martedì, dicembre 21, 2021
Libri musicali. 2021
Riassunto dei 40 libri a carattere musicale che ho letto nel 2021.
I MIEI 10 PREFERITI
Paul McCartney - The lyrics: 1956 to the Present
Uno dei migliori (IL migliore?) libri musicali di sempre.
Anche se pertinenza soprattutto dei più profondi conoscitori di Paul e Beatles, contiene spunti imperdibili e storie uniche e importanti.
Estratto da cinquanta ore di conversazioni con il poeta Paul Muldoon, raccolte tra il 2015 e il 2020, "The Lyrics" è un monumentale (doppio) volume di 900 pagine arricchito da incredibili e inedite memorabilia, estratte dal suo archivo di oltre UN MILIONE di pezzi.
Paul parla di 154 brani che ha firmato, dai Beatles a oggi.
E' ironico, colloquiale, schietto, talvolta nostalgico, molto amabile nel raccontare in modo disarmante una delle carriere artistiche e umane più entusiasmanti degli ultimi 100 anni.
I brani sono in ordine alfabetico e quindi le storie si intrecciano, si salta dalla fine degli anni 50 agli 80, si torna ai Beatles, si corre ai Wings.
Non di rado i brani sono semplici facciate B di dimenticati 45 giri dei Wings o oscuri momenti di dischi minori.
Paul racconta di quelli dedicati ai suoi animali, il cane Martha ("Martha My dear"), il pony Jet ("Jet") o alla sua jeep ("Helen Wheels").
Quando in "Obladi Oblada" parla di Desmond, fa riferimento a Desmond Dekker e non a caso il brano è su un ritmo ska.
Il padre di Paul, Jim comprò il suo pianoforte da Henry Epstein, padre di quel Brian che anni dopo divenne mentore e manager dei Beatles.
Quando decide di comporre una "canzone scozzese" perché constata che ci sono solo tradizionali, scrive "Mull of Kyntire", consapevole che nel 1977, in piena esplosione punk sarebbe stato ignorato. Diventa il 4° singolo più veduto di sempre in UK e un classico.
Ci parla della sua infanzia proletaria (orgogliosamente più volte rivendicata), di come nelle sue canzoni ci siano spesso doppi sensi, messaggi nascosti, riferimenti colti, derivati da letture e studi, altri semplicemente e volutamente sciocchi.
C'è spesso il ricordo commosso di John e una lettura lucida dei loro contrasti.
Inserisce accordi (vedi "Michelle") solo perché "ci stanno bene".
"Ticket to ride" si riferisce anche a Ryde, sull'isola di Wight, dove i giovani Paul e John andarono in autostop a trovare gli zii di Lennon.
L'aspetto più interessante è la descrizione di come compone, come scrive, come si ispira ed è bellissima la rivelazione che segue:
"Con i Beatles non sapevamo leggere o scrivere la musica, così ce la inventavamo. Molto di quello che abbiamo fatto è derivato da un profondo senso di meraviglia e non dallo studio. Non abbiamo mai davvero studiato musica".
Un libro definitivo che sviscera ulteriormente il mondo beatlesiano, prezioso proprio perché i quattro di Liverpool hanno rappresentato uno dei momenti più importanti nella storia del rock. Divertente perché Paul lo sa essere con uno humor particolare e personale, entusiasmante perché ci porta nelle profondità più oscure del suo mondo.
Fabio Fantazzini - Dread Inna Inglan
STREPITOSO saggio sulla CULTURA BLACK BRITISH.
La storia dell'immigrazione in Inghilterra dalle West Indies (Giamaica, Trinidad, Brabados, Grenada etc) colonie ed ex colonie britanniche.
Dal simbolico arrivo a Tilbury, sul Tamigi, della nave Empire Wildrush, il 21 giugno 1948 con i primi giamaicani, al successivo e progressivo insediamento di centinaia di migliaia di sudditi dell'Impero, ben presto stranieri in patria.
A cui seguì lo straniamento di essere rifiutati da quella che erano stati educati a considerare la "madre patria" e i cui figli, nati in Inghilterra, vedono un potenziale ritorno nelle terre dei genitori come un'emigrazione in terra straniera.
Gli attacchi alla popolazione nera a Notting Hill nel 1958 certificano "l'esistenza del razzismo" e "sferrano un colpo simbolico a quell'English Dream custodito dai migranti afro-caraibici che per la maggior parte della popolazione inglese rimangono comunque migranti stranieri."
Che realizzano di essere semplicemente "negroes, blacks o West Indians".
"Nasce il "new racism": "le differenze non si giocano più sul piano biologico ma su quello culturale".
Gli immigrati portano con sé calypso, ska, rocksteady, reggae e lo stile rudeboy che si inseriscono nella musica e cultura britannica e la cambiano radicalmente.
"I sound system, come altri esempi all'interno della diaspora nera, assumono quindi la funzione di rappresentazione di un blocco sociale sistematicamente escluso dai vari organi del sistema.
Si configurano come spazi di resistenza culturale rispetto all'esclusione e alla marginalizzazione della comunità nera da parte delle istituzioni.
In secondo luogo acquisiscono maggiore rilevanza politica in quanto vettori comunicativi di messaggi (siano essi la cronaca di un evento o inviti alla ribellione) durante il picco del conflitto da istituzioni inglesi e controcultura nera...i sound system oltre ad essere un luogo di divertimento, sono uno spazio pubblico di scambio di informazioni e di discussione."
Un libro ESSENZIALE che si addentra alla perfezione e con uno spessore culturale di altissimo livello, in un contesto mai sufficientemente esplorato.
Arricchito da mille dettagliatissime citazioni, particolari sconosciuti, nomi, dischi, episodi.
Unico appunto la mancata traduzione delle parti in inglese, spesso importantissime.
Tracey Thorn - My rock 'n' roll friend
Tracey Thorn, inconfondibile voce degli Everything But The Girl, protagonista di un'ottima carriera solista, giornalista e scrittrice, racconta la sua amicizia con Lindy Morrison, ex batterista dei Go Betweens.
Timida e e riservata la prima, vulcanica, esplosiva, disordinata, militante, la seconda. ("You are loud where I am quiet, excitable where I try to be calm, unguarded where I am reserved. You can be outrageous").
"Ci sono state pioniere come in tutto ciò che le donne hanno lottato per fare, hanno chiesto il diritto di fare e sono state scoraggiate dal fare.
Ogni donna batterista ha veramente voluto fare quello. Ha dovuto ignorare la parola NO.
Ha dovuto dire alla gente di andarsene affanculo". (Lindy Morrison)
Una relazione intima, speciale, che si sviluppa tra incontri diretti e anni di lontananza (l'una in Inghilterra, l'altra nella natìa Australia), da cui traspaiono tante cose: il maschilismo che subiscono ancora le donne in ambito musicale, il razzismo che resiste in Australia, riflessioni intense e lucidissime da un punto di vista femminista (non il femminismo da rotocalco ma un vissuto "sulla strada" molto più spietato e reale).
Con Lindy che diventa "Just the Drummer" oppure "The Woman in the band" e Tracey in una recensione "la 57enne madre e moglie" non la "57enne cantante e autrice".
"In un certo senso il femminismo è solo la lunga lenta realizzazione che le cose che ami ti odiano" (Lindy West)
Il libro é bello, divertente, leggero, a tratti drammatico e triste ma sempre colto, vero e sincero.
"Così questo é ciò che offro. Una versione della sua vita.
Una visione da dentro e da fuori di lei e di noi. Quello che mi é sembrato che fosse"
Marco Teatro e Giacomo Spazio - Virus - il punk è rumore 1982-1989'
Raccolta di tutto (o quasi) il materiale relativo all'esperienza del VIRUS di Milano, attivo dal 1982 al 1989. Volantini, locandine, fogli, fanzine, ritagli di giornale.
L'aspetto più interessante e affine allo spirito originario è che non c'è analisi sociologica, approfondimenti o pareri personali.
C'è solo il materiale prodotto, nudo e crudo, una foto in bianco ma soprattutto nero di ciò che è stato in quegli anni con tutte le ingenuità, l'approssimazione, la freschezza, l'urgenza, l'irruenza, la cattiveria, la disperazione l'ironia, la rabbia di quei tempi.
E' sufficiente e anche troppo.
Sicuramente TANTO.
Alberto Zanini - Funk investigators
Ho avuto il piacere e l'onore di scrivere la prefazione al primo libro di ALBERTO ZANINI, grande boss della Cannonball Records.
Un libro che parla di passione, dedizione totale, amore per la musica.
Il SOUL nel nostro caso.
Parla dei suoi viaggi in USA alla ricerca di nastri oscuri, della sua attività discografica, dell'amore per una musica particolare, nato sui banchi della Scuola Mod.
Quando una "sottocultura" diventa CULTURA, diventa lavoro, diventa una ragione di vita.
A corredo una serie di bellissime fotografie che documentano le esaltanti avventura da FUNK INVESTIGATOR.
Francesco Adinolfi - Mondo Exotica
Un Martini da sorseggiare, abbigliamento sobrio ma molto elegante e raffinato, arredamento stiloso, dai colori vivaci e dalle forme arrotondate, in un conturbante night club.
