mercoledì, marzo 29, 2023
Mosca e San Pietroburgo. Settembre 2022 - Parte #7
L'amico SOULFUL JULES, abituale frequentatore, per motivi di lavoro, dell'ex Urss, ci introduce nel clima di alcune zone, tristemente famose in questi giorni.
Ci aiuta a capire e ad approfondire, al di fuori di divisioni ideologiche, polarizzazioni, supposizioni.
Mosca e San Pietroburgo. Settembre 2022 - Quinta parte.
La prima parte qui:
https://tonyface.blogspot.com/2023/02/mosca-e-san-pietroburgo-settembre-2022.html
La seconda parte qui:
https://tonyface.blogspot.com/2023/02/mosca-e-san-pietroburgo-settembre-2022-2.html
La terza parte qui:
https://tonyface.blogspot.com/2023/03/mosca-e-san-pietroburgo-settembre-2022.html
La quarta parte è qui: https://tonyface.blogspot.com/2023/03/mosca-e-san-pietroburgo-settembre-2022_0953283786.html
La quinta parte è qui: https://tonyface.blogspot.com/2023/03/mosca-e-san-pietroburgo-settembre-2022_0935237908.htm
La sesta parte qui: https://tonyface.blogspot.com/2023/03/mosca-e-san-pietroburgo-settembre-2022_01702721616.html
Le precedenti puntate di "Tales from ex Urss" sono qui:
https://tonyface.blogspot.com/search/label/Tales%20from%20Ex%20Urss
Mi alzo qualche minuto prima dell’imbarco, sistemo le mie cose e mi dirigo al gate, uscendo dalla lounge saluto le hostess alla reception, non se ne accorgono neanche, lo sguardo fisso sui cellulari.
Incrocio una signora che tiene in mano una borsa in tela con la scritta Life Is Good.
Passo la notte a Mosca, in un albergo a pochi minuti di strada all’aeroporto, al tg trasmettono un servizio sui centri di arruolamento, inquadrano due tizi sui trent’anni con il cappellino da baseball e la barba di un paio di giorni, sorridono. Il giornalista dice che sono ex soldati professionisti.
Altro filmato, sullo schermo compare il governatore della Repubblica di Lugansk in giacca e camicia, davanti a uno sfondo blu, sembra un allenatore di calcio dopo la vittoria della sua squadra. È sereno, ha un’aria fiduciosa.
“Tra poco si concluderà l’Operazione Militare Speciale e dovremo pensare allo sviluppo della Repubblica, al commercio e all’economia.”
I referendum nelle zone contese sono già iniziati, l’inviato dice che si stanno svolgendo in maniera corretta, come testimoniano osservatori indipendenti.
Un soldato in mimetica sale le scale di un condominio e si avvicina alla porta di un appartamento, compare un’anziana, alza il braccio destro, la mano sbuca dallo scialle scuro e infila un biglietto nella fessura di una teca trasparente che il soldato regge da sotto con le mani, il fondo coperto di carta bianca.
Chissà se ha letto Zamjatin.
La mattina della partenza il cielo è opaco, meno opprimente che a Piter.
Il tassista mi dice che il giorno della mobilitazione c’è stato parecchio casino ma già da ieri è tornato tutto come prima.
Anche qua non c’è tanta gente, i controlli procedono in fretta, senza intoppi.
Prima del decollo do un’occhiata agli scaffali di una libreria, per curiosità.
Scorro con lo sguardo i dorsi tutti uguali dei classici russi e quasi non ci credo quando lo vedo lì, tra Tolstoj, Dostoevskij e Bulgakov.
My – E. I. Zamjatin.
Lo compro per meno di otto euro, sulla quarta di copertina è sintetizzato:
“Zamjatin è sempre stato uno autore scomodo perché non scriveva a comando, preferendo dire la verità, che nella sua patria non è mai stata reclamata fino alla fine degli anni '80.
Il romanzo parla di una società di uguali, in cui l’uomo è ridotto a un numero.
In essa tutto è unificato: vestiti, appartamenti, pensieri e sentimenti.
