sabato, agosto 31, 2013

Gli Who e il calcio



Una serie di estratti dal libro "ROCK N GOAL" (Bacciocchi-Galletti, VoloLibero Edizioni) arriccchiti da qualche ulteriore particolare, foto, aneddoto.

Nelle foto Roger Daltrey, l'unico degli WHO con qualche interesse calcistico, ad "Highbury", lo stadio del suo ARSENAL, con l'allenatore Wenger, con il calciatore francese Gael Clichy alla chitarra.

ROGER DALTREY Cresciuto ad Acton,periferia occidentale di Londra, Daltrey da ragazzo era più interessato al blues e nel rythm and blues che al Queen’s Park Rangers, la squadra del sobborgo che andava a vedere il sabato pomeriggio.
‘Era ciò che si faceva il sabato pomeriggio a quell’epoca, ma non sono mai stato un fanatico del QPR, ma si andava e si stava in curva, in piedi, dietro la porta”.
Pur rimanendo più attento alla musica che al calcio, continuò a frequentare lo stadio fino a fine anni ’60, quando l’irrompere della violenza calcistica lo convinse a disertare gli, stadi, ‘Non guardavo nemmeno più le partite alla tv’. Lavoravamo molto in America a quel tempo , dove i ragazzi venivano mandati a combattere in Vietnam.
La gioventù era molto unita, tutto il contrario di ciò che succedeva da noi in Inghilterra.
Il suo interesse per il calcio rifiorì alla fine degli anni ’80, grazie al figlio di sette anni che cominciò a portare una sciarpa dell’ Arsenal e a chiedere di essere portato allo stadio.
Scroccò un paio di biglietti ad alcuni suoi amici tifosi e si innamorò di nuovo del calcio, stavolta dell’Arsenal e di Highbury “in particolare perchè rappresentava tutto ciò che avevo sempre amato nel calcio: era un vero stadio del posto, della comunità, cresciuto tra le case che lo circondavano, l’atmosfera era fantastica”.
Nelle ultime stagioni, visti i risultati della squadra, deludenti rispetto a qualche anno orsono, una larga fetta del pubblico ha cominciato a lamentarsi di Wenger, ma non lui che sta con il tecnico e ne sposa la visione calcistica globale.
“Non lo cambierei con nessun altro ci sono problemi tremendi con l’economia delle squadre di calcio, e quando l’intero castello crollerà, l’Arsenal sarà in una posizione migliore di quella degli altri club di alta classifica, grazie alla politica di Wenger”.

Avendo cominciato a seguire i Gunners nell’era George Graham, Daltrey ricorda tutti i trionfi, sebbene gli ultimi due anni furono noiosissimi.
Con l’avvento di Wenger, Roger ha appreso che il calcio può essere una cosa bellissima, quando le sue squadre viaggiano in piena forma sono straordinarie da guardare, la Premiership è un campionato migliore per merito di Arsene Wenger.
Ai tempi di Bergkamp, Viera, Henry la squadra si guadagnò l’appellativo di invincibili, sapevo esattamente, mentre li guardavo, che era il miglior calcio mai prodotto nella storia del nostro campionato.
Ha cantato ad Highbury nel 2006 all’ indomani della chiusura definitiva del vecchio impianto, una cosa che mi ha fatto emozionare di più che cantare a Woodstock.
Highbury aveva un grandissimo appeal e quel giorno avevamo appena finito il campionato bruciando il Tottenham sul filo di lana per il 4° posto.

Cantò “Highbury highs” accompagnato da una banda militare perché pensavo che Highbury meritasse una canzone classica da calcio, che ricordasse i giorni in cui le bande suonavano in campo prima delle partite. Peccato, vorrei che si giocasse ancora lì.
Daltrey è abbonato da lustri oramai e ha un posto normale in tribuna ‘preferisco stare con un guppo di londinesi che nei box dei VIP.
Ad ogni modo ha criticato aspramente il club per non aver ricollocato i vecchi abbonati vicini e in posti equivalenti all’interno del nuovo Emirates Stadium.

Sono stato vicino alle stesse persone per 15 anni e l’atmosfera all’interno dello stadio è creata dal rapporto tra le persone che lo frequentano.
Per quanto riguarda gli Who c’è molto poco da aggiungere sul loro rapporti col calcio , ho provato a spingere Pete Townshend ad interessarsene, ma zero, non è un tifoso del calcio, gli dissi, vieni a sentire il boato della folla, ero sicuro che lo avrebbe colpito, ma non è mai venuto, al contrario di suo fratello Simon anche lui grande tifoso dell’Arsenal
.

PETE TOWNSHEND , dichiaratamente disinteressato al calcio, ne fa però riferimento in ”Football fugue” (dalla raccolta di demo “Another Scoop” del 1987).
Il brano, completamente orchestrale, composto da Ted Astley (padre della prima moglie di Pete, Karen) di cui Townshend scrisse il testo viene descritto così sulle note di copertina: “Mi ricorda un campo di battaglia orchestrale con i musicisti che indossano scarponi pesanti.
Da qui l’analogia con il teppismo del football”

Music has arrived at the football stadium
A logical step would be spears at the Palladium
Fifty thousand watts screaming out for a goal
Why don't they blow a whistle in rock and roll


Pete Townshend è notoriamente l’autore, tra tanti altri capolavori, dell’opera rock “Tommy”, realizzata nel 1969 dagli Who. “Tommy” venne proposto cinematograficamente dal visionario regista Ken Russell nel 1975.
Durante l’esecuzione del brano “Pinball wizard”, Elton John, accompagnato dagli Who, interpreta il personaggio del campione di flipper (sfidando il protagonista Tommy, interpretato da Roger Daltrey), vestito, in modo come sempre eccessivo, i panni del boot boy che era facile vedere sugli spalti degli stadi inglesi nei primi 70’s, mentre i suoi fans sotto il palco sventolano anonime sciarpe bianco rosse in pieno stile calcistico.

venerdì, agosto 30, 2013

Agosto 2013. Il meglio



Sempre più numerosi i nomi che potrebbero finire nella top 10 di fine anno: Miles Kane, Franz Ferdinand, Charles Walker & the Dynamites, Beady Eye, Sweet Vandals, Mudhoney, Nicole Willis, Ocean Colour Scene, Mavis Staple, Nick Cave, Johnny Marr , Willie Nile, Jimi Hendrix, Jesse Dee, Lilian Hak, Impellers e tra gli italiani Statuto, Raphael Gualazzi, Temponauts, Lord Shani, Mauro Ermanno Giovanardi, Petrina, Zamboni/Baraldi, Cut/Julie’s Haircut, Valentina Gravili, Cesare Basile e Andrea Balducci, Electric Shields, Svetlanas, Stella Maris Music Cospiracy

ASCOLTATO

FRANZ FERDINAND - Right thoughts, right words, right action
Al quarto album i Franz Ferdinand non perdono la nevrotica freschezza del loro personalissimo e unico sound, figlio dei riff robotici e netti che furono cari a B 52’s, XTC e Devo e al funk wave che rese famosi i Talking Heads, uniti ad una modernità che assimila brit pop, prima new wave, influenze 60’s e la carica punk (talvolta sembra di risentire i primi Stranglers o gli Arctic Monkeys) che brucia costante sotto le melodie apparentemente facili ma mai banali. I brani sono come sempre costruiti con sapiente ricerca del particolare e di precisi intrecci di chitarre, voci e ritmica costantemente serrata e nervosa.
Tutto l’album è un insieme di potenziali singoli dal groove travolgente e dai ritornelli contagiosi.
Un disco Pop, Modernista e Avant !

MYRON & E - Broadway
Un black duo che richiama immediatamente (anche da un punto di vista estetico) Sam&Dave ma che in realtà, pur muovendosi in ambito strettamente soul, si appoggia ad altre referenze in particolare Sam Cooke (in stupende e sentite ballads gospel soul) e il Curtis Mayfield più soft e “caldo”.
Ad accompagnarli con gusto essenziale , minimale e il giusto groove, i finlandesi Soul Investigators usualmente al servizio della fantastica Nicole Willis.
Il risultato è un album raffinato ed elegante, pieno di stile e di buon gusto, sottofondo consigliatissimo ma con anche qualche spunto danzereccio di sapore funk o Northern soul che non guasta e movimenta il tutto.

M1, BRIAN JACKSON & the NEW MIDNIGHT BAND - Evolutionary minded
"Evolutionary minded" è un omaggio all'arte di GIL SCOTT HERON.
L'ex sodale BRIAN JACKSON e una serie di collaboratori tra cui CHUCK D dei Public Enemy, Martin Luther dei ROOTS e membri della sua MIDNIGHT BAND hanno inciso uno stupendo album tra black music, rap, hip, hop, funk con citazioni al genio di GIL, cose nuove e un gran GROOVE.

