venerdì, ottobre 31, 2014

Ottobre 2014. Il meglio del mese



Alla fine del 2014 i nomi che finiranno nella top 10 di fine anno: Damon Albarn, Sleaford Mods, Sharon Jones and the Dap Kings, Ty Segall, Benjamin Booker, The ghost of a saber tooth tiger, Bob Mould, Jack White, Lisa and the Lips, Pete Molinari, St.Paul & the Broken Bones, Hypnotic Eye, Quilt, Nick Pride and the Pimptones, Temples, Real Estate, Kelis, Stiff Little Fingers, Ian Mc Lagan, The #1S, Ty Segall, John Steel Singers, Blonde Redhead , Robert Plant, Sean Rowe, Goat, Leonard Cohen, Wanton Bishops, Marianne Faithfull, Macy Gray.
Tra gli italiani Eugenio Finardi, Edda, Bologna Violenta, Steeplejack, Gli Illuminati, Bastard Sons of Dioniso, No Strange, Jane J’s Clan, Link Quartet, Nada, Monkey Weather, Plastic man, Guignol, Mads, Sick Rose, Paolo Negri, Avvoltoi, A toys Orchestra, News for Lulu, Paolo Conte.


ASCOLTATO

EDDA - Stavolta come mi ammazzerai?
Il nuovo album di EDDA è ENORME.
Perchè è durissimo pur essendo spesso melodico e arrangiato ma impressiona (direi che spesso SPAVENTA) per quanto è crudo, diretto, spietato. Soprattutto è DIVERSO DA TUTTO.
Non capita ormai quasi più....

MARIANNE FAITHFULL - Give my love to London
Si è mosso uno stuolo di grandi nomi per il nuovo album di Marianne, da Roger Waters (splendida la sua Sporrow will sings”) a Nick Cave (e due Bad Seeds che suonano), Leonard Cohen, Anna Calvi e altri. Risultato finale più che ottimo tra ballate scurissime, brani dal sapore Loureediano, tanto pathos.

MACY GRAY - The way
Torna la grande Macy Gray con un album molto, molto bello in cui spazia tra i più svariati ambiti della BLACK MUSIC, dal soul al blues, funk e disco. Il tutto con gusto, raffinatezza, classe e, soprattutto, un sound modernissimo.
Uno degli album più interessanti e piacevoli dell’anno.

MARK LANEGAN - Radio phantom
Non che Mark Lanegan sia uno così vario nelle sue produzioni.
Vociona, blues moderno, ballatone alcoliche, un po' di elettronica ben dosata, deserto, bar fumosi etc etc
Il nuovo album non si discosta di certo ma è un buon disco che si ascolta con piacere e riesce a dare brividi e buone sensazioni.

PAOLO CONTE - Snob
Paolo Conte ha 77 anni e ancora voglia di incidere, andare in tour e fare album come “Snob” che anche se non dicono niente di particolarmente nuovo riescono ad essere il massimo della classe, raffinatezza, eleganza e a mettere in riga generazioni di musici vecchi e nuovi.
Un rispettoso inchino.

JOHN DE LEO - Il grande Abarasse
Johm De Leo ha sempre fatto cose interessantissime fin dai Quintorigo, lasciati da ormai oltre dieci anni.
Il nuovo album è un concept in cui spazia alla grande tra i consueti riferimenti vocali a Demetrio Stratos , jazz, pop, rock.
Tra i nomi più personali e originali in circolazione in Italia e non solo.

RANCID - Honor is all we know
Un buon ritorno a base del consueto Clash/punk-rock/Oi! style con qualche incursione nel lo ska e nel primo hardcore. Sempre ben suonato e convincente anche se lontanissimo dal capolavoro “Let the dominoes fall”.

CHERRY BOOP AND THE SOUND MAKERS - The way I am
Non è un capolavoro l'album d'esordio della band francese ma un semplice, DELIZIOSO, ballabile, gradevolissimo album SOUL, con sapori MOTOWN e struggenti ballate bluesy.

ALEXIA COLEY - Keep the faith !
Ottimo esordio per la londinese Alexia Coley.
Deliziosi brani soul, ritmi Motown, approccio di sapore Amy Winehouse, belle le canzoni e gli arrangiamenti, sound vintage ma fresco e moderno (e titolo esplicito...).

EMMA DONOVAN & the PUTBACKS - Drawn
Aborigena australiana passata dal gospel al soul.
Soul music scarna, dura, severa, niente fiati, ritmiche funk, influenze afro, voce poderosa e malinconica, grandi brani e groove da vendere. Da seguire con attenzione.

BILLY BOY ARNOLD - The blues and soul
Lui era l’armonicista di Bo Diddley e l’autore di “Ain’t got you” e “Wish I Would” degli Yardbirds, più un sacco di altre cose.
Ha ormai 80 anni e sfodera ancora un grande disco blues e rock blues, essenziale, diretto, bello crudo e pieno di energia.

NEIL YOUNG - Storytone
NEIL YOUNG non finirà mai di stupire.
Questa volta con un album in cui si avvale di un'orchestra di 92 (!) elementi, coro, grande sezione fiati.
E si spazia da dolci ballate delicatamente orchestrate a torridi rhythm and blues a swing in cui l'improbabile voce di NEIL veste i panni da crooner navigato.
Molto piacevole, divertente, sorprendente e curioso.

FOXYGEN - And star power
Po(n)deroso doppio album che sbatte tra psych, glam, mille influenze, follie sonore varie ma che alla fine, personalmente, convince poco. Molto dispersivo e confuso con “sperimentazioni” che appaiono gratuite.

JOHNNY MARR - Playland
Tanto bello il precedente “The messenger” tanto (mi) delude il nuovo “Playland”.
Qualche scatto di classe c’è (la title track ad esempio) ma è il mood generale che lascia perplessi con un sound che attinge a piene mani alla post wave 80s’ (New Order, Joy Division, Echo & the bunnymen) e con qualche (furbetto?) sgaurdo a Franz Ferdinand e Arctic Monkeys a scapito di quell’approccio di gusto 60’s che aveva permeato lo stile Smiths.

A TOYS ORCHESTRA - Butterfly effect
Il sesto episodio della ricca carriera discografica segna un ulteriore passo in avanti nella progressiva maturità artistica del gruppo campano in virtù di un sound sempre più personale che riesce a condensare le più svariate influenze (dall’elettronica al brit rock, da suggestioni 60’s a poderosi cambi di ritmo in odore di glam rock come ne trasuda la granitica “Mary”) mantenendosi però costantemente e solidamente nel solco del pop più colto e ricercato.
Quello che colpisce è la caratura internazionale della band che non ci stupiremmo vedere scalare le classifiche inglesi o americane.
Produzione di prima classe, brani curatissimi, arrangiamenti superbi, sonorità attualissime ma che si avvalgono di colori lontani.

THURSTON MOORE - The best day
I Sonic Youth sono morti, lunga vita ai Sonic Youth !
Non che la loro anima noise, nelle vesti di Thurston Moore, corra il rischio di annoiarsi senza la creatura primigenìa (spentasi da tre anni), abituata com’è a tuffarsi in un incalcolabile numero di progetti solisti, collaborazioni, sperimentazioni, ospitate.
The best days è il quarto album solista e sembra volere dare ancora voce all’anima defunta dei Sonic Youth di cui ricalca spesso e volentieri i passi del lungo cammino, tra chitarre aspre e abrasive, basi ritmiche ossessive e crude, in cui innesta improvvisazioni “soniche”, parentesi acustiche e melodie dolenti che conservano quel gusto inquietante per un pop sgangherato e obliquo che fu tra i marchi di fabbrica della band madre (vedi la title track o lo strumentale Grace Lake).
Tra gli otto brani gli oltre undici minuti in odore di Velvet Underground di Forevermore e la conclusiva Germs burn che sembra volere coniugare la rabbia punk targata '77 con la raffinatezza dei Television di Marquee Moon.

NANA BANG! - In a nutshell
I NaNA Bang arrivano da Brescia, sono solo in due, ma in grado di produrre un wall of sound tribale e primitivo , potente e granitico come pochi.
Alle spalle un solido background di blues, psichedelia, country, ruvido rock n roll che porta a momentanei flashback di grande efficacia.
A tratti ci senti Bo Diddley, poi i primi Rolling Stones, i Black Keys, i Violent Femmes, melodie beatlesiane, o quelle lisergiche dei Pink Floyd di Syd Barrett e finire per creare un amalgama originalissimo, vitale, elettrizzante che si avvale anche di un tono (auto) ironico e leggero che rende l’ascolto ancora più godibile.

