martedì, febbraio 28, 2023
Febbraio 2023. Il meglio
Si parte bene nel 2023 con gli album di Tex Perkins, DeWolff, Iggy Pop, John Cale, Joel Sarakula, Algiers, The Men, Tex perkins and the Fat Rubber Band.
Tra gli italiani The Cut, Senzabenza, Forty Winks, Pitchtorch, C+C=Maxigross, Blue Moka, Lory Muratti
TEX PERKINS and the FAT RUBBER BAND - Other World
Splendido ritorno dell'ex voce dei Beasts of Bourbon. Blues dolente, ballate intensissime, decadenti, crepuscolari, brani alla Stones e una voce cavernosa e piena di vita vissuta.
DE WOLFF - Love, Death & In Between
Nel nuovo album della band olandese troviamo una mirabile e sconfinata prateria di suoni che spaziano da soul a funk, al Joe Cocker dei primi due album, psichedelia, freakbeat, Hammondbeat e tanto altro. Tutta roba super derivativa, stra ascoltata, assomigliano a: ma ugualmente grandissimi.
QUASI - Breaking the balls of history
Nono album per la band di Portland, assente da parecchio tempo nel panorama discografico. Un grande lavoro in cui entrano garage, alt rock, psichedelia, tastiere acide, pop, beat, punk e tanto altro. Bravissimi, intriganti, crudi, sgangherati.
THE CUT - Dead city nights
Il trio bolognese firma il settimo album di un'onoratissima carriera. Tredici brani minimali, diretti, rabbiosi, "sonici", nervosi e nevrotici, come sempre. Si avverte sempre di più l'alto livello di progressiva maturazione compositiva che riesce a mettere insieme, in chiave sempre personale e originale, mille influenze, dal punk rock più classico alle elaborazioni blues di Jon Spencer Blues Explosion, dai Cramps a venature post punk alla Fontaines DC che i Cut avevano precorso anni prima. Di nuovo, siamo a livelli di eccellenza. They got the beat!
ALGIERS - Shook
Scongiurato un possibile scioglimento la band di Atlanta ritrova il guizzo e porta a termine un quarto album.
Una cascata di creatività dalle mille influenze: dal punk sfrenato a ipnotici brani hip hop, sperimentazione, brevi intermezzi parlati, funk malato, solenni gospel, elettronica e tanto altro.
Stuolo di ospiti per un album eclettico, denso, al passo con i tempi ma con uno sguardo che guarda lontano.
YOUNG FATHERS - Heavy heavy
C'è davvero tanto nella musica degli Young Fathers.
In "Heavy heavy" ancora più del solito, tra gospel soul, rock, psichedelia, trip hop, un mood tribale, sperimentazione.
Un album che cresce progressivamente ad ogni ascolto.
SHAME - Food for Worms
Precursori del sound post punk che caratterizza la scena inglese degli ultimi tempi (Fontaines DC in testa), i londinesi Shame firmano il terzo album, sempre all'insegna di un sound aspro, sferragliante, ruvido. Buone canzoni e album egregio.
THE MEN - New York City
Sono già al nono album, vengono da New York, e suonano un punk rock minimale figlio di Stooges, MC5, Heartbreakers, Dictators ma anche Gun Club e affini. Nel nuovo disco c'è quella roba lì. Irresistibilmente 77.
KING TUFF - Smalltown stardust
Parecchio Beatlesiano, con un po' di glam, pizzichi garage e psichedelici, tanto Lennon solista.
Molto gradevole e intrigante.
Un aspetto che mi preme sottolineare è che, inevitabilmente, quando qualcuno riesuma influenze Beatles tardo 60's/Lennon etc, il batterista di turno suona come Ringo e il basso imita i suoni di Paul.
ROBERT FORSTER - The candle and the flame
L'ex Go Betweens con un ottimo album, semi acustico, dedicato alla malattia, vinta, della moglie. Intenso, sofferente, profondo, un album pieno di piccole perle. Ottimo.
ALEXIS EVANS - Yours truly
Terzo album per il soul man francese che affina e personalizza sempre di più il suo stile, aggiungendo elementi reggae, jazz, funk, hip hop ma tenendo le radici ben salde nel soul più vintage (dalle parti di Marvin Gaye). Come sempre livelli più che alti.
