venerdì, marzo 31, 2023

Marzo 2023. Il meglio


Si parte bene nel 2023 con gli album di DeWolff, Iggy Pop, Slowthai, Sleaford Mods, John Cale, Joel Sarakula, Algiers, The Men, Tex Perkins and the Fat Rubber Band, Gina Birch, Lonnie Holley.
Tra gli italiani The Cut, Senzabenza, Forty Winks, The Lancasters, Pitchtorch, C+C=Maxigross, Blue Moka, Lory Muratti


AA.VV. - Soul'd Out. The complete Wattstax Collection
In occasione del 50° anniversario del concerto WattStax (in realtà tenutosi il 20 agosto del 1972 al Los Angeles Memorial Coliseum davanti a più di 100.000 persone) esce un monumentale cofanetto con DODICI CD (a circa 200 dollari), che riproduce tutto il concerto, ccon l'esatta cronologia delle esibizioni, con tanto di presentazioni, rumori, introduzioni.
Sono incluse anche le registrazioni di alcuni concerti tenutisi al Summit Club in settembre e ottobre e varie rarità, con ben 31 inediti.
Parte del materiale era già apparso in precedenza, ovviamente nell'omonimo film del 1973 e nei doppi album dello stesso anno.
Spettacolari i concerti di Isaac Hayes (con una "Never say goodbye" da brividi e il tema di "Shaft" mai apparso prima) e degli incredibili Staple Singers.
Grandi anche Rufus Thomas e i super funk Bar-Kays, ottimi i poco conosciuti Mel & Tim.
Consueto booklet interno a completare il tutto per un documento di enorme importanza storica e musicale.

AA.VV. - Eddie Piller Presents British Mod Sounds of The 1960s Volume 2
Dopo il riuscito primo volume in chiave mod/rhythm and blues, Eddie Piller replica con una nuova compilation che sposta l'obiettivo verso i tardo 60's, più psichedelici, fuzz e freakbeat attraverso 91 brani. Ci sono nomi noti, dagli Yardbirds ai Move, David Bowie, Who, Fleetwood Mac, Troggs, Small Faces, Humble Pie, Status Quo, i Sam Gopal di Lemmy e una lunga schiera di band più oscure tra file delle quali si nascondono future star del rock, ai tempi agli esordi. Poco o nulla di non già sentito per i cultori e appassionati ma è ugualmente una raccolta interessante di What the Mods did next’

SLEAFORD MODS - Uk Grim
La difficile impresa di rinnovare un sound monolitico e minimale riesce ancora una volta al duo di Nottingham che inasprisce il suo punk rap stradaiolo, inasprendolo musicalmente e soprattutto con i consueti testi al vetriolo. Introducono varianti e ospiti (riuscito il duetto con Perry Farrell), rimangono molesti disturbanti, portano avanti un progetto che restano comunque unici, personali, originali, distintivi.

SLOWTHAI - Ugly
Il terzo album del rapper inglese è un riuscito mix di grime, rap, post punk (in un brano ci sono anche i Fontaines DC), elettronica.
Suona tutto vario, eclettico, attuale, moderno e fresco.
Molto buono.

GINA BIRCH - I play my bass loud
Esordio solista per la bassista di una gloriosa band della primissima scena punk wave inglese, le Raincoats. Tre album tra il 79 e l'84, lo scioglimento, una reunion nel 94 e un altro album due anni dopo.
Gina Birch è diventata apprezzata regista di video e ha continuato a suonare in gruppi minori. Negli undici brani, registrati nel corso degli anni rimane il marchio di fabbrica della band con il basso in evidenza, pesanti influenze reggae e dub, atmosfere scarne e minimali, uno stupendo grunge rock in odore di Breeders (con Thurston Moore alla chitarra), sperimentazione. Ottimo lavoro.

LONNIE HOLLEY - Oh me Oh my
Dall'Alabama, Holley ha incominciato a fare dischi a 62 anni. Ora ne ha 73 e arriva al settimo capitolo. Con lui nomi di spicco come Michael Stipe, Jeff Parker dei Tortoise, Sharon Van Etten, Moor Mother, Bon Iver, il nostro Davide Rossi (ex Statuto, Casino Royale, Mau Mau, Goldfrapp, Robert Fripp, Coldplay) per un lavoro indefinibile, in cui entrano elettronica, gospel, spoken word, sperimentazione, jazz e free jazz, trip hop. Holley ha alle spalle una vita di abusi, raccolta cotone, alcolismo...e si racconta.

THE ZOMBIES - Different game
La band negli ultimi vent’anni si è riunita in varie incarnazioni e inciso nuovi dischi, non sempre all'altezza. Il nuovo lavoro con i membri originari Rod Argent e Colin Blunstone riporta in vita il loro classico sound con tastiera in evidenza e un groove funk beat di grande efficacia, affiancandolo a un solido rock e a struggenti ballate.
Buon disco.

SOUL MOTIVATORS - Do it together
Il quarto album della band di Toronto ne conferma le già conosciute qualità. Super funk groove, soul, la potentissima voce di Teruko a trascinare, ritmi incandescenti, qualche sapiente tocco di psichedelia e di modern soul a compendio di un disco godibilissimo e travolgente.

ANGELS OF LIBRA - Revelations
Suadente soft soul di matrice psichedelica, languido e liquido, prevalentemente strumentale. Un po' di Khruangbin e di Pink Floyd e ottimi groove.

ANGEL BAT DAWID - Requiem for Jazz
Un'opera complessa e difficile che unisce spiritual jazz, Sun Ra, hip hop, elettronica, gospel, blues, musica classica, teatro.
Ardito viaggio nella storia della "black" music e nella cultura afro americana.
Disco importante e ostico, dalle mille sfaccettature.

THE LORDS OF ALTAMONT - To Hell With Tomorrow The Lords Are Now (Live in Utrecht)
Ottimo live in studio dei Lords of Altamont che ne conferma le matrici risapute (Stooges, Mc5, Fuzztones, garage punk, The (International) Noise Conspiracy etc.
Ruvido, tirato, grezzo.

ALY & AJ - With love from
Quinto album per le sorelle californiane, un soffice, easy e gustoso mix di country, Fleetwood Mac, pop, perfino un gusto Abba.
Sottofondo molto gradevole.

ADI OASIS - Lotus Glow
Neo soul dalle tinte semi vintage, in odore di un mix tra Macy Gray e Sade, mellow, avvolgente e suadente. Un disco molto raffinato e di classe, di pregevole fattura tecnica e di estrema fruibilità.

MYLES SANKO - Live at Philharmonie Luxembourg
Elegantissimo live del grande vocalist inglese accompagnato dalla Luxembourg Philharmonic Orchestra di settanta elementi. Brani coinvolgenti, grande voce, arrangiamenti superbi, tanto groove.

TRISTAN - Seven
Per gli amanti del funk jazz soul fusion alla Incognito un nuovo album (il settimo) per la band olandese. Alta qualità esecutiva, sound raffinato e di grande fruibilità, tanto groove.

DAVID BREWIS - The Soft Struggles
Delicato e affascinante album acustico/orchestrale dell'ex Field Music, tra jazz, folk acustico (a tratti di ispirazione Joni Mitchell e Jeff Buckley). Molto piacevole all'ascolto, sofisticato e raffinato.

EVA CASSIDY - I Can Only Be Me (with the London Symphony Orchestra)
Pressoché ignorata in vita, nonostante una stupenda voce e immagine, Eva Cassidy trova addirittura un tributo orchestrale postumo (ci ha lasciati nel 1996).
La sua voce originale, piena di soul (non lontana da quella di Julie Driscoll) è stata isolata e combinata con l’accompagnamento della London Symphony Orchestra e nuovi arrangiamenti scritti da Christopher Willis e William Ross. Operazione discutibile ma la cui resa è eccellente ed emozionante, soprattutto in classici come "People get ready" e "Ain't no sunshine". Da (ri)scoprire.

LUCERO - Should've learned by now
Molto buono il nuovo album della band di Memphis che si destreggia in un country rock che ondeggia tra REM, qualche omaggio Springsteeniano, un po' di cavalcate energiche alla Long Ryders. Ottime canzoni, voce ruvida, suono crudo.

THE LANCASTERS - Standard family size
Secondo album per la band bresciana, alle prese con un torrido rock 'n' roll di matrice hard blues che guarda al periodo a cavallo tra i 60 e gli 80, tra Hammersmith Gorillaz, un corroborante tocco di MC5, Rory Gallagher, primi Black Sabbath. Tredici brani duri, chitarre distorte, ritmiche potenti, voce aspra, album di primissimo livello.

PUNKREAS - Electric Deja Vu
Al dodicesimo album e con una trentina di anni di attività, i Punkreas non hanno bisogno di dimostrare più nulla. Semplicemente una delle band italiane di punk rock più efficaci di sempre. Il nuovo album lo dimostra ancora una volta. Ritmiche serrate, grandi linee melodiche, potenza sonora in abbondanza, consuete liriche dirette su politica, economia, cultura, lotta sociale, guerra. Notevole lo ska reggae punk di “Disagio” e la durissima “Uomo Medioevo”. Altro album perfetto che non deluderà i fan.

ENRICO GABRIELLI - Le canzonine
E’ superfluo rilevare quanto le produzioni di Enrico Gabrielli siano sempre originali, personali, mai banali o scontate, ricche di suggestioni, creatività e genialità. Per il suo primo album solista si cimenta con una serie di canzoni autografe per bambini (a cui, non a caso, hanno collaborato i suoi due piccoli figli), con l’aiuto vocale di alcuni “amici papà”, Brunori Sas, Francesco Bianconi, I Cani, Cosmo, Andrea Laszlo De Simone, Giovanni Truppi, Di Martino. Non di rado la durata delle canzoni supera di poco il minuto ma sono sempre ricche di spunti densi di freschezza e spensieratezza ma che non disdegnano (come nella tradizione della canzone d’autore italiana per bambini, Sergio Endrigo su tutti) contenuti di spessore. A cui si aggiunge la capacità compositiva e di arrangiamento di Gabrielli che arricchisce il tutto di ulteriori motivi di interesse, Un progetto speciale e particolare, delicato e piacevolissimo.