In sottofondo una musica divertente, ammaliante, facile e fresca. La possiamo chiamare Cocktail Music, Exotica o Lounge.
Che vuol dire tutto e niente, visto che abbraccia un universo di suoni, influenze, ritmi, radici.
Per saperne non di più ma, anzi, tutto, veramente tutto,, in ogni dettaglio, é stato ristampato da Marsilio Editore, dopo venti anni dalla prima pubblicazione, “Mondo Exotica” a cura di Francesco Adinolfi, veterano del giornalismo musicale italiano, dal glorioso “Ciao 2001” al “Manifesto” e “Espresso”, fino a storiche trasmissioni a Radio Rai come “Stereonotte” e a una lunga lista di libri.
Un libro che nel 2009 vinse l'ARSC Award for Excellence in Historical Recorded Sound Reasearch.
Più che meritato perché in queste seicento pagine si scandagliano origini musicali, artistiche ma anche culturali e sociali del genere.
Lo stesso autore esemplifica il contesto:
“Una pozione intossicante, colma di suoni, manie, immaginari che da allora (anni 50) continua a ispirare musica, cinema, televisione, pubblicità, moda. Con la “generazione cocktail” sono affiorati e tornati in auge stili, ritmi, scenari che in passato erano di esclusiva pertinenza del “mondo degli adulti” e quindi tanto più distanti da “recuperi giovanili".
Tanti gruppi si sono appropriati dei suoni di mamma e papà piegandoli a una vibrante temporaneità. Con l'avvento della Generazione Cocktail si sono così ribaltati codici artistici e comportamentali, si é conferita “dignità musicale” a un gruppo sociale (gli adulti) eternamente percepito come il regno della letargìa e dell'immobilismo, il primo nemico da (ab)battere sulla via della liberazione culturale”.
E ancora:
“Sollecitata dalla mancanza di fascino nel progresso, la Generazione Cocktail ha reagito proponendo l'ultimo recupero possibile, il più improbabile e forse il più rivoluzionario. Una specie di grado zero della ribellione, una provocatoria riabilitazione di suoni parentali a cui negli anni tante sottoculture si erano invece ribellate (dal rock n' roll, al punk, alla techno)”.
Infatti, inaspettatamente, negli anni 90, in cui ruggiva il grunge e la musica pop elettronica monopolizzava le classifiche, un nutrito gruppo di nuovi nomi, trasversalmente in ogni parte del mondo, riprese in mano dimenticatissimi e disprezzati dischi di “musica da sottofondo”, colonne sonore di film di serie B, bizzarrie di sapore pseudo esotico, surf, strambo jazz e li ripropose in chiave moderna.
Dai giapponesi Pizzicato Five (diventati star in patria ma non solo), Cibo Matto e 5,6,7,8's (famose dopo l'apparizione in “Kill Bill” di Tarantino), ai nostri Montefiori Cocktail e Nicola Conte, i tedeschi Frank Popp Ensemble, gli inglesi Karminsky Experience e Stereolab, l'ex Faith No More, Mike Patton, con il progetto Mr.Bungle e poi Mondo Cane, per citarne solo alcuni, fu un tuffo in sonorità stranissime.
“Negli anni novanta il ricicalggio culturale si é rivelato globale, invadente, reiterato e, quanto più l'inconscio risulta influenzato dai media (televisione e cinema soprattutto) in cui immagini di epoche diverse coesistono nello stesso spirito del tempo, tanto più si é indotti a perdere il senso della propria storicità. Tanti “passati” mescolati tra loro e interni al presente, finiscono inevitabilmente per togliere al futuro gran parte del suo fascino”.
Le radici hanno origini lontane, quando, soprattutto in America, si incominciò a proporre musica di matrice pseudo “esotica”.
Ovvero una liofilizzazione di presunte influenze polinesiane, latine, orientali o africane.
Utilizzando spesso strumenti insoliti “provenienti da varie parti del mondo, per conferire ai brani un senso di alterità e spiazzamento temporale”.
Ma senza alcuna volontà o pretesa di essere fedeli alla cultura musicale a cui ci si riferiva, anzi, esattamente il contrario.
Come disse Martin Denny, uno dei principali pionieri del genere:
“La mia musica é sempre stata finzione, così come un libro può essere finzione. Tutto é sempre stato frutto della mia immaginazione, una miscela di idee mie e di quelle dei musicisti che suonavano con me. Dalla mia musica non dovevi aspettarti autenticità ma solo suggerimenti.
Io, ad esempio, suggerivo come poteva essere la musica cinese o africana.
Inoltre il pubblico voleva evadere, voleva immaginarsi posti lontani. Voglio dire, io ho suonato cose africane ma non sono mai stato in Africa; però ho ascoltato musica africana e dunque potevo riprodurre alcuni di quei suoni. L'ho fatto e sono entrati a far parte della musica Exotica”.
Il primo album che può essere definito, a ragion veduta, il pioniere del genere in oggetto esce nel 1951.
E' di Les Baxter e si intitola Ritual Of The Savage.
Fin dal titolo é l'epitome del concetto della musica e del Mondo Exotica: americanizzare suoni di origine “lontana”, “una musica che faceva dello stereotipo assoluto e totalizzante il suo assunto di fondo”.
Nei brani si utilizzano ritmi latini, samba, mambo, percussioni per evocare atmosfere africane.
Inconsapevolmente citando le origini di quei ritmi, che arrivavano dagli schiavi africani deportati nelle Americhe.
Un approccio che, sempre inconsapevolmente (vogliamo sperare) nasconde, ma non troppo, uno sfondo razzista. Le riviste americane (ma abbiamo avuto anche in Italia un corrispettivo angosciante durante la malefica avventura coloniale africana) mostravano spesso immagini di donne africane, asiatiche e polinesiali in topless “sollecitando una eroticizzazione di tutto ciò che apparisse “esotico e primitivo” e dunque distante dai codici comportamentali occidentali.
Era come se fuori dai confini nazionali esistesse un mondo idilliaco e per niente ostile”. Paradossalmente proprio negli anni in cui esplodono le lotte e le guerre di indipendenza in mezzo mondo, dall'Africa, all'Asia, al Centro America, per affrancarsi dal dominio coloniale delle grandi potenze.
“L'exotica consentiva di immaginarsi spazi e tempi immobili, mondi di infinita meraviglia in cui sfogare libidini e mitigare tensioni politiche e sociali.”
Come sottolineato anche l'Italia non fu immune da questo approccio, fino agli anni settanta inoltrati, in cui la cinematografia nostrana indulgeva spesso su film a sfondo “esotico/erotico” in cui le protagoniste femminili (africane, asiatiche, “esotiche”) “erano sganciate da codici e obblighi morali, di cui l'Occidente bianco doveva sapere approffittare almeno per una notte.
L'”altra” era un animale solo sessuale di cui abusare o farsi travolgere e infine ripudiare”.
L'universo sonoro della Cocktail Music passa anche e molto spesso attraverso le colonne sonore di film difficilmente ascrivibili tra i capolavori ma i cui autori sono assurti a veri e propri monumenti della musica italiana e non solo, dal grande Maestro Ennio Morricone a Piero Piccioni, Piero Umiliani, Nico Fidenco, Armando Trovajoli, diventati punti di riferimento per il genere. Che non é solo musichetta sciocca e facile ma che affonda non di rado le radici anche nel jazz, nel funk, nel blues (vedi la grande colonna sonora de “I soliti ignoti”, curata da Piero Umiliani).
Curiosa anche una escursione nei night club degli anni Sessanta nostrani, dove risuonavano ritmi e balli conturbanti e misteriosi, basati su ritmiche latine e africane, come rumba, samba, cha cha cha, bajon, spirù, raspa, conga, le cui atmosfere ritroviamo spesso nei film dell'epoca, “La dolce vita”, ad esempio.
Ma ricordiamo anche la vicenda dell'incredibile cantante peruviana Yma Sumac, discendente dell'ultimo imperatore Inca, assurta a fama mondiale grazie a una voce unica, in grado di raggiungere estensioni disumane.
Fu un vero e proprio idolo negli anni 60, dalle Americhe all'Unione Sovietica e rimane una delle stelle della Exotica. L'aspetto interessante di questo ampio spettro sonoro é che, come ci insegna il libro, i meandri in cui si districa e riversa questo strano miscuglio di suoni sono apparentemente infiniti.
Ogni disco, artista, epoca, sono solo punti di partenza verso ulteriori nicchie in cui scavare e trovare nuovi stimoli e materiale intrigante. Probailmente sarà difficile rinvenire capolavori di inestimabile valore ma tanto divertimento sicuramente si.
E non é cosa da poco.
Malik Al Nasir - Letters to Gil
E' una storia incredibile quella di Malik Al Nasir.
Una vita destinata a una triste prospettiva, salvata e redenta dalla musica e da un personaggio unico, un intellettuale, artista, poeta, attivista, Gil Scott Heron.
Spesso impropriamente definito il “padre del rap” di cui comunque contribuì a costruire le basi, ispirandosi ai suoi contemporanei Last Poets, nella New York dei primi anni Settanta.
Ma Gil fu molto di più.