FRANK POPP ENSEMBLE - Shifting
Molto gradevole, come sempre, il nuovo album della band tedesca, che confeziona un perfetto cocktail di umori soul, northern soul, pop, sixties, funk.
Ci sanno fare, soprattutto nella scelta degli arrangiamenti, al servizio di composizioni molto ben studiate, fresche e immediate.
MISHA PANFILOV - Momentum
Il compositore estone torna con un buon album di modern funk cinematico strumentale con lunghi brani ipnotici e qualche sperimentazione dal gusto jazz. Buono.
The WAEVE – The WAEVE
Graham Coxon e Rose Elinor Dougall per un side project di buona caratura, dalle tonalità piuttosto malinconiche e decadenti, suoni elettronici e post wave. Non male pur se non indimenticabile.
GERARDO FRISINA – Joyful sound
La lunga carriera discografica di Frisina si arricchisce di un nuovo gioiello nu jazz in cui convergono come d’abitudine jazz, funk, latin soul, ritmiche e influenze afro cubane, groove elettronici, dance, elementi percussivi tribali e il consueto raffinatissimo gusto per gli arrangiamenti. Musica per intenditori dal palato sofisticato.
BLUE MOKA - Enjoy
Secondo album per una delle migliori realtà italiane in ambito funk jazz fusion dal prevalente gusto anni Settanta (dalle parti degli Spyro Gyra). Valga per tutto la spettacolare cover jazzata di "Teardrop" dei Massive Attack che trova in questo nuovo arrangiamento una chiave di lettura solare, pur mantenendo l'originale malinconico groove armonico. Il resto è un brillante e freschissimo viaggio tra brani dal tempo spesso sostenuto, un grande lavoro chitarristico e tastieristico a cui la sezione ritmica fornisce un costante e metronomico supporto. Super!
ASADO FILM - Rude Boys
"Rude Boys" è il primo film scritto, diretto, interpretato e musicato dal vivo da ASADO FILM, collettivo ligure di musicisti e filmaker composto dal regista e musicista Francesco Traverso, da Olmo Martellacci(bassista/tastierista degli Ex-Otago), dal cantautore Matteo Fiorino e dal dubmaster U’Elettronicu, al secolo Gabriele Repetto. Il disco funge da colonna sonora attraverso undici brani strumentali che spaziano in vari contesti artistici, dal classico jazz a momenti sperimentali, elettronica, psichedelia, funk, acid jazz alla Corduroy. Il riferimento va ovviamente alle esperienze dei Calibro 35 sui cui binari si muove questa tipologia di proposta ma la band suona molto bene, è ispirata, le composizioni originali e curatissime, eseguite con la giusta attitudine e il mood perfetto al genere. Consigliato.
FM e ALEX SPALCK - Franz Schubert's Winterreise
Maurizio Fasolo e Alex Spalck, sono da sempre le colonne portanti del mitico e immarcescibile progetto dei Pankow ("Questo è il nuovo album dei pankow-, ma non è il nuovo album dei pankow-. "). In queste vesti riprendono Winterreise di Frank Schubert e Wilheim Müller. Il taglio è rigoroso, solenne, la rivisitazione personale. Un'operazione tanto coraggiosa quanto creativa e innovativa.
LORY MURATTI – Torno a dirvi tutto
Lory Muratti è un artista a 360 gradi che abbraccia discipline come musica, scrittura, video- arte. Il progetto più recente accomuna un album al suo romanzo omonimo. Un lavoro rigoroso, dal passo solenne e austero. Otto brani che attingono compositivamente dalla canzone d’autore per svilupparsi in direzioni che accostano afflati rock con una vena che guarda in modo più evidente alla new wave anni 80. Il disco è legato da un filo conduttore che accomuna le canzoni, i cui testi non hanno paura di affrontare tematiche scomode come suicidio ed elaborazione del dolore. Un lavoro ambizioso e importante, da ascoltare con estrema attenzione.
C+C=MAXIGROSS - Cosmic Res
Prosegue l'affascinante e intrigante percorso del collettivo veronese con un nuovo lavoro in cui il loro personalissimo folk psichedelico si tinge sempre di più di elettronica in un mix originale e immediatamente distintivo che si avvicina a un mix tra Flaming Lips, Beck, Julian Cope e Animal Collective.