EMIS – Sopra la luna
Domenico Petrosino (in arte Dome la Muerte, chitarrista con mille esperienze alle spalle, dai CCM ai Not Moving) e Marina Mulopulos (già con Almamegretta e Peppe Barra) uniscono le forze in un progetto eclettico, attraverso sette episodi autografi (e la cover di “Lullaby” dei Cure) a cui collaborano Paolo Del Vecchio, Serena Altavilla, Frida Bollani Magoni oltre ad altri importanti musicisti della scena underground. I brani, sempre caratterizzati dalla voce possente e lirica di Mulopulos, si snodano tra intense ballate chitarristiche (“A brand new day”), momenti rock (“Io non ti credo”), fughe nell’elettronica psichedelica (“Thalassa”). Disco molto personale e originale, pur ancorato a stilemi classici. Interessante e affascinante.

MICHELE ANELLI - Libertà e amore
Un album di canzoni originali a tema Resistenziale che nasce appositamente per uno spettacolo che potrei definire di teatro/canzone, che ha lo stesso titolo del disco. Michele Anelli ha una lunghissima storia artistica alle spalle, prima con il garage punk degli Stolen Cars poi con il soul rock dei Groovers e dal 2014 in veste solista, con un'ampia discografia, tanti riconoscimenti e soddisfazioni. Nel nuovo lavoro troviamo canzoni plumbee, minimali, che si muovono in uno spazio musicale in cui possono convivere tranquillamente Lucio Battisti, Billy Bragg e Ivan Graziani. Un ulteriore tassello di un storia artistica sempre meritevole e di grande spessore. Al CD è allegato un libretto con i monologhi dello spettacolo.

DOROTHY MOSKOWITZ & The United States of Alchemy – Under an Endless Sky
Formidabile esperienza collaborativa tra la mitica voce degli United States of America (band psichedelica dei Sessanta) e un ensemble di sperimentatori e avanguardisti come Francesco Paolo Paladino, Luca Chino Ferrari, Karini celati sotto il nome The United States of Alchemy. Un album dalle atmosfere psichedeliche, liquide, sospese, dall’incedere ambient su cui troneggia la voce soul, solenne e possente di Dorothy Moskowitz. Un incrocio tra Terry Riley e la Nico solista, senza uso di chitarre e talvolta nemmeno tastiere ma solo con effetti elettronici, rumori, suggestioni sonore. Un album unico, affascinante, avvolgente. Semplicemente geniale.

ASCOLTATO ANCHE:
BLACK HONEY (pop rock ben confezionato ma anonimo), THE NUDE PARTY (buon country folk con tocchi di Lou Reed e Modern Lovers), ROB MAZUREK EXPLODING STAR ORCHESTRA (spiritual jazz e sperimentazione).

LETTO

GAYLE WALD - Shout, Sister, Shout!: The Untold Story of Rock-and-Roll Trailblazer Sister Rosetta Tharpe
Dettagliata biografia (in americano) sulla storia della grandissima cantante e chitarrista gospel blues, attraverso i suoi successi, le incredibili difficoltà vissute in un tempo in cui essere donna, afroamericana, cantante e musicista, bisessuale e indipendente, pluri sposata, non era cosa particolarmente facile né tanto meno consigliata. Sister Rosetta Tharpe fu tutto questo.
Ma anche tanto altro.
Ade sempio una delle "inventrici" del rock 'n' roll con l'inusuale utilizzo della chitarra elettrica in modalità modernissime e all'avanguardia per l'epoca.
Libro essenziale per scoprire un personaggio troppo spesso dimenticato.
Sister Rosetta Tharpe ha incarnato la dolcezza e la necessaria dura modalità di affrontare una realtà ostile e difficile.
Ha attraversato e sfidato anni bui e drammatici, con il canto alla vita e alla speranza sulle labbra, ha rivoluzionato la musica gospel e ha messo le radici per il rock ‘n’ roll.

L'articolo completo è qui: https://tonyface.blogspot.com/2023/03/sister-rosetta-tharpe.html

STEFANO GILARDINO - The Stranglers. Gli uomini in nero
La travagliata carriera degli Stranglers, uno dei gruppi più innovativi e personali nella storia del rock inglese, raccontata e sviscerata in mille particolari e gustosi aneddoti, con discografia commentata, spezzoni di interviste, fotografie, nella dettagliata biografia di Stefano Gilardino.
Libro assolutamente completo, scorrevole e documentato che ci ricorda la grandezza di una band troppo spesso non sufficientemente celebrata come meriterebbe.

L'articolo completo è qui: https://tonyface.blogspot.com/2023/03/stefano-gilardino-stranglers-uomini-in.html

MAURO FRANCO - Esilio in Costa Azzurra. Come andò veramente
Cosa succede se un delinquente in fuga da una lotta tra bande mafiose, finisce a fare il cuoco in Costa Azzurra ai ROLLING STONES mentre registrano "Exile on Main Street"?.
Parecchie cose imprevedibili, tra Keith, Mick, Gram Parsons, Anita e la band, inconsapevoli spettatori delle vendette dei rivali del protagonista Arturo.
Un libro più che divertente e avvincente, fedele alla storia del disco e di quei giorni estremi per la band "fatti di musica (molta), sesso (poco) e droga (quanto basta)", citando Anita Pallenberg.
Lettura spensierata e gradevolissima.

SERGEJ DOVLATOV - La valigia
Scrittore e giornalista russo particolarissimo, di spirito anarchico, poco incline alle regole e al rigore sovietico, Sergej Dovlatov fu costretto a lasciare l'URSS dopo essere stato espulso dall'Ordine dei giornalisti, pagando la sua vena dissacrante.
"La valigia" è considerato il suo libro più rappresentativo (del 1986, pubblicato in Italia da Sellerio nel 1999) in cui in otto racconti ci mostra un'URSS in sfacelo, degradata e degradante, alcolizzata e in preda ad approfittatori di ogni grammo di potere.
Il tutto con un umorismo acre e sferzante, uno sguardo disincantato sulla rovina circostante, irrisorio e sprezzante.
Divertente e malinconico.

VISTO

Margini di Niccolò Falsetti
Un film che tocca le corde emotive di chi c'era e queste cose le ha fatte.
Esattamente così (spesso senza lieto fine).
Senza bla bla bla dei fru fru fru da social.
Un gruppo di punk/skin grossetani organizza un concerto street punk di una nota band americana in città, con annessi e connessi della provincia profonda.
Il film e gli splendidi protagonisti sono perfettamente credibili, fino ad assumere (al di là di qualche perdonabile e non intrusiva forzatura della sceneggiatura) i caratteri di un documentario.
Bello, commovente, vero.

Cronaca di una passione di Fabrizio Cattani
Straziante, drammatica, acre quanto realistica storia di due coniugi attempati, distrutti dai debiti e dalla burocrazia, si ritrovano senza casa e soldi. Optando, stremati, per una decisione estrema.



COSE VARIE
° Ogni giorno mie recensioni italiane su www.radiocoop.it (per cui curo ogni settimana un TG video musicale - vedi pagina FB https://www.facebook.com/RadiocoopTV/).
° Ogni domenica "La musica ribelle", una pagina sul quotidiano "Libertà"
° Ogni mese varie su CLASSIC ROCK.
° Ogni sabato un video con aggiornamenti musicali sul portale https://www.facebook.com/goodmorninggenova
° Sulle riviste/zines "GIMME DANGER" e "GARAGELAND"
° Periodicamente su "Il Manifesto" e "Vinile".

IN CANTIERE

Ci sono voluti un paio di anni di lavoro per questo libro, pubblicato da Diarkos.
Scrivere dei SEX PISTOLS trovando una chiave che non ricalchi le mille pubblicazioni in merito non è cosa facile.
In questo nuovo lavoro ho privilegiato la voce dei protagonisti, tratta da decine di interviste, e quella dei giornalisti che vivevano in tempo reale quanto stava avvenendo, tra il 1976 e il 1978, riportando recensioni di concerti e dischi.
In modo da tessere la storia del gruppo nel modo più possibile corale.
Ulderico Wilko Zanni e Maurizio Iorio mi hanno gratificato con le loro introduzioni e testimonianze.
God save the Sex Pistols.

E' uscito per Agenzia X "Northern Soul. Il culto dei giovani ribelli soul" un viaggio di stampo storico sociologico nel difficile e non sempre agilmente esplorabile mondo del Northern Soul.

PRESENTAZIONI:

Prossimi appuntamenti:

sabato 1 aprile :
Parma "The Clebbino" Borgo Cocconi 3/B ore 21
domenica 16 aprile:
Cremona "Spoon" ore 19
venerdì 28 aprile:
Castelfranco di Sotto (Pisa) "Casa del Popolo" "Backdoor Festival" ore 21,30

NOT MOVING LTD live

Venerdì 7 aprile: Cesena “ Big Barrè”
Lunedì 24 aprile: Castelnuovo (Piacenza) “Kelly’s”
Mercoledì 5 luglio: Ravenna
Sabato 8 luglio: Roma “Forte Prenestino”
Sabato 5 agosto: Cagliari DA CONFERMARE
Venerdì 15 settembre: Bologna
Sabato 16 settembre: Lonate Ceppino (VA) "Black Inside"
Sabato 07 orrobre: Poviglio (R.E.) "Caseificio La Rosa"
Venerdì 13 ottobre: La Spezia “Shake”
Sabato 14 ottobre : Como "Joshua"

giovedì, marzo 30, 2023

The Hollies

Speciale HOLLIES.
Spesso sottovalutati, rimasti sopraffatti da una concorrenza spietata dei grandi dei 60's ma in grado di produrre una serie di ottimi album da (ri)scoprire.

For Certain Because (1966)
Il primo album interamente composto da Nash, Clarke, Hicks, offuscato dalla creatività che esplodeva al loro fianco (da "Revolver" a "Pet sounds", "Aftermath" per citarne alcuni) ma di grande qualità. Un cristallino pop beat che attinge da Beatles, Beach Boys, Monkees ma anche Kinks e Byrds, con tinte bluesy e folk rock. Un lavoro che cerca di guardare avanti e osare più del consueto.

Evolution (1967)
Butterfly (1967)
La band si spsota verso le classiche sonorità psichedeliche del tempo. I due album escono a distanza di cinque mesi (giugno e novembre), sono decisamente più "colorati" del consueto, con una predilezione per atmosfere vaudeville, qualche effetto psych ma il tono è sempre in direzione di un pop caratterizzato da intrecci vocali sapienti e "celestiali". Non si tratta di capolavori ma entrambi gli album sono di ottima fattura, eleganti, raffinati.