PICTUREBOOKS - Imaginary horse
Duo tedesco alle prese con un blues sporchissimo, un immaginario biker e l’estremizzazione esponenziale del Jack White più duro. Molto interessanti.

ABY NGANA DIOP - Lilal
Cantante griot senegalese, realizzò questo album nel 1994 solo su cassetta.
Un lavoro stranissimo di sole percussioni e voci, tribale all’estremo, potente, ipnotico, primitivo. Scioccante !

FLAMING LIPS - With a little help from my fwends
I Flaming rifanno per intero “Sgt Peppers” rendendolo bizzarro con arrangiamenti di vario tipo tra psichedelia e Residents con un sacco di ospiti tra cui Miley Cyrus, Foxygen, Moby, J Mascis)...alla fine: inutile.

ASCOLTATO ANCHE
SILK RHODES (soft soul funk con abbondanti occhiate a Prince. Godibile), ELIZABETH SHEPERD (elegante e raffinato soul pop, molto dalle parti di Sade), FRAZEY FORD (un buon Memphis soul con tanto di Hi Rhythm Section , la band di Al Green, a supporto) DOPPIA PERSONALITA’ (pop dalle venature rock e funk vicino agli INXS), LESTER GREENOWSKY (leader dei Letser and the Landslide tra punk rock, glam, rock n roll più basico allo street hard rock alla Dictators), SILVIA CARACRISTI (folk minimale, forte impronta pop, contaminazioni elettroniche (sempre molto discrete e mai invasive), strumentazione prevalentemente acustica tra Emiliana Torrini e Maria Antonietta), MEDICINE (shoegaze fortemente psych per il trio americano ma senza entusiasmare), JOE PELT (dall’Olanda tra blues, country, ragtime. Discreto), NELIDE BANDELLO (fusion, prog, free jazz, alt rock, post rock. Minimale e severo ma interessante)

LETTO

Andre Agassi - Open
Uno dei migliori libri di sport mai letti.
Agassi, uno dei grandi della storia del tennis, narra della sua complessa vicenda sportiva, i trionfi e le cadute, senza peli sulla lingua, rivelando aspetti inediti (l’uso di droghe e di alcool etc, le imposizioni crudeli del padre etc) ma, soprattutto, raccontando, riuscendo a trasmettere una tensione incredibile, di partite giocate fino all’ultimo colpo. E ti sembra di essere lì, con lui, con il fiato sospeso, in attesa della battuta dell’avversario. Consigliatissimo.

John Kennedy Tool - Una band di idioti
Unanimemente considerato un capolavoro, festival del surreale e grottesco ma lucidamente rappresentativo di un’America profonda razzista, becera, meschina, degradata moralmente, intimamente marcia, dove il protagonista Ignatius, borderline completo, alla fine ne esce, paradossalmente, come l’elemento migliore e positivo. Libro molto divertente e piacevole ma sinceramente ben lontano dal concetto di “capolavoro”.

Stefano Iachetti - Asia Argento: la strega rossa
Splendido omaggio ad Asia Argento (in italiano e inglese) in 200 pagine ricchissime di foto, documenti rari (alcuni, motivo di vanto, forniti dal sottoscritto), scritti e una biografia lontanissima dalla consueta agiografia.
Ovvia filmografia completissima, aneddoti, curiosità, preziosi inediti. Grafica elegantissima e ricercata, eccellente lavoro.

Joyello Triolo - Dentro questi specchi
Fausto Rossi / Faust’O è stato tra i musicisti più innovativi della scena musicale italiana.
Solo una ristretta nicchia di appassionati ne ha riconosciuto il reale valore artistico, il ruolo di pioniere in ambito new wave alla fine degli anni 70 con album come “Suicidio”, “J’accuse amore mio”, l'elettronico avanguardista “Out now”.
La carriera è poi proseguita nell’ombra senza più trovare la ribalta degli inizi anche a casa di un carattere che definire “spigoloso” è un eufemismo. Il “nostro” Joyello Triolo ripercorre in “Dentro questi specchi” la carriera, dai classici titubanti esordi in cantina all’approdo alla CGD, attraverso la discografia minuziosamente commentata.
Il tutto con la consueta capacità e competenza di Joyello di cogliere l’essenza della proposta artistica che riesce a travalicare l’impulso naturale del fan.
Libro agile, veloce ed essenziale per (ri)scoprire un personaggio essenziale della scena musicale italiana.
Allegato il QRCode per un album tributo a Rossi con la partecipazione tra gli altri di Umberto Palazzo, Roulette Cinese, Humpty Dumpty, lo stesso Joyello, Egokid e tanti altri.

COSE & SUONI
Lilith and the Sinnersaints
Autunno e inverno in studio di registrazione per il nuovo album che uscirà a marzo 2015 e sarà accompagnato da un nutrito numero di date.
Stay in touch.

www.lilithandthesinnersaints.com
https://www.facebook.com/LilithandtheSinnersaints

Mie recensioni su www.radiocoop.it

IN CANTIERE

Finalmente vedrà la luce il libro su Paul Weller, a febbraio 2015, per VoloLibero
In preparazione un libro sul Festival Tendenze in occasione della 20° edizione.

giovedì, ottobre 30, 2014

Get Back. Dischi da (ri)scoprire



Ogni mese la rubrica GET BACK ripropone alcuni dischi persi nel tempo e meritevoli di una riscoperta.

Le altre riscoperte sono qui:

http://tonyface.blogspot.it/search/label/Get%20Back

PERIGEO SPECIAL - Alice
Nel 1980 Giovanni Tommaso bassista del PERIGEO, tra le migliori band di jazz rock italiane dei 70’s, realizza, con il copioso aiuto di una serie di importanti amici un concept album sulla storia di “Alice nel paese delle meraviglie” rapportato in chiave moderna.
Al suo fianco membri del Perigeo e ospiti speciali come Lucio Dalla, Anna Oxa, Rino Gaetano, Maria Monti, Nino Buonocore, Jenny Sorrenti, Ivan Cattaneo.
Il doppio album spazia tra una jazz fusion solare, eseguita alla perfezione e a tratti spettacolare e brani più pop, conditi da atmosfere funk e rock. Progetto ovviamente circoscritto al concept ma ugualmente godibile e ricco di ottimi spunti.

NEW DADA - I’ll go crazy
Guidati dal fascinoso Maurizio Arcieri e caratterizzati da un look sempre elegantissimo vicino all’estetica 60’s dandy, i New Dada furono protagonisti di un sound molto crudo tra garage beat e crudo rhythm and blues, supportando tra l’altro Beatles e Who.
Durarono poco, dilaniati da litigi e cause legali e affossati dal successo che ottenne Maurizio Arcieri come solista (prima di passare ad atmosfere pop romantiche, poi al prog, alla disco, alla new wave, all’elettronica etc etc etc).
Oltre a sette 45 giri hanno lasciato un pregevole album del 1966, intitolato “I’ll go crazy” dall’omonimo brano di James Brown. Nell’album anche una minimale e dura versione di “Sick and tired” di Fats Domino (“Non dirne più”), la celebre “Batti i pugni”, “Who’ll be next in line” dei Kinks, la bella “15° frustata”, l’infuocato R&B di “T bird”.
Un lavoro da riscoprire e dal quale rimanere piacevolmente stupiti per la freschezza e la genuinità del loro ruvido sound.