Dedicato alla memoria dell'amico e produttore Miles Coop Seaton (ex membro degli Akron Family) tragicamente scomparso, "Cosmic res" assimila anche numerose influenze dalla canzone d'autore italiana (il Lucio Battisti degli anni Settanta, in particolare).
Eccellente.
GIACOMO SFERLAZZO - Comu na nuci dintra un saccu
«Dopo sei album in cui mettevo, mettevo, arrangiamenti, strumenti, musicisti, ho provato a togliere». Il cantautore di Lampedusa torna con un album minimale, chitarra classica e voce, ma che non toglie potenza ed espressività alla sua arte combattiva che spazia da folk al blues, da ballate dolenti a brani rabbiosi. Attinge alla tradizione di Rosa Balistreri e alla figura di cantastorie come Ciccio Busacca ma si propone in chiave moderna e attuale. Un altro album coraggioso, anomalo, prezioso.
ASCOLTATO ANCHE:
KELELA (nu soul, pop, jazzy, gradevole), LIL YACHTY (funk, Prince, rap/trap. Miscela interessante), NAUTILUS (fusion funk), THE TUBS (buon guitar rock non lontano dal sound di Bob Mould), GRANSODA (Puro e semplice punk rock, immediato, urgente, che guarda al ’77 ma anche a Social Distortion, Descendents, Rancid), GORILLAZ (la classe ovviamewnte non manca ma la formula è stanca e a parte qualche guizzo l'album si dimentica facilmente),
LETTO
JOYELLO TRIOLO - Maurizio
La musica italiana ha prodotto nel corso della sua storia una lunga serie di eccellenze delle quali troppo spesso ci siamo dimenticati, preferendo guardare all’estero, non di rado abbracciando esperienze di gran lunga inferiori a quanto avevamo e abbiamo sotto il naso.
A volte complice è una sorta di snobismo autolesionista che svilisce tutto ciò che abbiamo intorno come se non fosse degno della giusta attenzione.
L’elenco è lungo e dettagliato e non mancano nomi attualmente in circolazione che meriterebbero attenzione ben maggiore rispetto a quanta ne ricevono.
E’ uscita da poco, per Crac Edizioni, una biografia, a cura dello scrittore, giornalista e musicista Joyello Triolo.
intitolata “Maurizio”. Lui era Maurizio Arcieri, funambolico cantante, musicista, artista, videomaker, innovatore, visionario. Avrebbe compiuto ottanta anni, se non ci avesse lasciati, dopo una lunga malattia, nel 2015. Il libro ne celebra le gesta, attraverso una dettagliatissima discografia, aneddoti (alcuni dei quali incredibili) e un’intervista esclusiva insieme alla compagna e moglie di sempre, Christina Moser che se ne è andata invece lo scorso ottobre.
Maurizio Arcieri ha attraversato tutto l’arco temporale della storia del rock, dagli anni Sessanta al 2010.
Triolo sintetizza bene il suo profilo in poche righe: “La cosa che ricordo meglio di lui (Triolo è stato anche autore di un tributo ai Krisma, band di Arcieri e la moglie, e ha avuto stretti contatti con la coppia) è la sua rassicurante consapevolezza: conosceva alla perfezione il suo valore, sapeva di aver contribuito in maniera sostanziosa al rinnovamento della musica pop ma sembrava sempre alla ricerca di qualcosa in più, di nuovo o diverso come un bambino smanioso di esplorare la vita.
Ciò nonostante appariva umile e socievole, non si poneva mai su un piedistallo e, anzi, cercava sempre di trovare nuovi collegamenti con chiunque. A pochi minuti dall’averlo conosciuti già ti sentivi suo amico, perché sapeva aprire il suo cuore assieme al diario di ricordi riferiti alla miriade delle sue esperienze artistiche. Maurizio aveva il raro dono dell’umiltà...ha lavorato per il cinema e per la televisione, è diventato una star dei fotoromanzi, ha elaborato, progettato e costruito strumenti musicali elettronici e si è applicato anche nell’arte delle videoinstallazoni creando anche una vera e propria stazione televisiva d’avanguardia che, via satellite, proponeva immagini e suoni della società degradata degli ultimi anni del XX secolo.
