lunedì, febbraio 01, 2021

La musica dopo la Brexit



Articolo che ho pubblicato domenica nelle pagine del quotidiano "Libertà".

Diciamoci la verità, confessiamolo pure liberamente.
Noi Europei un po' siamo compiaciuti nel vedere i primi nefasti (e prevedibili) effetti della Brexit che, con molta probabilità renderanno il Regno Unito (finché unito rimarrà, Scozia e Irlanda del Nord stanno già lavorando per tornare all'Unione Europea), più povero, soprattutto culturalmente, e in condizione di disagio sociale.

Avete voluto la Brexit?
Adesso tenetevela
.

E' ovviamente sbagliato e ingiusto.
Ma la rabbia sale quando constatiamo che la decisione é stata presa a causa di una generazione di vecchi (i voti pro Brexit sono arrivati soprattutto dagli ultra cinquantenni, la maggioranza di chi aveva sotto i trent'anni ha massicciamente votato per restare) che ha di fatto scritto la condanna per i loro figli e nipoti.
Privati, per un atto sciocco, egoista e insensato, motivato da uno stolto “amor patrio”, di un futuro internazionalista. Fino a poco tempo fa si guardava alla Brexit come a un evento futuro, quasi una formalità folkloristica, che non avrebbe avuto particolari effetti pratici.
Ora che é diventata realtà, improvvisamente, in tanti si sono accorti che é un vero e proprio dramma.

In particolare per i musicisti.
E' recente la notizia che non é stato raggiunto alcun accordo relativamente ai permessi per suonare nel Regno Unito da parte di gruppi europei e viceversa.
Sostanzialmente un musicista inglese per venire in Europa deve pagare una serie di costi aggiuntivi in permessi e dazi, sia per la persona che per le attrezzature.
Senza contare l'obbligo di rendicontare le vendite (e pagarci le tasse in Inghilterra) del merchandising (magliette, CD, gadget etc).
In questo modo si tagliano le gambe ai gruppi emergenti che avrebbero costi insostenibili ma anche i grandi nomi sono in seria difficoltà, dovendo attorniarsi di un largo numero di membri dello staff e di strumentazioni spesso imponenti.

La conseguenza diretta é la necessità di alzare il costo della prestazione dell'artista che di riflesso costringe a ritoccare il prezzo del biglietto di chi organizza, con il serio rischio di rimetterci (soprattutto in un momento di profonda crisi economica in cui sono sempre meno coloro con disponibilità economica da investire in concerti).

Parallelamente il governo conservatore inglese ha fatto poco o nulla per sostenere l'industria musicale.
Che in Gran Bretagna é un business di enormi proporzioni. Nel 2020 valeva 5,8 miliardi di sterline (il quadruplo, ad esempio, di quello della pesca).

Prima della pandemia il 44% dei musicisti inglesi guadagnava la metà dei proventi annui dai concerti nell'Unione Europea.

Altrettanto difficile per chi vuole andare a suonare nella perfida Albione (termine in disuso ma quanto mai di nuovo adatto).
Il tour deve essere garantito da uno sponsor locale che “assume” i componenti per la sua durata, sbriga le pratiche di immigrazione e paga i permessi.
Ma per diventare “sponsor” occorrono, anche in questo caso, costi e tasse, che i più piccoli non si possono permettere.
La conseguenza é che i pochi in grado di suonare “oltre confini” saranno i gruppi con componenti abbienti, in grado di pagare i costi esorbitanti, innescando una discriminazione classista. Non importa quanto talento tu abbia.
Se non hai i soldi resti a casa tua.
Oppure sei costretto a rinunciare al mercato più vivace e interessante in Europa.

L'aspetto più sconcertante é che sostanzialmente un accordo non sarebbe così impossibile da trovare.

Un tour dura al massimo una quindicina di giorni.
Rilasciare permessi gratuiti a tempo limitato non comporterebbe alcun problema pratico e lascerebbe la situazione nei consueti termini logistici. Ma la burocrazia e la politica non ci sentono.
Si sono mossi anche nomi altisonanti come Sting, Elton John, Ed Sheeran, Liam Gallagher, Radiohead, Bob Geldof, Brian May dei Queen, Robert Plant dei Led Zeppelin, Peter Gabriel e Kim Wilde, alzando la voce contro queste assurdità ma, al momento, senza risposta.
Perfino Roger Daltrey degli Who, da sempre pro Brexit si é affiancato alla protesta.

La musica come l'avevamo conosciuta fino a ieri sta velocemente morendo e questo é un ulteriore colpo di grazia.

2 commenti:

  1. E aggiungo i negozi di dischi, se devo comprare da loro o da qualche gruppo direttamente troverò i dazi doganali.

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  2. la chitarra di Noel Gallagher prestata a Pete Townshend?
    C

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