LINDA MC CARTNEY - Wide prairie
Dopo la tragica scomparsa della moglie Linda, Paul McCartney nel 1998 decise di raccogliere in album omaggio tutti i brani che nel corso degli anni la consorte aveva cantato, la maggior parte dei quali inediti.
Alla fine sono 16 episodi nella maggior parte dei quali Paul appare nella più svariata gamma di apporto strumentale (talvolta anche alla voce), come autore e come produttore.
Al loro fianco il più delle volte i Wings.
I brani sono stati incisi dal 1972 al 1998, incluso “The light comes from within”, registrata il 18 marzo 1998, un mese prima della scomparsa di Linda che nel brano canta e suona il piano, accompagnata da Paul e dal figlio James (figlio unico di Paul e Linda) alla chitarra.
Il livello qualitativo è scarso, solo una curiosità per i completisti beatlesiani, con una curiosa propensione per i brani influenzati dal reggae, qualche accenno country e bizzarrie varie.
Tra le sensazioni più curiose e paradossali e la somiglianza della voce con quella di Yoko (...) e come “Love’s full of glory” potrebbe trovarsi sia un album di John Lennon che su uno di George Harrison....

mercoledì, ottobre 29, 2014

Intervista a CRISTINA DONA'



Dopo FEDERICO FIUMANI dei DIAFRAMMA, al giornalista FEDERICO GUGLIELMI, ad OSKAR GIAMMARINARO, cantante e anima degli STATUTO, al presidente dell'Associazione Audiocoop GIORDANO SANGIORGI, a JOE STRUMMER, a MARINO SEVERINI dei GANG, a UMBERTO PALAZZO dei SANTO NIENTE, LUCA RE dei SICK ROSE, LUCA GIOVANARDI e NICOLA CALEFFI dei JULIE'S HAIRCUT, GIANCARLO ONORATO, LILITH di LILITH AND THE SINNERSAINTS, a Lorenzo Moretti, chitarrista e compositore dei GIUDA, il giornalista MASSIMO COTTO, a FAY HALLAM, SALVATORE URSUS D'URSO dei NO STRANGE, CESARE BASILE, MORENO SPIROGI degli AVVOLTOI, FERRUCCIO QUERCETTI dei CUT, RAPHAEL GUALAZZI, NADA, PAOLO APOLLO NEGRI, DOME LA MUERTE, STEVE WHITE, batterista eccelso già con Style Council, Paul Weller, Oasis, Who, Jon Lord, Trio Valore, il bassista DAMON MINCHELLA, già con Paul Weller e Ocean Colour Scene, di nuovo alla corte di Paul Weller con STEVE CRADOCK, fedele chitarrista di Paul, STEFANO GIACCONE, i VALLANZASKA, MAURIZIO CURADI degli STEEPLEJACK e la traduzione di quella a GRAHAM DAY, CARMELO LA BIONDA ai MADS, oggi è un onore ospitare CRISTINA DONA'.

Le precedenti interviste sono qua:
http://tonyface.blogspot.it/search/label/Le%20interviste

L'intervista e recensione sono per gentile concessione di www.radiocoop.it

Cristina Donà - Così vicini
Tra le autrici e voci più particolari della scena musicale italiana, molto parca e attenta nelle sue produzioni (questo è il settimo album in 17 anni) ma generosa nelle numerosissime collaborazioni con artisti nostrani ed internazionali, CRISTINA DONA' arriva, dopo tre anni di silenzio, ad un nuovo eccellente lavoro.
“Così vicini” ritrova l’immediatezza e la spontaneità degli esordi, un linguaggio sonoro diretto e più asciutto, un approccio più ponderato e malinconico nella poetica che conferma la maturità e lo spessore della Donà.
Brani come la title track o la veloce e travolgente “Siamo vivi” sono i vertici dell’album che vive però interamente di una verve e di un fuoco che è raro ascoltare sui nostri lidi.


I tuoi album escono generalmente con pause relativamente lontane l’uno dall’altro. Hai spiegato una volta che è a causa del tuo perfezionismo, Confermi ?
Anche “Così vicini è stato “vittima” del tuo perfezionismo ?


Un po’ si, diciamo che me la prendo comoda perchè non voglio fare uscire qualcosa se non ne sono convinta.
Tranne in un caso non ho mai avuto tempi rigidi che mi hanno costretta a forzare la scrittura o la composizione dei brani.
Nel caso di “Così vicini” c’è stato molto tempo rispetto al precedente “Torno a casa a piedi” ma ho scritto anche tante canzoni per altri, a parte anche la vita privata che è abbastanza impegnativa.
Perfezionismo si ma anche tanto lavoro e ho ritenuto di poterlo pubblicare solo quando era completato e tutto a posto.

Io ho trovato “Così vicini” più immediato, diretto, asciutto.

La cosa buffa è che c’è chi lo trova più difficile e chi lo trova più immediato.
Io ho lavorato nella scrittura dei testi affinchè fossero molto diretti il che non significa che fossero capiti subito ma che come caratteristica non fossero troppo lunghi e che contenessero un po’ di spunti che volevo più diretti possibile.
L’idea è legata ad una conversazione a due, idea arrivata piano piano, non a priori, però vedevo che uscivano brani sempre in quella direzione come se volessi amplificare questa conversazione ma senza troppi giri di parole. Ho dovuto quindi asciugare molto il linguaggio che tra l’altro è una cosa che mi piace fare visto che nella vita normale non ci riesco mai.
E’ una cosa che ho detto subito a Saverio (Lanza, principale collaboratore e co-autore dei brani), venendo da un album molto ricco musicalmente, è stato quello di fare un altro tipo di percorso, come spesso mi capita.
Mi fa piacere che tu abbia questa impressione.
Chi era partito e mi aveva conosciuta dal precedente album, con sonorità e un linguaggio più “spensierati” ha trovato questo album un pochino più ostico. Chi invece mi segue da prima ha ritrovato in questo lavoro quell’asciuttezza che negli ultimi album non c’era.

I brani “Il tuo nome”, “Corri da me” e “Siamo vivi” sono uniti come se appartenessero ad una piccola suite.
E’ una scelta sonora o testuale ?


E’ una scelta sonora, soprattutto tra “Il tuo nome” e “Corri da me”.
In realtà scopri delle cose a posteriori che non hai scelto consciamente ma che hanno dei legami e che ti hanno portato a fare delle scelte quasi a livello subliminale.
“Il tuo nome” e “Corri da me” li abbiamo uniti perchè ci sono dei “la la la” in entrambi, diversi metricamente ma che una volta fatta la scaletta mi sono accorta che pur essendo affini quelli di “Il tuo nome” sembrava “spingessero” quelli iniziali di “Corri da me” e quindi...e poi è una cosa che non avevo mai fatto nei miei album.
Sembra stupido farlo perchè quasi nessuno ascolta più un album dall’inizio alla fine ma quelli che lo fanno magari lo apprezzano.
Anche il legame tra “Corri da me” e “Siamo vivi” è una scelta sonora ma in realtà c’è anche un’affinità nel testo: si parla di pianeti nello spazio e questa sospensione amplifica anche un po’ le domande che ci sono all’inizio di “Siamo vivi”: da quanto non ti fermi ? da quanto tempo ?
Facendo questi esperimenti di scaletta che in realtà è stata molto facile da fare questa volta - di solito ci impiego delle settimane, mentre questa si è composta un po’ da sola - ho scoperto che c’erano per me dei legami di significato anche legati alla canzone oltre che di suono.

Sei nata e cresciuta a Milano ma ti sei poi trasferita nella profonda provincia.
Cambia l’approccio compositivo vivendo “ai margini” territoriali di dove per antonomasia succedono le cose e si fa musica ?


Io ho incominciato a scrivere canzoni mie quando mi sono trasferita in campagna e vorrà dire qualcosa.
Anche se le prime non avevano molto a che fare con la natura però questo territorio mi ha dato la possibilità di suonare grazie anche ad una serie di coincidenze si è creata una rete di locali.
La mia prima esibizione con chitarra e voce è stata nel 1991 in apertura degli Afterhours ma non facevo ancora miei brani.
Poco dopo suonai nel tuo locale a Piacenza (il Beethoven ndr) con Carnival of Fools e Afterhours e fu lì che vidi una mostra di disegni ispirati a un libro di Claudio Galuzzi (poeta e scrittore) e leggendo quella sera una sua poesia dalla raccolta “La pianura dentro” mi venne voglia di scrivere una mia canzone.
All’inizio di quel libro c’era qualcosa che aveva a che fare con una piccola faccia e infatti poco dopo è nato il brano “Piccola faccia” che è poi finito in “Tregua” (album d’esordio di Cristina del 1997).
A un certo punto ho avuto proprio il bisogno di scrivere cose mie e se nel primo album la natura non è proprio presente da “Nido” in poi ci sono invece tantissimi riferimenti. Un po’ perchè uso la natura come metafora, un po’ perchè quando vado a camminare ritrovo quel silenzio che non abbiamo più neanche abitando isolati perchè comunque abbiamo un collegamento internet, ad esempio. E comunque, senza voler fare il guru, ne voglio parlare affinchè le persone prendano coscienza su quanto ci siamo allontanati dalla natura, dal paesaggio, dal fatto che la sentiamo come qualcosa che non ci appartiene, quando in realtà siamo noi che apparteniamo alla natura e dovremmo ritrovare il giusto rispetto, visto che è sotto gli occhi di tutti quello che sta succedendo.
E’ un tema che mi è molto caro.