Distant Light (1971)
Dopo la dipartita di Graham Nash, approdato ai CSN&Y, la band fatica a ritrovare la strada tra mediocri e imprevisti omaggi a Dylan (l'album tributo "Hollies sing Dylan") e lavori sempre gradevoli ma poco ispirati. Fa eccezione uno dei loro album più ambiziosi (con tanto di sontuosa copertina della Hipgnosis) in cui sperimentano in varie direzioni, i testi si fanno più seri e impegnati, la musica spazia tra rock ("Long cool woman in a black dress" è un incredibile plagio dello stile dei Creedence Clearwater Revival), folk, tentazioni quasi prog, il consueto gioco di melodie vocali.

mercoledì, marzo 29, 2023

Mosca e San Pietroburgo. Settembre 2022 - Parte #7



L'amico SOULFUL JULES, abituale frequentatore, per motivi di lavoro, dell'ex Urss, ci introduce nel clima di alcune zone, tristemente famose in questi giorni.
Ci aiuta a capire e ad approfondire, al di fuori di divisioni ideologiche, polarizzazioni, supposizioni.


Mosca e San Pietroburgo. Settembre 2022 - Quinta parte.

La prima parte qui:
https://tonyface.blogspot.com/2023/02/mosca-e-san-pietroburgo-settembre-2022.html

La seconda parte qui:
https://tonyface.blogspot.com/2023/02/mosca-e-san-pietroburgo-settembre-2022-2.html

La terza parte qui:
https://tonyface.blogspot.com/2023/03/mosca-e-san-pietroburgo-settembre-2022.html

La quarta parte è qui: https://tonyface.blogspot.com/2023/03/mosca-e-san-pietroburgo-settembre-2022_0953283786.html

La quinta parte è qui: https://tonyface.blogspot.com/2023/03/mosca-e-san-pietroburgo-settembre-2022_0935237908.htm

La sesta parte qui: https://tonyface.blogspot.com/2023/03/mosca-e-san-pietroburgo-settembre-2022_01702721616.html

Le precedenti puntate di "Tales from ex Urss" sono qui:
https://tonyface.blogspot.com/search/label/Tales%20from%20Ex%20Urss

Mi alzo qualche minuto prima dell’imbarco, sistemo le mie cose e mi dirigo al gate, uscendo dalla lounge saluto le hostess alla reception, non se ne accorgono neanche, lo sguardo fisso sui cellulari.
Incrocio una signora che tiene in mano una borsa in tela con la scritta Life Is Good.

Passo la notte a Mosca, in un albergo a pochi minuti di strada all’aeroporto, al tg trasmettono un servizio sui centri di arruolamento, inquadrano due tizi sui trent’anni con il cappellino da baseball e la barba di un paio di giorni, sorridono. Il giornalista dice che sono ex soldati professionisti.
Altro filmato, sullo schermo compare il governatore della Repubblica di Lugansk in giacca e camicia, davanti a uno sfondo blu, sembra un allenatore di calcio dopo la vittoria della sua squadra. È sereno, ha un’aria fiduciosa.
“Tra poco si concluderà l’Operazione Militare Speciale e dovremo pensare allo sviluppo della Repubblica, al commercio e all’economia.”

I referendum nelle zone contese sono già iniziati, l’inviato dice che si stanno svolgendo in maniera corretta, come testimoniano osservatori indipendenti.
Un soldato in mimetica sale le scale di un condominio e si avvicina alla porta di un appartamento, compare un’anziana, alza il braccio destro, la mano sbuca dallo scialle scuro e infila un biglietto nella fessura di una teca trasparente che il soldato regge da sotto con le mani, il fondo coperto di carta bianca.
Chissà se ha letto Zamjatin.

La mattina della partenza il cielo è opaco, meno opprimente che a Piter.
Il tassista mi dice che il giorno della mobilitazione c’è stato parecchio casino ma già da ieri è tornato tutto come prima.
Anche qua non c’è tanta gente, i controlli procedono in fretta, senza intoppi.
Prima del decollo do un’occhiata agli scaffali di una libreria, per curiosità.
Scorro con lo sguardo i dorsi tutti uguali dei classici russi e quasi non ci credo quando lo vedo lì, tra Tolstoj, Dostoevskij e Bulgakov.

My – E. I. Zamjatin.

Lo compro per meno di otto euro, sulla quarta di copertina è sintetizzato:
“Zamjatin è sempre stato uno autore scomodo perché non scriveva a comando, preferendo dire la verità, che nella sua patria non è mai stata reclamata fino alla fine degli anni '80.
Il romanzo parla di una società di uguali, in cui l’uomo è ridotto a un numero.
In essa tutto è unificato: vestiti, appartamenti, pensieri e sentimenti.
Non c'è famiglia, nessun legame profondo…
Ma la sete di libertà di un uomo può essere sradicata finché resta umano?”


In aereo ci sono tanti maschi che viaggiano da soli, senza amici o famiglia.
Mi siedo vicino al finestrino, il posto accanto al mio rimane libero fino all’ultimo, quando arriva un ragazzino brufoloso, i peli radi sul mento e i capelli lunghi fino alle spalle.
Sistema lo zaino da montagna sotto al sedile di fronte, sospira, si rigira sulla poltrona e si muove come i bambini piccoli che cercano la posizione per addormentarsi.
Suona il cellulare, non fa in tempo a rispondere perché gli cade sul pavimento, il tonfo attutito dalla moquette.
Ha il giaccone e la felpa sulle gambe che gli impediscono di raccoglierlo, mi piego in basso e a momenti mi strappo un deltoide, lo agguanto e glielo porgo.
Sorride, ringrazia e digita sulla tastiera.
“Ciao nonna! Ti ho cercato prima.”
“…”
“Il papà ha trovato un biglietto ieri sera e siamo partiti.”
“…”
“Sull’aereo. Mi hanno fatto un po’ di domande.”
“…” “Tra quattro ore arrivo a Istanbul, tre ore e poi ho il volo per Tel Aviv.”
“…”
“Sì ho guardato, mi ha appena mandato il visto.”
“…”
“Quando arrivo ti chiamo. Anch’io ti voglio bene.”

Atterriamo in Turchia con un po’ di ritardo, corro verso il Terminal dei voli per l’Europa, ai varchi di sicurezza ci sono un paio di persone davanti a me.
Dopo qualche istante arriva un gruppetto di russi che passano davanti a tutti, gli altri non li badano ma io faccio presente, in russo, che c’è la fila.
Uno di questi dice che non c’è problema ma restano al loro posto e allora mi parte l’incazzatura che ho tenuto a bada negli ultimi dieci giorni e non si capisce perché i russi proprio non riescono a disporsi uno dietro l’altro come fanno tutti, persino gli italiani sembrano disciplinati a confronto.

Sarà che per settanta anni hanno fatto la coda per ogni cosa e c’è un romanzo di Sorokin degli anni ottanta che si intitola proprio “Očered’”, La fila, la trama si snoda tra le esistenze di uomini e donne che trascorrono la giornata a districarsi tra serpentine di persone in coda per il pane, la carne e tante volte non lo sanno neppure loro se quella è la fila giusta.

Mi parte lo sbotto del grillo parlante e faccio presente che “in tutto il mondo la coda inizia in un punto e finisce in un altro, non è che la gente si mette a caso”.

Allora il tipo mi risponde con distacco, come fossi di un grado inferiore.
Non occorre che gli insegni cosa succede in tutto il mondo, lo sa benissimo che ero prima di loro e non mi sono passati davanti.
Non riesco neanche a ribattere perché mi blocca subito “Non voglio parlare con lei, mi lasci stare.”
E sono lì mezzo mortificato da quel tono glaciale e definitivo, pronto a darmi del coglione che una tipa del gruppetto riprende “Ah proprio bella gente, si trova proprio gente per bene in TUTTO IL MONDO”, calca le ultime parole, per farmi il verso e quasi non ci speravo in questo nuovo aggancio, mi parte l’embolo, allargo gli occhi, da pazzo squinternato, senza alzare la voce, tiro la mascella e sentenzio “No! No! Non c’è gente per bene in TUTTO IL MONDO, ci sono posti dove non c’è gente per bene.”, i bulbi oculari che mi schizzano dalle orbite, da vero psicopatico, e questi mi osservano sorpresi, un lampo di amarezza rabbuia i loro sguardi.

Quasi due settimane di introspezione psicologica, appunti e riflessioni, ti sforzi di comprendere e cerchi di immedesimarti e poi scleri per niente, aggredisci un gruppetto di sconosciuti perché hai deciso che non rispettano la fila, avrai anche lo sguardo da Johnny Rotten sbiadito e frustrato ma ti manca l’acume per capire che il problema sei tu.

martedì, marzo 28, 2023

Beatle Island


L'amico MICHELE SAVINI, che vive da tempo a DUBLINO ci introduce a una serie di particolarità interessanti made in Irlanda, nella nuova rubrica The Auld Triangle: narrazioni dalla Repubblica d'Irlanda.

Le precedenti puntate sono qui:
https://tonyface.blogspot.com/search/label/The%20Auld%20Tringle%3A%20narrazioni%20dalla%20Repubblica%20d%27Irlanda

Continua la nostra serie di racconti alla scoperta di storie ed aneddoti interessanti sulla Repubblica Irlanda ed oggi viaggiamo fuori Dublino, fino ad arrivare nella contea di Mayo, sulla costa occidentale dell’ isola.
Mayo è la terza contea più grande d’Irlanda, è situata a nord-ovest ed è caratterizzata da una costa selvaggia e rocciosa, costellata di insenature che si affaccia sull’Atlantico.
Una di queste insenature si chiama Clew Bay ed è contraddistinta da una piccolo arcipelago di isolette.
Una di queste , si chiama Dorinish Island ed è appartenuta nientemeno che a John Lennon.

John Lennon l’acquistò nel 1967, per il prezzo stracciato di £ 1.700 ( qualcuno dice dopo un’abbondante abbuffata d’acido) ed inizialmente sembra essere uno dei classici capricci Lennoniani ( mi compro una cazzo di Isola !!! ).
Successivamente si venne a sapere che i suoi piani di trasferirsi li erano tutt'altro che fantasiosi e sembra che avesse già commissionato una squadra di architetti per la costruzione di una casa ( inclusiva di studio di registrazione) e già ottenuto i permessi edilizi dalla contea di Mayo.
Dopo il divorzio dalla prima moglie Cynthia, l'isola rimase inutilizzata fino a quando Lennon non invitò il "Re degli Hippies" Sid Rawle a fondare una comune sull'isola nel 1970.

