lunedì, marzo 08, 2021

8 marzo



In occasione dell'8 marzo riprendo l'articolo che ho firmato per LIBERTA' ieri.

Sembra quasi una contabilità irrilevante, tanto é sempre monotamente, tragicamente, spaventosamente uguale.
Ogni tre giorni una donna viene uccisa in Italia.
112 vittime nel 2020, già 13 nel nuovo anno, il 90% vittime di violenza domestica, spesso ripetutamente denunciata e ignorata dalle autorità, dai vicini, dalla famiglia.

Violenza socialmente trasversale, non ci sono ricchi o poveri, giovani o vecchi, non c'é una cerchia più o meno colpita.
L'educazione e l'emancipazione hanno fatto passi da gigante negli ultimi decenni, il ruolo della donna ha assunto un posto sempre più rilevante ma siamo ancora lontanissimi da una reale equità sociale (vedi il nostro Parlamento dove dal dopoguerra le donne hanno costantemente rappresentato non più di un terzo dei deputati).
Né la piaga della violenza sembra avere una curva al ribasso.

In occasione dell'8 marzo proviamo a dirlo in musica, grazie all'impegno di tante artiste e artisti che hanno saputo attraverso canzoni memorabili raccontare cosa significhi rispettare le donne, eliminare i volgari pregiudizi, quelle amare radici del sessismo che rimangono ben salde nel terreno culturale di ogni popolo.
Non si tratta di canzoni “leggere” ma di note amare, tristi o rabbiose.
La storia della musica pop e rock ne é piena e la scelta difficile e poco esaustiva ma può essere una colona sonora adatta a una maggiore presa di coscienza e consapevolezza che il problema non é risolto, che per quanto ci crediamo moderni, per quanto “proviamo pure a crederci assolti, siamo lo stesso coinvolti” per citare De André.
E non aiuta di certo l'accesso illimitato che i nostri figli più giovani e senza ancora filtri culturali, hanno a internet e a una potenziale visione a forme di sesso estremo che “forma” una sessualità distorta, malsana, non equilibrata e lontana dal concetto di rispetto.
Ma é un discorso ancora più complesso.

Limitiamoci alle canzoni.

Incominciamo da un uomo, quel John Lennon che ha avuto a fianco una delle donne più bistrattate, insultate e disprezzate di sempre, Yoko Ono.
Geniale artista che ha avuto il torto di condividere con il suo compagno un percorso fatto di arte, musica, amore, impegno.
E di non essere sufficientemente avvenente per potere affiancare uno dei geni della musica mondiale.
E' stato perfino coniato un termine, “Yoko Ono complex”, usato per indicare che qualsiasi donna con una relazione con un uomo più famoso di lei, finirà inevitabilmente per distruggerlo.
Yoko ha dovuto (e continua tuttora) subire accuse e insulti di ogni tipo.
John e Yoko firmarono nel 1972 un provocatorio brano intitolato “Woman is the nigger of the world”, inserito nel duro e politico “Somewhere in New York City”, spesso molto criticato, in cui John paragonava la condizione della donna a quella degli schiavi neri, spregiativamente definiti con il termine “nigger”.
Il brano venne censurato ma fu l'occasione per John di confessare, nella sua sempre spiazzante sincerità, di essersi solo recentemente liberato da un suo connaturato maschilismo.

Nel 1967 Aretha Franklin reincise un brano di Otis Redding, “Respect”, portandolo al successo e facendolo diventare colonna sonora sia per i diritti dei neri americani ma anche un urlo al rispetto per le donne: “Tutto quello che ti chiedo é solo di aver un po' di rispetto per me, quando torni a casa”.

La stessa Aretha si é ripetuta, accompagnata da Annie Lennox e Dave Stewart (compositori di musica e testo) degli Eurythmics con “Sisters are didn't for themselves” nel 1985 con un testo esplicitamente femminista:
“C'era un tempo in cui si diceva che dietro ogni grande uomo ci fosse una grande donna / Ma in questi tempi di cambiamenti si sa che non è più così / E quindi stiamo uscendo dalla cucina Perché c'è qualcosa che abbiamo dimenticato di dirti / Le sorelle se la cavano da sole / Camminando sulle proprie gambe / E trovando stimoli in sé stesse/ Questa è una canzone per celebrare la liberazione consapevole della condizione femminile”.

