studenti d'arte tra cui il futuro batterista dei T.Rex, Mickey Finn.


Dipinsero anche il piano di John Lennon.


Fecero anche una proposta, non accettata, per l'interno di "Sgt. Peppers".


Ispirato dalle loro opere il regista Joe Massott girò il film "Wonderwall" (la cui colonna sonora fu registrata da George Harrison).
Si dedicano anche all'incisione di un album (uscito nel 1969 e prodotto da Graham Nash) di folk psichedelico, totalmente visionario e dai tratti originalissimi e geniali.



Nel 1970 il collettivo si scioglie, i singoli componenti continuano a lavorare in ambito artistico, prima in Usa, poi di nuovo in Olanda.

Un doc su The Fool
https://www.youtube.com/watch?time_continue=128&v=Svjyg4ovbZM

L'album dei The Fool
https://www.youtube.com/watch?time_continue=1562&v=U4KMsVe_eJU

FONTE: https://dangerousminds.net/comments/the_fool_the_dutch_artists_who_worked_for_the_beatles_and_made_their_own_fr

giovedì, ottobre 10, 2019

Police - Ghost in the machine



Uscito alla fine del 1981 dopo i due gioielli d'esordio e l'incerto "Zenyatta Mondatta", "Ghost in the machine" è probabilmente (a mio giudizio sicuramente) il vertice della produzione discografica dei POLICE.

Un lavoro elaborato che riesce a coniugare alla perfezione l'anima più pop ("Everything she does is magic") con istanze politiche (perfettamente espressa nella cupa e ipnotica "Invisible sun"), la bellezza malinconica dell'introduttiva "Spirits in the material world" (con un lavoro di basso spettacolare).
C'è anche un'anima soul rock nell'incalzante "Hungry for you", il reggae soul di "One world", l'inquietante "Secret journey".

Arrangiamenti complessi e ricercati, livello compositivo altissimo, modernità assoluta (siamo nel 1981...), maturità incredibile.
"Synchronicity" chuderà la loro carriera discografica spingendosi ancora più in là ma senza la forza di "Ghost in the machine".

Invisible sun
https://www.youtube.com/watch?v=1VuDjJ9KIxM

Spirits in the material world
https://www.youtube.com/watch?v=BHOevX4DlGk

Everything she does is magic
https://www.youtube.com/watch?v=aENX1Sf3fgQ

mercoledì, ottobre 09, 2019

Johnny Dorelli



L'articolo scritto per LIBERTA' domenica scorsa dedicato a JOHNNY DORELLI

Uno dei volti più noti della televisione italiana di un po' di anni fa.
Garbato conduttore, talentuoso cantante e pianista, ottimo attore, il classico entertainer all'americana, in grado di districarsi agevolmente tra le varie e disparate espressioni artistiche dello spettacolo.
Da tempo ha lasciato la scena, dedicandosi ad una sorta di romitaggio, lontano da ogni velleità, leggendo, riposando.

Nasce come Giorgio Domenico Guidi, trascorre l'infanzia a New York dove il padre, apprezzato tenore, si esibisce col nome d’arte Nino D’Aurelio che gli americani storpiano in una specie di “D'Orelli” che piace molto al nostro Giorgio e che decide di mantenere quando si esibisce, ancora bambino, alla TV americana in un Talent ante litteram.

“Vinsi per otto puntate di fila nella trasmissione condotta da Robert Alda, l’attore che interpretava George Gershwin nel film Rapsodia in blu.”

Dorelli, ormai divertito, racconta che in quegli anni gli capitò spesso, involontariamente, di venire in stretto contatto con alcuni boss della mafia locale, da Lucky Luciano a Vito Genovese e di aver sfidato in un improvvisato incontro di boxe il grande campione Jack La Motta, venendo atterrato dopo un secondo.

Studia contrabbasso e pianoforte alla High School of Music and Art di New York, costruisce le basi per diventare una star in Italia. Dove torna a metà anni 50 e si fa notare per lo stile da crooner, alla Frank Sinatra per intenderci, e per la ormai innata poliedricità.
Appare in qualche trasmissione (“Il Musichiere”) e pure al cinema (anche come autore delle musiche).
Nel 1958 debutta al Festival di SanRemo in coppia con Domenico Modugno che stravince con “Nel blu dipinto di blu”.
E bissano l'anno dopo con “Piove”.

Johnny Dorelli ha appena compiuto 21 anni ed è già famosissimo.
“A Meda (sua città natale) mi accolsero in piazza 5 mila persone”. Prende il volo verso un successo totale che abbraccia oltre alla musica e la televisione anche il cinema, dove interpreta varie pellicole tra cui la divertentissima “Dorellik” che ispirerà direttamente il Paperinik di “Topolino”.

Con “Aggiungi un posto a tavola” approda anche a teatro, raggiungendo un altro clamoroso successo. Dorelli è una persona timida, gentile, ricca di stile e fascino e, nonostante la sua conclamata timidezza, di enorme presa sulle belle donne.
Dopo Lauretta Masiero, da cui avrà un figlio, arrivano la stupenda Catherine Spaak prima e l'attrice Gloria Guida poi (famosa per una serie di film erotici), di cui è tutt'ora marito.

“Conobbi Catherine Spaak su un set cinematografico.
Donna difficile e bellissima.
Per due mesi quasi non mi salutò poi, due giorni prima della fine, prese l’iniziativa. Mi invitò nella sua camera proprio in un momento in cui stavo malissimo e avevo dei mancamenti. Le risposi: “Ti spiace se facciamo domani?”
.

Con la maturità prosegue l'attività di attore in film meno scanzonati e più ricchi di spessore artistico, mantenendo sempre ruoli comunque ricchi di ironia e gran classe.

Lavora con Steno, Dino Risi, Pupi Avati, Sergio Corbucci, Luigi Zampa, Luigi Comencini. In televisione è a lungo presente con ottime trasmissioni di dignitoso successo e sempre ottima qualità.
Non perde il gusto per la musica e si congeda dal grande pubblico con due eccellenti album, “Swingin” e “Swinging parte seconda”, tra il 2004 e il 2007, in cui rivisita con incredibile raffinatezza, alcuni classici dello swing e di brani italiani più o meno famosi.
Il tutto accompagnato da un'orchestra di 50 elementi.
Un tripudio di musicalità, dischi consigliatissimi per chi ama la musica di alto rango.

“Lo swing per me è un mondo a sé, e penso che vivrà per sempre. Personalmente sono "impregnato" di questa musica, è un ricordo continuo, di vita.
Queste sono le canzoni per le quali ho fatto ore ed ore di coda in America per assistere ai concerti di Frank Sinatra, Fitzgerald, Nat King Cole e tanti altri.
Mi hanno accompagnato negli anni, intrecciandosi in qualche modo con la mia vita con i miei affetti.
Una colonna sonora che non mi ha mai abbandonato.”

martedì, ottobre 08, 2019

Marco Grompi - David Crosby Ultimo eroe dell`Era dell`Acquario



Testimone di un'epoca irripetibile (i 60's in tutta la loro completezza, sociale, artistica, di costume, di cambiamenti), vittima di dipendenze estreme, tra cadute rovinosissime e rinascite insperate.