Sidney William "Sid" Rawle era un attivista britannico per la pace ed i diritti alla terra, organizzatore di festival gratuiti ed ex leader del movimento degli squatter di Londra.
Rawle era stato contattato da Lennon dopo che il suo tentativo di fondare una comune a St Patrick's Island, nella contea di Dublino, era fallito.
“Prendila e fai qui le tue cose", sembra abbia detto Lennon a Rawle, partecipando inoltre economicamente alla creazione della comune sull’isola.
Per i due anni successivi un gruppo di circa 25 hippie vissero a Dorinish Island, coltivando i frutti della terra e crescendo lì i proprio figli fino a quando, nel 1972 un incendio bruciò la tenda dei rifornimenti e la comune si sciolse.
Qui di seguito un piccolo contributo video preso da YouTube, che include un breve intervista con Sid Rawle riguardo allo spirito e i principi della comune sull’ isola:
https://www.youtube.com/watch?v=fKd_LeOAH14&t=467s
(Alcune foto della Comune di Sid Rawle sull'isola di Dorinish, Agosto 1971)

Dopo la morte di John, Yoko Ono vendette l'isola per quasi 30.000 sterline e donò il ricavato a un orfanotrofio irlandese.

Nel 2012 l'isola, di una superfice complessiva di 19 acri, con vista panoramica sulla Clew Bay, fini nuovamente in vendita per € 300.000 Euro, completa di un pozzo di acqua dolce, le rovine di una vecchia casa e la sua straordinaria storia.
E’ ora utilizzata come pascolo per il bestiame ed è talvolta visitata da entusiasti fan dei Beatles.

E fin qui semplice cronaca, senza grandissimi misteri.
Ma come sappiamo bene, ogni storia che coinvolge i Beatles è fatta di leggende, illazioni, situazioni surreali e soprattutto di fatti mai confermati ne smentiti dai diretti protagonisti, caratteristiche che le rendono affascinanti in maniera unica. E qui i crediti vanno dati ai ragazzi di “Nothing is Real”, un podcast irlandese dedicato ai Beatles, da cui ho estratto la gustosa storia che vi andrò a raccontare ora.

Innanzitutto cerchiamo di impostare lo scenario nella maniera più accurata possibile.
E’ la primavera del 1968 e il mondo sta subendo una rivoluzione sociale non indifferente: a Parigi si svolgono le prime rivolte studentesche, gli americani hanno iniziato la loro sanguinosa guerra del Vietnam e gli assassini politici aumentano a vista d'occhio.
I Beatles sono da poco tornati dell’ India, hanno recentemente aperto la Apple Corporate e le apparizioni di Yoko in studio iniziano a diventare sempre più frequenti, come le volte in cui si siede sopra l'amplificatore di qualcuno ...

C’è il bisogno di pubblicare un nuovo album e il viaggio in India a portato con se una serie di idee, già messe su nastro a casa di George, in quelli che tutti conosciamo come gli Esher Demos.
Lo studio di Abbey Road è prenotato dal 20 Maggio fino alla fine Luglio, tutti i giorni, dalle 2:30 del pomeriggio fino a mezzanotte e il 30 Maggio avviene la prima registrazione di Revolution, canzone del nuovo album, scritta da John.
Ne esce una lunghissima versione di 10 minuti, formalmente chiamata Take 18 e successivamente Take 20, che diventerà poi, come tutti sappiamo, 3 canzoni differenti:
Revolution ( la versione elettrica del singolo), Revolution 1 ( quella più lenta inclusa nell' album) e Revolution 9, trionfo dell' avanguardismo Yokoniano e brano che detiene il titolo di "Beatles most skipped track" ( la canzone dei Beatles “più saltata”).

The Beatles – Revolution ( Take 18):
https://www.youtube.com/watch?v=-3glcY2LQIk

Il 21 Giugno, John e George sono Abbey Road per lavorare allo stereo Mix di Revolution, canzone che pensano sia ormai completa. Ed è qui che succede l'imprevedibile.
Sembra infatti che John si sia fatto stampare in vinile il take e se lo sia portato con se per riascoltarlo a casa.... prima di lasciare lo studio e andarsene ognuno per i fatti propri.
Il giorno dopo, il 22 Giugno, John e Yoko salgono su un volo che da Londra è diretto a Shannon in Irlanda e da li prendono un elicottero diretto a Dorinish Island e ovviamente l'acetato viaggia con loro.
L’idea era quella di potare a termine i progetti di costruzione sull’isola.
Il famoso permesso di costruzione ottenuto nel 1967 infatti era ormai scaduto e a confermare la volontà di John di proseguire con il processo, c’è la testimonianza di Michael Browne, avvocato e notaio del posto, che conferma il forte desiderio di John di rinnovare il documento di concessione edilizia.

Inoltre sarebbe stata la possibilità visitare Dorinish per la prima volta insieme a Yoko e poter ascoltare il take della nuova canzone nel contesto rilassante e privo di stress della costa Occidentale Irlandese, circondati unicamente da pecore e pescherecci, in quello che sarebbe dovuto diventare il loro rifugio, un mondo lontano della follia e dalle urla della Bealtesmania.

Arrivati sull'isola però, John realizza rapidamente che avrebbe avuto bisogno di un giradischi per ascoltare il vinile e cosi invia l'elicottero fino a Wexport, sulla costa, alla disperata ricerca di un grammofono.
Ma se proviamo ad immaginare la cittadina di Wexport nel 1967, è facile intuire che trovare un giradischi non era proprio l’impresa più facile del mondo.
Nessuno sa se la spedizione sia andata a buon fine, quello che sappiamo pero è che nel frattempo una forte tempesta si abbatte’ sull' isola, il che costringe John, Yoko e tutta la combriccola dei loro accompagnatori a cercare riparo.

John, da vero milionario capriccioso , aveva prontamente fatto portare sull' isola la famosa "Sgt. Pepper Caravan" ovvero la Roulotte decorata con fantasie "Pepperiane" ( un po’ come la sua Rolls Royce per intenderci) che anni prima aveva regalato a suo figlio Julian per il suo quarto compleanno.
Ora, non sia capisce bene il perché ma alla fine, invece della roulotte optarono per ritornare a terra e alloggiare al Mulranny Park Hotel di Murrevagh, nella parte settentrionale di Clew Bay. Lo staff dell’ Hotel riconobbe immediatamente la coppia di visitatori ( voglio dire, nel 1967 un capellone con gli occhiali accompagnato da un asiatica vestiva di nero, nel profondo ovest irlandese, potevano essere solo John e Yoko) per cui, la stessa sera sembra che fu organizzato una sorta di concerto di benvenuto per gli illustri ospiti.
Si dice che all’ esibizione, in pieno stile tradizionale irlandese, abbiamo preso parte circa una decina di persone, tra musicisti di una Showband locale e dipendenti dell’ Hotel.
La leggenda racconta che, piacevolmente colpito della calorosa accoglienza ricevuta che andava a braccetto con il suo amore per gli Irlandesi, John abbia contraccambiato la gentilezza suonando a tutto volume nel grammofono della hall, proprio l’acetato che porto con se da Abbey Road, rendendo di fatto quelle 10 persone, le uniche ad aver ascoltato in anteprima “Revolution” ( nonché le uniche ad aver ascoltato quel mix).
Il che, leggenda o no che sia, mi è sembrato abbastanza figo. Che poi si sa, ogni epopea o racconto che circondi i Beatles è un po’ come la storia di Babbo Natale: il bello non è chiedersi se sia vero, Il bello è semplicemente crederci …

Ad oggi il Mulranny Park Hotel, ha ancora la John Lennon Suite disponibile per tutti i fan dei Beatles che volessero visitare la zona e ripercorrere i passi di John e Yoko, alla ricerca del loro nido di amore sulla costa dell'Irlanda occidentale.

“Era un luogo dove pensavamo di poter sfuggire alle pressioni e trascorrere del tempo indisturbati insieme" dichiaro Yoko in un intervista nel 2006.
"Abbiamo spesso discusso l'idea di costruire un cottage lì. Era così bello, così tranquillo, eppure così isolato, sembrava un posto perfetto per allontanarsi da tutto”.

Il video di “(Just Like) Starting Over” , girato erroneamente a Dolin nella contea di Clare, si apre con le parole di John prese dall’ intervista a Rolling Stone del 1970:
Intervistatore : “Hai un immagine di te a 64 anni?
John : “no, ma spero che saremo un’adorabile coppia di vecchietti, che vivono al largo della costa dell'Irlanda o qualcosa del genere, ri-guardando l’ album delle nostre follie…”

Il video di “ (Just Like) Starting Over :
https://www.youtube.com/watch?v=pZCxyOcvp5A&list=PL4H5cduO6Biezqk1dUbHvcESdKIwX-rWN&index=13

A noi tutti, piace immaginarlo cosi, come nella scena del film “Yesterday” di Danny Boyle, ritirato e felice in un’isola irlandese disabitata, lontano della pazzie di questo mondo e con la sua amata Yoko accanto.

lunedì, marzo 27, 2023

Nirvana & New York



Prosegue la rubrica TALES FROM NEW YORK.

L'amico WHITE SEED è da tempo residente nella Big Apple e ci delizierà con una serie di brevi reportage su quanto accade in ambito sociale, musicale, "underground", da quelle parti, allegando sue foto.
Le precedenti puntate sono qui
:

https://tonyface.blogspot.com/search/label/Tales%20from%20New%20York

I Sony Studios a NYC dove i Nirvana avevano registrato "MTV Unplugged in New York" il 18 novembre 1993.

Il live venne trasmesso su MTV il 16 dicembre 1993.
Con i Nirvana sul palco dei Sony Studios il chitarrista Pat Smear (gia' presente nei live da settembre) e la violoncellista Lori Goldston, ospite della serata Cris e Curt Kirkwood membri dei Meat Puppets che suona tre brani tratti da Meat Puppets II.
Il disco uscì postumo il 1 Novembre 1994.