Il punk e il mondo ad esso affine é stato uno dei motori di una nuova visibilità della donna in ambito artistico.
Tantissimi gruppi furono guidati da giovani ragazze, senza inibizioni, felici di mostrarsi per quello che erano, da Blondie e Chrissie Hynde dei Pretenders a Gaye Advert e Siouxsie, Polystirene, Pauline Black.
Soprattutto veicolarono messaggi crudi ed espliciti senza troppi filtri e metafore.
Ad esempio il terribile brano degli Special AKA, filiazione della band ska degli Specials, cantato da Rhoda Dakar, anche lei in arrivo dalla stessa scena (la band tutta femminile delle Bodysnatchers), “The boiler”, che racconta di una ragazza che subisce uno stupro, molto realistico nelle urla finali.

La stessa tematica affrontata dalla cantautrice Tori Amos in “Me and gun”, nel 1992 in cui canta, solo voce, di una violenza subita dopo un concerto quando aveva 21 anni.
Raggelante.
Le Slits, tra le prime band della scena punk inglese, composta da solo ragazze, dal nome programmatico (fessure, metafora abbastanza chiara per indicare l'organo femminile), ritrassero nel primo album “Cut” una tagliente immagine di come si voleva la “tipica ragazza”.
“Typical girls” descrive tutti gli stereotipi di come deve essere una giovane per essere accettabile dalla società.
Concludendo: “Chi ha inventato le ragazze tipiche? Chi tira fuori i nuovi modelli consolidati? /E c’è un nuovo stratagemma pubblicitario: la ragazza tipica ha il ragazzo tipico”.

Mia Martini, favolosa, sfortunata, interprete, che provò sulla sua pelle varie forme di violenza, da quelle fisiche a quelle morali, cantò alla fine degli anni 80 una stupenda canzone scritta da Enzo Gragnaniello il cui incipit é già ben esplicativo: “Donne piccole come stelle c’è qualcuno le vuole belle / donna solo per qualche giorno poi ti trattano come un porno / Donna come l’acqua di mare chi si bagna vuole anche il sole chi la vuole per una notte c’è chi invece la prende a botte.”

Anche Carmen Consoli ha spesso dedicato sue canzoni all'annoso tema della discriminazione ma é in “La signora del quinto piano”, brano dall'impronta quasi grunge, che affronta di petto il tema del femminicidio:
“La signora del quinto piano / Fu ritrovata murata nel bagno / Quella lettera di un anno prima / La prova schiacciante lasciata in questura / Descriveva con precisione il rituale di sepoltura / Ma non vi era alcuna ragione di avere paura.

Facile, per le menti più libere, essere d'accordo con le rivendicazioni di equità, diritti e libertà da parte delle donne, più complesso affrontare tematiche meno chiare e limpide, in particolare per noi occidentali.
La rapper americana di origine araba, Mona Haydar, mussulmana, in “Wrap my hijab”, rivendica la libertà di indossare il velo, lo hijab, considerato nella nostra cultura un'imposizione religiosa, una mancanza di libertà. Paradossalmente la libertà di scegliere di indossarlo assume contorni di impronta femminista, di autodeterminazione e di abbattimento di stereotipi e pregiudizi, in questo caso tutti nostri.

Saltando indietro di cento anni, negli anni 20 ci fu uno stuolo di donne dedite al blues più oscuro e ruvido che infarcirono i loro testi di rivendicazioni, spesso volgari e provocatorie, sulla loro sessualità, in tempi in cui la donna era poco più di un'emanazione del proprio uomo.
In particolare Ma Rainey andò oltre, esplicitando il suo essere bisessuale e non fare differenza tra avere rapporti con uomini e donne.
Argomenti inauditi e per i quali subì persecuzioni giudiziarie, boicottaggi e non solo.
I Clash dedicarono “Janie Jones”, soprannome di Marion Mitchell, a quella ragazza libera, amante del rock, cantante, attrice, coinvolta in uno scandalo sessuale ma che gestiva il suo corpo come meglio credeva e reputava giusto.

Abbiamo incominciato questa breve carrellata con John Lennon, la chiudiamo con Paul McCartney e con uno dei brani più belli nella storia della musica pop rock di sempre, “Let it be”, canto del cigno dei Beatles che inizia con:
“Quando mi trovo in momenti difficili / Madre Maria viene da me, dicendomi con saggezza, lascia che sia.” Il riferimento é a sua madre Mary che perse a 14 anni e che dopo tanti anni gli apparve in sogno, confortandolo in un periodo molto buio e confuso della sua vita.
La donna che ha la facoltà di scegliere se diventare madre o rifiutarlo.
La madre che quando se ne va per sempre, manca.
Ogni giorno, per sempre.
Sia un felice, orgoglioso e dignitoso 8 marzo tutto l'anno per le donne.
E il mondo sarà più bello.

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