martedì, ottobre 22, 2013

Intervista a GIANCARLO ONORATO


Foto di Diego Landi

Dopo FEDERICO FIUMANI dei DIAFRAMMA, al giornalista FEDERICO GUGLIELMI, ad OSKAR GIAMMARINARO, cantante e anima degli STATUTO, al presidente dell'Associazione Audiocoop GIORDANO SANGIORGI, a JOE STRUMMER, a MARINO SEVERINI dei GANG, a UMBERTO PALAZZO dei SANTO NIENTE, LUCA RE dei SICK ROSE, LUCA GIOVANARDI e NICOLA CALEFFI dei JULIE'S HAIRCUT è la volta oggi di GIANCARLO ONORATO. Le altre interviste le trovate qui: http://tonyface.blogspot.it/search/label/Le%20interviste

Giancarlo Onorato è musicista, scrittore, pittore, produttore, Artista.
Dopo gli esordi con gli Underground Life (1977-1992), ha dato il via alle attività di musicista solista e di romanziere.
E' soprattutto un attento osservatore e testimone della realtà "underground" italiana degli ultimi decenni, di cui è stato protagonista.


Nella tua (stupenda) autobiografia “Ex” parli del tuo abbraccio allʼetica ed estetica punk, tra i primi in Italia, alla fine dei 70.
Quanto ti è rimasto dentro di tutto quello che ha significato il punk, quanto ha indirizzato la tua vita e quanto continua, se ancora lo fa, a determinarne le scelte ?


“Ex” può essere letto come una messa a nudo di una coscienza e di un percorso di conoscenza, più che una vera autobiografia, ma riconosco la sua natura di scritto autobiografico.
Questo perché, per onestà e per meglio trattare determinati argomenti, è venuto naturale e spontaneo partire da spunti fortemente autobiografici, ma lʼintenzione era decisamente quella di contribuire a disegnare un tratto della recente storia della nostra comunità in maniera particolare, cioè fondendo insieme lʼafflato artistico a quello etico, sociologico eccetera.
Inoltre, “ex” si sviluppa partendo sì dalla suggestione offerta dal punk, ma accompagnando fino ai nostri giorni la lotta di un individuo che si batte contro ogni abbruttimento.
Trattare certi temi in ambito musicale può far storcere il naso a più di uno, convinti come siamo che la musica sia una faccenda a sé rispetto alla società e agli sviluppi di questa.
Niente è più sbagliato.
La storia dimostra ampiamente che il valore musicale sia con tutta probabilità il termine di valutazione più efficace per considerare un periodo storico, da tutti i punti di vista.

Allora ecco che il punk, nella sua vasta accezione, che io ho deliberatamente mantenuto vasta, è stato un movimento di pensiero completo, una necessaria liberazione da lacci, schemi,imposizioni,che vanno dalla musica allʼabbigliamento, e su su fino alle più alte faccende estetiche (in senso cioè strettamente espressivo). Ancora oggi lʼinflusso liberato e trasversale del punk fa sentire i propri effetti su certo cinema, su certa letteratura e in musica.
Ma non stiamo parlando di punk inteso come un preciso e limitato stile, non necessariamente cioè di anfibi, abiti in pelle, suono e contenuti oltraggiosi eccetera, bensì come capacità di liberarsi da ogni istituto, in musica come in ogni altro campo.
Penso a quanta musica underground di qualità sia nata nel tempo come sviluppo del punk, fuori dai contesti più ortodossi (presso iniziative discografiche indipendenti, ad esempio), e quanto ciò abbia fatto e faccia bene alla qualità delle idee. Per fare un esempio semplice, i Radiohead, che sono stati e sono in parte tuttora una delle massime espressioni del rock mondiale, hanno conservato una impostazione alla trasgressione di ogni regola che è squisitamente punk. Questo ha permesso inoltre che si facesse in certo qual modo della ricerca, senza trincerarsi in stilemi o cliché.
Ogni qualvolta si rinnovi lʼimpulso a non chiudersi in schemi (tecnici ed espressivi) troppo rigidi o barocchi, e laddove si sia in grado di oltrepassare gli steccati e le gabbie dellʼaccademismo e del conservatorismo, vi è il segno lasciato dal punk nella storia.
Il punk è stato infine il più forte movimento politico in senso lato degli ultimi decenni (la cui filosofia ribadisce: tutti possono essere protagonisti del proprio tempo, tutti possono prendere in mano la propria esistenza, invece di rimanere passivamente supini rispetto a coloro che vengono eletti come i più bravi, i più capaci eccetera), e il più attraente per chi abbia una coscienza artistica, giacché esso rinnova gli stessi slanci totali che furono, ad esempio, dellʼanarchismo, della scapigliatura, del fauve, del dada e di ogni movimento estetico-politico seriamente liberato.
Le volte in cui ho detto di me stesso (di fronte a sguardi stralunati), di essere un artista fortemente politico, intendevo proprio questo.
Penso che “ex” abbia avuto il pregio essenziale di farmi conoscere per quello che realmente sono: uno che desidera intervenire sulle cose, assumendosi le proprie responsabilità. Ma questo non è un vanto o unʼesibizione di qualità, bensì un invito a fare ciascuno la propria parte. In tal senso, il mio spirito “punk” non è mai vento meno.