I Sony Studios hanno chiuso nel 2007 e si trovavano al 460 W. 54th Street in Manhattan.
Purtroppo lo stabile e' stato demolito per far spazio ad appartamenti residenziali.

sabato, marzo 25, 2023

Northern Soul & Not Moving LTD


Si riparte con i Not Moving LTD, stasera a Sestri Ponente (Genova), "Ostaia Do neu", ore 20.30, in una data anomala e particolare.
Altre date (in progress) qui:

Venerdì 7 aprile: Cesena “ Big Barrè”
Lunedì 24 aprile: Castelnuovo (Piacenza) “Kelly’s”
Mercoledì 5 luglio: Ravenna
Sabato 8 luglio: Roma “Forte Prenestino”
Sabato 5 agosto: Cagliari DA CONFERMARE
Venerdì 15 settembre : Bologna “Frida”
Sabato 16 settembre: Lonate Ceppino (VA) “Black Inside”
Venerdì 13 ottobre: La Spezia “Shake”
Sabato 14 ottobre : Como "Joshua"

Con "NORTHERN SOUL" domenica qui a Castelnuovo di Borgonovo (Piacenza) ore 21 al "Kelly's"

venerdì, marzo 24, 2023

Mosca e San Pietroburgo. Settembre 2022 - Parte #6



L'amico SOULFUL JULES, abituale frequentatore, per motivi di lavoro, dell'ex Urss, ci introduce nel clima di alcune zone, tristemente famose in questi giorni.
Ci aiuta a capire e ad approfondire, al di fuori di divisioni ideologiche, polarizzazioni, supposizioni.


Mosca e San Pietroburgo. Settembre 2022 - Quinta parte.

La prima parte qui:
https://tonyface.blogspot.com/2023/02/mosca-e-san-pietroburgo-settembre-2022.html

La seconda parte qui:
https://tonyface.blogspot.com/2023/02/mosca-e-san-pietroburgo-settembre-2022-2.html

La terza parte qui:
https://tonyface.blogspot.com/2023/03/mosca-e-san-pietroburgo-settembre-2022.html

La quarta parte è qui: https://tonyface.blogspot.com/2023/03/mosca-e-san-pietroburgo-settembre-2022_0953283786.html

La quinta parte è qui: https://tonyface.blogspot.com/2023/03/mosca-e-san-pietroburgo-settembre-2022_0935237908.htm

Le precedenti puntate di "Tales from ex Urss" sono qui:
https://tonyface.blogspot.com/search/label/Tales%20from%20Ex%20Urss

Prendo un taxi per tornare in albergo, la radio trasmette una canzone di Celentano, mai sentita. Per attaccare bottone, dico all’autista che sono italiano.
“Ah Italia! Uno dei miei paesi preferiti.”
Mi confida che in realtà non è mai uscito dalla Russia e se potesse si farebbe subito un viaggio a Roma.
“Ma adesso è più difficile” commenta con una punta di tristezza.
“Oggi hanno dichiarato la mobilitazione, potresti essere coinvolto?”
“Lo sa il Signore… Può darsi di sì.” risponde con un certo distacco, come se stesse parlando delle previsioni del tempo e mi colpisce questa indifferenza, il fatto che sia così tranquillo.
“Ma scusa, tu rientri tra quelli che potrebbero essere chiamati?” insisto.
“No ma chi lo sa come andrà. Qua dicono una cosa e poi…”

Parliamo del mio lavoro, il traffico è più intenso del solito, soprattutto a quest’ora, Jurij ha più o meno la mia età, rimpiange l’Unione Sovietica, “avevamo tutto” si lamenta, “ora qua non producono più niente e devo pregare Dio che non mi si rompa qualcosa perché non ci sono pezzi di ricambio.”

Dice che non si sta male, il periodo peggiore è stato negli anni novanta.
“C’era da avere paura, sul serio. Mia mamma per poco non c’è rimasta secca, l’hanno strattonata sotto casa ed è caduta di peso. Tutto per rubarle il colbacco. Un cappello!” ribadisce alzando le mani dal volante, tanto siamo fermi in coda.
“Ci sarà stato qualche incidente.” commenta Jurij tra sé e sé.

Arrivo in albergo che sono quasi le cinque del pomeriggio, volevo fare un salto al Russkij Muzej per visitare una mostra sul design sovietico ma non mi sento un granché, ho i brividi, prendo due aspirine russe, comprate nella farmacia qui sotto, e mi metto a letto.
Accendo la tv, quattro vecchi panzoni celebrano l’annuncio di Putin.
“Con le nuove riserve il nostro esercito avrà finalmente gli uomini per portare a termine l’operazione militare speciale. Gliela faremo vedere all’occidente!”

Spengo e appoggio il telecomando sul comodino.
Ho paura di ammalarmi e di restare qua.
Cerco di ragionare razionalmente, domani ho il volo per Mosca e dopodomani rientro a casa.
Controllo sul telefono il tragitto dall’albergo all’aeroporto Pulkovo, che è dalla parte opposta rispetto alla frontiera con la Finlandia.
Sui siti dei quotidiani italiani dicono che ci sono almeno trenta chilometri di coda al confine, sono i ragazzi che cercano di scappare prima che li chiamino o che decidano di chiudere tutto.

Leggo qualche pagina del Mago del Cremlino per distrarmi, il protagonista parla delle purghe Staliniane, di come tutti quelli che erano vicini al capo, che vivevano con lui, le mogli e i bambini sempre assieme come nelle famiglie allargate, siano poi finiti giustiziati e spesso si autoaccusavano di crimini e tradimenti mai commessi pur di risparmiare ai parenti pene spaventose, comunque erano condannati a portare il marchio dell’infamia.

Il libro mi mette ancora più ansia e nel frattempo arrivano i messaggi di chi non si fa mai sentire ma oggi ha deciso di condividere gli screen-shot delle testate online, come se non le guardassi ogni cinque minuti.
“Fuga dalla Russia.”, “Presi d’assalto gli aeroporti”, “Decine di chilometri di fila alle frontiere.”

Ne avevo bisogno.
Poi arrivano le domande cretine “Ma tu ce l’hai già il biglietto di ritorno?”, i costi dei voli sono schizzati, fino a diecimila euro per la tratta Mosca-Istanbul. No, sono arrivato con un biglietto di sola andata, sai mai che poi mi trovo bene e rimango qua.

Attraverso la finestra filtra il suono dei claxon dalla strada, gli ululati delle sirene, è la prima volta che ci faccio caso da quando sono qua.
I media occidentali riportano di manifestazioni di protesta e arresti, mi piacerebbe scendere in strada e guardare cosa succede ma sono sotto le coperte, voglio tornare a casa e non posso ammalarmi, niente mal di gola, febbre, tosse o raffreddore, perché devo prendere due voli, anzi tre, e quei cazzo di termoscanner sono dappertutto.
Se riesco a tornare in Italia, tra una settimana vado in Germania a ballare.
La minaccia nucleare ogni giorno più concreta, l’ultima volta che ho avuto paura della bomba atomica ero bambino, quando ho visto il film The Day After, e adesso l’unica cosa di cui mi importa è perdermi nel parquet di una pista da ballo, tra le luci intermittenti e i suoni dei fiati e dei violini, assieme ai miei amici.

Quarantaquattro anni e fino a stamattina me ne sentivo venticinque al massimo, poi ho preso l’ascensore e nella cabina con gli specchi sui due lati, ad angolo, assorto nei miei pensieri, ho alzato la testa e ho visto la mia immagine riflessa di schiena.
Ero un po’ ingobbito, le spalle piegate in avanti, i capelli grigi e l’aria mesta da pensionato, altro che il guizzo vitale del ventenne.

Alla fine mi distraggo un po’ con Pistol, la serie diretta da Danny Boyle incentrata sulla biografia di Steve Jones, il chitarrista dei Sex Pistols, un’infanzia di abusi e violenze riscattata, in parte, dalla musica.
Non è un granché, i personaggi un po’ stereotipati, i dialoghi inverosimili, ma la colonna sonora è bella, le ricostruzioni degli ambienti sono fedeli e lo spirito dell’epoca è tratteggiato in maniera credibile.

La mattina mi alzo, faccio un po’ di squat davanti allo specchio, la tv accesa sul primo canale.
In sottofondo un esperto politico condanna la cattiveria dell’occidente, nel servizio successivo commentano con toni trionfalistici che, nonostante le sanzioni, quest’anno l’export di pesce è cresciuto in maniera sensibile.
Il presentatore saluta e invita gli spettatori a non cambiare canale e a seguire il programma contro le fake news che andrà in onda dopo la pubblicità.

Giù a colazione sono tutti sereni, tra quelli che hanno meno di quarantacinque anni non ce n’è uno che sia magro, o appena appena in forma.
Prima di partire ho un seminario nell’ufficio del distributore, per i suoi clienti, “raduniamo dieci aziende in una sala così evitiamo di andare in giro per mezza città”, me l’hanno venduta bene.
Il tassista è uzbeko, un bel ragazzo ma non tanto intelligente. Parla male il russo e dopo che gli ho detto che sono stato nel suo paese decide di sfogarsi con me.

L’Uzbekistan fa schifo, si lamenta di cose incomprensibili, dice kak skazat’, come dire, ogni due parole.
Cosa mi è venuto in mente di attaccare bottone con questo, meglio se mi facevo i fatti miei.
Continua a protestare e a parlare da solo, una nenia fastidiosa che stride con la bella giornata che si apre fuori dal finestrino, a un certo punto attacca a ridere delle altre macchine, scandisce i marchi come i nomi di vecchi amici.
“Hahaha Kia Rio.”
“Heyyy Matiz!”
“Ooohhh Tesla.”
“BMVuuuu.”

Dal distributore mi sistemo in una saletta con uno schermo tv a cui collego il pc.
Ci sono giusto 4 sedie, una brochure e una penna con il nostro logo appoggiata sopra di ognuna. Prima di iniziare scambio due parole con Ekaterina, la direttrice.
Si informa sull’orario della mia partenza, le spiego che mi sono preso per tempo ma lei insiste, mi mette agitazione, c’è la ressa in aeroporto, un casino di gente sta cercando di lasciare il paese, code per strada, rischio di perdere il volo.
Il modo migliore per farmi sentire a mio agio. Dopo qualche minuto arrivano un tipo in tuta, con i capelli rossi e gli occhi cisposi, e una ragazza con gli stivali neri fin sotto il ginocchio, i capelli biondi e lunghi e le unghie lunghe laccate di rosa confetto. Eccole qua le dieci aziende. Parlo per poco più di un’ora con lo sguardo fisso sul quadrante dell’orologio.
I trend di Milano, le basi sospese, il dettaglio, il valore aggiunto, la nicchia e la fascia di prezzo e intanto penso al mio volo, sullo schermo scorrono le immagini dei soggiorni e delle vetrine con il telaio in alluminio e il vetro fumé mentre dietro ai miei occhi si alternano i fotogrammi dell’aeroporto con la gente ammassata all’esterno per entrare, i poliziotti che cercano di tenere a bada la folla disperata.
Arredamenti che testimoniano uno stile di vita elegante ed esclusivo e lo stomaco bloccato dall’angoscia di ritrovarmi come quei poveri disgraziati che cercavano di scappare da Kabul prima dell’arrivo dei Talebani.