DAVID CROSBY è un'icona della musica "rock" nell'accezione più ampia.
Dai Byrds a CSN&Y, le avventure soliste e le collaborazioni.
Una storia avvincente e, perlomeno, in Italia poco conosciuta, avendo avuto dalle nostre parti un ruolo e una visibilità non sempre di primo piano.

Il libro di Grompi è una biografia come dovrebbe sempre essere: precisa, competente, approfondita, appassionata.

L'appendice finale con la discografia completa, anche degli episodi più sconosciuti è esemplare.

Incredibile la storia del figlio James Raymond lasciato in adozione alla nascita, che ritrova il padre e lo cerca solo quando lo scopre in pericolo di vita. James è un valente musicista che si unirà a Crosby nell'avventura dei CPR. Altrettanto stupefacente il fatto che sia padre biologico dei due figli di Melissa Etheridge e della sua compagna (fecondata in vitro dal seme di Crosby).

Marco Grompi ce ne parla più in dettaglio:

Un libro coraggioso per un personaggio che purtroppo in Italia non ha mai avuto particolare popolarità se non in una ristretta cerchia. O sbaglio?
In realtà David Crosby è amatissimo anche in Italia in virtù della sue canzoni “anomale”, di quella voce angelica, della sua coerenza con gli ideali e i valori del “peace & love” degli anni ’60 e della sua incrollabile sincerità.
Escludendo Young, è da sempre il più amato di CSNY, vero e proprio primo “supergruppo” del quale ha incarnato, più di tutti, lo spirito più combattivo, audace e visionario.
Ricordo il primo concerto italiano di Crosby, Stills & Nash nel defunto Palasport San Siro di Milano: era il 1983 e, nonostante il sogno hippie fosse già sbiadito da tempo e Crosby si trovasse nel pieno degli anni più bui della sua tossicodipendenza (e si sapeva e vedeva chiaramente), l’affetto e le ovazioni del pubblico erano soprattutto per lui.
L’accoglienza trionfale riservata alle sue recenti performance da ultrasettantenne (quattro album notevoli e innumerevoli tournée da solista negli ultimi cinque anni) sono la testimonianza di un’ennesima resurrezione non solo artistica.
Ha condotto una vita talmente pazzesca che meritava di essere raccontata e, considerando anche la sua incredibile storia medico-clinica e la recente separazione (pare definitiva) di CSNY, la sua ennesima “resurrezione” si configura come una sofferta ma gratificante vittoria.

Quale consideri il periodo più ispirato tra le sue varie incarnazioni?
Indubbiamente il quinquennio 1966-1971, dalla svolta psichedelica con i Byrds di Eight Miles High fino al suo esordio-capolavoro da solista If I Could Only Remember My Name…
È stato questo il periodo in cui la creatività di Crosby è sbocciata arrivando a vette vertiginose.
Penso a dischi come CSN, Déjà Vu e 4 Way Street, ovvero pietre miliari di quella stagione e di quel sognante suono californiano ai quali contribuì in modo determinante attraverso canzoni immortali come Guinnevere, Long Time Gone, Wooden Ships, Almost Cut My Hair, Déjà Vu, Triad, The Lee Shore.
Il Crosby più magico è ancora tutto lì, anche se in seguito (e pure in tempi recentissimi) ha continuato a disseminare la sua produzione di piccole gemme.

Quanto, secondo te, ha contribuito Crosby alla storia della musica rock e in che cosa in specifico?
Direi che il suo contributo è stato fondamentale sotto molti aspetti.
Anzitutto per l’esplorazione di armonie vocali atipiche e l’utilizzo di accordature modali aperte sulla chitarra (mutuate dalla frequentazione con Joni Mitchell).
Con i Byrds (guidati da Roger McGuinn) ha letteralmente inventato il folk-rock elettrificando Mr. Tambourine Man di Dylan (che, a sua volta, intraprese la celebre “svolta elettrica” proprio dopo esser stato folgorato dagli arrangiamenti dei Byrds). Nella seconda metà dei ’60 è stato un agitatore culturale e musicale che ha frequentato e addirittura influenzato i Beatles (da Revolver ad Abbey Road si riconoscono elementi chiaramente “crosbyani” in canzoni come If I Needed Someone o Because).
Alcune sue composizioni (penso a brani come Guinnevere, Déjà Vu, In My Dreams, Delta) sono mirabili esempi di uno spirito musicale avventuroso che, nelle matrici folk e rock, incorpora anche elementi mutuati dal jazz e dai raga indiani.
È stato inoltre tra i primi a cantare di impegno sociale e civile contribuendo a cambiare la percezione del pubblico riguardo temi come la salvaguardia del pianeta, la pericolosità dell’energia nucleare, la corruzione della classe politica, la sudditanza dei governanti allo strapotere delle multinazionali e molti altri temi ancora oggi attualissimi. È stato inoltre testimone e figura di centrale importanza di molti tra gli eventi chiave della storia del rock, dal Monterey Pop Festival a Live Aid, da Woodstock ai concerti per il Tibet. L’abbiamo visto anche (con Nash) a Occupy Wall Street.

Mi puoi indicare qualche “erede” attuale della sua creatività?
È un artista talmente originale che, nel panorama musicale attuale (così lontano e diverso da quello in cui è maturato Crosby), non riconosco “eredi”.
Ritrovo però il suo esempio in artisti come Jonathan Wilson, Fleet Foxes, Ryley Walker, o laddove si ascoltano armonie vocali e strumentali inusuali per il mondo pop-rock.
Tuttavia il disco più “crosbyano” (nello spirito, più che nei contenuti) che ho ascoltato in tempi recenti è italiano: Hippie Dixit di Amerigo Verardi.

E' stato difficoltoso scrivere questo libro?
Direi che è stato un lavoro lungo e laborioso, come del resto può esserlo ripercorrere la carriera e la vita di un artista così complesso la cui produzione musicale attraversa sei decenni.
Raccontare le sue vicende ha richiesto un grande sforzo di sintesi e ho voluto riportare nel libro informazioni discografiche e bibliografiche il più possibile accurate.
In appendice c’è anche un elenco di tutte (o quasi) le sue apparizioni televisive e cinematografiche e il tutto ha richiesto ricerche molto approfondite.

Ovviamente ti chiedo di darmi una breve discografia essenziale per approcciarsi alla carriera di Crosby, dai Byrds ad oggi?
Avendo sempre contribuito con pochi brani a suo nome nelle pubblicazioni di Byrds e CSN(+Y), il triplo box set retrospettivo Voyage del 2006 è un ottimo compendio e offre una panoramica esauriente della sua produzione fino a quel momento. Il suo esordio solista If I Could Remember My Name… (1971) è un disco imprescindibile, un capolavoro assoluto, nonché la summa e l’apice della favolosa e collaborativa scena californiana di quegli anni.
In ogni caso anche questi album non dovrebbero mancare in ogni discografia che si rispetti:
Younger Than Yesterday (The Byrds, 1967)
Crosby, Stills & Nash (1969)
Déjà Vu (CSNY, 1970)
4 Way Street (CSNY, 1971)
Wind On The Water (Crosby-Nash, 1975)
CSN (1977)
CPR (1998) Lighthouse (2016)
Sky Trails (2017)
Here If You Listen (2018)

lunedì, ottobre 07, 2019

Il traditore di Marco Bellocchio



Marco Bellocchio difficilmente fallisce.
Il suo sguardo è sempre rigoroso, severo, preciso.