Sappiamo quanto è difficile “vivere di musica” in Italia.
Perchè secondo te ?


Per la stessa ragione per cui nel nostro Paese la più grande crisi mondiale del dopoguerra è subita e sofferta più che altrove, fatte le dovute eccezioni: perché da noi non si è mai instaurato un sano principio di “cosa pubblica” e di condivisione degli scopi.
Perché siamo una comunità retrograda e primitiva dal punto di vista civico, un insieme in cui poche eccellenze isolate annegano in un oceano di opportunismi e di miope egoismo.
Un comportamento che col tempo ha fatto male a tutti.

Non costruire come comunità ha come conseguenza un progressivo e inesorabile impoverimento collettivo. Questo rapporto tra il soggettivo e il collettivo è di fondamentale importanza.
Guarda la scuola come ha mortificato, invece di incoraggiare, la creatività e la crescita personale, che è cosa ben diversa dal vacuo arrivismo e mania di protagonismo di cui sono infettati tanti infelici, destinati a vivere di sogni, e poi a destinati tristemente a soccombere quando i beni materiali non siano più tanto facilmente raggiungibili.
Gli psicofarmaci non bloccheranno i cambiamenti della storia, tamponeranno solo in parte molte coscienze rimaste vulnerabili.
Rimane il fatto che noi siamo deboli, come chi non si sia nutrito a sufficienza, non abbiamo sviluppato le difese naturali che portano a sopportare meglio gli attacchi e i cambiamenti che normalmente una società nei decenni deve saper affrontare.
Paghiamo lo scotto di avere tralasciato per decenni ogni investimento utile a fare crescita reale, come quelli sulla ricerca e sulla cultura in primis, sul rinnovamento della scuola, di conseguenza sullʼinformazione e sulla capacità di giudizio della grande maggioranza degli individui, allevati a forza di tabù e di false convinzioni, di miti nocivi e di vacue fedi.

Il musicista ha un ruolo troppo marginale in tutto questo, specie il musicista che non ricalca alcun cliché già vuotamente accolto dalla maggioranza. (I cantautori delle generazioni precedenti, ad esempio, godevano di un plebiscito di consensi, spesso alquanto gratuiti, per il semplice fatto di essere venuti in un periodo storico in cui tale attitudine aveva finito per affermarsi come la regola buona).
I nostri connazionali saranno ancora per un bel pezzo più interessati ad argomenti più triviali che ai contenuti, troveranno poco interessante leggere e informarsi, saranno facilmente vittime di manipolazioni e così via. La mia è una lettura molto generica, si intende, che tralascia dettagli anche significativi, ma la diagnosi, purtroppo, mi pare chiara.
Non vorrei però evitare di dare la mia ricetta: la cura la mettiamo in atto se sappiamo resistere, continuando a perseguire scopi più utili per tutti.
Ci si dimentica facilmente, cercando profitto ad ogni costo, che lavorare con le idee è e rimane il mestiere più socialmente utile. Il nostro Paese si è formato nella sostanza grazie allʼopera gratuita e altruista di tanti intellettuali semplici e profondi che in letteratura, in poesia, in informazione, in ricerca, nel cinema, nel teatro, hanno messo in circolo la base su cui si sono poi sviluppati i principi di democrazia che sono basilari. Oggi abbiamo, tra le altre nefandezze, persino imbonitori televisivi di sinistra che si riempiono le tasche facendo della volgare demagogia, ai danni di chi invece ha una durissima realtà quotidiana cui fare fronte ed è privo di strumenti di rivalsa.
Tuttavia io sono sereno, lavoro moltissimo, guadagno pochissimo, ma non sarò mai un fantoccio nelle mani di alcuno, e non ho mai smesso di dare un senso profondo alla mia vita: conoscere e poi ancora conoscere, e divulgare.
Eʼ lʼunico contributo che si possa dare in condizioni tanto precarie.
I politici più autentici siamo noi.