Ciò nonostante è principalmente il suo percorso discografico a mettere meglio in luce la singolare caparbietà professionale che gli ha consentito di unire, con maestria e rigore, l’alto e il basso con consapevole leggerezza. Tra i musicisti con cui ha lavorato si trovano nomi eccellenti: Vangelis, Osibisa, Franco Battiato, Subsonica, Joe Vannelli, Arto Lindsay”.
Arcieri incomincia la carriera nel migliore dei modi.
E’ il 1965, l’Italia incomincia a pullulare di gruppi beat, diretta filiazione, il più delle volte al limite del plagio, di Beatles e Rolling Stones.
Qualcuno però guarda più in là, osa di più, ricerca riferimenti meno scontati.
I New Dada sono tra questi.
Maurizio è il cantante, la band suona bene, l’estetica è curata: capelli lunghi ma pettinati e ben tenuti, nuovi dandy ribelli ma sofisticati, fino ad essere altezzosi. Maurizio è bello, biondo, affascinante, aspetto aristocratico. Dureranno poco ma infileranno una serie di piccoli successi, un album interessante in cui inseriscono brani non convenzionali ma, anzi, piuttosto ricercati, da Little Richard a James Brown ai Kinks, a cui si aggiungono buone canzoni autografe che si rifanno spesso a un potente rhythm and blues di stampo americano.
Il gruppo miete successo e attenzioni, fino ad arrivare ad aprire i concerti italiani dei Beatles nel 1965, in cui si affiancano a Peppino di Capri e Fausto Leali, tra gli altri.
Si mormora che furono proprio i genitori di due dei componenti del gruppo (tra cui quello che diventerà poi famoso con lo pseudonimo de Il Guardiano del Faro), esponenti della nobiltà milanese, a convincere l’organizzatore Leo Watcher a portare i Fab Four in Italia, in cambio della partecipazione del gruppo dei figli con tanto di contributo alle spese per gli eventi.
I concerti permisero ai New Dada di proporsi davanti a migliaia di persone e a ottenere una popolarità ancora maggiore.
Purtroppo la storia della band finì, curiosamente, dopo l’incisione di un brano dei Rolling Stones, “Lady Jane” con tanto di orchestrazione e testo cambiato (l’originale aveva una serie di sottointesi metaforici un po’ spinti).
Il singolo ha successo ma la band si divide tra ripicche e litigi.
Maurizio prosegue con una carriera solista dignitosa in cui alterna brani piuttosto commerciali e ammiccanti a scelte più coraggiose, come “24 ore spese bene con amore” che non è altro che la cover di “Spinning wheel” dei Blood Sweat and Tears e una, convincente e ben fatta, di “We’re not gonna take it” degli Who tratta da “Tommy”, intitolata “Guardami, aiutami, toccami, guariscimi”, fino a “La decisione” del 1972 in cui ammicca all’hard rock inglese del periodo.
Collabora in questi anni con future star della musica italiana come Paolo Conte e Franco Battiato, ottiene un discreto successo (anche grazie all’attività di attore di fotoromanzi, sfruttando la sua indubbia bellezza) ma il suo spirito irrequieto e la ricerca di nuovi orizzonti lo spinge a sperimentare con nuovi suoni ed esperienze.
Nel 1973 pubblica, per la prima (e unica) volta come Maurizio Arcieri, “Trasparenze”, un album concepito in quanto tale e non come raccolta di singoli di successo.
E’ un lavoro anomalo in cui rifugge da elementi facili e pop, per abbracciare sonorità vicine alle nuove tendenze progessive, più complesse ed elaborate. Un album particolare, molto personale, che rimane però confinato in un oblìo immeritato e trova scarsa considerazione .
Ci sarà tempo ancora per un paio di 45 giri e per una curiosa apparizione come voce narrante italiana in una versione di “Pierino e il lupo” a cui partecipano nomi eccellenti del rock internazionale, da Phil Collins a Brian Eno.
Sposa la compagna di sempre, Christina Moser e inizia una nuova fase artistica.