Termino con le formalità del caso, Ekaterina mi accompagna al cancello e aspettiamo assieme che arrivi il mio taxi.
Parla con gli occhi lucidi.
“Adesso ci saranno i referendum e passeremo dalla Operazione Militare Speciale alla guerra.”
“Potrebbero richiamare qualcuno dei tuoi dipendenti?”
“I ragazzi che lavorano in magazzino sono tutti riservisti.”
“Li hanno già convocati?”
“No ma penso sia una questione di tempo.”

Quando è iniziata la guerra Emmanuel Carrère si trovava a Mosca dove ha raccolto impressioni ed esperienze dirette per poi scrivere un reportage dai toni apocalittici in cui raccontava dei suoi amici che si preparavano a lasciare la Russia pochi giorni dopo il 24 febbraio.
Erano tutti registi, sceneggiatori e persone di cultura, più che benestanti.
Delle decine di persone che ho incrociato negli ultimi mesi non conosco nessuno che sia in grado di andarsene.
Prima di salire in auto osservo il volto di Ekaterina, è diviso in due, come l’orizzonte di San Pietroburgo.
Le labbra pitturate di rosso, piegate in un sorriso che scava due fossette sulle guance, l’azzurro delle iridi ingrigito e bagnato di tristezza. Ci salutiamo e ci abbracciamo per davvero, quasi fosse un addio.

Anche questo tassista è uzbeko ma non ha voglia di parlare.
Il cielo nel frattempo si è fatto scuro e pesante, il parabrezza si riempie di goccioline, cadono con un ticchettio delicato.
Guardo fuori dal finestrino, per anni e per migliaia di chilometri la prospettiva laterale è stata il mio punto di vista sul paese, rigorosamente dal sedile posteriore destro.
Chissà quando mi ricapiterà di tornare, di rivedere questi palazzoni.
Sullo sfondo una distesa di nuvole basse e deprimenti, ogni tanto si aprono, lasciano filtrare un raggio di sole che proietta le sagome delle auto sull’asfalto. Sarebbe bello che finisse come nei film, lo spiraglio di luce che accende la speranza.

La nostra Kia fila spedita lungo i vialoni a tre corsie, l’app del traffico non segnala rallentamenti ma nei paraggi dell’aeroporto c’è coda.
Auto, trattori, camion e furgoni, tutti in fila.
Non c’è neanche il tempo di far lavorare l’ansia che torniamo a muoverci, era un breve intasamento per lavori in corso.

Nella zona delle partenze è tutto tranquillo, c’è poca gente, nessuno davanti a me al banco del check-in, passo rapidamente attraverso gli scanner.
Già mi ero preso in anticipo, mettici le paranoie di Ekaterina, adesso mi tocca aspettare tre ore nel terminal.
Faccio due passi, subito dopo un chiosco di souvenir tradizionali c’è un negozio di abbigliamento casual e sportivo con il marchio Putin Team.
Compreresti una felpa con la stampa Squadra Mattarella sul petto?

Mi accomodo nella lounge, su un divanetto bianco in finta pelle, all’inizio non c’è quasi nessuno, poi inizia ad arrivare gente.
Sono tutti bistecconi, in prevalenza, sotto i cinquant’anni, Iphone, sneakers Balenciaga, zainetti bicolore Piquadro.
Viaggiano da soli.
Mentre aspetto mi guardo qualche altro episodio di Pistol, Sid Vicious ha ormai sostituito Glen Matlock al basso.
La prima volta che ho ascoltato Anarchy In The Uk avevo dodici anni, era l’estate del ’90, in Inghilterra, vicino a Norwich per una vacanza studio.
Sabato sera c’era il barbeque in giardino, mi stavo servendo dal bidone dove grigliavano la carne, forse parlavo con qualcuno, da un mangiacassette nero usciva della musica.
Quando è partito il riff iniziale, con la voce abrasiva di Johnny Rotten, mi è caduta la salsiccia sul piatto e sono restato accanto alla griglia fino alla fine del pezzo, stordito da quel suono potente e oltraggioso.
I Sex Pistols li conoscevo di nome, mio padre aveva l’enciclopedia del rock a volumi e c’era un capitolo dove Lydon & co venivano massacrati dalla critica e io mi immaginavo chissà cosa e invece Never Mind era proprio un bel disco.
Appena tornato dall’Inghilterra me lo sono comprato e l’ho consumato, un po’ per gli ascolti e un po’ perché non avevo grande dimestichezza con la puntina.
Qualche anno fa ho scambiati due chiacchiere con Glen Matlock dopo un concerto, e quando mi ha detto che avevo l’accento irlandese l’ho preso come un complimento.
Qualche tempo dopo ho letto la sua autobiografia dove parla male degli irlandesi e mi sono un po’ risentito di questa cosa.
Chissà se ha visto la serie Pistol, non ci fa una bella figura.


mercoledì, marzo 22, 2023

Margini di Niccolò Falsetti


Un film che tocca le corde emotive di chi c'era e queste cose le ha fatte.
Esattamente così (spesso senza lieto fine).
Senza bla bla bla dei fru fru fru da social.

Un gruppo di punk/skin grossetani organizza un concerto street punk di una nota band americana in città, con annessi e connessi della provincia profonda.

Il film e gli splendidi protagonisti sono perfettamente credibili, fino ad assumere (al di là di qualche perdonabile e non intrusiva forzatura della sceneggiatura) i caratteri di un documentario.

Bello, commovente, vero.

Il trailer:
https://www.youtube.com/watch?v=rO5_SFzES3I

martedì, marzo 21, 2023

Mauro Franco - Esilio in Costa Azzurra. Come andò veramente


Cosa succede se un delinquente in fuga da una lotta tra bande mafiose, finisce a fare il cuoco in Costa Azzurra ai ROLLING STONES mentre registrano "Exile on Main Street"?.

Parecchie cose imprevedibili, tra Keith, Mick, Gram Parsons, Anita e la band, inconsapevoli spettatori delle vendette dei rivali del protagonista Arturo.

Un libro più che divertente e avvincente, fedele alla storia del disco e di quei giorni estremi per la band "fatti di musica (molta), sesso (poco) e droga (quanto basta)", citando Anita Pallenberg.

Lettura spensierata e gradevolissima.

Mauro Franco
Esilio in Costa Azzurra. Come andò veramente
Helicon
300 pagine
18 euro

lunedì, marzo 20, 2023

Vladimir Vysockij


Riprendo l'articolo che ho dedicato ieri al cantautore sovietico Vladimir Vysockij nella pagine di "Libertà".

La criminale invasione dell’Ucraina, oltre al malefico universo di dolore e insensata devastazione, ha portato con sé una separazione politica, sociale e culturale tra quella parte d’Europa (perché di questo si tratta, la parte occidentale della Russia è sempre stata, culturalmente, Europa) e questa in cui viviamo, che durerà decenni e le cui ferite saranno complicatissime da suturare.

Abbiamo assistito a censure insensate per artisti e autori, solo perché di nazionalità russa e all’invocata messa al bando di testi classici, perché scritti nella parte “sbagliata” del mondo. Un manicheismo politicamente e intellettualmente molto comodo che, ovviamente, non tiene conto delle mille sfumature.

Bisognerebbe iniziare, ad esempio, a distinguere tra chi detiene il potere, gestendolo spesso spietatamente in funzione dei propri interessi e chi invece è vittima dei propri governanti, non ne condivide le mosse ma è costretto (o non di rado indotto) a muoversi nella loro stessa direzione. Una volta, prima del 1989, la si pensava allo stesso modo.
Noi siamo dalla parte giusta e corretta e dall’altra parte ci sono solo i cattivi e spietati che mangiano i bambini.
Invece oltre quella “cortina di ferro” si vivevano storie simili alle nostre, ricche di quelle gradazioni che pensavamo non potessero esistere.

In Unione Sovietica si pensava ci fossero i comunisti ligi al dovere e i dissidenti, vessati, bastonati, internati. Non era esattamente così.

E la storia di Vladimir Vysockij lo dimostra.

Cantautore e artista, inviso al regime comunista per la sua vita e l’attitudine anarchica e libertaria ma contro il quale non si pose mai apertamente in conflitto, pur essendo l’antitesi dell’immagine del virtuoso socialista, al servizio del popolo.
Proprio per questa modalità fu amatissimo dal pubblico sovietico che gli tributò, alla sua morte, a soli 42 anni, un bagno di folla ai funerali tenutisi in una Mosca in piene Olimpiadi del 1980, tirata a lucido e svuotata da qualsiasi potenziale “disturbatore”. In centomila persone si affollarono intorno al feretro, nonostante i media ufficiali avessero tenuto la notizia rigorosamente nascosta.

Crollato il comunismo la sua figura è diventata di culto nella Russia “democratica”, con omaggi di ogni tipo, incluso quello dello stesso Putin, nel venticinquesimo anniversario della scomparsa.
La sua fama ha valicato i confini e trovato apprezzamenti anche in Europa e Stati Uniti.

In Italia gli venne assegnato il Premio Tenco, postumo, nel 1993, occasione in cui una serie di importanti nomi del cantautorato italiano lo omaggiarono nell’album “Il volo di Volodja” a cui parteciparono, traducendo i suoi brani in italiano, Guccini, Vecchioni, Capossela, Ligabue, Milva, Branduardi, Finardi.
Lo stesso Eugenio Finardi approfondì la ricerca sulle canzoni di Visocky dedicandogli un intero album, anche questo ovviamente tradotto nella nostra lingua, “Il cantante al microfono”, nel 2008. Anche Vinicio Capossela e Paolo Rossi ne includeranno brani in loro album e spettacoli.

Il suo stile era scarno, minimale, chitarra acustica (talvolta volutamente scordata), una voce rauca, “alcolica” da incallito fumatore, vissuta, che inizialmente raccontava in modo aspro e diretto storie della malavita moscovita e della complicata realtà sovietica degli anni Sessanta ma che poi si allargò a tantissime altre tematiche connesse alla quotidianità, dall’amicizia a chiassose bevute, mettendo in primo piano la vita dei più sfortunati, oppressi, gli ultimi della società.