Non concede nulla in questo potente ritratto del "pentito" Tommaso Buscetta e della Cosa Nostra degli anni 80, tra stragi, guerre efferate, fino ai maxi processi innestati dalle sue rivelazioni.

Favino e Lo Cascio giganteggiano, le due ore e mezza volano, presi nella morsa di un'angoscia costante.

Il Buscetta tragicomico, braccato in ogni parte del pianeta, chiuso tra carceri e tribunali ma soprattutto nella sua inattaccabile adesione ad un "ideale" mafioso da "cui non si esce mai".

Fenomenali la festa per Santa Rosalia in apertura (che rievoca quella de "Il cacciatore" di Scorsese) e l'attentato a Falcone cui segue l'osceno festeggiare dei mafiosi.

Forte, crudo, teso, allo stesso tempo lieve: tutto, prima o poi, finisce.

domenica, ottobre 06, 2019

La Grande Muraglia Verde



La fine del mondo è la rubrica domenicale che va ad esplorare i luoghi abbandonati dalla storia, particolari o estremi.
I precedenti post:

http://tonyface.blogspot.it/search/label/La%20fine%20del%20mondo

E' in costruzione la Grande Muraglia Verde.
Un muro di vegetazione che attraversa l’Africa da ovest verso est.
Si estenderà per 8mila km con l'obiettivo di fornire cibo e un futuro a milioni di persone che vivono in zone distrutte da cambiamenti climatici e desertificazione.

L’idea nasce 60 anni fa, da Richard St. Barbe Baker, che nel 1952, propose di realizzare una “barriera verde” per contrastare l’avanzata del deserto.

Il progetto è iniziato nel 2007, completato per il 15% e ci vorranno anni per portarlo a termine.
La Grande Muraglia Verde sarà lunga 8.000 km, larga 15 km e coprirà 11 paesi.

È finanziato e sostenuto dalla Banca Mondiale e dalle Nazioni Unite; ha ottenuto l’appoggio dell’Unione Africana nel 2007 e ha incassato finanziamenti anche dalla COP21, la conferenza sul clima che si è tenuta a Parigi nel 2015.

La Great Green Wall for the Sahara and Sahel Initiative coinvolge oggi più di 20 paesi della regione sahelo-sahariana, tra cui Algeria, Burkina Faso, Benin, Ciad, Capo Verde, Gibuti, Egitto, Etiopia, Libia, Mali, Mauritania, Niger, Nigeria, Senegal, Somalia, Sudan, Gambia, Tunisia.

https://www.youtube.com/watch?v=4xls7K_xFBQ

sabato, ottobre 05, 2019

GospelBeach - Let it burn
Allah Las - Lahs
Temples - Hot Motion
AA.VV. - Silver Girls & Indian Pipes



TEMPLES - Hot Motion
Il terzo album della band inglese ci conferma l'alta qualità delle loro composizioni, visionarie, Barrettiane, pop psichedeliche, che guardano ai tardo 60's, anche ai primi 70 ma hanno un gusto modernissimo, fresco, attuale.

ALLAH LAS - Lahs
Uno stupendo mix di sonorità tipicamente American 60's, da Buffalo Springfields a Byrds, attraverso Love e Jefferson Airplane, un tocco di indolenza alla JJ Cale, uno sguardo al George Harrison solista.
Il tutto in una tonalità narcolettica e ipnotica, avvolgente e lisergica.

GOSPELBEACH - Let it burn
Puro groove West Coast tardo 60 con pizzichi di Stones, qualche buona dose di rock n roll, Kinks, Small Faces, country e soul.
Ancora una volta una prova di grande livello per una band in costante crescita.

AA.VV. - Silver Girls & Indian Pipes
La mai troppo lodata Misty Lane Records ci restituisce un ennesimo gioiello perduto nell'oscurità dei 60's.
I Penny Wise dei fratelli Van Os, partiti nel 1967 da sonorità post Mod dall'approccio freakbeat, approdati all'esperienza più psichedelica/vaudeville/pop/barocco degli Amsterdam.
Brani sorprendentemente e semplicemente belli, confezione curatissima con note precise ed esaustive.
Imperdibile per gli appassionati.

Not Moving LTD, Libertà, Classic Rock



Domani su "Libertà" un approfondimento su JOHNNY DORELLI, su "Abbey Road" e il meglio del mese di settembre.
Nelle foto il numero precedente.



Nel nuovo numero di CLASSIC ROCK ho intervistato Cesare Basile (e recensito il nuovo album "Cummedia"), Antonia Tricarico, autrice del libro "Frame of mind", Richard Strange, leader dei proto punk DOCTOR of MADNESS.
Parlo poi del nuovo di LIAM GALLAGHER, di quello dei riuniti DOCTOR of MADNESS, dei DIRAQ, degli Human Being, oltre ai libri "My Riot" di Roger Miret (edito da Red Star Press - Hellnation Libri), "Dritti contro il muro" di Giorgio Senesi (edito da FOAD Records) e "Il pianeta della musica" di Franco Mussida.
Inoltre trovate approfondimenti su Iggy Pop, Led Zeppelin, intervista a Dave Davies dei Kinks etc. etc.



NOT MOVING LTD in tour

sabato 12 ottobre: Pisa “Caracol”
https://www.facebook.com/events/498961414215638/
giovedì 31 ottobre: Roma "Whishlist"
https://www.facebook.com/events/493026451539101/
Venerdì 1 novembre: Colle Val d'Elsa (SI) "Bottega Roots"
Venerdì 8 novembre: Milano “Cox 18”
https://www.facebook.com/events/438179893464024/
sabato 9 novembre: La Spezia “Skaletta”
venerdì 22 novembre: Fontanafredda (PN) "AstroClub"
https://www.facebook.com/events/691580767987717/
sabato 14 dicembre: Piacenza “Musici per caso"
domenica 15 dicembre: Catania "Teatro Coppola"
Sabato 21 dicembre: Bologna “Freakout”
Domenica 22 dicembre: Torino “Blah Blah”

https://www.facebook.com/Not-Moving-L-T-D-302470280600832

venerdì, ottobre 04, 2019

Julie's Haircut - In the silence electric
Julie's Haircut intervista



Julie's Haircut - In the silence electric
Ottavo album per la band emiliana, che non finisce di stupire per quanto sia progressivamente in grado di ampliare lo spettro di suggestioni sonore e artistiche.