Portò avanti una sorta di concetto di “musica totale”, in cui confluivano tutte le sfumature della black music (dal blues al gospel, con cui era nato, fino al soul, al funk, al rhythm and blues) ma anche quelle del sound latino con cui era cresciuto nel quartiere portoricano di Chelsea, nella Big Apple. Una fusion spesso complessa ma sempre accattivante su cui si innestavano testi incredibilmente poetici e politici, colmi di aspro sarcasmo nei confronti delle istituzioni e del potere costituito.
Malik, nato come Mark Trevor Watson a Liverpool, padre della Guyana, madre inglese, visse un'infanzia tranquilla a Toxteth, il quartiere black della città, fino a quando la famiglia si sfasciò e per un furto, in realtà mai commesso, finì, a nove anni, nell'inferno dei riformatori di sua maestà, dove subì soprusi, abusi psicologici e fisici di ogni tipo.
Uscito a 16 anni, con l'unica prospettiva di intraprendere una vita di illegalità (“per lavorare occorrevano referenze e le uniche che avevo io erano anni passati in un carcere minorile e avere la pelle nera in un paese razzista”), si imbatte nella musica di Gil Scott Heron dalla quale rimane affascinato e colpito.
Quando Gil arriva a Liverpool si fionda al concerto.
“Gil ha parlato, ha suonato jazz, era un poeta, ha insegnato. Stava solo cantando una canzone ma era come se fosse parte di un'anima collettiva che viveva nella stanza del locale”.
Riesce a entrare nel backstage, solo per volersi complimentare con il suo idolo.
Ma Gil gli chiede inaspettatamente se lo volesse accompagnare a vedere i luoghi di Toxteth in cui recentemente c'era stata una violenta rivolta della comunità nera contro i metodi violenti e razzisti della polizia. Malik acconsente e poi invita Gil e la sua band il giorno successivo a pranzo. Non ha un casa, vive in un rifugio per senza tetto, non ha soldi, solo un minimo di sussidio statale.
Racimola quello che può, mette a frutto l'esperienza di cuoco imparata in riformatorio e offre il pranzo a tutta la band in una casa prestatagli da un amico. Alla fine Gil gli allunga 100 sterline ma lui rifiuta, è un regalo che ha voluto fare al suo idolo.
Allora Gil gli chiede se vuole unirsi alla band. “Ma io non so fare niente per una band”.
“Saprai caricare e scaricare un amplificatore da un camion o portare le bacchette al batterista o un cavo al chitarrista”.
Malik diventa così parte della crew di Gil Scott Heron, gira il mondo, impara le tecniche dei fonici e sostanzialmente “facevo tutto quello che non stavano facendo gli altri. Questo era il mio motto”. Gil “vide qualcosa in me che non vedevo in me stesso: il mio potenziale".
Durante i lunghi viaggi il musicista scopre che Malik era semi analfabeta, anche a causa di una forma di dislessia mai curata.
E allora incomincia a insegnargli a leggere e a scrivere, facendo tesoro della sua immensa cultura e di un master in inglese, conseguito all'Università di Lincoln. Lo introduce ai classici sulla autoconsapevolezza degli afroamericani, ai testi che parlano dei diritti civili da rivendicare, alle poesie di Langton Hughes, ai libri di Zola Neale Hurston, al blues e al soul di Nina Simone e Billie Holiday.
Sprona Malik a scrivere e quando riceve le sue prime composizioni gliele corregge, aggiusta, lo consiglia.
“Una mattina mentre eravamo sul tour bus Gil incominciò a leggere ad alta voce i miei scritti. Mi chiese perché avevo usato questa parola e non quella, che cosa volevo dire con questa frase, cosa significa questo concetto. Per la prima volta nella mia vita avevo un insegnante.
La cosa è andata avanti per molti anni. Anche quando eravamo lontani scrivevo le mie poesie e gliele mandavo via lettera. E quando ci ritrovavamo in tour lui le tirava fuori e le commentavamo insieme”.
Dopo un po' di tempo Gil lo “licenzia” affinché si trovi un lavoro e incominci a gestire la propria esistenza. Malik sceglie la dura vita del marinaio che lo porta di nuovo in giro per il mondo, subendo ancora una volta il razzismo degli equipaggi delle navi per cui lavorava dove non di rado era l'unico nero. Sfrutta questi lunghi mesi in mare per leggere e scrivere, ascoltare musica, imparare.
Si iscrive successivamente all'università e consegue due lauree, in sociologia e geografia oltre a un diploma post laurea in ricerca sociale e un master in produzione multimediale.
“Ho continuato ad andare in tour con Gil quando ho potuto. Era così fiero di me. La mia laurea era il culmine di tutto ciò che aveva investito in me e io avevo investito in me stesso. Quello che Gil mi ha dato era una ragione per cui vivere.”
Nel 1992 incontra i Last Poets e viene introdotto all'Islam.
Cambia nome e diventa il manager del loro cantante, Jalal, incominciando una proficua carriera in ambito discografico, lavorando anche con Public Enemy, Steel Pulse, Run DMC, Wailers, Wyclef Jean. Fonda la compagnia di produzione MediaCPR e l'etichetta MCPR Music e anche una band, Malik and the OG's con cui suona e incide dischi. Quando Gil Scott Heron entrò nella sua fase più oscura, fatta di dipendenza, periodi da homeless, finendo poi in prigione, Malik non mancò mai di supportarlo, ricevendo in cambio un nuovo incoraggiamento.
Ovvero pubblicare le sue poesie che aveva raccolto in abbondanza nel corso degli anni. Nel 2004, dopo aver ricevuto un risarcimento dallo stato inglese per le ingiustizie subite nell'adolescenza, fonda una sua casa editrice, la Fore-Word Press, con cui pubblica Ordinary Guy.
E' spesso protagonista di articoli sulla stampa inglese in relazione ai problemi dei rifugiati, all'esclusione sociale, al razzismo. Quando Gil venne finalmente rilasciato dalla prigione, poco prima di morire, nel 2011, Malik riuscì, grazie all'intercessione di Wyclef Jean, a farlo reincontrare con Stevie Wonder, uno degli amici che aveva fatto di tutto per portarlo fuori dalla palude della droga.
La vita di Malik Al Nasir è ora raccolta in un toccante e duro libro autobiografico, da poco pubblicato in Usa e Canada da William Collins Editore, intitolato Letters To Gil.
Una trasformazione umana, sociale, politica.
Il ribaltamento dai giorni in cui, scrive nel libro, quando gli dicevano “Nigger!” rispondeva “Sorry”, frutto della mentalità dell'Inghilterra degli anni Settanta in cui a scuola i bambini di colore venivano irrisi e discriminati in primo luogo dagli stessi insegnanti e trattati come persone inferiori.
La rivalsa postuma contro le politiche del comune di Liverpool che prima lasciava che a Toxteth si aprissero locali per neri senza particolari controlli, per, sostiene Malik, “tenere lontana la comunità black dal centro storico dove risiedeva la borghesia bianca” e che successivamente, con una politica pragmaticamente crudele, sparse chirurgicamente le famiglie nere in altri quartieri per soffocare il senso di unione e solidarietà tra gli immigrati.
Un libro che riassume una storia acre e difficile, attraverso il rapporto tra un maestro e un allievo tenace e sincero che, attraverso l'educazione e l'amore per il prossimo, ha trovato una strada.
“Gil è stata la persona più importante per me durante la mia vita adulta. Grazie, Gil. Mi hai salvato la vita".
Peter Culshaw - Clandestino. Alla ricerca di Manu Chao
Personaggio spesso dimenticato, soprattutto a causa della sua ritrosia a seguire i metodi tradizionali della discografia, che vuole album pubblicati a cadenza regolare, tour di supporto, video, concerti, promozione televisiva, radiofonica, via web.
Manu Chao rimane però vivo e pulsante nei cuori di chi lo ha sempre apprezzato, si è entusiasmato ai concerti dei Mano Negra, sua prima band, tra i migliori live act di sempre (un loro concerto cancella, nella memoria, il 99% delle migliaia a cui ho assistito nella mia ormai lunga vita) ma anche alle sue esibizioni soliste, sempre generose, empatiche, gioiose, spettacolari.
Dice bene Peter Culshaw nel libro appena uscito, “Clandestino. Alla ricerca di Manu Chao” prima biografia autorizzata pubblicata da Castello Editore nella collana Chinaski:
“Per una schiera di disadaddati che non accetta il mondo così come è e per gli emarginati per i quali lotta, Manu Chao rappresenta un raggio di speranza.
Una star internazionale che combatte contro la globalizzazione, un uomo che vive con lo zaino in spalla ma ha guadagnato milioni di euro, un propagandista che rifiuta le interviste.
La reputazione di Manu Chao è stata basata sulla sua grade onestà e integrità morale”.
Nasce nel 1961 a Parigi da una famiglia colta, antagonista, attivista, schierata a sinistra e con principi ben saldi. Manu si muove tra banlieues e situazioni alternative, non sempre in condizioni facili. Nei primi anni Ottanta Parigi era un luogo diviso, fatiscente e spesso pericoloso.
Gli antichi quartieri della classe lavoratrice erano disseminati di edifici abbandonati, fabbriche deserte e officine dismesse. Una tragedia per le famiglie di operai che abitavano lì da generazioni.