Fondano i Chrisma (dalle iniziali dei rispettivi nomi), incidono due 45 giri collaborando con il futuro celeberrimo compositore Vangelis, di scarso spessore artistico, a base di pop e discomusic con cui partecipano al Festivalbar del 1976 per poi cambiare sorprendentemente e approdare a una delle esperienze più innovative della musica italiana di sempre. E’ il 1977, esplodono punk e new wave e i Chrisma sono già lì, in prima fila, con l’album “Chinese restaurant”, registrato a Londra, elettronico, ipnotico, algido, sperimentale. Il singolo “Lola”, tango decadente e conturbante, trova anche il successo di classifica.
Assurgono a scandalizzata popolarità quando Maurizio si taglia, provocatoriamente e involontariamente, un dito sul palco, finendo su tutti i giornali come simbolo del punk autodistruttivo. Replicheranno due anni dopo con “Hibernation”, altro lavoro che si muove su coordinate simili e da cui estrarranno il singolo ”Aurora B” che avrà il privilegio, antesignani e pionieri, di avere il primo video in Italia.
“Cathode mama” dona loro un nuovo nome, Krisma e anche il singolo di maggior successo, “Many kisses”, molto pop pur se sempre declinato in sonorità elettronico/new wave che però sono diventate ormai meno innovative e già utilizzate da parecchi altri gruppi.
La band prosegue con varie altre uscite discografiche ma che raccolgono meno successo, sono spesso discontinue, subiscono anche problematiche a livello discografico, lunghe e volute assenze, sperimentazioni, avanguardia, evoluzioni verso forme primordiali di techno, l’apertura di un canale satellitare, Krisma-Tv.
Azioni il più delle volte incomprese, troppo avanti e anomale per essere commercializzate e destinate invece a un limbo e a una nicchia.
Il loro valore viene progressivamente riconosciuto, tornano in auge, collaborano con l’antico amico Franco Battiato e con i Subsonica, vengono omaggiati con tributi e cover, riappaiono in qualità di stralunati opinionisti in una trasmissione televisiva di Piero Chiambretti, proseguono a giocare e a sperimentare con web ed elettronica.
Rileggere la carriera e riascoltare la produzione discografica di Maurizio Arcieri ci rivela quanto sia ancora stimolante fresca e interessante la sua arte e quanto sia stato sottovalutato il suo apporto alla musica nostrana.
Può essere il momento per farlo.
ROBERTO FARINA - Sarà perché ti amo
Difficilmente e raramente quando ascoltiamo una canzone pensiamo a quello che c’è dietro. Ci concentriamo sulla fruibilità della stessa, in base al nostro gusto, sull’interprete e poco altro.
In realtà una canzone ha bisogno di un produttore, un arrangiatore, uno o più esecutori, una confezione, un’immagine, una promozione.
Soprattutto un compositore. In molti casi abbiamo nel cuore, nell’anima, nelle orecchie, canzoni che hanno segnato la nostra vita senza avere la minima idea di chi le abbia composte, scritte, pensate. Nella musica pop e rock, non di rado chi canta e suona il successo del momento non coincide con chi ha scritto il brano. Gli esempi sono incalcolabili.
Basti pensare a Elvis Presley o a Mina che non hanno praticamente mai composto nulla in vita loro ma sono unanimemente considerati nel mondo e in Italia tra gli artisti più rappresentativi di sempre. Comporre una canzone che diventi popolare (e venduta) è un’arte, significa riuscire a intercettare i gusti del momento o, ancora più difficile, anticiparli, sapere cogliere il respiro del mondo, appena prima che tutto accada.
Ci vuole talento.
Tanto.
I compositori di questo tipo sono persone diventate nel tempo ricche ma quasi mai famose. Perché i loro brani, arrivati al primo posto delle classifiche per poi assurgere al ruolo di classici, continuano a rendere profitti, grazie ai diritti d’autore, per anni, a volte per sempre.
Per dare un’idea delle proporzioni economiche una canzone come “Yesterday” dei Beatles ha reso fino ad oggi 30 milioni di dollari in diritti d’autore a John Lennon e Paul McCartney, più o meno 1.500 euro al giorno. E i due di canzoni famose ne hanno firmate un bel po’.