Sei partita dalla scena indipendente per poi approdare ai piani più alti della discografia.
Quanto cambia, se qualcosa cambia ?


Quando sono passata dalla Mescal alla EMI, tra l’altro tramite la Mescal che vendette il catalogo ed alcuni artisti al roster della EMI, un po‘ avevo paura, ma che è passata subito perchè ho capito che nessuno pretendeva e ha mai preteso cose diverse da quelle che proponevo.
Avevo fatto un certo tipo di percorso e quello che portavo lì era la mia identità, non quella di qualcunaltro o qualcosa da trasformare.
Ci sono delle chiavi che le major hanno in più rispetto alle piccole etichette, vedi ad esempio per SanRemo o alcune trasmissioni TV o per le radio.
La mia scelta di pubblicare questo album è comunque attraverso piccole entità (ad esempio il master è mio perchè con il mio manager abbiamo deciso di investire in base a dei conti che abbiamo fatto).
Le cose sono cambiate un po’ negli ultimi anni.
Ad esempio gli anticipi (che le case discografiche corrispondo agli artisti prima dell’uscita dell’album ndr) che fanno un po’ la differenza non sono più così significativi e in più adesso sono rimaste solo tre grosse case discografiche e uscendo con loro devi fare i conti con tutto il grande catalogo che loro hanno con tutte le uscite che devono promuovere e quindi rischi di prendere pochi soldi e di essere promossa per un tempo breve, non per cattiveria ma per questioni logistiche.
E così stavolta con Qui Base Luna e altre realtà abbiamo deciso di fare da noi.
Ad esempio RadioDeeJay che aveva passato brani dei precedenti dischi non ha mandato “Così vicini”.
Temo che dipenda dall’appartenenza alla major.

Hai incontrato tantissimi personaggi della musica con cui hai collaborato.
Chi ti ha più impressionato come artista, umanità etc ?


Al di là dei miei produttori che amo tantissimo ancora adesso sicuramente Robert Wyatt.
Se metti insieme la sua umanità, la sua generosità e lo spessore artistico che ha e anche le difficoltà di vita che ha incontrato e che incontra tutti i giorni devo dire che lui mi ha insegnato tantissimo, mi ha mostrato un lato della musica e degli esseri umani, tutto collegato insieme che non è facile trovare.
Mi reputo fortunata ad aver lavorato sempre con persone molto disponibili ma se vogliamo considerare anche la fama è veramente il caso di un artista fuori da ogni logica, nel bene ovviamente.

La band ideale con cui ti piacerebbe suonare (valgono anche i defunti…)

Intanto, se posso osare, mi piacerebbe molto avere al mio fianco Lucio Battisti, poi alla batteria Matt Johnson che suonò in “Grace” di Jeff Buckley, lo stesso Jeff alla chitarra e al basso Paul McCartney.

L'inevitabile lista di dischi da portare sull' isola deserta

Innanzitutto un disco che ho ascoltato molto negli ultimi anni, anche se non so se mi creerebbe più incubi che altro, ma che mi è piaciuto molto e si chiama “Tamer animals” degli Other Lives.
Non vorrei fare la giurassica ma non è facilissimo trovare cose nuove dopo che sono anni che ascolti di tutto, sai quando ti dicono “Senti questi” “Ma veramente mi sembrano i Led Zeppelin”, che tra l’altro è un altro gruppo che prenderei volentieri come backing band. Poi un’antologia di Battisti, un disco dei REM, magari “Green” che mi piace molto, una bella antologia di De Andrè e “Blue” di Joni Mitchell che mi mette di buon umore.

martedì, ottobre 28, 2014

Come i Beatles - 2



Grazie ad una competentissima lista inviata da LUCA RE, storica voce dei SICK ROSE (la prima foto è della sua personale collezione di vinili) ci addentriamo con questa nuova rubrica in una serie di album, usciti DOPO lo scioglimento dei BEATLES, fortemente influenzati dal sound dei Fab Four.
Spesso veri e propri gioielli dimenticati e che vale la pena di riscoprire.


La prima puntata qui:
http://tonyface.blogspot.it/search/label/Come%20i%20Beatles

UTOPIA - Deface the music
L’amore per la sperimentazione e per l’azzardo sonoro di Todd Rundgren sono noti ma stupì parecchio nel 1980 e continua a sorprendere tutt’ora l’incredibile esercizio di stile di “Deface the music”. Il quartetto compone ed esegue 13 nuovi brani ispirandosi direttamente al repertorio dei Beatles ma con la superba abilità di far apparire ogni episodio come se fosse un inedito dei Fab Four.
Ancora più divertente scoprire i riferimenti più o meno espliciti di ogni episodio a brani più o meno famosi dei Beatles. Il risultato finale è piacevolissimo e soprattutto vi si scorge il seme della genialità (da sempre insito nel Dna di Todd).
Album delizioso e consigliatissimo.

BADFINGER - Wish you were here
Facile prevedere l’inserimento della band di Pete Ham e soci da sempre vicinissimi ai Beatles con cui hanno collaborato in varie forme sia durante i 60’s (erano con la Apple Records anche nell’incarnazione precedente come The Iveys) che dopo lo split.
Questo è probabilmente il migliore, più ispirato e completo album della loro produzione, dalla sorte sfortunata (fu ritirato dal commercio dopo poco tempo per questioni legali con l’etichetta) ma che regala un pop beatlesiano, sontuosamente arrangiato, figlio diretto di “Abbey Road” e molto vicino al Macca mid 70’s con una qualità compositiva di altissimo livello.

THE KEY - Fit me in
Duo anglo tedesco che registrò, fuori tempo massimo (nel 1978 infuocato di punk e new wave) un delizioso lavoro vicinissimo all’estetica sonora dei Wings di qualche anno prima (periodo “Band on the run”) ma che non disdegna stupende citazioni chitarristiche che potrebbero essere tranquillamente eseguite da un George Harrison in stato di grazia e che non manca di omaggiare i Beatles tardo 60’s.
In mezzo arrangiamenti e sonorità che abbiamo speso trovato negli album di Badfinger, 10 cc, ELO.
Spesso l’impressione è di trovarsi di fronte a qualche brano perduto di Paul (vedi “Peretty little star” tra i tanti) ma è tale la qualità delle composizioni e degli arrangiamenti che, per quanto derivativo, questo album splende di luce propria e rimane una gemma sconosciuta che d'obbligo riscoprire.

lunedì, ottobre 27, 2014

Gli album più venduti di tutti tempi



In Italia un album diventa Disco di Platino dopo aver venduto 50.000 copie, per gli Stati Uniti invece bisogna toccare quota un milione.
Il 2014 sarà il primo anno in cui l'America non riuscirà ad assegnarlo, salvo sorprese nei prossimi due mesi.
Lontani i tempi in cui i dischi si vendevano a vagonate e i dati successivamente elencati sono probabilmente destinate a rimanere tali forse per sempre.
Dati da sempre piuttosto controversi (c’è chi non calcola le ristampe, i calcoli di molti paesi pare siano imprecisi, spesso l'approssimazione arriva dalle stesse case discografiche in funzione promozionale).
Facendo un sunto delle varie classifiche in circolazione:

Michael Jackson - Thriller - 65/115 milioni di copie
(E’ incredibile come la cifra non sia mai stata certificata e sia ancora oggetto di numerose discussioni.
Vendette 27 milioni nel primo di uscita nel 1982 ed è rimasto primo nelle classifiche Usa per due anni consecutivi. Numerose ricerche hanno provato a definire il dato reale ma senza mai riuscirci in maniera attendibile
)
AC/DC - Back in black - 52 milioni
Pink Floyd - Dark side of the moon- 50 milioni
Mariah Carey - Music box - 48 milioni
Michael Jackson - Dangerous - 48 milioni
Michael Jackson - Bad - 46 milioni
Meat Loaf - Bat out of hell - 43 milioni
Eagles - Greatest hits 1971-1975 - 43 milioni
Soundtrack - Dirty Dancing 42 milioni
Soundtrack/Bee Gees - Saturady night fever 41 milioni
Whitney Houston - Bodyguard 44 milioni
Backstreet Boys - Millenium 40 milioni
Madonna - The immaculate collection 40
Michael Jackson - History Past present future 40
Fleetwood Mac - Rumours 40

Seguono poi tra gli il IV dei Led Zeppelin (37 milioni), “Appetite for desctruction” dei Guns and Roses (36 milioni), Dire Straits con “Brothers in arms” (35 milioni), “The wall” dei Pink Floyd (33), “Sgt Peppers” , “One” e “Abbey Road” dei Beatles (ognuno con 30) e “Born in the USA” di Springsteen (sempre 30).
Primo degli italiani Umberto Tozzi con i 29 milioni di “Gloria”

domenica, ottobre 26, 2014

La miniera di Mirny



La fine del mondo è la rubrica domenicale che va ad esplorare i luoghi abbandonati dalla storia o comunque estremi.