Dopo tanti decenni trascorsi tra palchi, studi di registrazione e quantʼaltro, dopo aver contribuito ad aprire tante strade con sappiamo quanti sacrifici e rinunce, credi di aver raccolto in maniera adeguata rispetto a quanto seminato?

La mia risposta qui è un seguito di quella precedente.
Sono di quelli che non si accorgono del passare del tempo, perché in me è più forte il desiderio di crescere, e mi pongo istintivamente di fronte alle cose, alle situazioni, agli eventi, cercando di imparare ogni volta da capo.
Nei fatti, con “sangue bianco”, è come se avessi ricominciato tutto da capo, facendo leva su tutto il bagaglio di esperienza accumulato nel tempo.
Ricominciare da capo ciò che già si conosce, col principio di migliorarsi, è qualcosa che fa bene, anche se può essere spaventoso, come tutte le terapie radicali, ma dopo un poʼ si sta meglio, ci si accorge che è buona cosa mettersi in gioco sempre e sempre un poʼ di più.
Questa mia predisposizione mi ha sempre fornito, insieme a una certa inevitabile dose di disadattamento, fortunatamente anche la forza di evitare i bilanci concreti, quelli da contabilità spicciola, le valutazioni del rapporto tra ciò che si è dato e ciò che si è acquisito.
Sono portato piuttosto a continui bilanci interiori, e questo mi ha salvato, devo ammettere, perché il sentirsi di continuo nellʼansia di un miglioramento, ti impedisce di sentirti arrivato da qualche parte, quindi vedi la strada che hai davanti a te e i suoi ostacoli, dimenticando in fretta quelli che hai già superato. Sei piantato nel presente.

Se dovessi fermarmi a fare un bilancio concreto, non cʼè dubbio che le conclusioni sarebbero molto amare.
Ho visto persone arrendersi per molto meno, e inoltre molti musicisti coi quali collaboro intendono il mestiere della musica come qualcosa che dovrà fruttare in un tempo “x” da loro stabilito, dopodiché si porranno altri traguardi.
Io non lʼho mai vista a quel modo. Piuttosto so con certezza che una ricerca è una ricerca, e non vuole limiti di alcun genere.
Meglio non pensare a quanto poco si è raccolto rispetto a quanto si è seminato, è il miglior modo che io conosca per dare sempre di più. Me lo devo, perché ho rischiato da subito tutto, quindi questa tensione è benedetta. Il tempo deciderà se quelli come me saranno stati degli illusi - un rischio che bisogna saper correre - oppure se la strada giusta, in mezzo a tanti errori, fosse proprio questa.

Sei un artista a 360 gradi che spazia dalla musica alla pittura, alla letteratura. La tua produzione è sempre legata ad una dimensione “tradizionale”, manuale, che sembra fregarsene delle nuove modalità di fruizione (web, mp3, ebook etc).
Eʼ unʼimpressione o una scelta deliberata ?