Roberto Farina ha da poco scritto un libro sulla carriera di suo zio Dario Farina, “Sarà perché ti amo”, edito da Milieu Edizioni.
Chi è questo sconosciuto signor Dario Farina?
Difficile che, a parte gli addetti ai lavori, qualcuno ne ricordi nome e gesta.
E’ un signore che ha scritto brani per il gotha della musica leggera italiana:
Ricchi e Poveri, Gianni Morandi, Albano e Romina, Nada, Little Tony, Patty Pravo, Andrea Bocelli e una lunga serie di altri importanti personaggi che per anni hanno stazionato nelle parti più alte delle classifiche di vendita e che ancora oggi ripropongono abitualmente i suoi brani.
E che brani!
“Felicità” e “Ci sarà” per Albano e Romina, “Sarà perché ti amo”, “Mamma Maria” e “Se mi innamoro” per i Ricchi e Poveri, “La donna di picche” per Little Tony, coautore di “Odisssea Veneziana” dei Rondò Veneziano, idea di un altro esimio autore, Gian Piero Reverberi, inizialmente dileggiato poi acclamato dopo la quantità di dischi venduti con questo bizzarro progetto. Titoli da milioni di copie, tuttora, piacciano o meno, suonate ovunque nel mondo.
Sicuramente non saranno pochi a storcere il naso di fronte a una simile produzione, leggera, dagli scarsi contenuti culturali e intellettuali, artisticamente impalpabili. Riprendo allora le parole, riportate nell’avvincente libro, di un amico di Farina, Ieppe, titolare di un negozio di dischi:
“Solo gli odori hanno una forza evocativa pari a quella di una canzone. Le canzoni non sono gelide operazioni mercantili. Una canzone può accedere alle parti più intime, dove i ricordi si rannicchiano per non scomparire. Il fine della canzone è divertire, commuovere gli animi, la canzone punta alla popolarità, non all’applauso di una scarsissima parte di persone, cioè degli intenditori. Questi ascoltano un brano secondo tante regole complicate che capiscono solo loro, il popolo invece ha una sola regola: il suo orecchio.
E se il popolo loda un brano sofisticato, lo fa per assecondare gli intenditori dei quali ha soggezione, o per la meraviglia che nasce davanti a qualcosa di astruso. Dario Farina è uno che ha moltiplicato le melodie popolari, lui non ha cercato la novità, ma la semplicità, cioè l’universalità. Il primo fine della canzone è smuovere i sentimenti, commuovere gli animi, non quelli di pochi, ma di tutti. Avvicinarsi al popolo è il compito della canzone”.
Dario Farina incomincia la carriera di autore con le consuete difficoltà, deve farsi strada sgomitando per trovare un posto in un ambiente in cui i muri sono molto alti e pieni di filo spinato ma alla fine ce la fa. Adotta un metodo infallibile, così lontano dall’immaginario del musicista. Glielo aveva consigliato Bruno Zambrini, altro grande autore poco conosciuto, da “In ginocchio da te” per Gianni Morandi a “La bambola” per Patty Pravo:
“Non aspettare la cosiddetta ispirazione. Mettiti tutti i giorni al piano. Paul McCartney non aspetta l’ispirazione. Ti risulta che Paul aspetti l’ispirazione? No, non l’aspetta, Paul McCartney lavora come un matto. Le idee non vengono davanti al tramonto o guadando le nuvole. Le idee vengono al pianoforte. Siamo dei professionisti. La mattina ci svegliamo e ci mettiamo al lavoro. Così nascono le canzoni. Un’idea sebbene sembri improvvisa, non viene dal cielo, ma dal lavoro”.
Interessante la gestazione di un brano come “Mamma Maria” dei Ricchi e Poveri che venne in qualche modo concepita per essere apprezzata e immediatamente intellegibile anche all’estero. Mettendo insieme due delle parole italiane più conosciute da chi non parla la nostra lingua, “Mamma” e “Maria” ma aggiungendo volutamente una modalità di cantato in qualche modo subliminale, utilizzando la prima sillaba, “ma”, che viene pronunciata da un bambino piccolo, riprodotta poi con alla maniera della lallazione (i primi tentativi di parlato dei neonati, dal settimo mese in poi): “Ma-ma-ma-mam-ma-ria-ma”).