BOOKER T - Sound the alarm
Il vecchio Booker T piazza un altro riuscito colpo nella sua immensa discografia.
“Sound the alarm” riscatta le ultime tiepide e incerte uscite tornando in parte al vecchio buon Hammond sound intriso di soul, blues e funk ma dando spazio anche a molti episodi assolutamente moderni in chiave sonora e artistica, assorbendo influenze r’n’b, hip hop, new funk con ospiti prestigiosi del new soul più patinato (Mayer Hawthorne, Estelle, la bellissima voce di Kori Whiters, figlia del grande Bill Withers).
Un mix di nuovo e antico, pulito e pieno di classe e stile.

KING KHAN & the SHRINES - Idle no more
Dopo un lungo silenzio King Khan torna con ottimo album pieno di delizie 60's oriented, psych, garage, beat, soul, bluesy, funk a metà tra Fleshtones, James Brown con fuzz e pedale wah wah a manetta e sezione fiati arrembante.

SLY & THE FAMILY STONE - Higher !
Cofanetto con 4 CD, 77 brani e un riassunto esaustivo della fulgida carriera di Sly con classico corredo di inediti, rarità etc.
Per chi è ancora digiuno una buona occasione per rimediare.

AKASHIC RECORD - Bring it back !
Da Boston puro funk soul strumentale tra Meters, Maceo Parker e primo JTQ.
Suonato benissimo, ottimi brani anche se il genere è risaputo e prevedibile.

THE FROOTFUL - “The road”/ “Benedicts boogaloo”
Splendido 45 giri della Freestyle con la grandissima “The road” con la voce di Mazen Bedwei che riporta nel pieno delle atmosfere care a Curtis Mayfield con u ngroove irresistibile e una B side strumentale soul jazz da urlo.

RUE ROYALE - Remedies ahead
Il duo anglo americano si muove, acustico, cauto, soft tra Neil Young, Simon & Garfunkel, Kings of Convenience, Shins in modo garbato e gradevole.
Niente di eclatante ma ben fatto.

CROCODILES - Crimes of passion
Duo di San Diego che suona come i Rolling Stones di “Their satanic majestic request” o i primi Charlatans, intensamente psichedelici e in LSD.
Suono non così consueto come potrebbe sembrare. Molto piacevoli.

UMBERTO MARIA GIARDINI - Ognuno di noi è un po’ Anticristov   Dopo l’ottimo album di esordio del 2012 "La dieta dell'imperatrice" Umberto Maria Giardini (torna con un intenso e lungo EP (quasi mezzora di musica) con 5 brani inediti. 
Il sound si divide tra sprazzi psichedelici e sonorità più alt-wave con frequenti richiami prog pur mantenendosi in veste sobria e mai finire in territori troppo pomposi.
Un buon ponte tra il precedente lavoro e quello che riserverà il prossimo album previsto per il 2014.

DR . JOHN - Locked down
Sarebbe stato tra gli album del 2012 se l’avessi ascoltato lo scorso anno.
Ci sono arrivato ora ed è un album FAVOLOSO dove convergono tutte le esperienze passate dell’ultrasettantenne Re di New Orleans con l’aiuto essenziale di Dan Auerbach dei Black Keys che ne attualizza il sound pur non intaccando le radici base delle sue origini sonore: blues, jazz, cajun, voodoo sound, funk, southern soul.
Splendido. Solo Willy De Ville avrebbe potuto fare altrettanto bene.

ASCOLTATO ANCHE:
BARRENCE WHITFIElD & the SAVAGES (Garage blues ruvido e mininale, molto carino, alla fine scontato), BUDDY GUY (buon album tra blues moderno e rhythm and blues un po’ patinato), DELBERT & GLEN (rhythm and blues, roots e blues rock del più scontato ma sempre gradevole sottofondo per il duo texano), EARTH MK II (band psych olandese piuttosto noiosa..), JULIE RUIN (ex Bikin Kill e Le Tigre (Rioooot girls !) con un un buon album funk punk, divertente ed energico)

LETTO

Carlo Levi - Cristo si è fermato ad Eboli
Un classico, crudo, essenziale, scritto alla grande.
Consigliatissimo.

Emmanuel Carrere - L’avversario
La storia vera di un francese che stermina la famiglia dopo che sono stati (quasi) scoperti 18 anni di balle raccontate a tutti e aver dilapidato tutti i soldi.
Storia allucinante, racconto serrato, dettagliatissimo, incalzante, giornalistico.
Alla fine agghiacciante.
Molto bello.

VISTO

The Informant di Jim McBride
Film piuttosto duro sull’occupazione inglese dell’Irlanda del Nord e su un pentito dell’Ira con le conseguenze dolorose e sanguinose del caso. Interessante.

Il petroliere di Paul Thomas Anderson
Notevole e spietato racconto della scalata di un cercatore d’argento alla ricchezza di petroliere nei primi del 900. Spesso durissimo e crudo si regge sulla fantastica interpretazione di Daniel Day-Lewis (non per nulla vinse l’Oscar).
Notevole.

COSE & SUONI
Nuovo lavoro di Lilith and the Sinnersaints per un nuovo disco che uscirà a metà ottobre.
E da ottobre nuove date in giro per la penisola, un video, un teaser e un Tshirt ad hoc.
In cantiere anche una colonna sonora per Natale.

www.lilithandthesinnersaints.com
https://www.facebook.com/LilithandtheSinnersaints

Mie recensioni su www.radiocoop.it

IN CANTIERE
Il libro sugli Statuto alle fasi finali (in uscita a febbraio 2014) mentre prosegue la promozione di “Rock n Goal”.

"Rock n Goal" domenica 8 settembre alle 17 sarà presentato ad Alessandria alla 4^ Primavera Vintage Vinile, Mostra del disco dell'usato e da collezione
Dalle ore 10.00 alle ore 19,00
Piazza Marconi, Alessandria

Per Natale un altro progetto semi letterario e particolarmente utile (a breve more info)

giovedì, agosto 29, 2013

Get back. Dischi da (ri)scoprire



E' la fine del mese e come consuetudine segnalo tre dischi che varrebbe la pena andare a riscoprire.

TRUE WEST - Hollywood holyday
Appartenenti al fittizio Paisley Underground i True West ne furono tra i più luminosi esponenti in virtù di un sound fortemente psichedelico (vedi l’allucinata cover di “Lucifer Sam” dei Pink Floyd, che fu anche il loro singolo d’esordio nel 1982).
Il primo album del 1983 con la “mente” Russ Tolmann comprende l’ep “True West” e alcuni nuovi brani ed è prodotto da Steve Wynn dei Dream Syndicate.
Album stupendo, ancora luccicante e incisivo, suoni grezzi ed essenziali, brani poderosi e profondamente psichedelici come le introduttive “Steps to the door” e “I’m not here”, ballate mid tempo tra l’indolenza dei Velvet Underground, i Modern Lovers e le classiche melodie 60’s beat come la title rack e “It’s about time” “And then the rain”.
I True West, i Dream Syndicate e i REM costruirono in quei giorni le basi del nuovo American Alternative Sound.
La versione “Revisited” contiene anche l’ottimo, più soft e ricercato, secondo album “Drifters” e tre brani demo prodotti da Tom Verlaine.
Dopo “Drifters” Russ Tolmann lascia il gruppo che incide un altro, deludente, album prima di sciogliersi (e tornare a riunirsi nel 2006 in concerto).

LONG RYDERS - 10-5-60
Ep d’esordio dei LONG RYDERS, del 1983, una miscela pressochè inedita e sorprendente all’epoca, di energia garage punk ( il leader Syd Griffin arrivava dagli Unclaimed di Shelley ganz), jingle jangle rock Byrdsiano, country rock (vedi nella conclusiva “Boen to believe in you”).
La band si ripeterà l’anno successivo con l’album “Native sons”, più curato, raffinato e Byrds oriented (in “Ivory tower” c’è addirittura Gene Clark).
La band si scioglie nel 1987 dopo altri due album e si ritrova nel 2004 per la consueta reunion.