Si appassiona al rock 'n' roll e al pub rock dei Dr. Feelgood ma viene fulminato, nel 1981, da un concerto dei Clash, in cui, a fianco di punk e rock suonano anche reggae, soul, funk e tanto altro. La sua band, Joint de Culasse, le esibizioni per strada come busker, le occupazioni, i centri sociali gli diventano stretti, cerca altre strade con nuovi gruppi e influenze, per esaudire il desiderio di un' aria artistica più fresca.
Ci prova con gli Hot Pants e con i Los Carayos.
Alle nuove suggestioni punk e ibridazioni varie aggiunge anche la tradizione ispanica e latina, tra flamenco e rumba ma anche ska, swing, country, folk francese e tanto altro. Le basi per il suo timbro stilistico crescono e si arricchiscono.
“Chuck Berry, Lou Reed, i Clash erano i miei professori. Poi si aggiunse anche Edith Piaf e Jacques Brel, i miei professori di francese.”
Ci vorrà ancora un po' di pazienza, tentativi, frustrazioni, limature, ricerche di compagni di viaggio ma alla fine La Mano Negra diventà realtà.
Un nome suggestivo, accattivante e da fuorilegge (mutuato da un'organizzazione anarchica operante in Andalusia e da un gruppo di ispanici che nel New Mexico lottavano per i diritti per acqua e terra). Recluta alcuni membri dei Casse Pieds (che fecero tappa negli anni Ottanta anche a Piacenza, al “Caprice”, con un concerto travolgente) e incomincia la consueta trafila di concerti, registrazioni, piccoli tour, salti nel vuoto, notti insonni o trascorse su un sedile del furgone, neanche un centesimo in tasca, locali sudici e dimenticati, pranzi e cene saltati o, eufimisticamente, poco abbondanti e saporiti.
Ma riescono a trovare un contratto discografico e approdare al primo album, nel 1988, intitolato come il “genere” che sarà il loro marchio di fabbrica e di tanti altri gruppi che si rifanno alle stesse matrici. Ovvero un miscuglio di mille influenze che attingono da generi classici come rock, blues, country, altri, ai tempi, innovativi come il punk e ancora jazz, suoni latini, rockabilly, ska, reggae:
Patchanka.
“Patchanka è un suono selvaggio per cuori solitari e cani randagi. Il nome deriva da Pachanga, una danza cubana degli anni Cinquanta ma anche dall'inglese “patchwork”, letteralmente “manufatto che consiste nell'unione, tramite cucitura, di diverse parti di tessuto.”
E' un manifesto di quello che sarà la carriera di Manu Chao.
Brani inferiori ai tre minuti, immediati, diretti, tanto quanto i testi, che parlano di periferie, vita di strada e reale.
Fu molto doloroso firmare per il colosso discografico Virgin e lasciare in qualche modo la “naiveté” del circuito indipendente ma necessario, nonostante in molti videro, come sempre, in questo gesto, un tradimento degli ideali. Manu Chao ricorda con molta chiarezza quegli anni:
“Eravamo combattenti che il più delle volte racimolavano un panino e un calcio nel culo dopo tre ore di concerto su un palco. Abbiamo semplicemente dovuto tirarcene fuori.”
“Patchanka” li impone all'attenzione di tutto il mondo.
Vanno in tour in America con Iggy Pop ma ne escono delusi e sconcertati dai rigidi meccanismi di un certo ambiente e decidono di preferire la parte più a sud del continente americano.
Il secondo album “Puta's Fever” è un vero e proprio successo di classifica con singoli come King Kong Five che scala le classifiche e i loro concerti che diventano sempre più travolgenti (e non di rado proseguono sulla strada davanti ai locali o teatri, insieme ai fan improvvisando per ore).
Intraprendono un lungo tour in Sud America, nei barrios più poveri ma anche nei quartieri più disastrati e pericolosi di Parigi, incidono altri due album ma la frenesia di un'attività così veloce e urgente fa esplodere la band.
Nel 1994 i Mano Negra si sciolgono, dopo un rocambolesco giro in treno nei villaggi più dimenticati della Colombia, aprendo la carriera solista di Manu Chao, successiva a un lungo periodo di disperazione e perdizione per la fine di quello che era stata al 100% la sua vita, trascorso in giro per il mondo tra luoghi sperduti, pericolosi quartieri sudamericani, droghe, ricerca di sé stesso.
Il manager dei Mano Negra (probabilmente con le mani nei capelli) affermò che se la band si fosse promossa adeguatamente, invece di impegnarsi in imprese alla Don Chisciotte, come un viaggio in barca lungo l'America Latina (Ramon Chao, padre di Manu, documentò in un fantastico libro, “La Mano Negra in Colombia”, il viaggio del figlio nel paese, tra narcotraffico, guerriglia e un travolgente entusiasmo per la band) e non si fossero sciolti, nel momento più inopportuno, alla vigilia dell'uscita di “Casa Babylon”, il loro album più venduto, sarebbero potuti diventare grandi come gli U2 o i Coldplay.
Nell'aprile 1998 esce l'esordio solista, “Clandestino”.
Accolto tiepidamente diventerà nel giro di un anno il disco francese più venduto di sempre con oltre 5 milioni di copie e proietterà Manu allo status di rockstar planetaria.
La commistione di suoni latini, africani, tzigani, blues, pop, creò un marchio di fabbrica distintivo e immediatamente riconoscibile.
Sarà protagonista in prima persona al G8 di Genova, suonando e partecipando alle proteste, dovrà subire critiche da destra e da sinistra (tra chi lo considerava un “venduto”, a causa del successo ottenuto).
Manu continua a suonare, a incidere nuovi dischi, a girare l'Africa e le Americhe, eternamente nomade, appoggiare cause a sfondo sociale, fare beneficenza, dovendo anche combattere contro chi lo sfrutta in tal senso per ottenere concerti gratuiti “camuffando” l'evento come destinato ad aiutare questa o quella causa.
Sono ormai quindici anni che non appare più nel mercato discografico e una decina che non rilascia interviste. Vive sparso in varie parti del mondo, due mesi in Brasile, un mese a Parigi, un altro a Barcellona.
Periodicamente riappare dal vivo oppure a improvvisare un concerto in qualche bar sperduto, suona a Buenos Aires o tra le dune del deserto algerino per la causa del popolo tuareg Saharawi.
Inafferrabile, “perdido nel corazon della Grande Babylon”, sempre diverso, sempre Manu Chao.
“Non posso cambiare il mondo e neanche il mio paese ma posso cambiare il mio quartiere.
Ci provo. E' una responsabilità nelle mani di tutti. Non credo a una rivoluzione mondiale che cambi il mondo ma credo in mgliaia di rivoluzioni di quartiere. Questa è la mia speranza.”
Nell'agosto del 2003 fui parte dell'organizzazione del concerto piacentino di Manu Chao a cui ebbi anche l'onore di aprire il concerto con il Link Quartet.
Fu un'esperienza in cui finirono le consuete polemiche politiche, problemi di ogni tipo, alta tensione ma anche un grande successo di pubblico, pacifico e partecipe e l'incontro con una persona tranquilla e disponibile che diede vita a un concerto esplosivo, proseguito poi oltre l'orario di chiusura per organizzatori e alcuni fortunati rimasti nello stadio Daturi.
Valerio Lazzaretti - I ribelli della collina
Gli anni 80 di un gruppo di punk romani, una delle tante bande della capitale non di rado in duro conflitto tra di loro.
I Los girano l'Urbe tra risse, ubriacature solenni, concerti epici, frequente uso di droghe di varie tipologie. Si scontrano con i fascisti, i coatti, sono perseguitati anche violentemente dalle forze dell'ordine, le prendono, le danno.
Sono anni di fortissime tensioni politico sociali, il terrorismo spesso uccide e ferisce, gli estremisti vanno di spranghe e mazzate.
Il gruppo protagonista del libro, raccontato dall'Iguana, uno dei principali e costanti esponenti, é composto da giovani violenti, molesti, aggressivi, provocatori, che non si tirano mai indietro, anzi, cercano volentieri lo scontro.
L'odio della nostra generazione...la ribellione che ci univa contro tutto e tutti.
Ci sono momenti drammatici e pesanti ma quello che aleggia é un'incredibile leggerezza, innocenza, genuinità adolescenziale.
Noi che abbiamo camminato in quegli anni così spesso sul filo del rasoio, sull'orlo del baratro, consapevoli della nostra incoscienza, perché era tutto declinato all'oggi/adesso/subito e mai al domani ("no future" forse?), non facciamo fatica a riconoscerci in queste pagine.
Sempre divertenti come se ci fossero state delle ali per volare sopra questo (s)porco mondo.
Come disse Alberto Gigo Gigante degli Impact (che compare velocemente nel libro), recentemente scomparso: "Ogni volta che sbatto contro la miseria intellettuale che dilaga ovunque e grazie alla quale il potere di oggi può compiere indisturbato ogni sorta di abominio, riconosco la sconcertante lucidità con cui i punk adolescenti del 1980 avevano visto la merda che li aspettava al varco.
Oggi si potrebbe dire che eravamo quasi ottimisti".