Un piccolo capolavoro di comunicazione.
Il brano ha venduto milioni di copie in Italia e all’estero, diventando tra i brani più popolari in Russia. Come è più volte capitato, paradossalmente, i grandi compositori, perennemente dietro le quinte, quando provano a mettersi in gioco falliscono clamorosamente. Anche Farina tenta questa strada nel 1979 con quello che rimarrà il suo solo album, “Destinazione tu”.
Un lavoro leggero che risente dei suoni dell’epoca, non lontani dalle suggestioni discomusic ma di stampo cantautorale e con brani di indubbia qualità creativa. Il disco è un insuccesso clamoroso e non raggiunge le mille copie vendute.
Farina non ci riproverà più e tornerà a dedicarsi al suo abituale lavoro compositivo che, tra alti e bassi, tonfi (un pur pregevole album per Mal, reduce dal successo di “Furia cavallo del West” che segnò, paradossalmente, la fine della sua carriera, ormai derubricata a interprete di canzoni di telefilm per bambini), però ben equilibrati da una nuova serie di canzoni che arrivano puntualmente alle vette delle classifiche. C’è un passaggio significativo nelle pagine del libro di Roberto Farina che rimarca la frustrazione di quando i suoi coetanei venivano a sapere dell’attività dello zio e lo prendessero in giro perle sue composizioni, tanto da spingerlo a nascondere la parentela, per timore di ulteriori dileggi.
“Era dunque questa la cultura alta che ti spingeva a nasconderti? Dov’era quel mondo di libertà di cui parlavamo sempre, gli accigliati studenti e io? Dov’era la potenza liberatrice dell’arte? L’equazione era semplice: cantautori uguale a popolo, canzonette uguale a piccola borghesia. E così, secondo quest’algebra, la musica di De André, figlio dell’alta borghesia genovese, diveniva una bandiera popolare e il pop dei Ricchi e Poveri, figli del proletariato, diventava uno dei tanti trucchi dei padroni per asservire le masse”.
Dario Farina rimarrà per sempre un “uomo tra parentesi” ovvero coloro il cui nome si legge solo tra le parentesi sulle copertine dei dischi ma che raramente hanno una faccia o che vengono citati tra i grandi della musica.
Ma è la testimonianza vivente dell’importanza di un ingranaggio determinante e di primaria importanza nella costruzione e nell’economia artistica di una canzone.
Che è sempre frutto di studio, esperienza, colpo di genio, lavoro, applicazione, perseveranza.
In totale antitesi all’approccio moderno di molti giovani musicisti che pensano di potere arrivare al successo senza alcuna gavetta o sforzo ma solo con un paio di mesi in un talent show che li proietti in testa alle classifiche.
Piaccia o meno, non è così.
STEFANO SCRIMA - Smells like Kurt spirit. Nirvana e filosofia
Stefano Scrima ha l'interessantissima capacità di riuscire a unire rock e filosofia, in modo colto e approfondito ma mai pesante o pedante.
Il rock è ormai da tempo musealizzato, anche nelle sue forme più estreme, è tempo di analisi e connessioni culturali peraltro pertinenti.
E' questo il caso.
La storia di Kurt Cobain e della band viene sviscerata a prescindere dal contenuto musicale, scandagliata nei suoi più reconditi e allo stesso tempo evidenti messaggi esistenziali, filosofici, intellettuali.
Il libro è davvero particolare e intrigante.
Consigliato, al di là della passione per i Nirvana.
GENNARO SHAMANO COZZOLINO - Neapolis 2125
Gennaro Shamano Cozzolino è l'autore di un'eccellente testimonianza sulla sua vita di strada in contesti punk e affini, "L'asfalto sulla pelle".
In questo caso si cimenta invece con un romanzo distopico, ambientato nel 2125 nella sua Napoli, in cui la maggioranza degli abitanti è costretta da un'epidemia, sfruttata a dovere dal potere, a vivere reclusa negli "alveari", controllati a vista e costantemente davanti a uno schermo di un computer.
Due giovani si ribelleranno alle imposizioni, raggiungeranno un gruppo di rivoltosi nei sotterranei partenopei e proveranno a cambiare le carte in tavola.