NANCY SINATRA - Boots
Primo 33 giri per la figlia di “The Voice”.
E’ il 1966 e Nancy Sinatra spopola con il successo senza tempo di “These boots are made for walking”.
L’album “Boots” è molto gradevole (quanto la sua interprete), spaziando tra una serie di successi “minori” dell’epoca, da una versione molto edulcorata da ampio uso di fiati di “Day tripper” dei Beatles (di cui riprende, sempre in chiave soft beat, anche la “Run for your life” di John, che lui odiava profondamente, da “Rubber soul”) ad una riuscitissima di “Lies” dei Knickerbockers.
Il resto si muove tra ballate (“As tears goes by” degli Stones in zuccherosissima versione samba pop alla Astrud Gilberto) e brani impalpabili ma di piacevole ascolto.

mercoledì, agosto 28, 2013

Gualtiero Jacopetti e Africa addio



A cura di Andrea Fornasari

Personaggio scomodo e controverso, visionario ma realista, protagonista di scandali, tacciato dalla critica di razzismo e fascismo, Gualtiero Jacopetti (1919 - 2011) è stato un testimone d' eccezione della storia politica, sociale e culturale italiana a partire dallo scoppio della seconda guerra mondiale fino alla metà degli anni settanta.
Autore con Franco Prosperi dei fondamentali documentari "Mondo cane" (1962) e "Africa addio" (1966), due successi di pubblico mondiali, vincitore del David di Donatello e del Golden Globe, giornalista per la Settimana Incom e per il Corriere d' Informazione, fondatore della rivista Cronache e direttore del cinegiornale "L' Europeo Ciac", Gualtiero Jacopetti ha avuto il destino - o la straordinaria capacità - di trovarsi sempre al centro delle cose e degli avvenimenti.

Accusato da più parti di essere il padre del cinema "trash", "un mistificatore per vocazione", "forse il filmaker più irresponsabile che sia mai esistito", Jacopetti è stato senza dubbio un 'cattivo maestro' che non ha disdegnato di sfruttare - a torto o a ragione - la faciloneria e l' arretratezza culturale della società del tempo per propinare immagini shock.
Ma al tempo stesso è stato anche un uomo dall' indubbio talento, un cronista curioso e feroce, un viaggiatore dalle avventure epiche, la cui unica vera casa è stata il mondo.
In ogni caso una figura impossibile da ignorare.

L' umile consiglio è quello di visionare le due pellicole sopracitate e di conseguenza farsi un' idea del prodotto. Personalmente apprezzo molto sia "Mondo cane" che "Africa addio" e li ritengo due capolavori.
Spenderò solo due parole su quest' ultimo: un film-documentario che mostra senza alcuna censura gli effetti e le conseguenze della rapida e sregolata decolonizzazione africana operata dalle principali potenze europee a partire dagli anni sessanta.
Al di là delle polemiche - ragionevoli e non - suscitate all' epoca della sua uscita, alcune mirate a enfatizzare la rilevanza del montaggio delle scene in fase di produzione a scapito dell' urgenza e del "vero", altre di ordine politico che denunciavano la presunta volontà degli autori di mostrare un continente talmente barbaro e arretrato, così primitivo e brutale, da risultare tendenziosi fino a giustificare - secondo queste critiche - un fascismo imperialista in grado di riportare ordine e civiltà in un paese totalmente in preda all' anarchia, al di là di tutto questo, resta uno degli esempi più coraggiosi e originali di pellicola volta a documentare una fase cruciale e problematica dell' intera e tormentata storia africana.
Ai posteri l' ardua sentenza.

Il sottoscritto si limita a rilevare, fra le altre cose pregevoli, l' incredibile apporto musicale di Riz Ortolani con i suoi temi sempre "in contrasto con le immagini" che sottolineano in maniera magistrale gli aspetti più contraddittori e le sequenze più crude, così come quelle più poetiche.
La voce fuori campo che ci accompagna per tutto il film, mai sopra le righe, rivela la triste ironia che spesso si cela nelle tragedie.

martedì, agosto 27, 2013

Lo strano caso dei Klaatu e i Beatles



Uno degli episodi più particolari e divertenti dell’infinita miniera di aneddoti relativi ai BEATLES risale al 1976 quando uscì l’album d’esordio dei canadesi KLAATU.
Copertina senza indicazioni e una voce, che si sparse in breve a macchia d’olio, che la band non era altro che quella dei BEATLES riformati in segreto.

Le assonanze musicali sono infatti facilmente riconducibili ai Beatles tardo 60’s, post “Sgt Peppers”, psichedelici, con il basso pulsante “alla Paul McCartney” e il drumming spezzato “alla Ringo Starr” nell’introduttiva “Calling Ocupants Of Interplanetary Craftcon” (dove appare e scompare spesso l’incedere di “I’m the walrus”), un brano come “California Jam” che incrocia il riff di “Get back” con melodie tipicamente beatlesiane (anche se più Beach Boys o Bee Gees), accenni vaudeville alla “When I’m 64 four”, vere e proprie citazioni beatlesiane (i più accorti si possono divertire a scoprire evidenti plagi e furti da questo o quel brano), arrangiamenti di fiati ed archi che ritroviamo in abbondanza sul “White album” o in “Abbey Road”.
Il tutto attualizzato in chiave pop glam (Electric LIght Orchestra, Queen, Wings) in voga all’epoca.

Non mancarono subito altre prove “inconfutabili” come un’università di Miami che confrontò le voci di Paul con quelle dei Klaatu e le dichiarò uguali o un DJ australiano che invece dichiarò che si trattava di un “lost album” dei Beatles intitolato “Sun” (guarda caso la copertina riportava un sole), suonando al contrario (ti pareva...) il brano “Sub Rosa subway” e filtrandolo con un oscillatore a bassa frequenza (......) era evidente il messaggio 'Its us, its the Beeeeetles!'.
Ma la prova regina veniva dal nome della band ovvero il protagonista del Bmovie degli anni 50 “The day the earth stood still” (“Ultimatum alla terra” in italiano) che Ringo Starr aveva impersonato nella copertina del suo album “Goodnight Vienna” del 1974.
Non appena fu ventilata l’ipotesi che fossero i Beatles l’album impennò il numero delle vendite e prontamente sia il manager che i dirigenti discografici alimentarono il mistero rifugiandosi dietro ad un furbesco “no comment”.

Il gruppo proseguì la carriera per altri quattro album sempre seguiti, nonostante successive ed espliciti smentite con tanto di nomi e cognomi, foto dei componenti, da un alone di mistero da parte dei beatlesiani più irriducibili.
Il secondo album “Hope” del 1977 venne addirittura registrato a Londra con la London Symphony Orchestra (evidenziando quindi qualsiasi estraneità con i Fab Four).

lunedì, agosto 26, 2013

Ritorno al vinile



Ogni tanto da queste parti si torna sull’argomento.
Un po’ perché a molti di noi (lettori e curatore/i del blog) sta a cuore, un po’ perché si parla sempre più spesso di "ritorno al vinile", citando cifre "rassicuranti", "mercato in costante aumento" etc.
In realtà nonostante l'incremento significativo rispetto agli ultimi anni le cifre confermano che non c'è nessun particolare ritorno al vinile ma una semplice nicchia, più o meno ampia, destinata a consolidarsi ma difficilmente in grado di spostarsi da certe cifre.

Il 9 giugno il New York Times riportava che l’ultimo album dei Daft Punk “Random Access Memories”, uscito il 17 maggio 2013, ha venduto 19.000 dischi in vinile nella prima settimana, il 6 per cento degli acquisti complessivi dell’album, mentre la stessa settimana i Vampire Weekend con “Modern Vampires of the City” arrivavano circa a 10.000.
La tabula rasa fatta negli anni 80 e 90 a favore dei CD decretò la chiusura, il fallimento o la riconversione della maggior parte delle fabbriche produttrici.
Negli ultimi anni però negli Stati Uniti ne sono nate circa una dozzina di nuove, che si sono aggiunte alle poche che non hanno mai chiuso. Un problema che queste fabbriche devono affrontare è quello delle presse per produrre dischi in serie, che non vengono più fabbricate.
Le nuove fabbriche sono quindi costrette a acquistare presse usate, assemblate per lo più negli anni Sessanta e Settanta: l’ultima è stata costruita nel 1982.
Costano circa 25 mila dollari, mentre è stato stimato che progettarne e costruirne una nuova costerebbe circa 500 mila dollari.

Nielsen SoundScan, il servizio che censisce le vendite di album musicali, ha registrato che nel 2011 sono stati venduti negli Stati Uniti circa 4.6 milioni di vinili, l’1.4 per cento dell’intero mercato della musica.
I commercianti stimano invece che la vendita di vinili occupi una cifra tra il 10 e il 15 per cento del mercato, sostenendo che i dati di SoundScan riguardano solo quelli effettivamente acquistati dai clienti, e che quindi non siano affidabili.
Nel 2011 il mercato italiano del vinile si è aggirato su 2,1 milioni di euro, risultando il quarto mercato europeo dopo Germania, Regno Unito, Francia e Paesi Bassi e il settimo del mondo.
Nel mondo la compravendita dei vinili nel 2011 ha mosso 115,4 milioni ossia il 28,7% in più del 2010.

venerdì, agosto 23, 2013

Franz Ferdinand - Right thoughts, right words, right action



Al quarto album i Franz Ferdinand non perdono la nevrotica freschezza del loro personalissimo e unico sound, figlio dei riff robotici e netti che furono cari a B 52’s, XTC e Devo e al funk wave che rese famosi i Talking Heads, uniti ad una modernità che assimila brit pop, prima new wave, influenze 60’s e la carica punk (talvolta sembra di risentire i primi Stranglers o gli Arctic Monkeys) che brucia costante sotto le melodie apparentemente facili ma mai banali.
I brani sono come sempre costruiti con sapiente ricerca del particolare e di precisi intrecci di chitarre, voci e ritmica costantemente serrata e nervosa.

