lunedì, novembre 06, 2023

Daniele Vicari - Fela, il mio dio vivente

E’ stato presentato alla Festa di Roma “Fela, il mio dio vivente”, nuovo film di Daniele Vicari dedicato a Fela Anikulapo Kuti, leggendario musicista nigeriano, padre dell’afrobeat, attivista politico, personaggio molto controverso, indecifrabile, incatalogabile.

In realtà il film/documentario vede Fela Kuti comprimario di una vicenda che riguarda invece il visionario videomaker Michele Avantario, protagonista della scoppiettante e stimolante Roma artistica degli anni Ottanta.
Si innamora della figura del “Black President” (così era soprannominato Fela Kuti) e decide di fare un film su di lui, nonostante le difficoltà per raggiungere Lagos, dove il musicista prevalentemente viveva e operava.
Anche perché, la prima volta che si incontrarono, Fela Kuti fu perentorio: “Se vuoi fare un film su di me, se vuoi capire chi sono, devi venire in Nigeria”.
Avantario ci andrà, tantissime volte, filmerà ore di pellicola, avrà accesso, unico bianco, al giro del musicista: un circo incredibile, una dimensione inimmaginabile.

Fela Kuti aveva creato a Lagos una sua “repubblica indipendente”, all’interno di un palazzo di sua proprietà, la Repubblica di Kalakuta dove viveva con i suoi amici e famigliari, ventisette mogli (da cui divorziò successivamente sostenendo che il matrimonio porta egoismo e gelosia), gli adepti al suo “credo” e coloro che, insieme a lui, lanciavano un messaggio di libertà e di rinnovamento della Nigeria, di lotta alla corruzione e di opposizione al regime militare, cercando una giustizia sociale, sconosciuta da quelle parti.
Il tutto condito da una vita a base di ampie dosi di marijuana e abbondanza di promiscuità sessuale.

Diventata una spina nel fianco del regime, anche in virtù del largo seguito che Fela Kuti aveva tra i giovani nigeriani ma anche del progressivo successo ottenuto in tutto il mondo, Kalakuta venne attaccata dall’esercito nel 1977, le persone presenti picchiate, violentate e seviziate, sua madre gettata dalla finestra. A causa delle ferite morì tre mesi dopo.

Funmilayo Ransome-Kuti era un’attivista politica e femminista (fu la prima donna in Nigeria a guidare un’automobile), strenua sostenitrice del diritto di voto per le donne.
Lo stesso Fela riportò gravi ferite.
All’interno del palazzo c’erano uno studio di registrazione, tutti i suoi nastri e strumenti, che vennero bruciati.

Fu la conseguenza della pubblicazione del suo capolavoro, “Zombie”, in cui usava la metafora del mostro comandato per uccidere, senza sentimenti e remore, applicato a soldati. Nel film di Vicari si vedono parecchie immagini che rappresentano al meglio il mondo particolare del musicista, soprattutto quando arrivò in Italia, con il codazzo di musicisti, mogli, amici, per un totale di un’ottantina di persone.
Si portò anche un’impressionante scorta di marijuana (decine di kili), puntualmente scoperti alla dogana e con conseguente arresto. Furono ospitati nella casa di campagna dell’impresario, che rischiò la bancarotta dovendo mantenere praticamente un villaggio di persone per giorni e giorni. Alla fine Avantario non riuscì a realizzare il suo film e solo ora le immagini, spesso inedite, sono state raccolte (preservandole dall’oblio) in questo prezioso documentario che culmina con il funerale del musicista, morto di Aids nel 1997 a 59 anni, circondato da una caotica immensa folla, tumulato nel cortile di casa sua. Fela Kuti era nato nel 1938 da una famiglia agiata, colta e politicamente impegnata.

Studiò medicina a Londra, dove si laureò in tromba. Un viaggio negli Stati Uniti negli anni Sessanta lo portò a contatto con le lotte per i diritti civili degli afroamericani che lo avvicinarono alle idee dei Black Panthers.
Tornato in Nigeria fonda gli Africa 70 con cui incomincia a elaborare le basi del suo sound unico e immediatamente riconoscibile, che influenzò centinaia di artisti, affascinando tantissimo anche Miles Davis (si ascolti uno dei suoi tanti capolavori, “On the corner”): un misto di funk, jazz, musica “africana” (ovviamente la definizione è quanto di più generico e inadeguato, in considerazione dell’estrema varietà che caratterizza la musica proveniente dal “continente nero”), highlife, musica nata negli anni Venti dal Ghana fondendo ritmi locali, marce militari e inni religiosi.