F.T. Sandman / Episch Porzioni - Rock is dead
Federico Traversa aka F.T. Sandman e Episch Porzioni, conducono il programma radiofonico ROCK IS DEAD sulle frequenze di Radio Popolare.
Da cui prende vita l'omonimo libro che viene riproposto in versione aggiornata e corretta.
Decine di tragiche morti all'interno dello spettro musicale più ampio possibile.
Ovviamente il rock la fa da padrone tra i "soliti noti" (Elvis, Sid Vicious, Brian Jones, Keith Moon, Kurt Cobain) e una serie di nomi minori o sconosicuti, affiancati da personaggi come Niccolò Paganini, Victor Jara, Chalino Sanchez, Ji Kang, Orion e tanti altri.
Tutti uniti da una dipartita misteriosa, singolare e che lascia spesso molti dubbi in sospeso.
Le schede sono stringate, alleggerite da un taglio fresco, veloce e spesso ironico, prettamente radiofonico. Il libro una fonte inesauribile di informazioni, curiosità, scoperte, sorprese.
Vivien Goldman - La vendetta delle punk
Tra i tanti aspetti che hanno reso il PUNK così IMPORTANTE c'è stata la centralità della figura femminile che ha preso posto sul palco finalmente non più come figura comprimaria ma come protagonista principale.
Bastino nomi come Patti Smith, Siouxsie, Chrissie Hynde o Debbie Harry ma c'è tutto un sottobosco meno noto che va da PolyStirene a Pauline Black, Rhoda Dakar, le Slits, le Raincoats, Vi Subversa, Pussy Riot o nomi rivoluzionari come Grace Jones e mille altre che hanno aperto porte, orizzonti, possibilità a tante altre ragazze e ricodificato un genere apertanente e dichiaramente maschilista come il "rock".
Vivien Goldman, prestigiosa giornalista musicale, ma non solo, scrive un pregevole saggio in cui percorre varie esperienze di questi personaggi analizzando quattro temi fondamentali come identità, denaro, amore e protesta che dimostrano quanto il punk sia stato un elemento determinante e importante per la liberazione delle donne. Si parla anche di artiste sconosciute ma per ogni capitolo c'è una playlist dettagliata per andare alla ricerca di nomi oscuri. Ma anche di nomi famosi:
"Oggi alcune delle sobillatrici sono artiste super commerciali come Beyoncé. Probabilmente è una delle nuove svolte della musica di protesta".
Un libro che va oltre un mero elenco di nomi, al contrario un'analisi profonda di un periodo di enorme importanza in ambito non solo musicale ma sociale e culturale.
"Il punk nasce per esprimere rabbia e frustrazione, sentimenti che le donne conoscono bene perché spesso ci convivono. Inoltre il punk funziona alla grande per coloro che hanno meno accesso agli strumenti - è il caso di molte donne - e la sua etica DIY incoraggia a imparare suonando, anziché conformarsi alla visione troppo spesso riduttiva che i dirigenti discografici hanno di cosa renda un'artista donna vendibile o addirittura possibile".
A volte sembra che per le donne la parità salariale sia una causa talmente antica da essere ormai totalmente priva del fascino delle "novità".
Alcune artiste di questo libro sono restie a definirsi femministe.
Se però chiedi loro se credono alla parità di retribuzione per le donne, rispondo sempre di si, il che significa che dopo tutto sono femministe.
La lotta per la parità salariale femminile potrebbe essere diventata invisibile proprio perché si prolunga da tempo immemore ed è esattamente quella forma di invecchiamento che, per ironia della sorte, molte donne temono.
Laura Carroli - Schiavi nella città più libera del mondo
La bellezza di una lotta sta nella lotta stessa, non tanto nel suo successo...
E Laura ha lottato sempre.
Ha vissuto il passaggio dall'antagonismo post 77 con gli "indiani metropolitani", abbracciando fin da subito la nascente scena punk bolognese, dagli incerti inizi in cui confluiva di tutto, alla creazione di quell'entità unica che furono i Raf Punk, l'Attack Punk Records, il collettivo nazionale "Punkaminazione" e tanto altro.
Laura racconta la vita complessa di chi si divideva tra lavoro, occupazioni, concerti, aggressioni fasciste, viaggi senza soldi in Europa e nell'agognata Londra dei primi anni 80:
La città è un gran luna park, un parco di divertimenti con tutto ciò che si può desiderare dalla vita, ma per salire sulle giostre ci vogliono molti soldi, non si può fare il giro di tutti i baracconi.
La scena hardcore e la "scelta" Crassiana, la scoperta e il lancio dei CCCP, avventure tragicomiche e sullo sfondo una disperata, erotica quanto dolce storia d'amore.
Lo sguardo è lucido e disincantato, nessuna agiografia dei "bei tempi", solo un ritratto fedele di come e cosa è stato e chi ci è stato (molti ricordi coincidono, eravamo nello stesso luogo).
Le considerazioni sono sempre acute e fanno spesso emergere aspetti mai sottolineati:
E' divertente vedere la rovina hardcore che si svolge solto il palco...tutti cercano di raggiungere il palco per fare tuffi e ributtarsi nelle onde tumultuose di corpi sudati trascinati da una musica forsennata.
Si, il maschio è servito, noi ragazze siamo state estromesse dalla brutalità muscolare...non c'è più posto per noi.
Laura continuerà, dopo questa esperienza, per altre strade, sperimentando, cercando, vivendo sempre intensamente.
Un'ennesima testimonianza di un periodo lontano che ha lasciato in chi lo ha vissuto una visione diversa della vita e che ha consentito a tanti di affrontarla in modo differente e con un altro sguardo.
IL RESTO IN ORDINE SPARSO
Stefano Gilardino - Shock antistatico
Stefano Gilardino, come sempre, compie un certosino lavoro di ricerca, sulle tracce dell'ampio concetto di "post punk" nell'Italia del 1979/1985.
Band, esperienze, testimonianze, dischi, progetti come il celebre "Great Complotto" di Pordenone o le scene centrali bolognese e fiorentina.
Esaustivo, ben fatto, ennesimo tassello a completare il quadro su quegli anni importanti (soprattutto per chi li ha vissuti).
Si parla di Gaznevada, Rats, Diaframma, Detonazione, Pankow, Krisma, Denovo, Dirty Actions, Great Complotto, Underground Life etc.
Dice Fred Ventura degli State of Art:
"C'era un buon fermento in quel periodo, anche se spesso ognuno di noi suonava in due o tre gruppi differenti dando l'impressione che ci fosse molta più gente attiva di quanta ce n'era effettivamente".
Un aspetto, a parer mio, molto importante che si affianca alla visione di un mondo apparentemente molto attivo, intenso e prolifico ma che, personalmente, ricordo molto limitato e circoscritto a un numero esiguo di appassionati.
Federico Guglielmi - Iggy Pop
La prima (forse l'unica) immagine di IGGY POP che ci viene in mente é quella di un sevaggio cantante a torso nudo che si dimena su un palco tra chitarre distorte e ritmi pulsanti e ipnotici.
Vero che dal vivo in effetti non se ne é mai discostato più di tanto.
Ma i suoi dischi ci raccontano una storia molto diversa tra sperimentazioni, sguardi ai più impensabili orizzonti (dal punk all'elettronica, dalla canzone francese a quella d'autore, a divagazioni afro, funk pop, new wave).
Ce lo ricorda questo essenale ed esaustico libro di FEDERICO GUGLIELMI, il più accreditato in Italia a parlarne, in virtù di quattro interviste dirette con il Nostro, una lunga serie di concerti e una conoscenza didascalica di ogni mossa dell'Iguana (valgano le venti pagine finali di discografia).
Scarse le soddisfazioni commerciali per Iggy.
Solo "China girl",grazie alla ripresa che ne fece David Bowie in "Let's dance" e "Lust for life", inserito nel prologo del celeberrimo "Trainspotting" gli diedero notorietà e un cospicuo gruzzolo in diritti d'autore.
C'è tutto, dagli Stooges a Bowie, dal crooner a Josh Homme, senza indulgere in racconti morbosi e da gossip sui numerosi periodi "storti di Iggy.
Edmond G.Addeo / Richard M.Garvin - Lead Belly. Il grande romanzo di un re del blues
Un appassionante e travolgente libro, scritto benissimo e da cui non riesci a staccarti.
La vita romanzata (già di per sé incredibile) del grande bluesman americano, due condanne nei peggiori penitenziari americani tra gli anni 10 e 30, tra sofferenze indicibili, a causa di un omicidio e uno tentato e due grazie ricevute in virtù del suo incredibile talento artistico.
Rissoso, acolista, costantemente impegolato tra donne di malaffare, figli illegittimi, una vita da fare impallidire qualsiasi rockstar.
Episodi incredibili tra successo commerciale (sempre dissipato velocemente) grazie ai grandi John e Alan Lomax che lo scoprono e lo portano alla notorietà non impedendo costanti cadute nel baratro della perdizione. Non si tirerà mai fuori dai guai, verrà spesso circuito e sfruttato e morirà nel 1949, sei mesi prima che la sua "Goodnight, Irene" venisse ripresa dai Weavers e vendesse due milioni di copie (la moglie non riceverà mai un centesimo di diritti e finirà la vita in povertà).