Gennaro scrive in modo efficace e coinvolgente ma quello che sorprende e impressiona è che il romanzo fu concepito e scritto nel 2018 (pubblicato poi nel 2020) e riproduce fedelmente quello che accadrà due anni dopo, tra Covid e lockdown.
Corredato da tavole a fumetti che seguono il racconto, piacerà tantissimo a chi ama l'ambito "futurista" (perché di fantascienza qua, purtroppo, non si può più parlare).
MAURIZIO INCHINGOLI - Musica di carta – 50 anni di riviste musica in Italia
Ci tengo a sottolineare il fatto che "Musica di carta - 50 anni di riviste musicali in Italia" non è e non vuole essere un'enciclopedia sulle riviste, il libro si basa chiaramente su un percorso personale attraverso il quale provo a fare un po' il punto storico di questo importante fenomeno culturale che purtroppo ha perso, secondo me, il fascino che aveva, poi è arrivato Internet e inevitabilmente la situazione è cambiata, nel bene e nel male.
L'autore precisa l'intento di questa lodevole iniziativa, che mette un po' di ordine nel caotico mondo delle riviste musicali cartacee, con il prezioso aiuto di alcuni dei protagonisti, da Federico Guglielmi a Francesco Adinolfi, Luca Frazzi, al "mitico" Piero Scaruffi, intervistati in esclusiva da Inchingoli.
Il tema che emerge è quanto possa ancora (r)esistere la divulgazione cartacea, ormai sopraffatta da internet.
I dati di vendita sono in costante calo e ormai ridotti al lumicino ma, nonostante ciò, le riviste continuano ad uscire, a nascere, a proporre e proporsi (a dispetto delle nefaste previsioni che le volevano scomparse da anni).
Una storia complessa, spesso convulsa e fautrice di "battaglie" epocali, disastri economici, aspri scontri verbali ma testimonianza di una vitalità che dagli anni Sessanta in poi ha reso le giornate di noi appassionati più gradevoli e interessanti.
VISTO
"Judas and the Black Messiah" di Shaka King Molto bello, con un favoloso Daniel Kaluuya (premio Oscar per l'interpretazione) nella parte dell'attivista delle Black Panthers, Fred Hampton, ucciso dall'FBI in un agguato nl 1969, grazie all'opera di un infiltrato. Film equilibrato, ambientazioni perfette, consigliato agli amanti del "genere".
(su Netflix fino all'8 marzo)
Lazzaro felice di Alice Rohrwacher
Suggestivo, tragico, straziante, onirico, visonario. Pasoliniano, Felliniano, fortemente debitore ai Taviani. Consigliato.
COSE VARIE
° Ogni giorno mie recensioni italiane su www.radiocoop.it (per cui curo ogni settimana un TG video musicale - vedi pagina FB https://www.facebook.com/RadiocoopTV/).
° Ogni domenica "La musica ribelle", una pagina sul quotidiano "Libertà"
° Ogni mese varie su CLASSIC ROCK.
° Ogni sabato un video con aggiornamenti musicali sul portale https://www.facebook.com/goodmorninggenova
° Sulle riviste/zines "GIMME DANGER" e "GARAGELAND"
° Periodicamente su "Il Manifesto" e "Vinile".
IN CANTIERE
E' uscito per Agenzia X "Northern Soul. Il culto dei giovani ribelli soul" un viaggio di stampo storico sociologico nel difficile e non sempre agilmente esplorabile mondo del Northern Soul.
PRESENTAZIONI:
Presentazioni del libro "NORTHERN SOUL" edito da Agenzia X.
Prossimi appuntamenti fino a marzo:
sabato 4 marzo
Brescia ore 19,30 Baretto Aperto + Alioscia DJset
domenica 12 marzo
Torino "Jazz Club" via Valdo Fusi ore 18
sabato 18 marzo
Viareggio "Vegas" Viale Europa ore 21
venerdì 24 marzo
Lido Adriano (RA) "Cisim" viale Parini 48 ore 21
domenica 26 marzo
Castelnuvo di Borgonovo (PC) "Kelly's" ore 21
sabato 1 aprile
Parma "The Clebbino" Borgo Cocconi 3/B ore 21
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