Nei 40 minuti (9 brani) convergono i Pink Floyd di "Ummagumma", i Suicide, il kraut rock ipnotico e tronico dei Neu!, Lou Reed, shoegaze, feedback "sonici" e tanta, tanta psichedelia nelle sue forme più progressive e meno ancorate al classico concetto del "genere".
Stiamo parlando in questo caso di espansione della mente, di allargare orizzonti e obiettivi.

Lo spessore e il respiro sono da tempo internazionali, le proporzioni di sviluppo sempre più esponenziali.
Un gruppo unico nel panorama nostrano, un disco, ancora una volta, di qualità eccelsa.

LUCA GIOVANARDI ha risposto ad alcune domande sul nuovo disco e non solo.


1) I vostri brani nascono da jam, improvvisazioni o ci sono strutture già predifinite?
Rispetto agli album immediatamente precedenti, che erano in massima parte basati su improvvisazioni, per questo disco c’è stata un po’ più di scrittura diciamo così “tradizionale”.
Io e Nicola abbiamo imbastito alcuni demo che poi sono stati rielaborati e completati in studio con la band.
Altre cose invece nascono da spunti provenienti da due giorni di improvvisazioni allo studio Sonic Temple di Parma e al Bunker di Rubiera.

2) in un'intervista a questo blog del 2013 Luca fu lapidario: stiamo commettendo un lunghissimo seppuku iniziato 20 anni fa, e ogni volta affondiamo la lama più a fondo. E' ancora così?
Commercialmente forse devo confermare.
Ma è un dolce seppuku, di cui noi conosciamo le regole ritualistiche, ne comprendiamo il senso, e lo abbracciamo.

3) La vostra sfera d'azione si è da tempo spostata in Europa. Ci sono ancora delle differenze marcate con l'Italia? Reazione del pubblico, organizzazione ?
Certo, ci sono differenze, la non ha senso parlare di specificità europee contrapposte a quelle italiane: ogni Paese, anzi potrei dire ogni città, ha le sue caratteristiche.
Ieri sera ad esempio abbiamo suonato a Gent, in Belgio, dove siamo già stati tante volte, ed è una città incredibile per la musica dal vivo: sembra esserci un locale ogni 50 metri e ognuno di questi locali ha un concerto dal vivo ogni sera della settimana.
Nemmeno in Inghilterra c’è una situazione così viva.

4) Quali sono gli ascolti che hanno più influenzato il nuovo album?
Non ragioniamo più in quest’ottica ormai da tanti anni. Abbiamo digerito ormai talmente tanta musica, in talmente tanti generi differenti, che ci è impossibile inviduare le specifiche influenze del momento.
Tutto quello che abbiamo consumato negli ultimi 25 anni è in qualche misura confluito in questo ultimo album.

5) C'è un lungo tour in vista.
Come conciliate la vita quotidiana con impegni così “invasivi”?

Con fatica e tanto sacrificio, soprattutto delle nostre famiglie.
Ci vuole dedizione e organizzazione, non è un giochetto che può fare chi è in cerca di un hobby.

giovedì, ottobre 03, 2019

Cricket: Ashes 2019



ALBERTO GALLETTI ci porta ancora una volta nel mondo del CRICKET.

Ultima parte della trilogia estiva dedicata al cricket.

Dopo il mondiale, il più down to earth ma divertente Dutch Tour dell’ Idle CC Lodi, l’estate volge al termine e con essa la stagione del cricket.
Non prima però che si consumi l’evento più atteso, checché se ne dica e non solo nei paesi coinvolti, le Ashes Series che quest’anno si tengono in Inghilterra a seguito della Coppa del Mondo, che per me comunque è stato solo l’antipasto.

Ricapitolando, le ceneri sono un trofeo consistente in una minuscola urna contenente, pare, le ceneri di due bails del wicket inglese bruciati simbolicamente dai buontemponi australiani nel lontano agosto 1888 all’indomani della loro prima vittoria in terra inglese.
La cosa, mal digerita dai britannici, e figuriamoci, ha dato vita ad una disfida che continua fino ad oggi. Il trofeo si trova ora in mani australiane, per strapparlo loro gli inglesi dovranno vincere la serie di cinque test match.

Gli entusiasmi della vittoria mondiale hanno presentato il conto.
Giocatori un po' scarichi dopo uno sforzo comunque supremo coronato da una vittoria che ha lasciato insieme esaltati ma pure un po svuotati.
Inoltre per gli inglesi una conduzione tecnica non proprio brillante che prevede i migliori componenti della squadra campione nel formato a over limitati protagonisti anche nel formato più duro, il first class.
E subito è saltato il banco.
Nonostante i preparativi per un’accoglienza degna dell’importanza della sfida sul campo di Edgbaston, considerato, erroneamente, dai sopracciò federali inglesi il più ostile agli avversari, gli australiani, al solito per nulla impressionati e in grado di trasformarsi quando di fronte c’è il vecchio nemico, si son fatti beffe dell’accoglienza loro riservata vincendo il primo test match.
Che di per se è come mantenere già in tasca mezzo trofeo.
Trascinati dal redivivo Smith, rientrato dalla squalifica seguita allo scandalo carta vetrata, che segna due centuries (punteggio individuale superiore a 100) nella stessa partita azzerando le speranze inglesi di portarsi subito in vantaggio.

England 0-1 Australia

Secondo Test Match- Londra, Lord’s Cricket Ground 14-18 agosto.

Dunque rieccoci.
L’Inghilterra deve vincere per riportare la serie in parità, una sconfitta significherebbe Ashes in Australia quasi sicuramente.
Tegola dell’ultimo minuto, il lanciatore inglese Anderson, il migliore dei suoi, deve rinunciare causa infortunio, al suo posto Archer che si è rivelato al mondiale ma non ha mai giocato un test match.

La pioggia cancella quasi per intero il primo giorno e parte della mattinata del secondo.
L’Inghilterra ha bisogno di vincere e segnare e il minor tempo a disposizione le gioca contro.
L’Australia vince il toss e sceglie di andare al lancio per sfruttare le bizze del tempo.
Alla fine gli inglesi segnano 258, non molto, ma mi pare una partita dove si segnerà poco.
Tocca ora agli australiani, ma qualcosa adesso è cambiato, il debuttante Archer lancia palle tremende a velocità terrificanti limitando i battitori avversari che ora sembrano divertirsi un po' meno e molto preoccupati.
Una di queste bordate colpisce l’asso Smith al collo e poi sulla griglia dell’elmetto, Smith crolla a terra, si rialza dopo qualche istante, è scosso e deve lasciare il campo.
Nel frattempo era arrivato a quota 92.
Broad e Woakes completano l’opera e l’Australia è eliminata per 250.
Secondo innings, gli inglesi han bisogno di segnare ma il tempo scarseggia, le interruzioni per pioggia hanno portato via un giorno e mezzo, perché poi per vincere dovranno eliminare tutti gli australiani una seconda volta.
Trascinati dall’eroe mondiale Stokes (115 not out) arrivano a quota 258 (come prima) e il capitano Root, eliminato per 0 ignominiosamente decide che il vantaggio può essere sufficiente. Dichiara la fine dell’innings e manda gli australiani in battuta.
Rimangono da giocare 48 over, quasi una partita in formato mondiale, per me troppo pochi, avrei dichiarato prima, forse lui pensava anche al pareggio.