Libro uscito nel 1971 e poi scomparso dalla circolazione e che finalmente trova una versione italiana.
Consigliatissimo.
Tra i suoi brani diventati famosi "Black Betty" (ripresa dai Ram Jam) e "Where Did You Sleep Last Night" (riproposta dai Nirvana) ma il suo reprtorio é entrato in quello di Eric Clapton, CCR, Odetta, Elvis, Johnny Cash, Van Morrison, White Stripes, Tom Waits etc.
Roberto Colombari - Tempi selvaggi. Storie di punk e anarchia
La Bologna del primissimo giro punk e skinhead, a cavallo tra 70 e 80.
Sullo sfondo una società che cambia, la bomba, le bombe, la repressione.
In mezzo chi non accetta tutto ciò, si ribella, cerca strade nuove e, quando trova porte chiuse, le sfonda.
Il romanzo di Roberto Colombari, arricchito dalla bellissima grafica e dai disegni di Cesare Ferioli (entrambi protagonisti diretti di quei tempi selvaggi), ci porta, attraverso Nove, giovane skinhead, violento, duro, aggressivo, senza regole né futuro, in mezzo a fatti veramente accaduti: il concerto dei Clash in Piazza Maggiore, i Ramones a Reggio, il sanguinoso raduno Oi! di Certaldo, la mattanza poliziesca al concerto degli Exploited, i Nabat e i Raf Punk, vari giorni londinesi con vicende più o meno note.
Scorrono fatti e persone (niente nomi, solo soprannomi - chi c'era sa chi sono), risse, amori, occupazioni e una vita violenta.
Linguaggio diretto e spesso ironico.
Si soffre e ci si diverte.
Come in quei Tempi Selvaggi.
Clarice Trombella - Sister resist
Le venti storie che ci sottopone l'autrice nel suo nuovo libro sono legate, pur nella varietà geografica, sociale, culturale delle protagoniste, da un filo conduttore che ne testimonia il coraggio, la caparbietà, lo spirito di rivalsa e auto affermazione, in circostanze costantemente difficili.
E così troviamo affiancate star come Lady GaGa, Billie Eilish, Beyoncè, Bjork a rappresentanti della scena più alt come Ani Di Franco, Kae Tempest, Tracey Thorn o la fantastica rapper franco/cilena Ana Tijoux, fino alle "nostre" Madame e Elodie o a esponenti di quello splendido e ancora inesplorato universo della musica africana, da Fatoumata Diawara a Les Amazones d'Afrique, fino a Helin Bolek del Grup Yourum.
La scrittura è minimale, diretta, efficace, le storie brevi e asciutte, ricche di particolari poco conosciuti (spesso drammatici).
Il tutto corredato da splendide illustrazioni e mini colonne sonore, ideali per accompagnare la lettura dei vari profili.
Nando Mainardi - Il figlio della foca. Celentano e Fantastico 1987
Nando Mainardi è profondo e raffinato cultore di quella canzone d'autore italiana poco allineata e con una personalità ben definita. Non a caso ha già scritto di Gaber e Jannacci.
Affronta questa volta un personaggio ancora meno definibile, un anarchico nei fatti, perso tra bigottismo, provocazione, conservatorismo, genio, banalità, ego ipertrofico: Adriano Celentano.
Come lo descrisse malignamente Giorgio Bocca, "un cretino di talento".
Il libro narra l'incredibile, quanto poco ricordata, avventura del Molleggiato quando gli venne affidata, dopo il clamoroso passaggio alla Finivest di Baudo, Carrà e Bonaccorti, a suon di miliardi, la conduzione del programma di punta della RAI, Fantastico, nel 1987.
Fu un mezzo (o completo) delirio di onnipotenza ma di totale rottura dei canoni tradizionali, tra polemiche a non finire (per le quali si scomodarono il suddetto Bocca ma anche Umberto Eco, vescovi e tutti i quotidiani), che arrivarono anche in Parlamento e al Vaticano.
Spazi concessi ai reietti della RAI come Franca Rame che mise in scena da "Tutto casa, letto e chiesa" l'agghiacciante monologo autobiografico "Lo stupro" e Dario Fo che nella puntata di Natale, da "Mister buffo" parlò a suo modo di Gesù Bambino, causando scandalo e proteste.
E poi appelli contro la caccia, gaffe a ripetizione, i lunghi imbarazzanti silenzi, litigi furiosi e fratture inenarrabili con dirigenti e collaboratori (Massimo Boldi ne esce come un miserabile).
Ma anche dieci milioni di spettatori e oltre di media, ospiti favolosi (da Chuck Berry ai Bee Gees a Liza Minelli) e un programma che non si ripeterà mai più e dall'anno successivo verrà di nuovo normalizzato.
Un libro interessantissimo, circostanziato all'epoca sociopolitica in cui si svolge la vicenda, una fotografia di un periodo che si chiude per lasciare spazio a una nuova era, quella del Berlusconismo, con tutti gli annessi e connessi.
Uber Tugnoli - The Judas
Uber Tugnoli ci regala un prezioso tassello della storia del BEAT ITALIANO dei 60, ripercorrendo con dovizia di particolari e dettagli la storia dei JUDAS, band bolognese, seguace del sound di Stones e Animals, che sfiorò più volte successo e notorietà, senza riuscirci mai.
Il leader Martò provò brevemente la carriera solista, partecipando anche al Cantagiro con Massimo Ranieri nel 1966 con una versione in italiano (testo di Francesco Guccini) di "Hey Joe" di Hendrix.
Tornò nella band, tentando di cogliere i primi scampoli del punk (in realtà una sorta di rock duro dai contorni demenziali), con l'album "Punk", pubblicato nel 1978 per la Spaghetti Records.
Purtroppo un incidente d'auto lo portò via per sempre, poco tempo dopo.
Il libro é ricchissimo di foto uniche e inedite e articoli di giornale d'epoca (tra cui la battaglia tra seguaci dei Judas e quelli dei Jaguars - futuri Pooh - nelle strade bolognesi).
Klaus Maeck - Einstürzende Neubauten. Ascolta con dolore
"Ciò che facciamo é talmente lontano dal concetto di musica che nessuno può più determinare le regole. Domani potremo affermare di non essere più una band piutttosto che un gruppo teatrale e fare esattamente le stesse cose.
Nessuno può dire dove finisce la musica, l'arte o la performance, l'installazione o dove comincia il prossimo palco."
(Blixa Bargeld)
La storia convulsa del primo periodo (a cura di Klaus Maeck, produttore, tra le altre cose, del film culto "Decoder" e di "Soul Kitchen" e prime mover della scena punk berlinese) di una band che iniziò devastando (letteralmente) tutto ciò che le se parava nei paraggi, dagli oggetti sui palchi, ai palchi stessi, agli edifici in cui suonavano, per approdare alla fine in teatri, auditorium, accolti dalle strutture istituzionali. Un progetto unico, inimitabile, seminale.
Partirono dall'underground più oscuro e reietto, per approdare in tutto il mondo.
Libro di eccellente livello grafico con foto, illustrazioni, testi, interventi dei protagonisti, giornalisti, Nick Cave, Theo Teardo.
"Nessun altro gruppo é in grado di farti sentire così vivo, come quando loro riescono a farti ballare pazzamente insieme alle fratture della faglia terrestre".
(Chris Bohn)
Anthony Davie - Joe Strummer and the Mescaleros
Anthony Davie è stato tra i più grandi fan di JOE STRUMMER, 40 volte ai concerti dei Clash, decine a quelli di Joe.
In questo libro(ne) racconta (con traduzione italiana di Silva Fasulo) la vicneda con i MESCALEROS, la sua ultima incarnazione artistica prima della tragica scomparsa nel 2002.
Ci sono tante storie, i ricordi di tutti i componenti della band, le vicende di Davie, costantemente e fedelmente ai concerti dei Mescaleros, dalla Gran Bretagna a ogni angolo d'Europa, fino agli States e al Giappone (rischiando divorzio e licenziamento), la sua amicizia con Joe e i musicisti, avventure e disavventure di un grande fan.
In mezzo la spontaneità (che talvolta rasentava l'improvvisazione) di Joe e soci.
Ma anche i litigi, le tensioni e i contrasti.
E il paradosso di Joe che lasciava sempre più spazio ai brani dei Clash, per dare al suo pubblico ciò che desiderava e meno ai brani solisti.
Per i fan dei Clash un libro da avere (con tanto di lunghissima appendice con foto, poster, biglietti e memorabilia di ogni tipo).
Qualunque cosa mi arrivasse per Joe dovevo stampargliela lì per lì e dargliela.
Non gli interessava leggerla direttamente dallo schermo del computer, voleva qualcosa di concreto in mano da leggere.
Diceva subito si o no, non gli piaceva stare a rimuginare sulle cose"
(Martin Slattery, chitarra, tastiere e sax nei Mescaleros)
"Il talento di Joe non era nell'arrangiamento, una cosa di cui nei Clash si occupava Mick Jones.
Joe era passione, istinto, parole, poesia.
Joe Strummer era un poeta".
(Antony Genn, chitarrista Mescaleros).