Un brano come “Treason animals!” è un piccolo capolavoro di musica moderna, attuale, progressista, “Right action” una sferzata punk dance che riempirebbe la pista di qualsiasi discoteca, “Evil eye” cita il funk pop degli INXS, “Love illumination” è un irresistibile funk punk, tutto l’album è un insieme di potenziali singoli dal groove travolgente e dai ritornelli contagiosi.
Un disco Pop, Modernista e Avant !
Con Miles Kane al top dei migliori album 2013.

giovedì, agosto 22, 2013

Campionato di calcio italiano 2013-2014



Inizia un nuovo campionato di serie A.
I media (italiani) si sono affannati ad esaltare i nuovi acquisti arrivati dall’estero in funzione di una rinascita del calcio nostrano, per fermare l’emorragia di interesse (e soldi) che lo ha investito da tempo (non dimenticando scandali, corruzione, inadeguatezza degli stadi, provincialismo, gestione ridicola etc).

In realtà se Higuain e Gomez (che vanno a coprire il buco lasciato da Cavani e Jovetic) sono indubbiamente ottimi nomi, tutti da verificare sono i vari Llorente, Tevez o l’eventuale ritorno di Eto’o.
Per il resto normale amministrazione per un campionato di seconda fascia (e, per quanto possano contare poco, i primi confronti con le squadre estere sono stati impietosi).

Lo scorso anno su questo blog si pronosticò la vittoria della Juventus con Roma, Inter, Napoli e Milan dietro.
Non cambia troppo quest’anno: Juventus nettamente favorita, Napoli dietro di parecchio.
Può far bene la nuova Fiorentina, non sottovaluterei la Roma (pur se, come sempre, in situazione caotica) e il Milan (che può contare su buoni giovani), mentre le altre resteranno a guardare (Inter inclusa se non succede qualcosa di radicalmente eclatante che, secondo me, non si chiama Eto o).

Percentuali di vittoria scudetto:

Juventus 40%
Napoli 20%
Fiorentina 10%
Milan 10%
Roma 10%
Inter 3%
Lazio 3%
Udinese 3%
Cagliari 1% (io ce lo metto sempre...)

mercoledì, agosto 21, 2013

Adidas e Puma



La strana e suggestiva storia della nascita di due dei marchi più conosciuti e prestigiosi in ambito sportivo.

I fratelli Rudolf e Adolf Dassler iniziarono negli anni '20 a produrre scarpe in maniera artigianale in Germania a Herzogenaurach in Baviera.
Divennero negli anni '30 sostenitori del nazismo continuando a far crescere la loro attività (tra l’altro furono i fornitori ufficiali di Jesse Owens alle Olimpiadi di Berlino nel 1936) ma a causa di una serie di conflitti personali decisero, nel 1947, di dividersi con l’accordo di non utilizzare il nome (Dassler) per la commercializzazione dei loro prodotti.

Rudolf chiamò la sua azienda RUDA (sfruttando le iniziali di nome e cognome) che con l’avvento alla presidenza del figlio cambiò in PUMA.
Il fratello Adolf ebbe la stessa idea e chiamò la sua azienda anch’esso con le iniziali : il diminutivo di Adolf, Adi e le prime tre lettere del cognome: ADIDAS.
Il figlio Horst fondò poi nei 70’s l’ARENA, azienda leader nei costumi per il nuoto.

I fratelli non si riconciliarono mai e pur essendo sepolti nello cimitero le tombe sono posizionate il più lontano possibile.
Gli aneddoti sulla rivalità tra i due marchi sono numerosissimi e spesso tragicomici:
dallo sprinter tedesco Armin Hary vincitore dei 100 metri alle Olimpiadi di Roma del 1960, pagato dalla Puma per indossare le loro scarpe ma che alla cerimonia di premiazione si presentò con le Adidas per ricevere un contributo anche da loro, alla Nazionale di calcio tedesca che nel 1954 vinse il Mondiale indossando le Adidas dopo che Rudolf ebbe un litigio con l’allenatore e tolse la prevista fornitura di Puma alla squadra.
Perfino le due squadre del paese, l’ASV Herzogenaurach (Adidas) e il 1 FC Herzogenaurach (Puma) erano un mezzo per i due fratelli per fronteggiarsi.

lunedì, agosto 19, 2013

Total look - Paul Weller



Nel 1980 il New Musical Express pubblicò un articolo diventato particolarmente famoso di PAUL WELLER (ripreso anche nel libro "Cool cats, 25 years of rock n roll styles") dal titolo "TOTAL LOOK" in cui precisa la sua visione del MODERNISMO.
L'articolo venne tradotto e pubblicato sulla mia fanzine "Faces" poco tempo dopo.
Credo sia interessante rileggerlo (pur se lungo e talvolta opinabile) e coglierne lo spirito giovanilista, provocatorio e cogliervi l'urgenza di quegli anni.


Generalmente è difficile assegnare una scala di valori a una cosa così personale come lo stile.
Forse il motivo sta tutto nel suo appeal.
E’ come quando un milione di persone dice che Picasso era un genio; bene, io penso che fosse spazzatura e che la copertina di un Ep francese degli Small Faces possa pisciare tranquillamente su tutti i suoi quadri.

Insomma, per capire quanto sia profondo il mio coinvolgimento con gli anni Sessanta, tutto va riferito al concetto di “stile”, e che non può essere giudicato confrontandolo con niente altro.
Un’influenza totale su di me, ma non cieca.

Il mio interesse riguarda gli anni del cosiddetto TOTAL LOOK, dal 1963 al 1967.
E’ un periodo che copre un'ampia gamma di fasi, dai primi modernisti ai giovani dandy della Swinging London fino agli edonisti hippy.
E' puramente estetico e abbastanza superficiale; raramente riguarda gli abiti, la musica, i film e i libri del passato.

La politica resti ai politici, per quel che mi riguarda loro sono sempre la stessa immondizia.

Non sono interessato alla politica o all’economia degli anni Sessanta, eccetto forse le rivolte studentesche del 1968, quando sembrava che l’intero mondo (giovane) avesse preso fuoco.
Le intenzioni e gli estremismi erano lodevoli, ma non posso fare a meno di pensare che anche quella fosse un’altra fonte di ricchezza nelle mani della middle class.
Molti di quei giovani radicali oggi hanno chiuso le porte ai giovani della working class.
Credo di parlare soprattutto del mondo della musica, della televisione e dei media in generale; il collo di bottiglia ai danni delle nuove generazioni lo hanno creato proprio questi vecchi bastardi che non vogliono cedere il passo.
In tutti i casi, non ce l’ho così tanto con loro: dubito solo di nutrire dei sentimenti pacifisti nei loro confronti. La prima volta che mi sono interessato ai Mod dei primi anni Sessanta fu nel 1974.
Non ricordo bene come e perché.
Probabilmente fu dopo aver visto la foto di un gruppo, o dopo aver letto un paio di lettere inviate da alcuni original mods al “New Musical Express”, in cui veniva descritto il loro stile di vita a quei tempi.
Il mio interesse era comunque profondo e cercai subito di conoscere meglio il fenomeno.
L’aspetto più importante era la musica degli anni Settanta: la odiavo in blocco, fino a quando non arrivarono nel 1974 i gloriosi e liberatori Sex Pistols.
Prima di loro c’erano le inconcludenti coglionate dei glam, il nonsense della musica soft, come il “Philly soul” e la terribile Mor radiofonica. Bowie e Bolan erano ok, ma avevo perso interesse anche in loro dopo in terzo o quarto LP.
Al contrario, tornai indietro ad ascoltare i primi dischi di rock ‘n’ roll, rhythm & blues e soul, oltre a quelli dei Beatles, dei quali sono sempre stato un fan.
Penso che la mancanza di stile e la blanda assenza di volti negli anni Settanta abbiano indotto la mia ossessione per i Sixties.