Archer ha definitivamente cambiato gli equilibri di questa sfida, lancia a velocità spaventosa e nei primi tre overs elimina Warner e Khawaja. Labuschagne resiste bene prima di cadere per 59. Poi è la volta di Paine che viene estromesso da un fenomenale catch acrobatico di Denly. Ma nel frattempo si fa sera, le nuvole si addensano e gli over sono quasi finiti. Archer non può più lanciare perché è buio e troppo pericoloso e la partita termina in parità.

L’Inghilterra però adesso sembra avere più chance.
Arcer ha davvero impressionato con i suoi lanci e l?Australia sembra aver accusato il colpo.
Rimane comunque in vantaggio.

England 0-1 Australia

Terzo Test Match - Leeds , Headingley Cricket Ground 22-26 agosto

Chi pensava, dopo la finale mondiale di tre settimane fa, di avere visto tutto nel cricket si è dovuto ricredere.
Una squadra praticamente battuta, con la sconfitta che significa anche la resa degli Ashes agli australiani, risorge e vince grazie all’eroica bravura e al coraggio di un solo giocatore.
Tutti in piedi davanti a Ben Stokes!

L’ Australia deve fare a meno di Smith fermato dal medico in seguito al colpo subito nella partita precedente, l’Inghilterra è invariata. Il campo di Headingley, che già è stato testimone della più epica rimonta inglese in una partita degli Ashes nel 1981 è esaurito per tutte e cinque le giornate il pubblico motivato e assolutamente modulato su frequenze da Leeds United dei tempi d’oro, una bolgia.

Piove e la giornata è condizionata da continue interruzioni per pioggia, gli australiani sembrano reggere bene fino all’ora del te, 163-2 e la possibilità di mettere su un totale consistente nel primo innings.
Non hanno fatto i conti però con Archer che nella sessione serale si scatena, demolendo lo schieramento avversario che finisce eliminato per 179 runs. Lui chiude con uno straordinario 6/45 in 15 over: una furia.

L’euforia di fine giornata vien presto spenta l’indomani quando l’Inghilterra entra in battuta cercando a sua volta di accumulare un grosso vantaggio e si rende protagonista invece di un imbarazzante prestazione in battuta. Due wicket caduti nei primi 6 over poi una mattinata che continua male fino al pranzo: 54-6.
Al rientro in campo il crollo, nel giro di un ora sono tutti fuori per la miseria di 67 runs, prestazione pessima e punteggio umiliante.
Per l’Australia ottimo Hazlewood al lancio con un 5/30.
Il pubblico che gremisce il campo è attonito.

A questo punto gli australiani hanno un vantaggio di 112 runs e tre giorni e mezzo per accumulare un vantaggio enorme e non raggiungibile e quindi eliminare una seconda volta gli inglesi e vincere il test match.
Il che vorrebbe dire anche portarsi sul 2-0 e tenersi gli Ashes.
C’è il tempo, ci sono i battitori, ci sono i lanciatori. Cominciano male , due wicket persi nei primi Partono male però Warner è eliminato nel secondo over e Khawaja nel settimo. Riescono comunque a trascinarsi al te dove arrivano a 82-3 quindi quidano la giornata a quota 171-6, non il massimo ma aggiunti a quelli del primo inning, il vantaggio è adesso di 283. Con altri quattro wickets a disposizione possono aumentarlo ulteriormente.

La terza mattina comincia con l’Australia ancora in battuta alla ricerca di più punti possibili. Stokes e Archer per l’Inghilterra hanno altre idee e ce la mettono tutta. Il primo a casere è Pattinson (20) quando il punteggio è a 215, Archer il killer.
Seguono poi gli altri tre per un punteggio finale di 246. All’Inghilterra servono adesso 359 runs per vincere e portarsi sull’ 1-1. Mai nella sua storia è riuscita a completare un run-chase così alto.

I battitori inglesi escono con un altro piglio, si va al lunch senza perdite (11/0).
Immediatamente dopo la ripresa però, Burns (7) cade, seguito a ruota da Roy (8) fulminato da una fenomenale lbordata di Cummins che gli prende in pieno l’off-stmp: guai, guai seri, 15-2 e ne servono 359.
La disfatta comincia a fare capolino da dietro le tribune.
Tocca adesso al capitano Root in tandem con Denly, ha fatto pena fino ad ora è tempo di reagire e riscattarsi.
Ci riesce e con il compagno si rende protagonista di una partnership giocata finalmente come si deve. Alla pausa del te il punteggio è attestato a 90-2, la meta è ancora lontana ma la prestazione fin qui è confortante.
I due proseguono in battuta per tutta la sessione serale, la partnership raggiunge i 100 runs, il pubblico esulta e saluta il parziale traguardo con una standing ovation, meritata per una volta, non poco sollievo e un po di orgoglio ritrovato.
Punteggio adesso 125-2, è ancora lunga, lunghissima.

A mezzora dal termine della giornata Joe Denly cade, colpito al guanto e preso al volo mentre si era girato per scansare un bouncer di Haxzlewood.
Errore, devi sempre guardare la pallina perché devi togliere dalla sua traiettoria mani e mazza.
Comunque un 50 per lui molto ben giocato, da test match. Root rimane dentro, entra Ben Stokes che resiste agli attacchi con una disciplinata e strenua difesa nell’ultima mezzora.
La prima palla lanciatagli dagli australiani gli frantuma la griglia del casco, benvenuto! Segna soltanto due punti ma è ancora dentro. Domattina si vedrà. Quarto giorno, il giorno del giudizio, e si mette male da subito. Root viene eliminato subito da un catch incredibile di Warner : 159-4 ne mancano 200! Ha comunque giocato un grande innings, 77 runs, e tenuto la squadra in partita.
Da qui comincia lo show di Stokes che, mentre tutti i compagni vengono via via eliminati, ingaggia la propria battaglia personale contro i lanciatori australiani giocando eccezionalmente bene, ferma tutte i lanci pericolosi e picchia solo quelli sbagliati. Quando però Broad, penultimo in lizza per gli inglesi, viene eliminato per zero e Leach arriva al crease ne mancano ancora 79. Il tempo c’è, manca un più di un giorno, ma non ci sono più battitori, il minimo errore qui costerà eliminazione, test match e Ashes. Stokes gioca l’innings perfetto, mantiene lo strike, ordinando a Leach di fermare tutti i lanci, ci penserà lui a segnare i punti che servono. Raggiunge così prima quota 50 poi quota 100, non risponde alle standing-ovations tributategli dal pubblico, è come in trance, davanti a se ha solo una parola: vincere. Il pubblico è invasato, ogni punto, ogni boundary e perfino ogni colpo difensivo è accolto da un boato, gli australiani patiscono il fattore campo. Stokes è ormai inarrestabile e picchia senza pietà anche i lanci difficili e i punti arrivano, addirittura 6-6 e 4 nelle prime tre palle di un over di Hazlewood, che non gradisce. In una sequenza trionfale di colpi potenti e di classe trascina, da solo, un’Inghilterra praticamente sconfitta due ore prima ad una vittoria insperata e sensazionale. Chiude con un cut che si infrange contro la corda del boundary , manca un punto, ne fa 4. Merito anche a Leach che non si fa eliminare in una situazione difficilissima, batte per mezza giornata (tantissimo) e segna un solo run, il più importante della sua vita.