L’aspetto interessante è che in queste intense e sgangherate ballate non c’era una critica apertamente politica che potesse portarlo alla censura o a una reprimenda da parte del regime ma il cantare un certo tipo di storie metteva in evidenza quanto le cose non fossero così come venivano ufficialmente raccontate, rappresentando una società in cui il disagio e l’insoddisfazione, la miseria e le aspirazioni castrate, fossero ben presenti e che non tutto rilucesse nel “paradiso dei lavoratori”.

Anche i suoi concerti erano sempre piuttosto coloriti e fuori dai canoni sovietici (in cui o si parlava mellifluamente di amore o si esaltavano patriotticamente le conquiste del socialismo).
Molto ironico e pungente anche quando canta di se stesso in “Dalla vita mi ha strappato un autista sbadato”:
“La vita me l'ha strappata via un autista sbadato, le mie spoglie nessuno le ha richieste all'obitorio. Portano il mio cranio al museo di storia naturale, lo scheletro sarà usato per giocarci a domino” concludendo amaramente con “Ho camminato per le strade della vita come un comune pedone io, che per non ritardare, mi sono sempre svegliato tanto presto. Chi dirà di avermi rispettato è un bugiardo. Un ubriacone senza rispetto per se stesso”. La sua epica e il suo canto per i vinti ricorda da vicino quella del nostro Fabrizio De Andrè. Vedi ad esempio “Il volo di Volodja”:
“Signore, quando a te arriveranno gli ultimi, scordati pure dai crisantemi, arriveranno con passo celere perché sono sempre i primi a crepare e quando arriveranno gli inutili tagliando finalmente un traguardo e quando arriveranno i timidi uccisi da un sorriso, da uno sguardo e quando arriveranno le “lucciole” con i calli sui tacchi e sul cuore e chissà con quale animo saprai parlare loro d’amore e quando arriveranno i fradici vomitando grappe da due lire e ti offriranno gli ultimi spiccioli per un penultimo bicchiere, allora tu Signore chiederai pietà”.

Visocky nascondeva dietro a una proposizione musicale sguaiata, ironica e da cantastorie, un po’ guitto, un po’ teppista, una ricerca poetica attraverso versi di enorme spessore, lessicalmente colti. La sua vita artistica era costantemente boicottata dal regime che lo descriveva come un pessimo esempio per la gioventù.

Paradossalmente Visocky era quello, nella nazione modello del “servire il popolo” ma che i suoi cittadini li vessava con mille regole e divieti, che al popolo veramente arrivava, spontaneamente e direttamente.
Cantava spesso nelle fabbriche dove in molti registravano i suoi concerti su cassetta, le duplicavano e le facevano girare tra amici e conoscenti.
Scrisse una lettera di lamentela a un rappresentante del Pcus (Partito Comunista dell’Unione Sovietica) in cui sarcasticamente sottolineava:
“Sono sicuro che lei sappia che nel paese è più facile trovare un registratore sul quale ci siano le mie canzoni piuttosto che uno dove non ce ne siano”.

Ma suonava ovunque gli fosse possibile, non di rado anche in piccoli concerti in appartamenti privati, nelle università o improvvisando all’aperto.
Peraltro in un paese dove non esisteva l’imprenditoria privata e la quasi totalità dei lavoratori era pagata dalla stato, il suo perenne girovagare suonando lo fece arricchire parecchio rispetto al resto della popolazione, grazie ai biglietti dei concerti (ne faceva anche diversi al giorno, con la sua chitarra e la sua voce).

Incise alcuni dischi per l’etichetta di stato, l’unica consentita, la Melodjia ma con precise censure e indicazioni, concedendogli solo testi innocui.

La fama di Visocky era immensa in tutta l’Urss tanto che si cimentò anche come attore, sia cinematografico che teatrale, ottenendo un grande successo.
Non fu mai esplicitamente anti sovietico, anzi, continuò a professare un amore incondizionato per la sua terra e la sua patria.
Paradossalmente proprio per questo atteggiamento trovò meno interesse in Occidente, dove il “martire dissidente perseguitato” aveva sicuramente maggior appeal.

Sposa l’attrice francese Marina Vlady e ottiene i visti per potere uscire dall’Urss.
La sua vita è sempre più disordinata: alcol a fiumi, anche tanta droga, atteggiamenti sempre più frequentemente sopra le righe (era l’unico privato a Mosca a possedere un auto occidentale). Da una parte il segretario Breznev lo adorava, dall’altro era costantemente ignorato da stampa e media.

Suona in tutto l’impero sovietico e nei paesi satelliti, arriva anche a New York e Los Angeles ma le sue condizioni peggiorano sempre di più a causa degli eccessi a cui si è da tempo abbandonato e vari tentativi di disintossicazione non vanno a buon fine.

Muore nel 1980.

Ha composto più di cinquecento brani (qualcuno parla di un migliaio) l’ultimo dei quali, poco prima di morire fu indirizzato alla moglie Marina: "Una lettera a Marina":
"Ho meno di cinquant'anni, ma il tempo è breve / Protetto da te e da Dio, vita e membra / Ho una canzone o due da cantare davanti al Signore / Ho un modo per fare pace con lui”.

Владимир Высоцкий - Кони привередливые
https://www.youtube.com/watch?v=4hQQ4i7bf4U

Vladimir Vysotsky - Wolf Hunt
https://www.youtube.com/watch?v=ROmlFJamIuY

Vinicio Capossela - Il pugile sentimentale
https://www.youtube.com/watch?v=X4iv1Wg1RKY

sabato, marzo 18, 2023

Sergej Dovlatov - La valigia


Scrittore e giornalista russo particolarissimo, di spirito anarchico, poco incline alle regole e al rigore sovietico, Sergej Dovlatov fu costretto a lasciare l'URSS dopo essere stato espulso dall'Ordine dei giornalisti, pagando la sua vena dissacrante.

"La valigia" è considerato il suo libro più rappresentativo (del 1986, pubblicato in Italia da Sellerio nel 1999) in cui in otto racconti ci mostra un'URSS in sfacelo, degradata e degradante, alcolizzata e in preda ad approfittatori di ogni grammo di potere.
Il tutto con un umorismo acre e sferzante, uno sguardo disincantato sulla rovina circostante, irrisorio e sprezzante.

Divertente e malinconico, profondo e leggero.
Consigliatissimo.

“Osservai la valigia vuota. Sul fondo Marx. In cima Brodskij. E tra loro la mia unica, inestimabile, irripetibile esistenza. La chiusi. All’interno rimbalzarono sonore le palline di naftalina. Il mucchio variopinto del suo contenuto giaceva sul tavolo della cucina. Era tutto ciò che avevo messo insieme in trentasei anni, durante tutta la mia vita in Russia. Pensai: ma davvero è tutto qui? E risposi: sì, è tutto qui.” (pag.14)

"Mille volte ho messo insieme compagnie di persone per bene, ma tutto invano.
Solo in compagnia di selvaggi, schifofremici e carogne mi sono sentito a mio agio"
. (pag. 95)

Sergej Dovlatov
La valigia
Sellerio
204 pagine
12 euro

venerdì, marzo 17, 2023

Mosca e San Pietroburgo. Settembre 2022 - Parte #5



L'amico SOULFUL JULES, abituale frequentatore, per motivi di lavoro, dell'ex Urss, ci introduce nel clima di alcune zone, tristemente famose in questi giorni.
Ci aiuta a capire e ad approfondire, al di fuori di divisioni ideologiche, polarizzazioni, supposizioni.


Mosca e San Pietroburgo. Settembre 2022 - Quinta parte.

La prima parte qui:
https://tonyface.blogspot.com/2023/02/mosca-e-san-pietroburgo-settembre-2022.html

La seconda parte qui:
https://tonyface.blogspot.com/2023/02/mosca-e-san-pietroburgo-settembre-2022-2.html

La terza parte qui:
https://tonyface.blogspot.com/2023/03/mosca-e-san-pietroburgo-settembre-2022.html

La quarte parte è qui: https://tonyface.blogspot.com/2023/03/mosca-e-san-pietroburgo-settembre-2022_0953283786.html

Le precedenti puntate di "Tales from ex Urss" sono qui:
https://tonyface.blogspot.com/search/label/Tales%20from%20Ex%20Urss

In questi giorni non ho mai indossato la mascherina, qualche mese fa me la sfilavo solo per mangiare, prima di rientrare dovevo fare il tampone e c’era il rischio di rimanere bloccato qua, in chissà quali condizioni.
Era scomodo e avvilente, ero praticamente l’unico a girare con bocca e naso coperti, adesso è molto più rilassante e soprattutto più agevole per parlare, senza impedimenti.
Quando arrivo in ufficio Svetlana, una signora corpulenta con i capelli cortissimi tinti di platino, mi avverte subito che in questo periodo “sono tutti ammalati, è pericoloso andare in giro dai clienti.”
Vuole pararsi un po’ il culo perché non è riuscita ad organizzare abbastanza incontri da aziende degne di nota ma mi mette addosso una para nera, forse quel pizzicorino alla gola…

Saluto Svetlana e le sue belle notizie e monto in auto con Nataša, il manager per lo sviluppo, in Russia tutti gli impiegati sono manager, poi bisogna vedere se semplice, staršij o veduščij, senior o quadro, ci sono sempre mille ruoli e millemila gradazioni che valgono solo nei biglietti da visita.

Nataša mi dice che ha concordato l’incontro presso una fabbrica di cucine con il designer principale, “gli ho detto che avrei portato un tecnico esperto” mi confida soddisfatta.
Sarei io, il tecnico esperto.
Quasi venti anni che faccio questo lavoro, me la cavo a gestire persone, incontri e presentazioni, conosco le caratteristiche della zama o dell’acciaio, il valore aggiunto, le quote di foratura sul pannello per montare una giunzione, l’interasse dei perni me li ricordo senza aprire il catalogo, ma ho sempre paura di essere scoperto, che mi capiti di trovarmi di fronte uno di quelli che le forature sul pannello le fa per davvero, a mano, con la polvere che gli ricopre l’avanbraccio e bastano due domande perché scopra che non sono un tecnico, perché il bluff venga smascherato, come un verginello che pontifica di Kamasutra finché si trova a parlare con un attore porno.
Mi siedo a un tavolo con Sergej, che disegna le cucine per uno dei più grossi brand del paese, devo spiegargli come appendere un pensile al muro, come fissarlo in modo sicuro.
Non ci credo quando mi dice che pensava di usare due reggicristalli, dettagli grandi poco più di un’unghia che servono a bloccare i ripiani di vetro nei mobili, mi chiede se possono sostenere una struttura da centocinquanta chili. Esco dall’incontro che mi sento, a livello tecnico, Rocco Siffredi.