I precedenti post
:
http://tonyface.blogspot.it/search/label/La%20fine%20del%20mondo

La miniera di Mirny sorge a fianco dell’omonima città in Jacuzia nella profonda Siberia russa.
Profonda 525 metri e larga 1.200 fu scoperta nel 1955 dai geologi Yuri Khabardin Ekaterina Elagina e Viktor Avdeenko (che ricevettero per questo il prestigioso premio Lenin) e ha fornito diamanti per oltre 44 anni (2.000 kg all’anno), tra l’altro eccellenti dal punto di vista della purezza e della bellezza, prima di chiudere nel giugno 2004.

Ci lavoravano abitualmente 3.600 operai (in condizioni estreme nel rigidissimo e lunghissimo inverno siberiano che dura come minimo sette mesi).
A fianco della miniera sorge la cittadina di Mirny attualmente abitata da circa 35.000 persone.
Lo studio di architetti “AB Ellis” ha sviluppato un progetto di “eco città” che potrebbe essere costruita al centro del cratere, ospitando più di 100 persone su tre livelli, con aree dedicate alla ricreazione e all’intrattenimento.
Particolare inquietante:
è vietato il sorvolo della miniera a causa di un sospetto effetto di aspirazione che ha causato la caduta di una serie di elicotteri.

sabato, ottobre 25, 2014

Dentro questi specchi di Joyello Triolo



Fausto Rossi / Faust’O è stato tra i musicisti più innovativi della scena musicale italiana.
Solo una ristretta nicchia di appassionati ne ha riconosciuto il reale valore artistico, il ruolo di pioniere in ambito new wave alla fine degli anni 70 con album come “Suicidio”, “J’accuse amore mio”, l'elettronico avanguardista “Out now”.
La carriera è poi proseguita nell’ombra senza più trovare la ribalta degli inizi anche a casa di un carattere che definire “spigoloso” è un eufemismo. Il “nostro” Joyello Triolo ripercorre in “Dentro questi specchi” la carriera, dai classici titubanti esordi in cantina all’approdo alla CGD, attraverso la discografia minuziosamente commentata.
Il tutto con la consueta capacità e competenza di Joyello di cogliere l’essenza della proposta artistica che riesce a travalicare l’impulso naturale del fan.
Libro agile, veloce ed essenziale per (ri)scoprire un personaggio essenziale della scena musicale italiana.
Allegatoil QRCode per un album tributo a Rossi con la partecipazione tra gli altri di Umberto Palazzo, Roulette Cinese, Humpty Dumpty, lo stesso Joyello, Egokid e tanti altri.

Per ascoltare il CD
http://edizionicrac.bandcamp.com/releases

Per il libro
http://edizionicrac.blogspot.it/2014/10/joyello-triolo-dentro-questi-specchi.html

venerdì, ottobre 24, 2014

Ian Stewart



La rubrica DARK SIDE OF THE SUN andrà ad esplorare quei personaggi rimasti sempre nell'ombra di grandi artisti (talvolta parenti stretti) ma essenziali nella loro carriera e comunque grandi musicisti che non hanno mai goduto delle luci della ribalta.
Dopo Enrico Ciacci (fratell oe chitarrista di Little Tony) è la volta di IAN STEWART pianista fondatore dei Rolling Stones, il "sesto Stone" ma di fatto buttato fuori dalla band nel 1963.


Una delle figure più sfortunate, per certi versi, della storia del rock.
Fondatore dei Rolling Stones con Jagger e Jones, IAN STEWART venne allontanato dalla band per volere del manager Andrew Loog Oldham (in accordo con gli altri) a causa del suo aspetto fisico non consono al look e all’età della band (aveva 5 anni in più di Keith, Mick e Brian).
Ian si rassegnò al ruolo di comprimario eccellente, fece da road manager alla band e apparve comunque al piano in numerosi brani degli Stones (‘Around and Around’, ‘Down the Road Apiece’, ‘Honky Tonk Women’, ‘Let It Bleed’, ‘Brown Sugar’, ‘Star Star’ and ‘It’s Only Rock ‘n Roll tra gli altri) mentre è noto, tra gli aneddoti più famosi, il suo rifiuto di suonare “Wild horses” perchè con accordi minori:
“Non suono brani con accordi minori. Quando sono sul palco con la band e arriva un accordo minore tolgo le mani dal piano per protesta”.

Keith Richards lo considerava come “la colla che teneva insieme il tutto” anche se o soprattutto perchè lo stile di vita di Ian è sempre rimasto molto lontano da quello scatenato degli altri Stones.

Ha suonato il piano anche con i Led Zeppelin in "Rock and Roll" nel quarto album and "Boogie With Stu" in” Physical graffiti” con gli Yardbirds in "Drinking Muddy Water" con Howlin' Wolf nell’album del 1971 "The London Howlin' Wolf Sessions" con Eric Clapton, Ringo Starr, Klaus Voorman, Steve Winwood, Bill Wyman e Charlie Watts, in "These Kind of Blues" della Blues Band, in "Bad to the Bone" di George Thorogood and the Destroyers, su “Rough mix” di Pete Townshend e Ronnie Lane oltre che con i Rocket 88 (lui, Alexis Korner, Charlie Watts e vari altri della scena brit rock).
E’ scomparso per un attacco di cuore nel dicembre del 1985

giovedì, ottobre 23, 2014

Tano Cimarosa



Tano Cimarosa, (vero nome Gaetano Cisco) scomparso nel 2008), è stato uno dei volti più caratteristici del cinema italiano, in virtù di una fisionomia inconfondibile.
Negli anni ’50 lascia la natìa Messina, dove aveva iniziato facendo teatro di strada e il puparo e inizia la carriera cinematografica interpretando la figura del “classico” siciliano (come vuole la tradizione: sanguigno, baffoni, piccolo, scuro di capelli).
Trova la sua consacrazione nel 1967 nel capolavoro di Damiano Damiani “Il giorno della civetta” dove interpreta il piccolo mafioso Zecchinetta.
Lo ritroviamo spesso vicino ad Alberto Sordi ne "Il medico della mutua", in "Bello, onesto, emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata" e in "Detenuto in attesa di giudizio" ma anche con Nino Manfredi in “Per grazia ricevuta”, in numerosi film comiici con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia (da “L’esorciccio” a “I due parà”) e in “Nuovo Cinema Paradiso”, "L'uomo delle stelle" e "Una pura formalità" di Tornatore.
E’ apparso negli ultimi anni anche nella fiction Tv “Don Matteo”.
Al suo attivo anche tre film come regista ma di scarso successo: il thriller-erotico "Il vizio ha le calze nere" (1975), "No alla violenza" (1977) e "Uomini di parola" (1981), sul mondo della mafia girato nella provincia messinese.
Su Tano Cimarosa è uscito un libro: “Il mondo di Tano Cimarosa” di Luigia Miniucchi (By Bess Edizioni, 160 pagg.) e un doc molto interessante “Lo chiamavano Zecchinetta” un documentario di Nicola Palmeri.

http://www.youtube.com/watch?v=Qy_RbIdmZbI

Lo stesso Palmieri ricorda di lui:
Raggiunsi Tano a casa sua a Roma: mai avevo visto un posto del genere, era come se vivesse dentro un album fotografico. Era surreale. Tutte le pareti erano ricoperte da foto di scena, foto con attori, con amici, locandine di film e poi tanti pupi, tutti realizzati da lui con materiali vari. Perfino in bagno c’erano foto e pupi.
Non erano solo i classici pupi siciliani, i paladini, ma erano pupi che rappresentavano vari mestieri e personaggi. Mi raccontò tutta la sua vita, dal suo mestiere di puparo, al teatro, al cinema, al ritorno a fare i pupi per passione e passatempo”.