Non c’era nulla di cui far parte, nulla su cui basarsi (almeno nel periodo pre-punk).
In quei giorni noi Jam suonavamo ancora le canzoni di Chuck Berry e gli obbligatori standard rock ‘n’ roll che ormai ci annoiavano.
Iniziai a capire che essere un mod voleva dire partire da una buona base, avere nuove prospettive e ispirazioni per scrivere, pur restando, come gruppo, un’identità unica.
E così accadde.
Andammo a comprarci dei completi neri e iniziammo a suonare le cover delle label Motown, Stax e Atlantic.
Mi comprai una chitarra Rickenbacker, una Lambretta Gp 150 e provai un’acconciatura simile a quella di Steve Mariott nel ’66.
Mi faceva sentire così individualista e arrogante.
Era come se avessi costruito un mondo personale, la gente mi fissava e pensava che ero un tipo strano.

Lo stesso effetto lo ebbero su di me e i miei amici i Sex Pistols, quando li andammo a vedere nel 1976.
Che arroganza il giorno dopo al pub: “Non li avete mai visti? Non avete mai visto i Sex Pistols o Johnny Rotten?”.
Loro erano nostri, il nostro piccolo gruppo privato che tutta la gente uncool non aveva mai ascoltato!
Bene, in un certo senso io provai le stesse sensazioni di fronte ai mods.
Molti kids della mia età non avevano mai sentito parlare dei mods o, al massimo, li ricordavano solo come se fossero delle “bestie mitologiche” provenienti da “età oscure”.
Era diventata la mia crociata personale!

Se cercate fatti o cambiamenti cronologici nel campo della moda, allora basta un’occhiata alle foto, che dicono tutto sugli anni sessanta: un’immagine d Steve Mariott o un Pete Townshend diciannovenne dicono proprio tutto!

Tali immagini mi parlavano (e lo fanno ancora), mentre io cercavo di adeguare il mio look a quello dei mods.
Li vedevo puliti, eleganti, working class, arroganti e antiautoritari, senza alcun rispetto fondato sull’età.
L’intera immagine è C-O-O-L: fare le ore piccole ballando, schioccare le dita al suono di James Brown And The Famous Flames, o ancora fumare al ritmo del blue beat.
Fare shopping il sabato mattina a Carnaby Street o guardare Pete Townshend mentre distrugge tutto quell’equipaggiamento di valore
. E’ questo tipo di immagini che mi attrae, lo stesso tipo che, contemporaneamente, ha reso anacronistico il mod revival nel 1979.

Idioti del calibro di Ian Page (Secret Affair), un’ex-stella del punk decaduta che in seguito ha cercato fortuna come mod, hanno raccontato ai ragazzi che il punk era morto o che comunque non era andato oltre le proprie aspettative, mentre cercavano di convincerli a stringere un patto con i bastardi al potere. Cosa? Era la completa antitesi dello spirito originale del movimento mod degli anni Sessanta.
Loro, i mods, non volevano alcun patto fottuto, hanno sempre seguito le regole che loro stessi hanno inventato; se non ti piacevano queste idee, potevi sempre sparire (“f-f-f-fade away”).

Il revival del ’79 era anche un po’ triste e meschino per i kids coinvolti, o almeno disperato, con tutti questi ragazzi della working class che cercavano di mantenere pulito il loro stile estetico, mentre il mondo gli crollava addosso.
In questo però erano fedeli alle origini: dopo tutto, non era stato proprio il primo cantore mod e primo manager degli Who, Pete Meaden, a descrivere il modernismo come il “vivere puliti in circostanze difficili”?

Mi indicano sempre le differnze tra mod e “punk” ma è qualcosa che non ho mai notato. I modernisti hanno creato la loro scena personale proprio come hanno fatto i punk (anche senza aver beneficiato, nel campo dei media, dell’intraprendenza di un personaggio come Malcolm McLaren).
Entrambi sono movimenti di kids e non si appoggiano a nessun altro (in particolare il modernismo). Hanno creato un proprio stile di vita, con la loro musica, i loro club e i loro negozi di abiti.

A tale proposito, la prima volta che entrai al 100 Club di Oxford Street a Londra, mi sembrava di camminare sul set di un film degli anni Sessanta.
Attaccati al muro delle scale c’erano i dischi dei Troggs e degli Small Faces, mentre i Clash suonavano dei riff imparentati con quelli dei Kinks. Capelli corti! Kids con un look individuale! Il giro garage dei Pistols e la giovane arroganza indotta dalle anfetamine di Rotten. Io amavo tutte queste cose. Era qualcosa di giovane, eccitante e, certamente, non c’erano pantaloni a zampa d’elefante, una delle creazioni della moda più negative.
E’ fantastico quando i kids creano la loro scena, anche se tutto finisce con la popolarità o quando, più significativamente, se ne occuperanno i media.
E’ il momento dell’addio.
La massificazione rivoltante dei media ha ucciso lo spirito giovanile.
La stessa cosa è avvenuta al movimento mod delle origini, con tutti i supplementi domenicali sulla scena dei club che attraevano la gioventù “bene” di Chelsea (d’altronde, chi altro leggeva i supplementi della Domenica?).
E la stessa cosa è accaduta anche al movimento punk, soprattutto al Roxy Club di Covent Garden.
Tutti questi non più giovani segaioli della middle class, con i loro pantaloni in pelle da 30 sterline. Ma come sono oltraggiosi, mostrando una parte del capezzolo appena lavato…Ma guarda un po’, due ragazze che si baciano!
L’altra parte dei media, quella cosiddetta proletaria, attraeva a sua volta l’area modernista più attaccabrighe, nel tentativo di eliminare qualsiasi scena giovanile promettente. Proprio quest’area diede luogo alle noiose riots tra mod e rockers sulle spiagge inglesi negli anni Sessanta. Niente a che vedere con i veri modernisti o stylist, che voltavano le spalle alle volgarità di chi credeva di “aver conquistato l’intera nazione”.
Ma in fondo era l’establishment che illudeva i giovani, facendogli credere di essere a un passo da qualche conquista sociale, per poi modificare la situazione all’ultimo momento. O forse eravamo noi ad esserci annoiati definitivamente?
Forse l’ultima reale testimonianza della sopravvivenza dei mod originali rimane nella magnifica scena northern soul.
Ricordo ancora quando un paio di amici patiti di northern mi portarono ad un allnighter.

Questi ragazzi non erano lì per mettersi in mostra o per fare a pugni: i loro unici scopi erano ballare e divertirsi.
Anche se edonisti, i seguaci del northern soul ricordano da vicino lo spirito modernista originale. Ancora ascoltano e suonano sia il soul degli inizi che quello più oscuro degli anni Settanta. I vestiti sono diversi, ma da qualche parte si vedono ancora degli scooter ben accessoriati. Girate, saltate e fate pure a lungo le vostre acrobazie al suono di Dean Parrish!

Nel 1965 il movimento mod stava scomparendo un po’ ovunque, a parte alcune città di provincia nel nord del Paese. A Londra, la città dov’era nato, il modernismo era scomparso ai danni della nuova gioventù del jet-set. L’Inghilterra entrava adesso nei cosiddetti Swinging Sixties.
Gli ultimi veri mod marciavano ancora coraggiosamente come degli zombie silenziosi verso la Mecca (così si chiamava anche una celebre ballroom northern soul di Blackpool), che nei bank holidays aveva le sembianze di Brighton o Margate.mi torna in mente una triste canzone che non ho mai finito di scrivere, dal titolo The Last Of The Scooter Boys.

Mentre la scena mod si assottigliava e il fenomeno si commercializzava nelle mani di alcuni astuti approfittatori, il periodo compreso tra il ’65 e il ’66 rimane comunque quello della migliore produzione musicale e del più valido stile estetico.
Il modernismo aveva già avuto un forte impatto sulle band di allora, che copiavano il look dei kids (e non viceversa).
Dove sarebbero gli Who adesso se non avessero avuto contatto con i mods ?
Townshend ha sempre parlato a lungo delle sue influenze mod, mentre gli Small Faces, Rod Stewart, David Bowie e Marc Bolan provengono tutti dalla scena modernista.
Già nel 1965 però il business della moda controllava di nuovo i kids, mentre le bands diventavano a poco a poco più oltraggiose, usando lo stile estetico come un modo per attirare l’attenzione.
Gli Who adottavano lo stile pop-art, mentre i Creation, che li copiavano, portavano i loro quadri di canvas sul palco. Nel 1966 i Move di Birmingham adottavano un look stile gangster e la New Vaudeville Band sceglieva lo stile estetico e musicale degli anni Venti. E oggi (1981) a cosa assistiamo ancora?
Ogni band che si presenta allo show televisivo settimanale della Bbc “Top of the Pops” adotta la cosiddetta “immagine totale”. Stray Cats, Spandau Ballet, Adam And The Ants: nulla di tutto ciò è nuovo, ma è stato fatto infinite volte in precedenza.