In macchina cerco di fare due chiacchiere con Natalja, certe volte sarebbe meglio guardare il telefonino, come ho fatto per anni, ma il roaming costa caro e sui siti di informazione ci sono solo brutte notizie.
“Hai un fidanzato?”
“Sì, ci siamo messi insieme a gennaio.”
“Dove vi siete conosciuti?” domando con curiosità, perché mi interessano le dinamiche di rimorchio in una metropoli come San Pietroburgo.
“Sui social.”
“Ah! Facebook?”
“Tinder.”
“Cosa fa il tuo ragazzo?” continuo con l’interrogatorio, perché Natalja non parla, non fa domande, nemmeno quelle più banali.
“Fa alpinismo industriale.”
“Eh?”
“Lava i vetri dei grattacieli e dei centri commerciali, si appende con l’imbragatura da scalatore.”
“Esci mai da San Pietroburgo per lavoro?”
“Dipende, se c’è di mezzo un dealer, l’incontro va concordato con la direzione, e se effettivamente è una komandirovka, un viaggio di lavoro, bisogna vedere se mi riconoscono l’indennità di trasferta e quanto mi danno.
Se non è tanto o se è troppo complesso è meglio lasciar perdere.”

Dal dealer non ci va nessuno perché al venditore non pagano i panini e la benzina o non gli danno la diaria, oppure è uno sbattimento tirare fuori i talloncini da firmare e timbrare.
Si potrebbe vendere di più e crescere, basterebbe muoversi, farsi due o trecento chilometri per presentare gli articoli, ricordare al distributore che esisti e che deve spingere i tuoi prodotti ma c’è sempre questa difficoltà a prendere l’iniziativa, assumersi delle responsabilità.
E ancora, dopo tanti anni, mi colpisce il divario tra chi è dotato di un’intelligenza acuta, quasi geniale e chi è impantanato in uno stagno di ottusità, incapace di alzarsi e andare oltre.
Se da noi è tutto più uniforme, livellato, qua no, sempre picchi ed eccessi.

L’incontro successivo è organizzato in una fabbrichetta in centro, all’interno di un edificio di mattoni rossi che ancora resiste alla gentrificazione dei quartieri urbani. Fanno mobili, complementi, porte, scale, pannellature.
Mi girano le palle, perché se fanno tutto vuol dire che producono pochi mobili e che senso ha che io venga apposta dall’Italia per seguire un cliente che alla fine dell’anno avrà comprato cento euro di roba.
Cerco di farmi scivolare l’incazzatura mentre aspettiamo qualche istante davanti alla reception, in una sala ampia e illuminata.
Sulle pareti lucide sono appesi dei campioni di cornici e altri elementi di decoro intarsiati, roba che va poi sugli infissi o a ridosso dei corrimani, li tengono bene in vista così il cliente finale può scegliere direttamente. Una ragazza fasciata in un vestitino nero ci accompagna nell’ufficio dei tecnici.
Attraversiamo lo stanzone con i macchinari per il taglio e la bordatura dei pannelli; vicino alle finestre sono disposti dei banchi di lavoro per le operazioni manuali, forature speciali, rifiniture di dettagli con la carta vetrata e il pennellino.
C’è polvere dappertutto, il pulviscolo sospeso nell’aria nonostante le bocche di aspirazione, i tubi metallici che corrono lungo i muri, l’ambiente saturo dell’odore pungente di colle e solventi che ti prende lo stomaco e ti blocca la gola.
Il pavimento è quasi bianco dagli scarti di lavorazione.
Producono roba da oligarchi, intarsiata, tutto nero laccato e oro, a metà tra una bara e un pianoforte a coda.
L’ufficio è abbastanza spazioso ma disordinato, sopra le nostre teste fiumi di cavi e il neon che sfarfalla.
Bisogna parlare ad alta voce per il suono metallico delle frese che ragliano oltre la parete scrostata.
Fa caldissimo.
Inghiotto una mestolata di saliva amara come il rafano, cerco di non pensarci e inizio a presentare gli articoli. Sono l’unico che parla, nessuno che intervenga o faccia una richiesta di chiarimento.
Natalja, vicino a me, è assorbita dallo schermo dell’Iphone.
Mi guardano con le palpebre socchiuse, qualcuno fatica a restare sveglio.
Fanno di sì con la testa per rispetto, hanno anche liberato un tavolo perché ci appoggi sopra la mia roba, uno sta registrando quello che dico col telefonino, chissà quante volte se l’ascolteranno questa presentazione.
Li fisso dritto negli occhi, perché non si addormentino, questi non capiscono niente e fanno mobili, è il loro mestiere e ne so più io.

L’ultimo incontro va meglio, i clienti ci ricevono in uno show-room atmosferico, uno spazio curato, con le luci soffuse.
Ci accomodiamo attorno a un tavolo da riunioni con il top in finto cemento, le ragazze sono carine, con le unghie levigate e smaltate, ogni volta ti domandi come facciano a lavorare con quella manicure.
Mi collego col pc ad uno schermo appeso alla parete, proietto immagini di interni dall’ultima fiera di Milano.
Parlo ininterrottamente per due ore, li prendo per mano e li accompagno in un viaggio alla scoperta delle ultime tendenze del design mondiale.
Un percorso che tocca i punti cardinali dell’estetica e della funzionalità e si snoda tra basi sospese, profili in alluminio, sfumature di rosa e mattone, ante a ribalta in tinte pastello e finiture opacizzate.
La destinazione finale è il dettaglio, l’elemento strutturale, quasi invisibile, che tiene assieme la costruzione e dona al mobile un valore aggiunto, caratterizzante.
Il focus sui reggiripiani in nickel nero, i pistoncini slim per un’apertura ammortizzata, il meccanismo a filo che unisce minimalismo e dinamicità.
Ogni tanto alzo lo sguardo e le osservo, hanno gli occhi fissi sullo schermo, sembrano davvero rapite dalle immagini e dall’eloquenza della mia voce, calda, coinvolgente, ispirata.
Alla fine mi dedicano un applauso spontaneo, non gli è mai capitato un incontro del genere.
Tanto non serve a niente, anche questo è un piccolo produttore, quantità ridotte e poche possibilità di crescita.
Natalja mi guarda impassibile, il telefono in mano.

Alla sera mi trovo con Igor’, l’amico che avevo incontrato anche a luglio, quando faceva caldo e il sole era alto fino a tardi.
Adesso l’azzurro è sparito ma c’è un bel movimento lungo il Nevskij, ragazzi con le cuffiette, turisti impacciati, impiegati appena usciti dal lavoro che si dirigono verso la metro.
Ci sistemiamo in un pub che si affaccia su un canale, un vecchio magazzino infighettato dove servono più di cinquanta tipi di birra, parliamo del nuovo lavoro di Igor’.
“Ho mollato l’altra azienda dopo dieci anni, i nostri fornitori erano quasi tutti italiani, compravamo turbine per l’estrazione del gas ma adesso è merce sanzionata.
Me ne sono andato prima che mi licenziassero.”
“Il nuovo posto com’è?”
“È un mese che sono lì e le ultime due settimane sono stato in ferie, a Yerevan, in Armenia.”
“Piaciuto?”
“Sì bellissimo, trenta gradi. Unica cosa, troppi russi. Impossibile trovare un tavolo al ristorante senza prenotazione, anche i cafè col wi-fi gratuito erano sempre occupati da gente che lavorava e che faceva video-call.”
Gli chiedo come faccia ad accedere a Facebook e mi insegna come scaricare un VPN, una specie di portale che ti permette di visitare i siti come se ti trovassi in un altro paese. Provo e funziona, Netflix e Disney si aprono, la pubblicità è in olandese.
Cerchiamo di non parlare della guerra, Igor’ dice che a casa ha litigato con suo padre.

“È il classico russo che crede a tutte le stronzate che sente in tv, ce ne sono milioni come lui.
Non ti dico che discussioni. Io e la mamma stiamo all’opposizione.” dice ridendo, scopre i denti bianchi, regolari che qua in Russia non è una cosa tanto comune.

Ma per quanto uno ci provi a pensare ad altro, le notizie degli ultimi giorni sono preoccupanti, pare che il Cremlino voglia organizzare dei referendum nelle regioni contese all’Ucraina, per annetterle alla Russia.
E questo non porta niente di buono, se quei territori vanno sotto Mosca e poi ci casca sopra anche un petardo, la Russia sarebbe legittimata dallo statuto ad utilizzare armi nucleari per difendere il proprio territorio.

“Speriamo che non succeda niente, che trovino un accordo.” si augura Igor’ un po’ sovrappensiero, lo sguardo incollato sulla fajita di pollo che gli hanno appena portato.

Lungo i marciapiedi camminano dei ragazzi in tuta, lo zaino sulle spalle, i fili degli auricolari che escono dalle orecchie e scendono lungo il collo, procedono calpestando sul selciato le foglie ingiallite delle betulle e mi domando se sanno già, se toccherà anche a loro.
Costeggiamo il Golfo di Finlandia, un raggio di sole buca le nuvole e attraversa lo scheletro metallico del ponte, sorretto da una ragnatela di tiranti, le silhouette di palazzi moderni illuminate sullo sfondo.
Dura un attimo, poi il cielo torna a chiudersi.

L’incontro è in uno showroom in stile loft, acciaio e cemento e linee pulite all’interno di un vecchio edificio in mattoni rossi, restaurato da poco.
Ci sono una decina di persone nella stanza, le ragazze sono bellissime, zigomi pronunciati, occhi grandi e azzurri che proiettano sguardi algidi, distanti ma basta una parola, un mezzo sorriso perché rivelino un calore inaspettato, come la leva che apre un passaggio segreto.
I tecnici invece hanno l’aria scazzata, tipo “che perdita di tempo”, “chi si crede di essere questo?”.
Dopo le prime battute si rilassano e fanno qualche intervento, alla fine sono tutti sorridenti, anche quelli in età da mobilitazione.

Business as usual.
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