Io amo Messina e voglio essere seppellito a Messina. A spese mie, eh!

Purtroppo la sua sepoltura ha avuto un odioso strascico. La bara è stata “dimenticata” per lungo all’aperto prima di trovare un posto nel cimitero della città....

Alcuni stralci da un’intervista a http://www.escualotis.com/?p=244

Quand'ero piccolo mio padre comprò il teatrino dei pupi e si mise a girare per i paesi. Nato e cresciuto in mezzo ai pupi e non potevo stare senza teatro! Così me ne andai a cantare nei ristoranti.Poi mio papà andò in pensione e con la sua buonuscita facemmo un baraccone itinerante. Una sera un produttore venne al carcere di Gazzi a vedere lo spettacolo. Si chiamava Oreste Palella, di Messina.
Mi disse che stava girando un film a Patti e avrebbe voluto farmi fare un personaggio. Con grande gioia feci questo film, e poi un altro a Messina, “Mare Matto”, con Belmondò e la Lollobrigida. Poi mi sono trasferito qua a Roma.

Per me mafia e camorra non esistono.
Quella è gente che si guadagna il pane, e male alle famiglie non gliene ha fatto mai.
Il male alle famiglie lo fa il governo disonesto. Centinaia di onorevoli che si riuniscono sempre e nessuno che risponde al popolo. Nessuno si rende conto di come vivono gli italiani.
Io odio il governo.
Lei pensi che una volta sono stato anche in prigionia, prigioniero dei tedeschi, durante l'occupazione di Milano.
Mi trovavo lì e ho difeso una signora a cui i tedeschi toccavano il culo.
Un tedesco m'ha dato uno schiaffo così forte che ho perduto l'udito dall'orecchio destro. Ora, negli anni seguenti nessuno m'ha mai risarcito, nessuno m'ha mai risposto, nessuno m'ha mai aiutato¦

mercoledì, ottobre 22, 2014

Francia campione del mondo ?



Nel settembre 2015 si svolgeranno i Mondiali di Rugby in Inghilterra.
Periodicamente, in attesa, ne parleremo, tra storie, regole, aneddoti.
ALBERTO GALLETTI ci riporta al 1958 quando la Francia si laureò "campione del Mondo"...


Tour del Sud Africa 1958

L’8 agosto 1958 la nazionale francese di rugby arrivò a Salisbury (oggi Harare), Rhodesia per iniziare il suo primo tour in un paese del Commonwealth. La nazionale transalpina aveva già incontrato tutte le grandi squadre, e giocato nel cinque nazioni ogni anno ormai dal 1910, persino battuto gli All Blacks 3-0 al Velodrome de Colombes nel 1954, ma mai aveva intrapreso un viaggio per sfidare i giganti dell’emisfero sud rugbistico.. Il tour aveva in programma 10 partite , la prima proprio a Salisbury contro la Rhodesia (vinta 19-0), le altre contro tutte le province sudafricane e due test match contro il Sud Africa.
Gli springboks erano universalmente considerati i campioni del mondo ormai da decenni in virtù di una serie consecutiva di vittorie in test match series iniziata nel 1896 e proseguita fino al pareggio 1-1 contro i British Lions nel 1955, persero la loro prima serie conto gli All Blacks nel 1956, una potenza rugbistica inattaccabile.
Al termine della partita contro Orange Free State terminata in parità (11-11),che precedeva il primo test di Città del Capo, i giocatori locali intonarono un ‘In Cape Town the springboks will kill you all’ di avvertimento, il pack Sudafricano era costruito per annientare gli avversari, ma la mischia francese, grazie alla preparazione del tallonatore Vigier , si fece trovare pronta.

L’inizio dell’incontro fu talmente duro che non ci furono segnature per la prima mezz’ora, poco dopo Danos portò avanti i transalpini con un drop, la reazione furibonda dei sudafricani non produsse segnature nel primo tempo, ma l’assalto continuò anche nella ripresa e alla fine gli springboks pareggiarono con una meta del terza linea Lochner nell’angolo che non venne trasformata (3-3).
Il pareggio destò grande impressione in virtù anche del fatto che la Francia dovette rinunciare all’ala Rancoule uscita per infortunio a inizio secondo tempo.
Il 16 agosto 1958 a Johannesburg davanti a 100000 spettatori le squadre si ritrovarono per la partita decisiva, la stampa locale titolò ‘Ci sarà sangue ad Ellis Park’.

Gia dai primi minuti le intenzioni degli springboks sembrarono chiare, battere i francesi al loro stesso gioco, avanti forti e veloci e grande abilità nei trequarti, ma le mischie furono in equilibrio, mentre i francesi dominarono la rimessa laterale (19 su 27). la partita risultò da subito molto bella, una punizione francese al 15’ seguita da una meta dell’ala sudafricana Fourie al termine di una grande azione collettiva , 10 minuti più tardi., allo scadere del primo tempo il n.8 francese Barthe andò in meta, ma venne annullata. Il primo tempo si chiuse con i padroni di casa avanti per 5-3.
Alla ripresa il pack sudafricano esercitò un’enorme pressione sulla difesa francese che resistette per 20 lunghissimi minuti senza uscire dalla propria metà campo, non riuscirono però a segnare, non appena riuscirono a piazzare un raggruppamento a distanza di tiro, i francesi segnarono ancora al 64’ con un drop di Lacaze (6-5), ora erano i sudafricani sotto pressione così a 5’ dalla fina un altro drop stavolta del centro Martine fissò il punteggio sul 9-5, l’ultimo violento assalto dei padroni di casa fu respinto dai francesi che vinsero così la partita scrivendo la pagina più importante del rugby francese e mondiale fino a quel momento.
Eroe della vittoria fu il capitano seconda linea Lucien Mias, acclamato l’indomani dai media sudafricani come il più forte e miglior avanti mai visto giocare in Sudafrica..
In patria la stampa transalpina accolse trionfalmente il risultato e proclamò la Francia campione del mondo , non avevano mai vinto (da soli) un ‘Cinque Nazioni’! Rimediarono la stagione seguente vincendolo per la prima volta e bissando il trionfo nelle tre stagioni successive.

martedì, ottobre 21, 2014

Come i Beatles - 1



Grazie ad una competentissima lista inviata da LUCA RE, storica voce dei SICK ROSE (la prima foto è della sua personale collezione di vinili) ci addentriamo con questa nuova rubrica in una serie di album, usciti DOPO lo scioglimento dei BEATLES, fortemente influenzati dal sound dei Fab Four.
Spesso veri e propri gioielli dimenticati e che vale la pena di riscoprire
.

Emitt Rhodes - Emitt Rhodes (1970)
Ex membro della pop beat band dei Merry-Go-Round Emitt Rohodes registra e pubblica nel 1970 in suo primo album solista, registrato in casa su un 4 tracce ed interamente suonato da lui.
E con risultati davvero sorprendenti da un punto di vista tecnico, artistico, sonoro.
Potrebbe tranquillamente (spesso anche vocalmente) essere un album del Paul McCartney solista tanto ne è vicina la scrittura, gli arrangiamenti, il suono del basso, il modo di suonare il piano. L’aspetto più curioso è che le modalità compositive sian speso quelle che Paul adotterà solo qualche anno dopo ai tempi di “Venus and mars”, “Red rose speedway”, “Band on the run” (quasi si fosse ispirato Lui a Emitt !).
L’album fu bene accolto in USA (29° nelle charts e giudicato da più parti come uno dei migliori dell’anno o addirittura della decade).
Registrerà ancora tre album per poi ritirarsi praticamente dalla scena (solo recentemente è tornato a proporre nuove, sporadiche, cose).