Lʼimpressione che io sia uno di quelli che insiste su tecniche tradizionali credo sia dovuta al fatto che concentro la mia attenzione sul contenuto.
I supporti che nel tempo si sono avvicendati e le tecniche nuove di comunicazione e di trasmissione dei dati non sono un problema per me, semmai non mi appassionano particolarmente, mentre riconosco il loro valore e il fatto che nel tempo esse rivoluzioneranno, come già sta accadendo, tutto lo scenario culturale. A patto che il loro utilizzo sia consapevole.
Ritorno però a dire che, un contenuto, sia esso scritto su un quaderno o su un portatile, su un tablet oppure inciso su un muro, rimane valido per ciò che trasmette, più che per il supporto che lo farà conoscere. Sono attento alle tecnologie quanto basta, cercando di circondarmi di persone più valide di me nel migliore utilizzo di esse. Vedo un serio pericolo piuttosto nel bieco appiattimento su mode o simili atteggiamenti che scaturiscono dal fraintendimento di certi mezzi (vedi gli idioti utilizzi di massa di certe piattaforme cosiddette “social”, la cui affezione compulsiva da parte di milioni di persone, è il segno dei tempi).
Qui però il discorso si fa delicato e ricco di sfaccettature, e ci vorrebbe tempo per sviscerarle senza risultare superficiale.
Il mio scritto precedente a “ex”, ad esempio, il romanzo “il più dolce delitto”, è stato presto disponibile in formato digitale, ed io non lo trovo né eccitante, né avvilente.
Non possiamo evitare di accorgerci che presto buona parte dellʼeditoria punterà su questo formato, quanto alla musica, la disintegrazione del supporto fisico è sotto gli occhi di tutti. Ciò che non deve sfuggirci, io credo, è il livello della produzione di pensiero.

Gli anni ottanta italiani hanno prodotto unʼinfinità di buona musica e di buoni gruppi che hanno spesso costituito la base per la generazione successiva (da Afterhours a Marlene Kuntz).
Poi sembra siano venute a mancare nuove generazioni che proseguissero quel cammino.
Chi attualmente ha un certo seguito è, nella maggior parte dei casi, ultraquarantenne. Abbiamo perso per strada qualche generazione ?


Quello sulla decadenza del valore in musica, di decade in decade, è un argomento molto spinoso e ricorrente.
Occorrono teste pensanti e poco inclini alla nostalgia per condurlo in modo coerente e corretto.
Lʼoggettività è il più difficile dei traguardi per una persona intelligente. Vi sono individui eccelsi, che posti di fronte a faccende che chiamano in causa argomenti che li toccano da vicino, affettivamente, generazionalmente eccetera, scadono in visioni terribilmente di parte.
Chi mi ha sentito parlare in pubblico o ha avuto occasione di leggere qualche mio intervento, sa che sono piuttosto immune alle nostalgie.
Mi sembrava doveroso introdurre anche qui questo preambolo.
Perché è vero che le generazioni di coloro che hanno avuto tra i venti e i trenta anni entro il 1990, sono anche generazioni di individui che hanno conosciuto un rapporto più duro con il raggiungimento di ogni meta si siano prefissi.
La difficoltà in una lotta, mette in campo abilità che non possono essere sviluppate da chi non ha mai saputo o ha dimenticato cosa significhi conquistarsi tutto: Penso che sia semplicemente in questa immagine la differenza sostanziale tra chi stia cercando di farsi largo oggi nella sempre più fitta giungla degli scenari artistici, rispetto a coloro che tentavano lo stesso traguardo anni prima.

Mi pare che proprio in ragione di una subentrata facilità di acceso a molte fonti di informazione, proprio in base a una sovrabbondanza di stimoli, si sia ingenerata una certa apatia nella capacità di discernimento di quelli che sono i nostri fini estetici e nonché etici.
Quindi non credo siano venute meno velleità e capacità artistiche, penso piuttosto che di recente, da ventʼanni a questa parte almeno, sia progressivamente divenuta talmente frastornante lʼofferta di strumenti e di contenuti, che sia stato davvero difficile forgiarsi.
Non posso spiegare, né vorrei farlo, a un ventenne del 2013 quanto fosse arduo procurarsi un disco con una distribuzione limitata, una volta deciso che le tue sorti artistiche potessero essere legate allʼascolto di quella certa musica.
Attese di settimane, viaggi per negozi eccetera, facevano sì che la tua fruizione di una singola opera, una volta ottenutala, divenisse totale.
Questa fame ha formato personalità, ha forgiato il carattere di chi doveva affrontare un mestiere tanto difficile da sembrare un viaggio che comportasse anche il non-ritorno.
Può darsi che le generazioni più recenti abbiano metabolizzato una certa apatia, spesso lamentandosi di quanta insipienza si sia depositata in tante cose, ma comunque rischiando di rispecchiarla nelle proprie prove. Tengo anche qui a sottolineare che il mio è un discorso piuttosto generico, mentre so che tanta parte della nuova produzione, è un forte ritorno alla musica, alla ricerca e allʼinnovazione.
Personalmente, spesso imparo molto da musicisti assai più giovani di me, e ho la presunzione di pensare che alcuni di essi possano trarre altrettanto profitto intellettuale dallʼincontro col mio lavoro. Questa simbiosi è la via che mi piace, e quella che mi offre continue conferme positive.