Dopotutto, cos’è il revivalismo?
Per me non è altro che l’ennesimo tentativo di trovare un filone comune da seguire, una via, anche stretta, da intraprendere in massa. La stessa cosa in fondo si può dire del periodo tra il ’65 e il ’66, con la sua moda, i suoi vestiti…
Laddove i mods erano originali, l’era degli Swinging Sixties racchiudeva alla rinfusa un’accozzaglia di stili, ricordando il vecchio detto inglese “Se getti abbastanza merda sul muro… qualche pezzo alla fin e vi si attacca”.
In tutti i casi, questo periodo particolare fece dell’Inghilterra il centro della cultura giovanile, accessoriata con tanto di orologi, calzini, vassoi e magliette in stile Union Jack. “I’m backing Britain”, c’era scritto sulle spillette, ma senza un vero spirito patriottico o nazionalista.
Tutto era riferito a una grande sensazione di frivolezza, in cui personaggi come Harold Wilson incoraggiavano l’azione dei giovani e i Fab Four diventavano baronetti.

Ma non sono poi così sicuro che questa sia l’immagine corretta degli anni Sessanta e non quella suggerita da uno dei miei film preferiti, Blow Up, girato nel 1966.
Comunque le spillette e i titoli nobiliari esistevano davvero. La cosa positiva di quel periodo era il fatto che i giovani avevano un controllo maggiore in campi specifici, come il teatro, il cinema, la musica e la letteratura.
E inoltre, anche se ciò può sembrare eccessivo, per la prima volta i giovani Dj avevano una forte influenza sulla radiofonia inglese. Quando nel 1967 le radio private vennero abolite, il governo dovette creare la prima emittente ufficiale rivolta ai giovani, Radio One, arruolando doversi Dj tra quelli delle radio private. George Melly ha descritto con dovizia di dettagli la situazione della fine degli anni Cinquanta e dei primi Sessanta nella sua retrospettiva Revolt Into Style. E’ un libro utile per osservare più da vicino la scena dei club della Swinging London, anche se, come nel caso di un altro volume sulla cultura giovanile degli anni Sessanta, Generation X, si rivela troppo cinico e distante. Resta comunque il fatto che per la prima volta si cercava di analizzare in maniera seria l’universo giovanile.
Nel 1966, dopo un paio d’anni necessari ad assimilare l’invasione musicale inglese – lanciata dai Beatles e seguita con facilità da molti altri grazie allo scoppio della beatlemania -, l’America iniziò a esportare i suoi gruppi e la sua scena in Gran Bretagna.
Insieme ai Byrds, ai Greatful Dead, ai Mother Of Invention, ai Jefferson Airplane e alle altre bands, arrivarono anche gli acidi, il misticismo, il free-thinking e il bohemianism. Amore e pace erano (e lo sono ancora) de sentimenti da ammirare… ma per essere indotti a farlo , che bisogno fottuto c’era delle droghe? A paragone ai gruppi del fenomeno underground inglese, le bands americane facevano schifo. Non era altro che blues velocizzato e allungato con noiosi assoli di chitarra. Ad ogni modo, il centro della nuova cultura giovanile si spostò dallla londinese Carnaby Street alla Haight-Ashbury Area di San Francisco, in California, che, ancora oggi, è piena di freak degenerati che ti dicono “Peace and Love” e poi ti chiedono un paio di dollari per le loro ormai innocue abitudini allucinogene.

L’avvento della scena hippy, cresciuta nell’underground sin dal 1965, tendeva a polarizzare la moda e gli stili musicali; sembrava che esistessero soltanto il pop e la musica “seria”.
Nei giorni migliori i mods avevano già mostrato aspirazioni simili all’etilismo e il loro odio verso la commercializzazione, ma non in maniera così dogmatica come è accaduto alla scena underground, che ha addirittura voltato le spalle alla musica soul.

Un altro paragone può essere fatto a proposito delle campagne sensazionaliste della stampa che, come era già accaduto per i mods, descriveva come “luride” le abitudini sessuali degli hippy, scagliandosi contro il loro stile di vita. Il 1967 dopotutto segnava la prima Summer Of Love e tutto ciò che la circondava.

Il nucleo del movimento underground inglese, organizzato principalmente intorno agli studenti degli art college e ai semiattivisti della middle class, comprendeva bands come i primi Pink Floyd, i Soft Machine, la Jimi Hendrix Experience e i Cream. Hendrix ispirò e diede credibilità alle acconciature in stile “afro” (meriterà mai il perdono?). Gli eccessi e le stranezze del nuovo stile trovavano un mentore nel brillante Syd Barrett, chitarrista originale dei Pink Floyd e uomo dal look e dalla personalità bizzarra.
Un altro gruppo che testimoniava la superficialità ed insieme l’instabilità del periodo hippy era quello dei John’s Children, allora con Marc Bolan. I loro dischi parlavano di fiori, ragazze giovani e sesso: tutto molto decadente.
Io ho sempre visto lo stile del 1967 in parallelo con quello degli anni Venti: la nuova società edonista si muoveva in fretta. In effetti, sembra che tutti gli anni Sessanta fossero vissuti all’insegna di una velocità furiosa, con gli stili e i gusti musicali soggetti a cambiamenti rapidissimi.
Insomma, il mio interesse finisce qui.
Come mi d
issero una volta, ti serve solo osservare le foto dei Beatles dal ’63 al ’69 per prender nota di tutti i cambiamenti. Nel ’63 i volti erano freschi, da giovani ottimisti. Nel ’67 le mentisi espandevano, da giovani uomini in cerca di conoscenza. Alla fine del decennio le espressioni erano più dure, da vecchi uomini disillusi. Io non provo pietà e neanche rispetto: ognuno fa la sua scelta.
Solo che oggi la condizione dei giovani sembra essere tornata al periodo precedente a quello del ’56, quando i kids erano “spazzati sotto lo zerbino”.
In realtà lo zerbino non c’era negli anni Sessanta, l’avevano solo mandato in lavanderia per un po’
.

Parte della traduzione è presa dal sito http://getsmartroma.wordpress.com .

venerdì, agosto 16, 2013

Roger Eagle



ROGER EAGLE è stato tra i più influenti DJ’s dei 60’s in Inghilterra quando incominciò a lavorare casualmente al neo nato “Twisted Wheel” a Manchester nel 1965.
Specializzato nel rhythm and blues originale (da Ike & Tina Turner a Bobby Bland, per rimanere fedele al suo culto per il sound Stax rifiutò di adattarsi successivamente alle continue richieste di brani con un tempo più veloce (richiesto dai dancers impasticcati di anfetamine) che diede origine alla scena Northern Soul.
Famosa la sera in cui agli ospiti Rolling Stones suonerà tutti gli originali che loro avevano fino ad allora coverizzato.

Organizzò anche concerti di alcuni sconosciuti (in Inghilterra ai tempi) nomi di punta della black music, amatissimi dai mods, da Howlin Wolf a Sugar Pie De Santo oltre a nomi della scena beat come Georgie Fame e Spencer Davis Group.
Si sposterà verso la scena prog per aprirsi poi alla fine del 1976 alla neo nata ondata new wave/punk che ospiterà nel suo nuovo club, l’”Eric’s” dove suoneranno Teardrop Explodes, Echo & the Bunnymen e tanti altri.
Nei primi 80’s nel suo nuovo “International club” sarà invece la volta di altri nuovi nomi emergenti, dai REM agli sconosciuti Stone Roses.
Scompare per cancro nel 1999.

martedì, agosto 13, 2013

La nascita degli AREA



Tra le storie poco conosciute del rock italiano c’è quella, curiosa, della formazione probabilmente più rappresentativa della musica popolare nostrana, gli AREA.

Dal 3 al 6 luglio 1972 ALBERTO RADIUS (già chitarrista di Battisti, con I Quelli, la Formula 3 è in studio (alla RCA Italiana di Roma) per incidere il suo primo, omonimo, album solista.
Chiama a sè alcuni dei migliori rappresentanti del nuovo, nuovissimo, rock della penisola da Vince Tempera a Franz DiCiocco, Patrick Dijvas, ALberto Valli (dei Flora, Fauna e Cemento), Giulio Capiozzo e l’ex Ribelli Demetrio Stratos. Incidono sei brani, spesso frutto di improvvisazioni dilatate tra rock e fusion.
In particolare ce n’è uno dal titolo “AREA” , sorta di jazz rock blues mediterraneo strumentale, in cui suonano Demetrio Stratos all’organo, Giulio Capiozzo alla batteria, Patrick Dijvas al basso oltre a Gaetano Leandro al sax e Johnny Lambizzi alla chitarra.