Hudson Brothers - Totally out of control (1974)

Il trio di Portland era conosciuto in Usa soprattutto per un loro show televisivo ma alle spalle rimane una interessantissima carriera discografica che ha prodotto un gioiello come il secondo album del 1974 (inciso per la Rocket Records di Elton John) dove si addentrano in maniera INCREDIBILE nel mondo Beatles (ma dove non mancano riferimenti espliciti anche a Beach Boys, Electric Light Orchestra e allo stesso Elton John), soprattutto quelli più “progressivi” di “Abbey Road”.
Ascoltare “Sunday driver” che sembra un mash up di “Girl”, “Mean mr mustard”, “Wah wah” di Harrison e tanto altro. Non dimenticando la vena ironica che permea il tutto (con tanto di canto abruzzese !!!! inserito tra due brani !!).

ROCKIN’ HORSE - Yes it is
Album del 1970 sbrigativamente accantonato come “derivativo” e confinato nell’oblìo.
In realtà l’intento di Jimmy Campbell e Billy Kinsley non era quello di rendere esplicito omaggio ai Beatles a fianco dei quali avevano trascorso i primi anni di carriera in quel di Liverpool al Cavern Club dove i due suonarono parecchie volte, l’uno con i Merseybeats l’altro con i Kirbys e i 23rd turnoff. Semplicemente arrivavano dallo stesso background sonoro e culturale e il riferimento venne più naturale che ad altri.
L’impronta Beatles è evidente ma resta sempre in discreto sottofondo anche se in brani come la title track (guarda caso lo stesso titolo di un brano de i Beatles, Bside di “Ticket to ride”) sembra di sentire il John Lennon di “Abbey road” o “Let it be”.
Copertina Hipgnosis di gran classe.

lunedì, ottobre 20, 2014

Il senso critico del giornalista musicale



Non sono un critico musicale ma mi diletto, come è noto, in forma “privata” e occasionalmente pubblica (Classic Rock, qualche libro) a parlare di dischi, musica e musicisti.
Lo faccio per divertimento senza alcun intento “professionale” (nè tantomeno economico) e pertanto non ho particolari vincoli nel parlare bene o male di un artista.

Però spesso mi capita di trovarmi al cospetto di dischi di amici o conoscenti per i quali mai e poi mai spenderei una parola di biasimo anche a fronte di un prodotto mediocre.

Ma essendo un dilettante me lo posso permettere.
Mi chiedo quanto e quando invece i critici di professione (seguiti e letti da migliaia di persone) di fronte al disco/artista amico evitino la critica sfavorevole e/o dispensino elogi in realtà non creduti.
Fino a che punto la critica musicale è “drogata” da questo tipo di rapporti ?
Per non parlare dei critici che recensiscono dischi di etichette o gruppi in cui in qualche modo sono direttamente coinvolti...

domenica, ottobre 19, 2014

Isola di Poveglia



L’isola di Poveglia sorge a sud della costa di Venezia, lungo il canal Orfano, in quel tratto della laguna fra la serenissima e il porto di Malamocco.
La sua superficie è di 7,25 ettari e conta undici fabbricati.
E’ un isola disabitata, abbandonata e chiusa al turismo.
Nel secolo 800 dopo l’uccisione del tredicesimo doge di Venezia Pietro Tardonico, accolse le famiglie dei 200 servi a lui più fedeli per concessione del doge Orso I Partecipazio. L’isola si sviluppò progressivamente anche grazie alla sua posizione strategica come avamposto militare diventando un centro florido dal punto di vista economico.
Nel 1700 divenne un lazzaretto a causa della peste che colpì duramente Europa e a Venezia.
Dapprima tutti i corpi dei defunti furono condotti sull’isola di Poveglia per essere bruciati e sepolti in fosse comuni, poi il provvedimento fu esteso anche ai contagiati
Tuttora vengono ancora rinvenuti corpi sepolti.

Il tutto ha creato una fama sinistra all’isola, suggellata dall’edificio costruito nel 1922 e di cui sono state date diverse interpretazioni sulle finalità d’uso anche se pare accertato si trattasse di una casa di riposo per anziani smantellata nel 1946 (non è confermata la presenza di un manicomio sul quale sono state ricamate diverse leggende).
Negli anni sessanta una famiglia benestante l’acquistò e vi si stabilì, per poi sbarazzarsene dopo qualche mese.
L’isola è chiusa al pubblico ed è difficile accedervi se non con particolari permessi (anche se recentemente è stata organizzata una giornata di visite).
Nel giugno 2014 è saltata la vendita ad un privato che aveva offerto 513.000 euro ritenendola il demanio cifra "non congrua".

sabato, ottobre 18, 2014

Intervista a Stefano Marelli



Altri Cantautori è una rubrica che si occupa di andare a pescare nel cantautorato italiano meno conosciuto, cercando di scoprire nomi di valore e di sicuro interesse, attraverso i loro nuovi dischi e le loro parole.

Le precedenti puntate qui
:
http://tonyface.blogspot.it/search/label/Altri%20Cantautori

Articolo e intervista a cura di Cortez (Andrea Bernini)

"Facile o Felice" (Orange Home Records) è il disco d'esordio del cantautore genovese Stefano Marelli, musicista e architetto diventato vignaiolo. È un disco d'autore che merita attenzione, ricco nei suoni, ironico e malinconico nei testi, leggero e profondo all'ascolto. Frutto della lunga carriera di musicista e di un equilibrio maturato tra il lavoro di viticoltore, la famiglia è il palco. Stefano Marelli si è fatto conoscere nell'ambiente della canzone d'autore partecipando a rassegne importanti, dal "Premio Stefano Rosso" al "Premio Bindi", è stato vincitore della rassegna "La mia Valle" dell'Isola in Collina a Ricaldone (AL), paese dove è cresciuto e sepolto Luigi Tenco.
Il suo disco è in concorso nella selezione di giovani cantautori che si esibiranno sul palco del Club Tenco.

Stefano, la tua carriera di musicista è segnata dall'esperienza con i FINISTERRE, gruppo di rock progressive, un sodalizio decennale, quattro album in studio, apprezzamenti di pubblico e critica, tour in Italia e all'estero. Come spieghi il tuo ritorno alle origini, alla canzone d'autore?

I Finisterre sono stati la famiglia, la mia educazione sentimentale in musica; il luogo in cui ho imparato a relazionarmi con altri musicisti, le salette prova, i concertini in birreria; poi gli studi di registrazione, il concetto di arrangiamento, i live in Italia e nel mondo, le aperture a Le Orme, il Banco del Mutuo Soccorso, Steve Hackett, Peter Hammill.

Stefano Marelli cantautore nasce prima, proprio in senso cronologico: con un'esibizione alla Festa Provinciale dell'Unità di Genova, ancora imberbe, su un palco pomeridiano. 20 minuti a disposizione, con una chitarra 12 corde in prestito e un'armonica a bocca al collo suono due pezzi miei e una Blowin' In The Wind immessa proditoriamente in filodiffusione in tutti gli stand della Festa.
Poi l'incontro col donchisciottesco Circolo Arte e Musica (poi Circolo dei Cantautori), laboratorio con tentativi di collettivismo che ha allevato alcuni talenti significativi, con Max Manfredi come fratello maggiore.


Per anni le due esperienze hanno convissuto di pari passo; poi i Finisterre hanno attraversato un periodo di stanca, nel frattempo in me si faceva pressante il bisogno di metterci la faccia, portare alle estreme conseguenze alcune idee musicali e testuali.
Registrato un primo demo, ho iniziato a propormi sui palchi dei concorsi rivolti ai cantautori; e mi sono trovato a casa, anche incoraggiato dai risultati ottenuti.
Ad un certo punto è stato come scoprire in me un territorio inesplorato, la febbre del cercatore d'oro mi ha spinto a continuare – senza dimenticare il mio essere anche chitarrista, il che mi fa vivere con responsabilità il ruolo di chitarrista del MIO progetto.

"Facile o Felice", il tuo disco d'esordio solista, è un lavoro ricco di sonorità con arrangiamenti colti e raffinati, è un disco maturo.
Come nasce e cosa racconta
?