Headingley esplode in un boato trionfale, i tifosi australiani, che già si sentivano la vittoria in tasca, sprofondano nella disperazione, le loro facce attonite mentre tutto intorno la gente è impazzita di gioia, lo stadio manda onde telluriche.

L’Inghilterra, 359-9, ha vinto il terzo test match, partendo da una posizione impossibile, e porta la serie in parità. Stokes 135 not out ha giocato uno dei più grandi innings inglesi di ogni tempo. Per me, data la pressione enorme ,interamente sulle sue spalle per più di un giorno intero, il più grande; all’interno di quello che è stato senz’altro il più grande test match di ogni tempo, più grande di quello dell’81.

https://www.youtube.com/watch?v=HrIew7-4isI

England 1-1 Australia

Quarto Test Match - Manchester , Old Trafford 4 – 8 settembre
L’ Australia ritrova il suo asso, Steve Smith, recuperato dopo il colpo subito che gli ha fatto saltare il terzo test match.
L’Inghilterra dal canto suo cambia Woakes, che stava andando bene, per Overton, per la commissione tecnica in grado di sfruttare meglio il pitch di Old Trafford, per me un errore.

Sole e brezza fredda accolgono I capitani al centro del campo. L’Australia vince il toss e va in battuta per prima. Come già accaduto le due aperture australiane vengono eliminate in fretta, Warner (0) e Harris (13) deludono e la loro squadra è ridotta a 28-2 dopo mezz’ora.
Tocca ora a Smith che è perfettamente ristabilito e ingaggia la solita lotta contro i lanciatori inglesi che non riescono a metterlo fuori. Il sole sparisce, nuvole minacciose si presentano nel cielo sopra ad Old Traford e poco dopo pranzo, si scatena un fortunale, la temperatura, già bassa precipita a livelli invernali. I due empire mandano tutti nel pavillion.
Per oggi è tutto.
Smith chiude a 60. Australia 160-3.

Secondo giorno.
Il clima sembra ristabilito, per Manchester, e si riprende.
Broad fa fuori Wade mentre Smith continua a far punti. A metà mattina il tempo torna più normale, sempre per Manchester, piove e fa freddo, gioco ancora interrotto.
I giocatori rientrano in maglione, ah, l’estate inglese: Australia 210-4, per niente promettente.
Root cambia i lanciatori, lo spinner Leach e il veloce Overton. Poco prima di pranzo Leach riesce a prendere Wade, poi Overton che continua a lanciare da schifo riesce a mettere fuori il temibile Labuschagne (67), ma Smith, sempre li, raggiunge il suo 100 due minuti prima di pranzo. Deprimente! Lunch: Australia 245-5.
Il resto della giornata è un disastro i lanciatori inglesi sbattono contro il muro Smith, non aiutati da un pitch morto. I wicket cadono anche,ma nel tardo pomeriggio Smith arriva ad un clamoroso 211 poco prima che il suo capitano Paine dichiari l’innings terminato a 497/8, infliggendo agli inglesi l’ennesima umiliazione e costringendoli ad entrare in battuta per quasi un ora dopo un’estenuante e frustrante giornata al fielding.
Infatti il titubante Denly (4) ci lascia le penne quasi subito.

La giornata si chiude con l’Inghilterra a quota 23-1, sotto di 474!

Per me questo è stato il giorno che ha deciso la serie: l’Australia si è messa in una posizione di controllo quasi assoluto, vincerà il Test Match, e si terrà gli Ashes. Unica speranza per gli inglesi, la pioggia, che potrebbe cancellare un po di sessioni e aiutarli a pareggiare, rimandando tutto all’ultimo test. Non ci credo molto.
Terzo giorno: Piove e fa freddo, la mattinata di gioco è persa, poi Overton, il nightwatchman, esce alla seconda palla, di male in peggio sarà dura anche pareggiare. Ci pensano comunque Burns e Root a risollevare gli animi nel freddo di Old Trafford, con pazienza e senza rischiare portano l’Inghilterra sul 125-2 al tea-break.
Alla ripresa i due continuano nel tentativo di allungare l’innings inglese il più possibile, anche se non necessariamente in quello di vincere l’incontro. Ma poi Burns (81) cade, era dentro dalla sera prima, Hazlewood, con un ottimo inswinger il suo giustiziere. Poco dopo è la volta di Root, preso lbw ancora da Hazlewood, le speranze inglesi cominciano ad assottigliarsi. Hazlewood è inarrestabile e prima della fine elimina anche Roy (22) con il miglior lancio della partita, fin qui, che gli spiana il middle-stump.
L’umpire chiude la giornata in anticipo per troppa oscurità.

Inghilterra 200-5, indietro di 297.

Non c’è risolutezza tra i battitori inglesi l’indomani.
L’attacco da fronteggiare è forse il migliore al mondo, vero, ma la capacità di battere per un test match sembra perduta. Son tre i wicket che cadono al mattino, tra cui Stokes e Bairstow, si va a pranzo con l’Inghilterra a 278-8. L’ecatombe si completa nel pomeriggio, tutti fuori per 301, di per se non un brutto punteggio, ma sotto di 196 in questa partita. L’Australia torna in battuta , Broad e Archer riducono l’Australia a 63-4 ma poi arriva Smith che ne fa 50 in meno di un’ora e poi prosegue fino a 82 quindi il capitano australiano dichiara una seconda volta (186-6), manca un’ora alla fine della giornata. Chiara la tattica di mandare in battuta ancora una volta gente stanca che è stata in campo tutto il giorno cercando, e non riuscendo, di eliminare gli avversari.
Pensata giusta, il fenomenale Pat Cummins nel primo over fa fuori prima Burns e poi il capitano Root nel corso del primo over, il parziale di 0-2 è catastrofico. Denly e Roy riescono ad arrivare all’orario di chiusura. England 25-2, l’ennesimo Everest da scalare, ne servono 386 per vincere.