Woody Woodmansey - Spider from Mars. La mia vita con Bowie
Gli anni magici degli Spiders From Mars a fianco di David Bowie, da The Man Who Sold The world a Ziggy Stardust, raccontati dal batterista Woodmansey, licenziato bruscamente e con poco garbo il giorno del suo matrimonio.
Ha proseguito poi una discreta carriera da session man con vari nomi, Art Garfunkel incluso.
L'aspetto più gradevole del libro è il piglio divertente del racconto, senza mai indulgere in pettegolezzi o sensazionalismi, rimpianti o rancori.
Lorenzo Briotti - Viva i pirati!
Fenomeno ormai dimenticato e a molti oscuro, quello delle radio "pirata" fu invece di fondamentale importanza per lo sviluppo della Pop Culture degli anni Sessanta, in Inghilterra in particolare, ma che divenne basilare anche per lo sviluppo della nuova musica in tutta Europa.
"Le radio pirata offshore accompagnano lo sviluppo di questa pop culture che mette in discussione i valori della generazione dei genitori che hanno combattuto e sofferto le conseguenza della guerra.
Le radio pirata con il loro desiderio di libertà diventeranno uno dei simboli che accompagneranno questa rottura generazionale."
Radio Lussemburgo (in particolare per i giovani italiani), Radio London, Radio Caroline e decine di altre dalla vita breve, pericolosa e tribolata, che trasmettevano da navi e da piattaforme, ruppero il monopolio della paludata BBC, refrattaria all'introduzione di nuovi suoni e tendenze.
E formarono oltre che una generazione di musicisti, un ampio numero di DJ radiofonici (John Peel su tutti).
"La radio pirata è la prima format radio intesa come sistema concettuale e operativo che procede a individuare un segmento di pubblico e a formulare una programmazione adatta. Il segmento di pubblico è quello giovane".
Il libro analizza le origini del fenomeno la sua esplosione e decadenza fino ad analizzare il sorgere delle radio libere/private italiane (anticipate da Radio Montecarlo), con abbondanza di dettagli antropologici, tecnici, culturali.
Francesco Donadio - David Bowie. Tutti gli album
Francesco Donadio, uno dei massimi esperti italiani di DAVID BOWIE, ne ripercorre (con l'aiuto di una serie di collaboratori, tra i quali mi pregio di essere incluso) la carriera discografica, scrivendone tra le righe anche una veloce biografia.
"Chi ha iniziato a seguirlo ai tempi della trilogia berlinese ricorderà come ai quei tempi venisse guardato con sospetto dalla critica e dagli "intenditori", considerato poco più di un imitatore di stili altrui, uno che nascondeva, con la costante propensione a travestirsi e intrepretare personaggi, una sostanziale carenza di contenuti...c'é voluto un bel po' di tempo a cambiare questa percezione, c'é voluto un ricambio generazionale e, purtroppo, anche la scomparsa il 10 gennaio 2016 affinché anche chi in passato lo aveva disdegnato si guardasse indietro e battendosi il petto potesse dire "Ebbene si, effettivamente é stato un grandissimo."
Nel libro sono recensiti tutti gli album ma non mancano, in abbondanza, live, "periodi oscuri", dettagli, ristampe, rarità.
Schede brevi ma sempre esaustive, confezione elegantissima e ricca, foto spettacolari.
Maurizio Galli - I solchi della storia
Una bellissima idea, altrettanto bene realizzata, il ricercare l'origine di canzoni che prendono spunto da fatti storici più o meno conosciuti.
Dallo sbarco sulla Luna (con il grande "Whitey on the moon" di Gil Scott Heron) alla Strage di Piazza Fontana, i morti di Derry che ispirarono "Sunday bloody Sunday" degli U2, l'"Ohio" di CSN&Y che arrivava dalla strage della Kent State University del 1970. Ma anche la guerra in Vietnam, Auschwitz, il Sand Creek ed episodi semi sconosciuti come l'origine della musica cajun o la battaglia di Gettysburg che ispirò Robbie Robertson e la Band a scrivere l'immortale "The night they drove Old Dixie Down".
I cenni storici sono molto precisi e circostanziati, le canzoni trattate esposte nel modo più competente e appassionato possibile.
Istruttivo e molto piacevole.
Vittorio De Scalzi - Una volta suonavo nei New Trolls
Trovo molto appassionanti e interessanti libri come questo (che allo scritto unisce due CD live e un DVD, con l'aggiunta di tre brani inediti dell'autore) che raccontano storie e pezzi della musica italiana.
Non smetterei mai di leggerne, con racconti gustosissimi, interessanti e spesso mai sentiti, raccontati da uno dei principali rappresentanti del rock italiano, Vittorio De Scalzi, membro dei New Trolls a un valido giornalista come Massimo Cotto.
Gli esordi beat, le collaborazioni con Fabrizio De Andrè, lo storico Concerto Grosso, gli scioglimenti e le reunion in mezzo ai clamorosi litigi e profonde fratture che hanno sempre caratterizzato la storia della band che si frammentata in mille schegge.
Pagine importanti della storia della nostra musica e del nostro costume raccontate con piglio divertente e (auto)ironico.
Luca Frazzi - Edicola Rock Riviste Musicali Italiane
Allegata al nuovo numero del mensile "Rumore", segnalo una guida preziosissima quanto interessante ed esaustiva, compilata dal giornalista Luca Frazzi.
cinquanta riviste musicali italiane più importanti e influenti, dagli anni 60 ad oggi, con l'aggiunta di "altre 50".
Un excursus in un' editoria ricca, vivace, pulsante che, in barba a internet e a tante pseudo riviste web, resiste in edicola, grazie a perseveranza, contenuti accurati, competenza.
Da "Ciao 2001" a "Jamboree", da "Muzak" e "Gong" al "Mucchio", "Classic Rock", "Rockerilla" e "Blow Up" c'è veramente tutto quanto ha caratterizzato l'editoria rock nostrana.
Aspetto particolarmente interessante e peculiare é il tratto descrittivo di Frazzi che non si limita ad un'accademico resoconto ma aggiunge giudizi personali (che personalmente condivido quasi sempre) spesso coraggiosi e tranchant.
Indispensabile compendio alla storia del rock nostrano.
Joyello Triolo - Cover and over again
Un curioso quanto gustosissimo viaggio attraverso 100 cover di brani spesso insospettabili.
Si spazia in ogni ambito, da Elvis a Frank Sinatra, dai Beatles ai Soft Cell, Blondie, Ray Charles fino a una quindicina di episodi italiani.
Molte quelle conosciute, sorprendenti quelle inaspettate:
"Non é Francesca" di Battisti era già stata incisa dai Balordi, "The man who sold the world" di Bowie, portata al successo dai Nirvana era stata coverizzata anche da Lulu, "Venus" degli Shocking Blue è un mezzo plagio di "The banjo song" dei Big 3.
Joyello spulcia tra mille nomi, dischi, rimandi, curiosità.
Stimolante e divertente.
Stefano Scrima – L’arte di sfasciare le chitarre. Rock e filosofia
Coraggiosa e originale (nonché inedita) la sorprendente commistione tra filosofia e rock, del tipo Eraclito e Jimi Hendrix, Platone e i Doors, Diogene e Iggy Pop, Schopenhauer e i Nirvana, Nietzsche e i Queen.
Soprattutto non facile da accostare.
Scrima ci riesce benissimo con un libro fresco, veloce, colto e divertente.
"Ho deciso di scrivere questo libro anche come una forma di difesa di un genere musicale che, quando era nel pieno del suo fulgore, veniva bistrattato in quanto "musica per giovani che va di moda" e che, oggi che langue, viene definito come "musica per vecchi che non hanno capito che il mondo é cambiato".
L'analisi del successo e della successiva decadenza del rock é lucida, condivisibile e molto coinvolgente.
Il centinaio di pagine volano velocemente e con brio e la postfazione di Carmine Caletti è un'appendice perfetta.
"Il rock ha sempre fatto filosofia, una filosofia che deve spaccare i timpani perché ha la necessità di farsi ascoltare, l'urgenza di testimoniare una vitalità originaria che ci appartiene, anche se nascosta sotto chili di inerzia quotidiana".
"Il rock, a dispetto del suo involucro capitalistico, é portatore di un contenuto sovversivo, controculturale (ovvero contro la cultura dominante) ma quando viene totalmente inglobato dal sistema e sfruttato a suo vantaggio - chiaramente economico e culturale nel senso di mantenitore dello status quo - non può che provocare nausea nell'animo di chi si trova sfruttato suo malgrado".
Max Cavezzali - Comic Submarine
Divertente e gustosissimo libro dove sono raccolte 150 tavole in bianco e nero disegnate da Massimo Cavezzali e che hanno come protagonisti John Lennon, Paul McCartney, George Harrison e Ringo Starr.
La storia fumetti dei Beatles dagli esordi al post scioglimento.
Il giornalista Franco Zanetti, che di Beatles se ne intende più di ogni altro, cura la prefazione e contestualizza il fenomeno.