Che tipo di spettacolo stai portando in giro con Cristiano Godano ?

Bene, con Cristiano, (e per un breve tour qualche mese prima con Paolo Benvegnù), prendendo spunto dal mio libro “ex”, abbiamo forgiato un concerto in cui confluissero le suggestioni raccolte da entrambi nel tempo, provenienti dalla storia recente della musica come la intendiamo noi, e da quelli che come noi ritengono che la miglior musica nel novecento sia stata espressa da certo rock (e non tanto nei salotti bene dellʼintellighenzia accademica).
Così, fondendo le due diverse ma molto spesso confluenti sensibilità, la mia da una parte e quella di Godano dallʼaltra, abbiamo costruito un programma di brani che vanno da Velvet Underground sino a Beck, interpretati a turno da me e da lui, con il notevole e fondamentale apporto di altri due musicisti, Guido Maria Grillo, voce e chitarre, e Meg Russo al pianoforte. Inizialmente poteva essere un modo insolito di presentare un libro, illustrandone la colonna musicale di cui è per buona parte composto. Ma dʼaltra parte il libro è ricco di moltissima musica e della più disparata origine, così come da molti e differenti spunti tematici, che un concerto non può trattare.
Quindi il concerto si è evoluto nel corso dei mesi sino a diventare uno spettacolo in cui il testo e la musica viaggiano appaiati, con poche essenziali e cruciali letture in mezzo a molte versioni nostre di brani epocali, più qualche brano dal mio repertorio e dal repertorio dei Marlene. Sta venendo tutto talmente bene, e la risposta emotiva del pubblico che ci segue è tale, che da mesi lo portiamo in tutta Italia e lo faremo fino alla fine dellʼanno e per tutta la prima parte del prossimo.

Il classico finale con una lista di dischi che porteresti sulla solita isola deserta e qualcuno che consiglieresti come propedeutico ad un giovane a totale digiuno di musica di “un certo tipo”.

Le due selezioni coincidono.
Credo siano imprescindibili:
The Velvet Underground & Nico, VU
The Piper at The Gate of Dawn, The Pink Floyd
La Solitude, Lèo Ferrè
White Album, The Beatles
Berlin, Lou Reed
The End, Nico
Closer, Joy Division
Ágætis byrjun, Sigur Ròs
Sea Change, Beck
Is This Desire, PJ Harvey
In Rainbows, Radiohead
Cʼé molta altra musica seminale, naturalmente, ma questi per me rappresentano lʼessenziale.

12 commenti:

  1. Tantissimi spunti e una lucidità invidiabile. Grande Onorato.

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  2. well, devo dire che gli Underground Life mi piacevano parecchio ,...but dopo questa intelligente intervista mi piacciono ancora di più,...ha detto cose beaucoup condivisibili,..:) cumplimént

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  3. ma non c'era gia stata una sua intervista sul blog?
    C

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  4. sorry..era la rece dell'autobiografia
    C

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  5. Comunque belle tutte le interviste ma questa è una delle migliori.
    Personaggio mitico.

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  6. approprosito di interviste, avete letto quella di Videtti a Townshend uscita oggi su LaRepubblica? http://www.repubblica.it/spettacoli/musica/2013/10/22/news/pete_townshend-69104415/

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  7. Letta...(non nel senso del presidente del consiglio del cazzo).
    Per me Townshend è sempre stato un Dio e lo è tuttora ma queste dichiarazioni sempre un po' critiche nei confronti del passato, spesso demolitrici del mito, tra disillusione, rimpianti etc, mi hanno un po' rotto....

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  8. artista di spessore per intelligenza e creatività, bella intervista

    la parte sull'essenza del punk è da incorniciare

    -tutti possono essere protagonisti del proprio tempo, tutti possono prendere in mano la propria esistenza, invece di rimanere passivamente supini rispetto a coloro che vengono eletti come i più bravi, i più capaci eccetera-


    You set the scene - Love

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  9. Cortez sei stato benedetto dalla soundtrack di "Way To Beat" visto le tue citazioni..You Set The Scene,Surf's Up (Child is the Father of the Man)...ne sono ORGOGLIOSO!

    C

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