Facile o Felice nasce vivendo, pescando ciò che è sedimentato, tutto quello che lascia una traccia, anche il frammento di un dialogo irrisolto, una riflessione esistenziale mai avulsa dal fatto incontestabile che abbiamo un corpo e tutti i giorni facciamo i conti con la forza di gravità. Nasce guardando le persone che amo, le case che ho abitato, i lavori che ho svolto.
Gli arrangiamenti, la maturità che ci trovi sono frutto da una parte di un percorso e di tanti live macinati in giro per l'Italia e non solo; dall'altra di un lavoro davvero artigianale, di cura del suono in tutto il suo percorso, dalla scelta di musicisti di grande valore e sensibilità (non ne cito uno perché dovrei citarli tutti...) all'uso di strumenti veri come il Fender Rhodes, il pianoforte a coda, tante chitarre acustiche ed elettriche, basso e batteria mai campionati ma sempre suonati dall'inizio alla fine di ogni brano, oltre ad alcune chicche come la sezione di archi, la tromba, il flicorno, l'oboe; tassello altrettanto importante è stato la scelta di lavorare con Raffaele Abbate di OrangeHomeRecords, sia come fonico che come co-produttore: abbiamo registrato “all'antica”, dedicando molta cura alla giusta microfonazione e (in alcuni casi) a catturare il suono d'ambiente, l'aria intorno agli strumenti; l'obiettivo era di arrivare all'editing con un suono già molto buono, su cui intervenire pochissimo in post-produzione.

Mi ricordo quando con la chitarra classica, elettrificata da un pick-up collegato al mio stereo, suonavi canzoni di Battisti, Bennato, De Gregori. Dalla musica per giradischi si è passati alla musica per pc o iPod, quanto ha influito sull'arte di scrivere canzoni?

Che ricordo sei andato a ripescare... ti stupirò rispondendoti che non ho (e non ho mai posseduto) un iPod, mentre il Mac è diventato uno strumento prezioso come ausilio alla composizione (anche se lo uso sostanzialmente come un registratore multitraccia per appuntare degli abbozzi di arrangiamento).
Ausilio perché tutto continua ad avere origine da un taccuino e una penna. La musica si scrive in testa, a volte già bella e arrangiata con tutti gli strumenti che solo io sento... hai presente la scena di “Amadeus” dove Mozart detta a Salieri le parti del Requiem eseguite dalle varie sezioni che lui sente suonare dentro di sé? Ecco, non per fare paragoni azzardati, ma a volte succede proprio così.
Comunque “Musica per giradischi” potrebbe essere un bel titolo per un disco!

Chi ti ha influenzato maggiormente tra i grandi della canzone d'autore?

Ivano Fossati per aver sposato rock e canzone d'autore ad un livello insuperato (prima di trasferirsi in atmosfere più raffinate); Ivan Graziani con la sua estetica della provincia e l'amore viscerale per la chitarra; Fabrizio De André sempre un passo avanti agli altri, sopraffino cesellatore di testi capace di reinventarsi e di scegliere le collaborazioni “giuste” (New Trolls, PFM, Mauro Pagani tanto per fare qualche nome) da grande regista della musica; Franco Battiato, o dell'eclettismo; Eugenio Finardi per il canto meraviglioso e il suo essere stato una voce critica, ma appassionata, del movimento del '77 in Italia; Edoardo Bennato primo amore, voce chitarra armonica e ironia tagliente; Francesco De Gregori che cito per ammirazione (anche se credo che la sua influenza sulla mia scrittura sia invisibile) in quanto faccio fatica a trovare, nella sua sterminata produzione, un lavoro mal riuscito... persino nei vituperati anni '80! Piero Ciampi per la carnalità dolente e “vera” delle sue canzoni. Luigi Tenco perché senza di lui probabilmente non saremmo qui a parlare di canzone d'autore.

In una ipotetica isola deserta quali dischi essenziali porteresti con te?

La cosa più interessante è che non mi vengano posti limiti numerici... sai, mi ero preparato a qualcosa di analogo a quel che succede a Rob, il protagonista di Alta Fedeltà quando deve stilare la sua classifica dei cinque dischi preferiti di tutti i tempi!
Comunque sicuramente ci sono Revolver (The Beatles), Sgt. Pepper Lonely Heart's Club Band (The Beatles), The Köln Concert (Keith Jarrett), In The Court Of The Crimson King (The King Crimson), Grace (Jeff Buckley), Non Al Denaro Non all'Amore Né Al Cielo (Fabrizio De André), Anime Salve (Fabrizio De André con Ivano Fossati), Moon Safari (Air), Selling England By The Pound (Genesis), Pink Moon (Nick Drake), Histoire De Melody Nelson (Serge Gainsbourg), Ok Computer (Radiohead), Desire (Bob Dylan), Le Variazioni Goldberg (Bach interpretato da Glenn Gould), So (Peter Gabriel), Out Of Time (R.E.M.), Atom Heart Mother (Pink Floyd), Jesus Christ Superstar (Andrew Lloyd Webber e Tim Rice), October (U2), The Joshua Tree (U2). Non c'è un ordine, sono venuti fuori così.

www.stefanomarelli.it
www.orangehomerecords.com

venerdì, ottobre 17, 2014

Michael Mc Gear - Mc Gear



GLI INSOSPETTABILI è una rubrica che scova quei dischi che non avremmo mai pensato che... Dopo Masini, Ringo Starr, il secondo dei Jam, "Sweetheart of the rodeo" dei Byrds, Arcana e Power Station, "Mc Vicar" di Roger Daltrey, "Parsifal" dei Pooh, "Solo" di Claudio Baglioni, "Bella e strega" di Drupi, l'esordio dei Matia Bazar e quello di Renato Zero del 1973, i due album swing di Johnny Dorelli, l'unico dei Luna Pop," I mali del secolo" di Celentano, "Incognito" di Amanda Lear, "Masters" di Rita Pavone, Julian Lennon, Mimmo Cavallo con "Siamo meridionali"e i primi due album dei La Bionda di inizio 70's, il nuovo album dei Bastard Son of Dioniso, "Black and blue" dei Rolling Stones, Maurizio Arcieri e al suo album "prog" del 1973 "Trasparenze", Gianni Morandi e "Il mondo di frutta candita", il terzo album degli Abba, "666"degli Aphrodite's Child, la riscoperta di Gianni Leone in arte Leonero, il secondo album di Gianluca Grignani, Donatella Rettore e il suo "Kamikaze Rock 'n' Roll Suicide", Alex Britti e "It.Pop", le colonne sonore di Nico Fidenco , il primo album solista dell'e Monkees, Davy Jones, oggi è l'ora del secondo album di MIKE MCGEAR ovvero il fratellino di PAUL MCCARTNEY (che produce, compone e suona nel disco).

Le altre puntate de GLI INSOSPETTABILI qui:
http://tonyface.blogspot.it/search/label/Gli%20Insospettabili

In pochi ricordano che Paul McCartney ha un fratello.
E che questo fratellino minore ha intrapreso una carriera discografica che diede qualche risultato incoraggiante sotto il nome di Scaffold che nei 60’s ebbero una discreta notorietà e qualche singolo interessante oltre ad un buon numero di album all’attivo.
Poi la carriera solista nei 70’s anche in coppia con McGough (ex Scaffold) che culmina con il secondo album “McGear” del 1974 in cui compare sia nell’incisione che nella produzione e composizione niente meno che il fratello Paul e i Wings al completo !

Nonostante ciò l’album non ebbe particolare successo pur essendo un buon lavoro marcatamente McCartney mid 70’s (“Band on the Run” style per intenderci) tra robusti rock di sapore glam, ballate con il pianoforte in primo piano e dove spesso la voce di Mike sia perfettamente simile a quella del fratellone.
L’impressione è che Paul non si sia troppo sprecato a livello compositivo (firma tutti i brani insieme al fratello) e gli abbia rifilato qualche scarto preso qua o là ma alla fine il risultato è più che godibile, soprattutto per chi ama l’estetica sonora dei Wings tra rock convenzionale con quel (spesso, non sempre) delizioso tocco pop commerciale che rende il tutto così appetibile (vedi il singolo “Leave it” puro Macca sound).
McGear proseguì ancora a fasi alterne la carriera musicale prima di ritirarsi, riprendere il cognome Mccartney e dedicarsi alla fotografia (è l’autore delle foto di copertina dell’album del 2005 di Paul, “Chaos and creation in the backyard”.

Nelle foto: copertina, Paul e Mike e Paul, Mike e papà Jim
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