Quinto giorno: si riprende. Può essere, e sicuramente lo sarà , il giorno in cui l’Australia si ritiene gli Ashes.
L’Inghilterra ha un solo obiettivo, rimanere dentro, prudenza massima, non farsi eliminare e segnare poi, se ad un certo punto il target dovesse essere a portata, provare a forzare per vincere.
Altrimenti non cedere , forzare il pari e rimandare il tutto al quinto test match. Denly e Roy sembrano riuscire, non rischiano e sognano un po', la folla gradisce, gli australiani un po meno. Quando però Roy cade, impallinato da un bolide di Cummins che gli fa volar via il leg-stump, la sicurezza inglese si incrina.
Entra l’eroe di Leeds, Stokes, accolto da un ovazione del pubblico di casa.
I miracoli però sono miracoli appunto, e non si ripetono di frequente o a comando. Neanche il tempo di ambientarsi e Stokes tocca infinitesimamente poco un altro bolide di Cummins.
La palla finisce tra i guanti di Paine, Stokes cammina senza aspettare la decisione dell’umpire.
Sportivo, si. Gentleman, pure. Ma forse quando c’è in ballo la sopravvivenza in una serie del genere si poteva restar dentro e costringere gli avversari ad usare uno dei due review o magari non l’avrebbero usato e lui sarebbe rimasto dentro.
Al suo posto Bairstow, ancora deludente con la mazza (25), quando Denly infine esce, dopo strenua resistenza e aver ben giocato, l’Inghiltaerra è ridotta a 93-5, per vincere ne servono sempre 386, per pareggiare devono resistere altri 70 overs sotto gli attacchi micidiali dei velocissimi australiani. Non succede ne l’una ne l’altra cosa e si arriva al te con l’Inghilterra a 166-6. Quattro wicket a disposizione per arrivare a fine giornata ancora dentro e pareggiare. Ma non succede,Buttler cade quando rimangono da giocare altri 35 over, troppi per quelli che seguono che infatti si arrendono via via ai formidabili lanciatori australiani, a parte per l’ultima reistenza di Leach e Overton che per un’ora danno l’illusione di farcela, tutti fuori per 197.

L’Australia vince il test match per 185 runs, schiacciante, e conserva gli Ashes in terra inglese per la prima volta in 18 anni. Bella affermazione.
Tanto per dare un’idea Smith in questa partita ha segnato da solo 393 runs, l’Inghilterra 498.

England 1-2 Australia

Quinto Test Match - Londra , Kennington Oval 12 – 15 settembre
Ultimo appuntamento della serie a Londra.
Ashes già al sicuro in mani australiane, per loro l’occasione di batter gli inglesi in casa propria per la prima volta dal 2001, per gli inglesi l’occasione di portare la serie in parità e non perdere la faccia.
Paine vince il toss e inspigabilmente, in una giornata di sole, manda in battuta gli inglesi.
Erroraccio di valutazione. Gli inglesi confermano una certa fragilità nei battitori d’apertura: Denly, ancora incerto esce in fretta (14). Saranno Root (47) e Buttler (70) a tener su l’innings inglese. Nonostante le titubanze riescono ad arrivare a 294, una cifra difendibile e giocabile.
Entrano in battuta gli australiani che vengono travolti dal ciclone Archer che fa a pezzi il loro ordine di battuta chiudendo l’innings con 6-62.
Curran prende gli altri tre, e pensare che non lo hanno selezionato per il test match precedente. Nel secondo innings inglese Denly finalmente riesce a dimostrare qualcosa e ne fa 94 contribuendo al 329 finale che pone all’Australia un obiettivo assai improbabile di 399 per vincere.
Il tempo non manca, due giorni.

Broad colpisce subito eliminando le due aperture Harris e Warner,riducendo gli australiani a 25-2, l’uscita di Warner porta al crease Smith e gli australiani fanno un pensierino ad un’improbabile run-chase.
Ma quando Stokes si tuffa e prende al volo un glance di Smith eliminandolo, gli inglesi sanno che il più grosso ostacolo sulla via della vittoria è stato rimosso. Per Broad è il terzo wicket.
Smith autore in questa Serie di ben 774 runs in soli 7 innings alla bella media di 110.57 a innings! esce per la prima volta quest’estate per meno di 50.
Mentre si dirige verso il pavillion, con la sua squadra nei guai a 85-4 nel sole di un caldo pomeriggio di settembre, il pubblico gli tributa, nonostante tutto, una standing ovation.
Matthew Wade si fa valere, segna 117 prima di soccombere a un lancio di Root, non esattamente un lanciatore. Archer lancia i suoi missili a oltre 95mph ma chiude senza wickets, dall’altro lato Leach ne prende quattro e mentre su questo prato londinese cominciano ad allungarsi le ombre della sera, lo spinner di Taunton elimina in rapida successione prima Lyon e poi Hazlewood dando ai suoi una sonora vittoria per 135 runs.

La serie si chiude in parità, 2-2. Che è anche la prima volta che succede dal 1972.

Questo incontro chiude una sensazionale estate di cricket andata in scena tutta in Inghilterra.
E’ stato un grandissimo successo sia in termini di gioco con due partite, un One-Day e un Test- Match giudicate universalmente le migliori mai giocate.
Dal basso della mia limitata conoscenza di vecchie partite mi unisco al coro unanime.
In conclusione, l’Inghilterra ha vinto il mondiale pareggiando la finale e pareggiando l’over supplementare (in virtù del run-rate, che non vi sto a spiegare, superiore), e perso gli ashes pareggiando la serie.
Stranezze di un gioco che, nonostante l’adattamento alla modernità non rinuncia a sue antiche ed arcane prerogative.

mercoledì, ottobre 02, 2019

Betty Davis



Riprendo l'articolo che ho pubblicato per "LIBERTA'" la scorsa domenica.



Betty Mabry nasce in North Carolina nel 1945 in un luogo in cui essere neri non era consigliabile.
Basti pensare che nel 1957 la studentessa Doroty Counts fu costretta ad entrare in una scuola, finalmente non riservata ai soli bianchi, scortata da polizia e soldati, tra il dileggio, insulti e astio degli studenti.
I genitori e la nonna le trasmisero la passione e l'amore per il blues.

Negli anni 60 Betty decide di andarsene da un luogo chiuso, ottuso, discriminante e a 17 anni approda nella cosmopolita New York dove si iscrive, senza dover subire alcuna limitazione, alla Fashion Institute of Technology, sfruttando la sua avvenenza per mantenersi, facendo la modella per riviste come “Ebony” e “Glamour” e lavorando per alcuni locali, in particolare il “Cellar” (che sarà anche il titolo del suo primi 45 giri).
Frequenta il Greenwich Village dove sta fiorendo una scena artistica, culturale e musicale multirazziale, libera, stimolante.
Dove circolano Bob Dylan, Andy Warhol e tanti giovani di belle speranze.

In mezzo a questo vortice di stimoli e influenze mette a frutto il suo talento di compositrice, scrivendo per i Chambers Brothers una piccola hit come “Uptown to Harlem”, nel 1967, registrando nel frattempo una serie di sfortunati 45 giri soul che scompaiono ben presto nell'oblìo. Scrive di amore ma in un'accezione libera, dove è la sessualità l'elemento prevalente e non sono concepiti ostacoli o limiti.
In questo senso l'incontro con personaggi come Eric Clapton, Jimi Hendrix e Sly Stone, futuri rivoluzionari della musica, è un ulteriore tassello che si aggiunge alla sua voglia di guardare lontano.
Caparbia, coraggiosa, con un'attitudine sfacciata nei confronti della vita, abbandona anche il lavoro da modella perchè “non serve il cervello per farlo e dura solo fino a quando avrai un bell'aspetto”, rifiuta di incidere un brano che il suo fidanzato Hugh Masekela, trombettista sudafricano di incredibile bravura e talento, solo perchè lo giudica poco convincente.