I 5 con Eddy Busnello al sax decidono di formare un gruppo e di chiamarlo proprio come il brano: AREA. Alla vigilia della registrazione del primo album “Arbeit macht frei” Leandro e Lambrizzi vengono sostituiti dall’ex Califfi Paolo Tofani e dall’ex Telstars Patrizio Fariselli,
Dijvas se ne andrà più tardo per la PFM; sostituito da Ares Tavolazzi.

lunedì, agosto 12, 2013

Perchè sempre il ciclismo ?



I recenti fatti emersi relativamente al Tour de France del 1998 in cui gente come Cipollini, Pantani, Jalabert etc erano indubbiamente dopati ha, per l’ennesima volta, acceso i fari sul “ciclismo drogato”.
In un articolo della Gazzetta di qualche tempo fa Pier Bergonzi si chiede: "perchè sempre il ciclismo?” e annota come il 1998 fu anche l’anno del Mondiale di calcio vinto dalla Francia.
L’Uci (unione Ciclistica internazionale) e la Fifa (quella calcistica) chiesero al ministero francese di distruggere le provette al termine dei controll ianti-doping.

Al ciclismo venne detto no., alla Fifa si.

Nell’inchiesta del Senato francese che ha portato alla luce il caso Tour 98 compaiono sospetti corcostanziati su quel Mondiale di calcio ma nessuno ha mai potuto controllare quelle provette...
Vogliamo parlare del tennis dove certi campioni fanno 5 ore di partita e il giorno dopo li ritroviamo di nuovo in campo per magari altrettante ore ?
O dell’atletica dove il top mondiale della velocità è stato decapitato recentemente (Gay, Powell etc) ?
Perchè sempre il ciclismo ?
Che è quello che più fa e si espone per il problema doping.
Forse serve come capro espiatorio per tacere sul resto ?

sabato, agosto 10, 2013

Robbie Williams e il calcio



Una serie di estratti da "ROCK N GOAL" (Bacciocchi-Galletti, VoloLibero Edizioni) arriccchiti da qualche ulteriore particolare, foto, aneddoto.
A cura di Alberto Galletti.

La passione di Robbie Williams per il calcio è nota, tifoso del Port Vale FC una delle due squadre di Stoke on Trent la sua cità natale (l’altra è lo Stoke City)in quanto il padre fu per molti anni il gestore del Port Vale FC Social Club, un locale molto diffuso all’interno dei football club d’oltremanica fino agli anni 80, che si trovava all’interno degli stadi e che funzionava come un pub ed era frequentato dai soci e dai calciatori.

Nel 2000 chiese ed ottenne dalla EA Sports di includere il Port Vale nel gioco FIFA 2000 in cambio dell’utilizzo gratuito della canzone ‘It’s only us’ che divenne la sigla diel gioco, il singolo, il quarto tratto dall’LP ‘’I’ve been expecting you’ andò anche al numero uno della classifica inglese di vendite .
Nel febbraio 2006 con il club che versava in condizioni assai critiche, ha comprato azioni del Port Vale per un valore di £249000, divenendo di fatto il maggiore azionista e dichiarando
“Benchè non riesca a venire allo stadio molto spesso, ho fatto questo investimento per dirvi che il mio cuore è ancora lì, che sono un grandissimo tifoso, sono emozionato alla prospettiva di cosa si possa fare nel futuro per la squadra” il presidente non è stato molto incoraggiante dichiarando che non farà nessuna differenza in quanto il club è amministrato con badget annuali predefiniti, ma Robbie non si è dato per vinto confessando che fino all’esplosione globale dei Take That andava alle partite in casa ogni sabato e che ha sempre voluto essere un dirigente del Port Vale, magari un giorno anche il presidente e quando ho sentito dei problemi della squadra il cuore non ha sentito ragioni.

Nel 2011 quando un businnessman locale fece un’offerta per comprare il club e trasformarlo in una specie di Gardaland calcistica di terza serie, i piccoli azionisti e anche il presidente lo implorarono di esercitare il suo veto di maggior azionista e/o proporsi come presidente, ma rifiutò in quanto vivendo a Los Angeles non sarei in grado di seguire i problemi della squadra con la dovuta attenzione, quando comprai le azioni nel 2006 lo feci perché mi fu chiesto dal club che era in enormi difficoltà ed aveva bisogno di soldi e lo feci con tutto il cuore, perché il Port Vale rimane una parte enorme della mia infanzia, dalla mia crescita e delle mie radici sia famigliari che sociali.

Ha fondato una squadra a Los Angeles, dove vive, che ha chiamato L.A. Vale.

In ogni caso dopo un ventennio assai duro, al termine della stagione 2012/13 il Port Vale è stato promosso in League One (la III serie inglese). Lo vediamo in una delle foto allacciarsi le scarpe prima di un incontro di beneficenza nel 2006.
Williams è ambasciatore UNICEF e dal 2000 ha giocato spesso per scopi benefici raccogliendo ingenti somme che sono state devolute tramite la Football Aid Foundation a proposito delle quali ha dichiarato ‘Queste partite di beneficenza mi hanno fatto passare tra i migliori momenti della mia vita’.



Allenamento per la partita di Old Trafford del 2006 insieme ad Angus Deaton (attore), indimenticabile Gazza e e l’inarrivabile campione di snooker Ronnie O’Sullivan.

Nell’autunno 2012 ha curato l’uscita del singolo ‘He ain’t heavy, he’s my broche’ degli Hollies , lanciato poi nelle feste natalizie per raccogliere fondi a favore dell’associazione dei famigliari delle vittime della tragedia di Hillsborough in cui persero la ita 96 tifosi del Liverpool.

venerdì, agosto 09, 2013

BYRDS - Sweetheart of the rodeo



Prosegue la rubrica GLI INSOSPETTABILI ovvero una serie di dischi che non avremmo mai pensato che... Dopo Masini, Ringo Starr e il secondo dei Jam , il nostro MATTEO WHITE BIANCHI ci introduce alla bellezza del rodeo...

Oggi parliamo di un disco che sgonfierà le gomme alle vostre Vespe e Lambrette: “Sweetheart of the Rodeo” dei BYRDS, un titolo che è tutto un programma (e mantiene ogni promessa).
Dimenticate il jingle-jangle pop dei primi dischi, qui si inaugura la famigerata svolta country della band losangelena … ma in fondo basta guardare (o ascoltare) le cose nel verso giusto per apprezzarne il meglio.
Va detto che anche i Byrds degli inizi hanno un background folk e tradizionale e che i riferimenti al country sono già presenti in “Younger than Yesterday” e in “Notorious Byrd Brothers”, in cui fanno capolino qua e là i fraseggi bluegrass di Clarence White e il suono caratteristico della pedal steel guitar, ma soprattutto è bene sottolineare che a fine ‘67 i Byrds originali sono già un ricordo: dei membri fondatori non restano che Roger McGuinn e Chris Hillman …

A questo punto, assunti il batterista Kevin Kelley e un certo Gram Parsons (giovane e promettente cantautore appassionato di country), McGuinn inizia a lavorare a un doppio concept sulla storia della musica americana, dalle radici al… futuro elettronico, ma il carisma di Parsons spinge il nuovo repertorio verso il puro suono di Nashville e Bakersfield e lo scetticismo del produttore Gary Usher porta all’accantonamento dell’ambizioso progetto iniziale.
Tra marzo e maggio ‘68 i Byrds registrano proprio a Nashville 11 tracce in puro stile country, ma rinnovato, rivisitato e inacidito, in cui l’influenza di Gram Parsons è decisiva. L’accoglienza del pubblico, orfano del vecchio stile byrdsiano, non è proprio calorosa; e non mancarono le incomprensioni da parte di certa critica rocchettara. Ma non solo: nemmeno l’ambiente reazionario del country tradizionale accetta l’intrusione di questi hippy capelloni e casinisti.

Da segnalare subito la cover di “You don’t miss your Water” di William Bell, a dimostrare la fusione di country, rock e soul: un’operazione che Gram Parsons, inseguendo quella “Cosmic American Music” da lui immaginata, ripeterà nei Flying Burrito Brothers nientemeno che con “Do Right Woman” e “Dark End of The Street”.
Tutte versioni da ascoltare e riascoltare!

L’album si apre e si chiude con Dylan: “You Ain’t going Nowhere” (primo singolo) e “Nothing Was Delivered”, e all eprese con il menestrello di Duluth i Byrds non sbagliano mai.
Oltre al già citato brano Stax e al singolo dylaniano, il lato A comprende l’originale a firma McGuinn-HIllman “I Am a Pilgrim” (altro singolo, ballata semiacustica infarcita di violino) e un tris di standard trattati col lisergico: la romantica “You’re Still on My Mind”, “The Christian Life” (!) e “Pretty Boy Floyd” di Woody Guthrie a fare da contraltare a quest’ultima (con McGuinn al banjo).

