lunedì, maggio 22, 2023

L' altro 1977


Riprendo l'articolo che ho scritto ieri per il quotidiano "Libertà" dedicato a quei dischi che uscirono nel 1977, l'anno in cui "il punk spazzò via il rock".

Il fatidico e mitico 1977, anno in cui la musica rock (pare) cambiò completamente, i gruppi punk spazzarono via il vecchio (se guardiamo l’età, ai tempi, di quelli che venivano chiamati i “senatori” o ancora peggio “i dinosauri”, avevano da poco superato i trent’anni, nella maggior parte dei casi), conquistarono le classifiche e cancellarono tutto quanto c’era stato prima.

Per anni la storiografia musicale ufficiale ha riportato gli eventi più o meno in questo modo.
E in tanti ci hanno creduto e divulgato il concetto acriticamente.
E’ altrettanto vero che il rock è diventata una musica “classica” e “tradizionale” solo nel tempo, uscendo dal concetto adolescenziale con cui era nato e si pensava, in quel fatidico anno, che sarebbe morto a breve.
Eh si, è da cinquanta anni che si dice che il rock sia morto.
Certo, è da tempo che si ripete senza rinnovarsi granché ma proprio morto non sembra esserlo.
Anche in quell’anno, il cosiddetto rock tradizionale mise in fila una serie di album di grande levatura, destinati a diventare classici e a scalare le classifiche di mezzo mondo.
Questo non toglie valore all’apporto che le nuove band inglesi e americane (dai Sex Pistols, Clash, Ramones, a Patti Smith, Talking Heads, per citare i più noti) diedero alla musica rock, soprattutto al costume e alla società.

Ma se andiamo a dare un’occhiata alle uscite discografiche del 1977 troviamo alcune sorprese.

Ad esempio “Rumours” dei Fleetwood Mac, gruppo nato nell’ambito della scena rock blues inglese degli anni Sessanta, guidati inizialmente dal geniale chitarrista Peter Green, che nel corso degli anni cambiò più volte formazione e soprattutto si allontanò dalla rigorosa devozione alla musica nera, abbracciando progressivamente un suono più pop, fruibile e facile.
La critica e i vecchi fan gridarono al tradimento ma quando esce “Rumours” (album di difficile gestazione, nato e cresciuto tra frizioni e pesanti litigi tra i componenti del gruppo) entra in classifica al primo posto, vi rimane per un lunghissimo numero di settimane, vince il Grammy Award per il miglior album dell’album, vende venti milioni di copie in America e altri venti in tutto il mondo, diventando uno dei best seller di sempre.
Infila anche una serie di singoli ai primi posti, tra cui quello più noto è sicuramente “Don’t stop”, un sempreverde della musica pop.

Uno dei personaggi che ha sempre anticipato le tendenze artistiche, le ha plasmate a sua immagine e somiglianza, attingendo da ciò che succedeva intorno ma dipingendole poi in maniera del tutto originale, è stato David Bowie.
Dopo anni di dipendenze pesanti, di glam e travestimenti, di abbracci al soul americano, cambia ancora una volta drasticamente rotta e concepisce (tra il 1976 e il 1979) la cosiddetta “Trilogia Berlinese”, tra le espressioni musicali più interessanti e intriganti della storia del rock.
Bowie rimette in gioco la propria carriera sperimentando, cercando nuovi suoni, anticipando buona parte di quella che sarà la new wave.
Nel frattempo, per non lasciarsi mancare niente, incide e compone anche due album con Iggy Pop, a cui ridarrà vita artistica (ma non solo), afferrandolo per i capelli appena in tempo e trascinandolo fuori dagli abissi dell’eroina.
Nel gennaio del 1977 esce “Low”, registrato in realtà in Francia e mixato a Berlino Ovest, che segna l’inizio della collaborazione con un altro genio come l’ex Roxy Music, Brian Eno. L’album è algido, duro, con toni apocalittici, fortemente sperimentali.
Accolto con diffidenza e non molto favorevolmente dalla critica ma troverà il successo del pubblico e dei fan.
Dieci mesi dopo, nell’ottobre del 1977, è la volta di “Heroes”, uno dei capolavori di Bowie e dell’intera storia del rock, più accessibile, meglio definito, meno sperimentale, con Eno ancora più determinante ed equilibrato e il lavoro chitarristico di Robert Fripp dei King Crimson a dare ancora più personalità e creatività al tutto.

Lo stesso Brian Eno pubblica un gioiello di grandissimo pregio (e probabilmente la sua vetta artistica) come “Before and after science”, con la collaborazione di personaggi come Phil Collins, Robert Fripp, Robert Wyatt, Fred Frith, membri dei Roxy Music e dei Can.