Non c'è famiglia, nessun legame profondo…
Ma la sete di libertà di un uomo può essere sradicata finché resta umano?”
In aereo ci sono tanti maschi che viaggiano da soli, senza amici o famiglia.
Mi siedo vicino al finestrino, il posto accanto al mio rimane libero fino all’ultimo, quando arriva un ragazzino brufoloso, i peli radi sul mento e i capelli lunghi fino alle spalle.
Sistema lo zaino da montagna sotto al sedile di fronte, sospira, si rigira sulla poltrona e si muove come i bambini piccoli che cercano la posizione per addormentarsi.
Suona il cellulare, non fa in tempo a rispondere perché gli cade sul pavimento, il tonfo attutito dalla moquette.
Ha il giaccone e la felpa sulle gambe che gli impediscono di raccoglierlo, mi piego in basso e a momenti mi strappo un deltoide, lo agguanto e glielo porgo.
Sorride, ringrazia e digita sulla tastiera.
“Ciao nonna! Ti ho cercato prima.”
“…”
“Il papà ha trovato un biglietto ieri sera e siamo partiti.”
“…”
“Sull’aereo. Mi hanno fatto un po’ di domande.”
“…” “Tra quattro ore arrivo a Istanbul, tre ore e poi ho il volo per Tel Aviv.”
“…”
“Sì ho guardato, mi ha appena mandato il visto.”
“…”
“Quando arrivo ti chiamo. Anch’io ti voglio bene.”
Atterriamo in Turchia con un po’ di ritardo, corro verso il Terminal dei voli per l’Europa, ai varchi di sicurezza ci sono un paio di persone davanti a me.
Dopo qualche istante arriva un gruppetto di russi che passano davanti a tutti, gli altri non li badano ma io faccio presente, in russo, che c’è la fila.
Uno di questi dice che non c’è problema ma restano al loro posto e allora mi parte l’incazzatura che ho tenuto a bada negli ultimi dieci giorni e non si capisce perché i russi proprio non riescono a disporsi uno dietro l’altro come fanno tutti, persino gli italiani sembrano disciplinati a confronto.
Sarà che per settanta anni hanno fatto la coda per ogni cosa e c’è un romanzo di Sorokin degli anni ottanta che si intitola proprio “Očered’”, La fila, la trama si snoda tra le esistenze di uomini e donne che trascorrono la giornata a districarsi tra serpentine di persone in coda per il pane, la carne e tante volte non lo sanno neppure loro se quella è la fila giusta.
Mi parte lo sbotto del grillo parlante e faccio presente che “in tutto il mondo la coda inizia in un punto e finisce in un altro, non è che la gente si mette a caso”.
Allora il tipo mi risponde con distacco, come fossi di un grado inferiore.
Non occorre che gli insegni cosa succede in tutto il mondo, lo sa benissimo che ero prima di loro e non mi sono passati davanti.
Non riesco neanche a ribattere perché mi blocca subito “Non voglio parlare con lei, mi lasci stare.”
E sono lì mezzo mortificato da quel tono glaciale e definitivo, pronto a darmi del coglione che una tipa del gruppetto riprende “Ah proprio bella gente, si trova proprio gente per bene in TUTTO IL MONDO”, calca le ultime parole, per farmi il verso e quasi non ci speravo in questo nuovo aggancio, mi parte l’embolo, allargo gli occhi, da pazzo squinternato, senza alzare la voce, tiro la mascella e sentenzio “No! No! Non c’è gente per bene in TUTTO IL MONDO, ci sono posti dove non c’è gente per bene.”, i bulbi oculari che mi schizzano dalle orbite, da vero psicopatico, e questi mi osservano sorpresi, un lampo di amarezza rabbuia i loro sguardi.
Quasi due settimane di introspezione psicologica, appunti e riflessioni, ti sforzi di comprendere e cerchi di immedesimarti e poi scleri per niente, aggredisci un gruppetto di sconosciuti perché hai deciso che non rispettano la fila, avrai anche lo sguardo da Johnny Rotten sbiadito e frustrato ma ti manca l’acume per capire che il problema sei tu.
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