martedì, dicembre 06, 2022

KOKOROKO Live al Teatro Zancanaro, Sacile (Pn) 26.11.2022


A cura di Soulful Jules.

I Kokoroko sono un collettivo londinese di otto elementi tra i venti e trent’anni con radici africane e caraibiche.
Si ispirano dichiaratamente a Pat Thomas, Ebo Taylor, Tony Allen e Fela Kuti e suonano un mix di Afro Beat, Jazz e Highlife.
Attivi da qualche anno, i Kokoroko (“sii forte” in nigeriano) hanno attirato l’attenzione di un pubblico più ampio nel 2018, quando l’etichetta Brownswood, del dj inglese Gilles Peterson, ha pubblicato la compilation We Out Here con il meglio della scena new-jazz londinese.
Il brano Abuse Junction ha riscosso un certo successo arrivando a totalizzare oltre venti milioni di ascolti nelle piattaforme di streaming.

Sabato 26 novembre il ritorno in Italia per una data unica a Sacile (provincia di Pordenone), in occasione de Il Volo del Jazz, rassegna organizzata dall’associazione Controtempo che da anni promuove jazz e contaminazioni culturali nel territorio.

Sold out il teatro Zancanaro, sul palco formazione a sette per i Kokoroko, guidati dalla leader e trombettista Sheila Maurice-Grey, londinese originaria della Sierra Leone e Guinea Bissau; ha trascorso buona parte della sua infanzia in una chiesa pentecostale nel sud di Londra dove ha imparato a suonare diversi strumenti e dove è avvenuto il primo, vero contatto con le sue radici culturali.

Attaccano con Ewa Inu, dall’album d’esordio Could We be More, uscito quest’estate per Brownwood; il brano si sviluppa su un giro di basso che si intreccia con le congas, un tappeto jazzy fusion che fa da base alle linee melodiche dei fiati.
Un sound ricco di strati che si materializza sul palco senza uno sforzo apparente, quasi per gioco, in una dinamica costante di call & response tipica della musica religiosa.
Il percussionista aggiunge profondità ai groove ipnotici, accentuati da tromba e trombone. Il suono è pulito, curato e carico degli echi atmosferici del sintetizzatore, strumento portante nella tradizione Highlife a partire dagli anni ’70.

Proseguono con Baba Ayoola, dal primo Ep, un omaggio Afro Beat al nonno della sassofonista Cassie Kinoshi, che questa sera non è presente sul palco.
La band ondeggia in un flusso ininterrotto con gli spettatori in platea, il sound della Telecaster si fa più crudo, metallico e percussivo, un beat unico su cui si snodano le linee magnetiche del synth.
L’uso degli strumenti e dei suoni è strutturato in maniera naturale, organica, per un effetto dinamico che si articola su più livelli, anche estetico; un collettivo di semi-dei che si esprime a occhi chiusi, raramente cercano lo sguardo, a testimoniare un grado elevato di interplay.
La trombettista indossa un caftano rosso e nero con ricami luccicanti, le treccine del chitarrista ondeggiano come i chimes, le campane tubolari alla sua sinistra, il bassista Duane Atherly porta un basco nero che gli conferisce un’aria impegnata, militante.

Con Soul Searching si spostano su atmosfere disco, Oscar Jerome si lancia nel primo assolo di chitarra, onirico e avvolgente, dialoga con le tastiere, si intreccia col synth.
Ora la band è pronta al decollo, si inserisce la tromba, poi la voce languida e evocativa della trombonista; prima della chiusura un assolo di batteria in tandem con le congas, i giri di basso viaggiano possenti.
Su War Dance cambio di mood, aspro e teso, l’assolo di Telecaster è un fraseggio modale penetrante e intenso, a tratti inquietante, che scava nel profondo.

Age Of Ascent, altro brano dall’album, parte con una lunga intro blues del tastierista Yohan Kebede, segue il trombone con linee melodiche, gli echi di chitarra riverberano nell’aria in un sound tridimensionale, pare quasi che ti basti alzare la mano per toccarle quelle note, come fossero bolle di sapone. È la magia di questo live di continui dialoghi, rimandi e contralti di un suono che non trova ostacoli tra generi e stili.

La trombettista Sheila ogni tanto si rivolge al pubblico, cerca un’interazione che è filtrata dalla lingua e dalla distanza con la platea; quando però invita la gente ad alzarsi, una buona parte del teatro lascia le poltroncine e si avvicina al palco per ballare Those Good Times, un pezzo R&B smooth con echi giamaicani, cadenzati dalle note dolcissime della Strato che accompagna il cantato e le armonie in puro stile rockers.

Adesso che la gente è in piedi sale anche l’intensità del concerto, la band si accende, i ragazzi sorridono e si scambiano sguardi, la sala pervasa dalla linea di midi che carica l’atmosfera; il pubblico in tripudio batte le mani, un po’ a caso, tipo marcia di Radetzky, ma non importa, è il viaggio che non ti aspetti e nessuno ha fretta di arrivare.
v Prima del bis lo sfondo del palco cambia colore, adesso è viola, suonano Carry Me Home, brano soul uptempo, e sembra di stare in un video del 1974; la band vola, condotta dai fiati, il chitarrista ondeggia sui talloni mentre tiene il ritmo su Carry me , carry me home/ Follow me, follow me home.

Ritornano in scena chiamati a gran voce da tutto il teatro, stendono un velo magico, come una favola, sull’intro di Abuse Junction. Il bassista invita a chiudere gli occhi e a sognare quello che desideriamo sulle note della Strato che colora l’atmosfera con un riff allusivo e penetrante. La melodia dei fiati, intima e emotiva, ricorda il jazz della west coast, sembra di essere in riva all’oceano, lo sciabordio delle onde in sottofondo.
Anche se fanno solo ooh ohh, nei cori risuonano mille anni di gioia e sofferenza, riscatto e dignità. 
In chiusura, Something’s Going On suona come un inno, una promessa di cambiamento.

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