E’ anche l’anno in cui torna sulle scene Peter Gabriel, dopo il clamoroso abbandono dei Genesis.
Un disco (come i successivi tre) che non ha titolo e che si differenzia notevolmente dalla produzione prog della band, cercando invece nuove sonorità, moderne, più sperimentali.
Anche in questo caso compare il “signor Prezzemolo” Robert Fripp ad arricchire con il suo tocco un lavoro che rimane ai vertici della produzione del cantante e compositore inglese.

Passando ad ambiti meno sperimentali, vogliamo ricordare che proprio nell’anno dello stravolgimento punk i Queen realizzano “News of the world” con le due canzoni simbolo del rock più classico, “We are the champions” e “We will rock you”?
Peraltro il chitarrista Brian May ricorda che, proprio su ispirazione del punk che faceva tornare la musica alle radici più urgenti e dirette, la band decise di abbandonare la pomposità barocca delle recenti composizioni a favore di un sound più crudo.

Anche in America c’è chi rimane ancorato al “buon vecchio rock” e uno sconosciuto esordiente, dal nome singolare, Meat Loaf, piazza in suo primo album “Bat out of hell” in cima alle classifiche con un rock che fa riferimento alla musica classica, Wagner in particolare, mischiandola all’hard rock, in un profluvio epico e di rara pomposità.
Vende 43 milioni di copie e si piazza tra i dischi più venduti di sempre.

Anche i Pink Floyd realizzano uno dei loro classici con un ambizioso concept a sfondo sociale, “Animals”, uno dei migliori della loro storia.

Eric Clapton dopo anni particolarmente difficili, caratterizzati da pesanti dipendenze, trova uno dei suoi maggiori successi con “Slowhand” con la cover di “Cocaine” di JJ Cale, destinata a diventare il suo cavallo di battaglia.

I Kiss sono già famosi ma con “Love Gun” aumentano la loro popolarità grazie a uno delle loro migliori prestazioni discografiche in assoluto.

Billy Joel dà alle stampe il suo quinto lavoro, “The stranger” ed entra nel novero dei migliori compositori della decade in corso. Paul McCartney non incide album con i suoi Wings ma si dedica invece a un 45 giri, “Mull of Kintyre”, ballata folk con tanto di cornamuse e, tanto per cambiare, ne vende oltre due milioni di copie, diventando il singolo più acquistato in Gran Bretagna.

Il cantautore americano Jackson Browne si segnala con “Running on empty” mentre Bob Marley scrive quello che è unanimemente considerato il suo capolavoro, “Exodus” con due dei brani più significativi della carriera, “One love” e “Jammin”.

Il nostro Giorgio Moroder realizza un disco epocale, “From here to eternity”, molto influenzato dalla musica dei Kraftwerk che quasi contemporaneamente escono con “Trans Europe Express”, manifesto della musica pop elettronica.

E alla faccia del punk e della new wave, i Bee Gees trionfano con l’album per eccellenza della stagione disco music, con la colonna sonora di “Saturday Night Fever” mentre gli Steely Dan portano al successo il loro raffinato groove funk jazz con “Aja” e i Weather Report mettono in scena il gioiello fusion di “Heavy Waether”.

Dalle nostre parti siamo ancora abbondantemente in periodo autarchico e cantautorale, all’interno del quale si distinguono lo splendido concept di Edoardo Bennato, “Burattino senza fili” e il rock di Eugenio Finardi di “Diesel” con Alberto Camerini alla chitarra che nel frattempo pubblica il suo bellissimo “Gelato metropolitano”.
Angelo Branduardi con “La pulce d’acqua”, Pino Daniele con “Terra mia”, Lucio Dalla con “Come è profondo il mare”, Rino Gaetano con “Aida” , Claudio Lolli con “Disoccupate le strade dei sogni”, Alberto Radius con “Carta straccia” e Renato Zero con “Zerofobia” (con il primo grande successo “Mi vendo”) completano il quadro.

Personalmente a buona parte degli album sopraelencati continuo a preferire i miei amati Clash, Jam, Ramones, Pistols, Stranglers e compagnia bella ma rimane perlomeno singolare il permanente “dato acquisito” che il 1977 cancellò il rock classico, non dimenticando come strutturalmente il punk, spogliato dalle sovrastrutture estetiche, politiche, sociali, ne fosse una semplice continuazione, una evoluzione (o involuzione a seconda dell’osservazione) sonora e musicale, che attingeva abbondantemente dalle radici.

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