Peraltro i Beatles furono già protagonisti di vari fumetti e di una serie di cartoni animati in Usa dal 1965 al 1967, in 39 episodi che, sottolinea Zanetti, oltre a non essere apprezzati dai protagonisti erano piuttosto rozz e banali. Ben altra cosa fu, poco dopo, il film "Yellow Submarine".
Compendio essenziale per ogni Beatlesiano che si rispetti.
Peter Guralnick - Sweet Soul Music
Ho riletto per motivi professionali il classico di Guralnick, spesso ritenuto "la Bibbia" del soul.
Effettivamente la prima parte definisce con estrema chiarezza e profondità il concetto di SOUL MUSIC e la sua collocazione socio politica e artistica.
"La soul music rappresentava un'altra possibilità di ascesa sociale, come lo erano stati per più di cinquanta anni lo sport e il mondo dello spettacolo in genere...i cantanti vedevano nella soul music un passo in avanti rispetto al blues, un taglio netto con i canti e gli hollers dei campi di cotone, il raggiungimento di un livello più alto dal punto di vista tematico e armonico."
Il resto del libro NON è enciclopedico, nonostante siano abbondantemente citati e approfonditi i principali (e anche i secondari) nomi della scena, incluse le intricate vicende dell'etichetta Stax ma un insieme di storie, spesso dettagliatissime, ricche di bellissimi aneddoti, che ci portano in quell'incredibile clima degli anni 50 e 60.
Il libro fu pubblicato nel 1986 (in Italia da Arcana nel 2001) e si ferma sostanzialmente agli anni 70 (Guralnick decreta l'inizio della fine con l'assassinio di Martin Luther King).
La soul music ha avuto una breve fioritura: fece capolino verso la metà degli anni Cinquanta ponendosi, come il rock 'n' roll, quale alternativa all'assimilazione, prese coscienza di sé non prima del 1960, varcò le barriere razziali tra il 1965 e il 1966 e, nonostante lasciasse tracce della sua influenza in ogni ramo della cultura, cessò di essere una forza guida all'inizio degli anni Settanta.
Rimane una lettura importantissima per i cultori del genere.
Vincenzo Oliva / Riccardo Russino - John Lennon
Il John Lennon solista analizzato brano per brano, sia da un punto di vista musicale che, soprattutto, nel contenuto dei testi.
A cui si aggiunge una ricca aneddotica e contestualizzazione temporale e artistica.
In più una lunga lista di inediti, brani "scomparsi", quelli mai incisi.
Assolutamente completo, fatto benissimo.
Joe Santangelo - Shoot me!
Una minuziosa e certosina ricostruzione, in oltre 300 pagine, del delitto Lennon, visto dall'ottica dell'assassino e da quello della vittima.
Con una buona e riuscita componente romanzata (che aggiunge molta suspence, vero e proprio thriller) ma che si basa su documenti ufficiali, dichiarazioni, elementi dell'inchiesta.
Uno degli aspetti più conturbanti, disturbanti e intriganti é una sorta di paradossale casualità che ha poi portato al tragico evento, con Chapman che prepara a lungo e con minuzia il suo folle gesto ma rischia sempre di mancare l'incontro fatale.
Che invece avverrà.
Simone Fattori - Suoni nell'etere
Una dettagliatissima storia della radio, ricca di spunti e rimandi, curiosità, dati fondamentali nella sua lunga vicenda.
Ci sono le implicazioni sociopolitiche (vedi il periodo fascista e quello dello strapotere culturale della Democrazia Cristiana, relativamente all'Italia), l'arrivo delle radio libere/private, del web e di tutte le innovazioni tecnologiche che non ne hanno mai scalfito il ruolo sia comunicativo che di accompagnamento alla quotidianità.
Un lavoro lungo e certosino, ampiamente esaustivo sull'argomento.
Renzo Arbore, Linus e Claudio Cecchetto completano il quadro con tre interessanti interviste.
Molto lucida l'analisi finale di Cecchetto:
Le radio sono per lo più omologate, trasmettono quasi tutte la stessa musica, i successi, le hit, i dischi coi quali sai di andare sul sicuro. Una volta si sperimentava, si rischiava, adesso quello che conta è non fare cambiare frequenza all'ascoltatore, tenerti i tuoi numeri da mostrare alla concessionaria della pubblicità e possibilmente incrementarli.
Non svegliare l'ascoltatore dal suo torpore.
Lasciarlo nel limbo del flusso, un flusso che non lo scuota con qualcosa di inedito, nuovo o diverso. Non assumerti il rischio che non gli piaccia.
Questa regola trasforma la radio in filodiffusione, segue il mercato, non lo anticipa, non propone nulla.
Fa un servizio.
Kina - Questi anni
Un prezioso documento che sublima la storia dei KINA, una delle più importanti (hardcore punk) band italiane di sempre.
Il box contiene lo splendido docufilm "Se ho vinto se ho perso" di Gianluca Rossi (i dettagli del film con intervista al batterista Sergio Milani qui: http://tonyface.blogspot.com/2019/07/se-ho-vinto-se-ho-perso-di-gianluca.html), a cui si aggiunge un elegante libretto a cura di Marco Pandin con foto, testi e interviste ai protagonisti, relativamente al tour di reunion del 2019.
Documentato da un CD di un'ora registrato nelle 12 date tra Italia, Germania, Olanda in cui la band suona alla perfezione, potentissima e con una registrazione di primissima qualità.
In aggiunta cartoline e reperti vari.
Per chi reputa che Quegli anni siano stati importanti, un documento imperdibile.
Davide Morgera - Africani marocchini terroni
I primi anni 80 dell'innocenza adolescente, dei disperati tentativi di fondare un gruppo, la ricerca spasmodica di materiale punk da ascoltare, sale prove e strumentazioni improvvisate e precarie.
Le consuete storie del punk italiano degli esordi.
Ma qui siamo a Napoli, dove il punk non é ancora sostanzialmente arrivato, non c'é l'attività delle metropoli e delle province del nord e tutto é cento volte più complicato.
Davide Morgera ci racconta la breve vita dei suoi UNDERAGE (un ep, nel 1983, per la Attack Punk Records, "Afri-Cani"), delle fanzine "Megawave" e "Hate Again", delle vicende complesse e sfortunate del gruppo, i muri quasi invalicabili per crearsi uno spazio, da cercare necessariamente "sopra Roma", le frustrazioni, la rabbia, in un contesto ancora più difficile del solito.
Il tutto con molta ironia, un po' di nostalgia e rimpianti.
A corredo un ampio allegato fotografico e di documentazione dell'epoca.
The Five Faces - Modernariato
Torna la band genovese con una raccolta nella quale raccoglie tutto quel materiale che non ha mai fatto parte di uscite ufficiali su cd, con anche demo e live sparsi tra Italia e Inghilterra. E inoltre un libretto di 120 pagine con storia della band, dei brani, foto e tanto altro. Cronaca di una storia mod.
Martina Esposito - Rock Poster 1940-2010. Il manifesto diventa arte
Una veloce ed esaustiva "storia del rock" attraverso l'arte grafica.
Dagli inizi scarni del rock 'n'roll con manifesti minimali, simili a quelli utilizzati per gli incontri di pugilato, alle elaborazioni più accurate degli anni Sessanta, fino all'esplosione dell'arte psichedelica: "Il lettering deve essere reso estremamente difficile da leggere!
Le lettere possono diventare fiori, fiamme, accecare.
Bisogna esagerare con i colori vibranti, irritare il più possibile l'occhio di chi guarda."
Victor Moscoso.
E poi il punk spariglia di nuovo le carte con la sua diretta essenzialità, in qualche modo ripresa poi dal rap. Una lettura molto interessante di un aspetto sempre più trascurato e dimenticato dell'arte musicale.
A compendio tante preziose illustrazioni e “Quando la musica rimbalza sul muro”, un saggio breve di Matteo Guarnaccia.
Blue Bottazzi - Un mucchio selvaggio
Luca Pollini - La mia storia suona il rock
BLUE BOTTAZZI, storica firma del "Mucchio Selvaggio" e tante altre testate scrive sostanzialmente una sorta di autobiografia, dalla scoperta del rock, negli 70 a oggi, attraverso le vicende della propria vita. In mezzo tonnellate di musica, scelte artistiche, preferenze, consigli, approfondimenti sui vari ruoli dell'ambito logistico (il produttore, i dischi, i vinili, i Dj, il giornalismo etc).
Lettura, seppur torrenziale (500 pagine), gradevole, fresca, spedita.
Anche LUCA POLLINI viaggia nei ricordi personali, da Elvis ai giorni nostri. Talvolta di rock c'è poco (i vari approfondimenti sul festival di Sanremo).
Più interessante la parte dedicata all'Italia, in particolare le vicende artistico/sociopolitiche dei nostri 70, un po' meno quando si liquida il punk con il trito clichè dei gruppi "che non sanno suonare" con "le canzoni tutte uguali" o si cade in imprecisioni sconcertanti (la copertine di "Arbeit Macht Frei" degli Area NON ritrae l'ingresso di Auschwitz, né gli Yardbirds andarono a Sanremo con Beck, Clapton e Page ma con il solo Jeff Beck, ancora meno nei Beatles era Paul "coinvolto dal misticismo indiano").
Anche in questo caso gli spunti sono stimolanti e la lettura scorre veloce.
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