Nel 1967 incontra Miles Davis, il maestro supremo del jazz.
Si sposano poco dopo (e da questo momento diventerà per sempre la signora Davis) ma sarà un matrimonio violento, estremo e destinato a concludersi solo un anno dopo con le accuse (reiterate poi da Miles nella sua autobiografia) di tradimento della moglie con Jimi Hendrix (sempre sdegnosamente negato da Betty).

“Ogni giorno vissuto con Miles è stato un giorno in cui mi sono guadagnata il cognome Davis”.

Curiosamente Betty e Miles continueranno a vedersi e frequentarsi, allo stesso modo del grande trombettista con Jimi (con il quale era in cantiere un album che non vide mai la luce a causa della prematura morte del più grande chitarrista rock di tutti i tempi, nel 1970).

Il ruolo di Betty nella carriera di Miles Davis è fondamentale.

Innanzitutto lo introduce alle nuove sonorità rock psichedeliche, stilisticamente lontanissime dal rigore del jazz ma soprattutto gli cambia, sostanzialmente l'estetica. Non più abiti gessati, cravatte e camicie stirate ma, spesso disegnati da lei, giubbotti di pelle, foulard, colori, un aspetto più trasandato, di marchio sempre più “afro”, in linea con i tempi. Miles ricambia volendo la sua faccia sulla copertina dell'immortale “Filles of Kilimanjaro” (nel quale c'è un brano esplicitamente dedicatole, “Mademoiselle Mabry”) ma soprattutto spingendola a mettersi in gioco, a cantare, comporre, salire su un palco. La porta in studio facendola accompagnare dal meglio in circolazione, musicisti come Herbie Hancock, Wayne Shorter, John McLaughlin e la sezione ritmica che accompagnava Jimi Hendrix nella sua ultima fase (Billy Cox e Mitch Mitchell).
I risultati, pur molto interessanti, vedranno la luce solo decenni dopo. Nel 1973 finalmente arriva all'omonimo album d'esordio. Aiutata da Miles e da una serie di eccellenze della scena funk (da membri della band di Santana a Greg Errico degli Sly and the Family Stone, alle Pointer Sisters tra gli altri), sforna otto brani autografi di una potenza inaudita.
Componeva tutto, registrava le idee su una cassetta, cantava la linea melodica e poi la consegnava ai suoi musicisti, incitandoli ad essere il più rozzi possibile. E infatti il suono è crudo, duro, la voce urlata, immediatamente riconoscibile, i testi spesso osano oltre il cosiddetto “comune senso del pudore” o si pongono provocatoriamente con un titolo come “Anti Love Song”. I ritmi sono funk ma le chitarre ruggiscono con asperità hard rock, gli arrangiamenti sono essenziali, minimali, ogni nota trasuda sesso, sfida, aggressività. Non sarà ricordato come un capolavoro ma sicuramente come una prova assolutamente unica.

Seguiranno “They say I'm different” e “Nasty gal” ma nessuno degli album avrà particolare successo, Troppo estrema la proposta, tanto quanto la presenza sul palco, altrettanto aggressiva ed eccessivamente sensuale.
La pettinatura afro, bikini striminziti, posizioni che lasciano poco all'immaginazione. Betty è una salutista, rigorosa, lontana da ogni tipo di eccesso e abuso, in tempi in cui le droghe giravano a valanga.
Il suo obiettivo è chiaro e lucido: proporre una musica nuova, oltre gli schemi, accompagnandola da un live act originale e senza filtri.
Troverà opposizioni e boicottaggi, sia da parte delle istituzioni che della comunità nera che non le perdoneranno un approccio così personale e individuale.

“Volevo che la mia musica fosse presa sul serio, non volevo diventare una Yoko Ono o una Linda McCartney”.

Sempre provocatoria ma estremamente lucida nella sua disamina sul ruolo assunto in epoca di rivendicazioni dei diritti per le donne:
“Come potrei essere definita femminista con le canzoni che scrivo?
Non ho mai pensato che ai tempi le donne potessero avere il potere.
L'unico lo avevamo in camera da letto ma non avevamo alcun potere politico”.

Pur nella complessità della rivendicazione dei propri sacrosanti diritti, la comunità nera rimaneva ancorata ad una visione della donna non diversa da quella della società bianca dei tempi. Una donna remissiva, pura, sottomessa, dedita alla casa e alla famiglia. L'esatto contrario dell'immagine della Davis.



“Nasty gal” del 1975 esce per una grande etichetta, la Island, contiene un brano, “You and I”, scritto in coppia con Miles Davis (che vi suona la tromba), arrangiato dal genio Gil Evans in cui constata malinconicamente l'impossibilità di riconciliazione con l'ex marito.
E' il congedo definitivo.
Il disco è ancora una volta troppo estremo per sperare in un posto al sole.
L'etichetta rifiuta di pubblicarne il seguito, che verrà ripescato solo anni dopo nell'album “Is it love or desire?”, confermando l'alta qualità artistica e l'attitudine mai cambiata.

E Betty Davis letteralmente scompare dalla circolazione.
“Quando mi è stato detto che era finita, l'ho accettato. E d'altra parte nessuno è più venuto a bussare alla mia porta”.

Torna a Pittsburgh, distrutta da anni troppo intensi, trascorsi sotto ai riflettori, a fianco di alcuni dei più grandi geni della musica e dell'arte, spesso colpita e ferita da un “fuoco amico” di critiche e ostilità.
Nel 1980 la morte del padre le assesta il colpo definitivo.
“Arrivai ad un altro livello. Ero devastata, avevo definitivamente perso una parte di me stessa, che non aveva a che fare con la musica o altro.” Se ne va per un anno in Giappone, dove suona ancora in qualche club con un gruppo locale ma dove scopre anche la spiritualità e abbandona per sempre ogni idea di tornare alla musica.

“Con l'età il tuo aspetto cambia, preferisco lasciare i miei fan con quello che hanno avuto”.

Recentemente il regista Phil Cox le ha dedicato il documentario “They say I'm different”.
Ci ha messo quattro anni per raggiungere Betty Davis, isolata nella sua volontaria reclusione in una casa a Pittsburgh, restìa qualsiasi contatto con l'esterno.

Dopo molta fatica, catturandone lentamente la fiducia, è riuscito a parlarle, telefonicamente, a carpirne alcune dichiarazioni.
Ne ha ricavato un'oretta di documentario in cui le rare (e confuse) parole di Betty (che non compare mai) si intersecano con (poche) immagini d'epoca, testimonianze dei compagni della band che si ritrovano per un'estemporanea reunion, la chiamano al telefono ma oltre a qualche secondo di cordialità, vengono decisamente respinti.

In mezzo amici/che, conoscenti, ammiratori allungano (talvolta un po' forzatamente) il brodo, senza aggiungere granchè.
Un lavoro comunque suggestivo, interessante, che tributa il giusto omaggio ad un'artista eccezionale.

Con Miles al funerale di Jimi Hendrix

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