Gli Africa 70 sono la prosecuzione di quanto iniziato pochi anni prima con i Koola Lobitos, in cui suona uno dei batteristi destinati a diventare tra i più seminali a livello ritmico al mondo, Tony Allen, inventore di una modalità percussiva unica.
Gli Africa 70 suonano ogni domenica nel club Afro-Spot che lo stesso Fela apre a Lagos, improvvisando, mischiando influenze di tutti i tipi, creando un sound che diventa sempre più unico.
Su cui canta e declama testi politici e duri, esaltando un concetto socialista di pan-africanesimo, difendendo i diritti umani, appoggiando cause femministe (pur rapportandosi con le donne in modo spesso contraddittorio e non di rado sciovinista).

“Quello che sapete dell’Africa è al 99 per cento sbagliato” dice.

Incontra importanti intellettuali della sinistra nigeriana, fonda un’organizzazione giovanile chiamata Young African Pioneers e compra una macchina tipografica per poter stampare riviste e volantini contro la dittatura.
Che, come abbiamo visto, gliela farà pagare molto cara. Nel corso degli anni viene più volte arrestato, picchiato, mandato all’ospedale, fino alla distruzione della sua Kalakuta, nel 1977.
Prosegue imperterrito l’attività politica mentre artisticamente si muove su coordinate costantemente creative, mai un cedimento, ogni album è interessantissimo.
Ancora dopo tanti anni i suoi dischi suonano attuali, moderni, ricchissimi di suggestioni e suoni sorprendenti.

Alla fine la sua discografia arriva a un’ottantina di album.

La sua fama si espande sempre di più in tutto il mondo, i concerti sono teatrali, tribali, i musicisti tecnicamente formidabili, lui assurge a ruolo di vate, domina il palco, evoca e condensa il meglio della Black Music mentre le “Queens”, le danzatrici e coriste che lo circondano, creano uno spettacolo unico, con movenze assunte dalla cultura africana. Gira Europa e America raccogliendo plausi e tributi dai critici e un seguito sempre più ampio di fan ed estimatori.

Nel 1983 si propone alla presidenza della Nigeria ma la sua candidatura viene rifiutata.
Sottolinea lucidamente il batterista Tony Allen: “Lui si era creato un personaggio: era quello che combatteva i soprusi, la polizia, queste cose. Però se andavi a trovarlo ti riceveva in mutande. Si faceva fotografare in mutande e magari con un gigantesco spinello in mano. La gente non ti vota se fai queste cose anche se lotti per i loro diritti e addirittura gli regali i soldi, come ha fatto per un periodo. Magari qualche radicale ti vota ma di certo non le masse.”

L’anno successivo viene incarcerato.
Uscirà solo venti mesi dopo, cambia il nome alla band, ora Egypt 80, e riprende la sua incessante attività.
Come testimonia il film di Vicari, l’adesione al mondo di Fela Kuti non è solo una questione artistica ma un percorso etico, filosofico, mistico (aiutato da un uso esagerato di sostanze psicotrope), una sorta di abbraccio a una dimensione aliena al razionale. La sua visione spesso cozzava con la realtà.

Valga in questo senso lo scontro epocale che ebbe con Paul McCartney che volò a Lagos per registrare il fortunato “Band on the run” dei suoi Wings. Paul aveva pianificato di poter collaborare con il grande artista nigeriano (che ammirava tantissimo) e con alcuni dei suoi musicisti ma Fela appena lo venne a sapere "denunciò" dal palco del suo locale che McCartney era a Lagos per "rubare la musica africana" e il giorno dopo si presentò in studio, non annunciato, per discuterne con l'ex Beatle. Paul fu costretto a fargli sentire i demo dei brani per dimostrare che non c'era nulla di africano nelle canzoni registrate.
"Avremmo voluto usare musicisti africani, ma quando ci è stato detto che stavamo per rubare la loro musica abbiamo detto: "Bene lo faremo da soli ". Fela pensava che stessimo rubando la musica africana nera, il suono di Lagos.

La malattia (per la quale rifiutava ogni tipo di cura) di Fela lo costringe a diradare le apparizioni live e l’attività di registrazione. Le immagini del doc di Vicari ce lo mostrano molto provato sia fisicamente che psicologicamente.

Il 3 agosto 1997 se ne va.

Lascia un’eredità favolosa e preziosissima. Album come “Zombie”, “Shakara” o “Stratavarious” con il batterista dei Cream, Ginger Baker, sono ottimamente propedeutici per avvicinarsi all’arte di Fela Kuti.

Nessun commento:

Posta un commento

Related Posts with Thumbnails