Il lato B si apre con i due capolavori di Gram Parsons: “Hickory Wind”, strepitosa ballata portata in dote dall’International Submarine band e soprattutto “One Hundred Years From Now”, brano avanti anni luce, tranquillamente al livello dei migliori hit byrdsiani, con un testo arguto e amaro.

Immaginatevi gli Stone Roses con una pedal steel guitar in gruppo.

A proposito di pedal steel: ci si abitua tranquillamente, fidatevi!...
Altre due covers (oltre alla seconda ripresa di Zimmerman) per chiudere un l’album considerato il Sgt Pepper del country-rock (e in realtà già ampiamente rivalutato da tempo): “Blue Canadian Rockies” e “Life in Prison” dell’idolo Merle Haggard.
I fasti degli esordi e della consacrazione sono lontani, ma il vero “insospettabile” sarebbe la seconda (e terza) parte della saga Byrds, tutt’altro che da spernacchiare, come spesso accade…

giovedì, agosto 08, 2013

La prima Champions League al Bologna



La prima Champions League o Coppa dei Campioni non si svolse nel 1955/56 ma, in qualche modo, una ventina di anni prima, nel 1937 in occasione dell'Exposition internationale « Arts et Techniques dans la Vie moderne » di Parigi, durante la quale venne organizzato un prestigioso torneo di calcio che fu vinto dal BOLOGNA.

Parteciparono Austria Vienna, vincitrice della Coppa dell'Europa Centrale 1936, Bologna Campione d'Italia 1936-1937, Lipsia vincitore della Coppa di Germania 1936, Olympique Marsiglia Campione di Francia 1936-1937 Phöbus Budapest quarto Campionato ungherese 1936-1937, Slavia Praga Campione di Cecoslovacchia 1936-1937 Sochaux vincitore della Coppa di Francia 1936-1937 ma SOPRATUTTO il Chelsea, ottavo nel Campionato inglese 1935-1936 e tredicesimo nel Campionato inglese 1936-1937 .

Per la prima volta nella storia i “maestri” inglesi partecipano ad un torneo ufficiale internazionale.


Il BOLOGNA si sbarazzò facilmente del Sochaux per 4-1, dello Slavia Praga per 2-0 e in finale rifilò un roboante 4-1 al Chelsea nell ostadio parigino “Colombes” dove un anno dopo l’Italia conquistò il suo secondo campionato mondiale (dopo averlo vinto nel 1934 oltre all’Olimpiade del 1936).

martedì, agosto 06, 2013

Respond Records



Ricco e famoso, il Paul Weller dei primi anni 80, non si rilassa negli agi e nel lusso ma prosegue a creare, a dare opportunità a chi ha avuto meno fortuna di lui.
Oltre alla sfortunata casa editrice Riot Stories (che riuscì però a pubblicare uno stupendo libro sulla storia degli Small Faces “All our yesterdays” di Terry Rawlings e alcune altre cose interessanti) fonda nel 1981 la RESPOND RECORDS, etichetta discografica nata con l’intento di essere una “nuova Tamla Motown” con giovani artisti vicini ad una soul music moderna e attuale.

Purtroppo l’attualità sonora dei primi 80’s era spesso inficiata di orribili suoni sintetici, batterie elettroniche e plastic pop di varia natura.
E la Respond si indirizzò spesso verso queste sonorità nel tentativo di proporre un “nuovo soul”.
E deludendo non poco lo stuolo di mods adoranti che dalla label di Weller si aspettava dei cloni dei Jam o degli Small Faces o epigoni del classico suono soul/rhythm and blues.

L’esordio fu incoraggiante e sorprendente con lo strano beat/new wave di sapore 60’s del singolo “Been teen” delle DOLLY MIXTURE ma ben presto si perse nei meandri sonori di cui sopra, nonostante nomi come QUESTIONS, TRACIE (che collaborò spesso con gli Style Council, cantò nel loro singolo d’esordio “Speak like a child” e che fu il nome principale dell’etichetta) e A CRAZE abbiano avuto momenti interessanti.
Weller (e gli Style Council Mick Talbot e Steve White) sono speso presenti sia come strumentisti che compositori (oltre a Elvis Costell oche scrive per Tracie “I love you when you sleep" nel vari dischi ma lo spessore generale delle proposte rimase comunque modesto (nonostante qualche buon risultato di vendita).
La Respond cessa le pubblicazioni nel 1985 , alla fine dei 90’s la giapponese Trattoria Records ha ristampato quasi tutto (con aggiunta di bonus) in CD.

Thanx Cpt Stax

Discografia completa

1981 Dolly Mixture Been Teen / Honky Honda / Ernie Ball RESP 1
1981 The Questions Work 'n' Play / Work 'n' Play (Pt. 2) RESP 2
1982 The Rimshots (80's) Sweet Talk / What's the Matter Baby? RESP 3
1982 Urban Shakedown (uk 80's) The Big Bad Wolf / Rap the Wolf RESP 5
1982 The Questions Work and Play / Saved by the Bell RESP 7
1982 The Questions Someone's Got to Lose / The Groove Line RESP 8
1982 The Questions Work and Play (Extended) / Saved by the Bell (Extended) RESPX 7
1982 The Questions Someone's Got to Lose (Extended) / The Groove Line / Someone's Got to Lose RESPX 8
1982 Dolly Mixture Everything and More / You and Me on the Sea Shore RESP 4
1983 Tracie The House That Jack Built / Dr. Love AMS 9265
1983 The Questions Price You Pay / Groove Line KOB 702
1983 The Main T Possee Fickle Public Speakin / Fickle Public Speakin (Version) KOB 703
1983 The Questions Tear Soup / The Vital Spark KOB 705
1983 A Craze Wearing Your Jumper / She Is So KOB 706
1983 Tracie The House That Jack Built / Tracie Talks / The House That Jack Built (Instrumental) KOBX 701
1983 The Questions Price You Pay / Price You Pay (instrumental) / Groove Line KOBX 702
1983 The Main T Possee Fickle Public Speakin / Fickle Public Speakin (Extended Version) KOBX 703
1983 The Questions Tear Soup (Extended Version) / The Vital spark (Extended Version) KOBX 705
1983 A Craze Wearing Your Jumper / She Is So / Dub, but Not Mute KOBX 706
1983 Various Artists Love the Reason RRL 501 (con Tracie, Questions, Big Sound Authority, A Craze)
1983 Tracie The House That Jack Built / Dr Love KOB 701
1983 Tracie Give It Some Emotion / The Boy Hairdresser KOB 704
1983 Tracie Give It Some Emotion / Tracie Raps / Give It Some Version KOBX 704
1984 The Questions Building on a Strong Foundation / Dreams Come True KOB 709
1984 The Questions A Month of Sundays / Belief (Don't Give It Up) KOB 712
1984 The Questions Tuesday Sunshine (Jock Mix) / Tuesday Sunshine (Sass Mix) / The House That Jack Built / No One (Long Version) KOBX
    1984 Tracie Soul's on Fire (Long Version) / Soul's on Fire / You Must Be Kidding KOBX 708
1984 The Questions Building on a Strong Foundation (Long Version) / Dreams Come True / Acapella Foundation KOBX
1984 M.E.F.F. Never Stop (a Message) (Full Length Version) / Nzuri Beat / Non-Stop Electro (Version) KOBX
1984 The Questions Belief (Don't Give It Up) (Extended) / A Month of Sundays KOBX 712
1984 Tracie Far From the Hurting Kind RRL 502
  1984 The Questions Belief RRL 503
    1984 The Questions Tuesday Sunshine / No One KOB 707
1984 Tracie Souls on Fire / You Must Be Kidding KOB 708
1984 Tracie (I Love You) When You Sleep / Same Feelings Without the Emotion K0B 710
1985 Tracie Thank You / Spring, Summer, Autumn
1985 Vaughn Toulouse Cruisin' the Serpentine / You See the Trouble With Me SBS 2
1985 Tracie I Can't Leave You Alone (Pick 'n' Mix) / 19 (The Wickham Mix) / I Can't Leave You Alone SBSX 1
1985 Vaughn Toulouse Cruisin' the Serpentine (Version Excursion) / You See the Trouble With Me (Extended) / Cruisin' the Serpentine (Club Mix) SBSX 2
1985 Tracie Invitation (RSVP Mix) / The Country Code / Invitation SBSX 3
1985 Tracie I Can't Leave You Alone / 19 (The Wickham Mix) SBS 1
1985 Tracie Invitation / The Country Code
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