sabato, settembre 18, 2021
Intervista a Fabio Fantazzini per "Dread Inna Inglan"
Riprendo l'intervista a Fabio Fantazzini, autore di "Dread Inna Inglan", inviata alle testate locali (Piacenza) e non pubblicata (come spesso avviene).
“Dread Inna Inglan” di Fabio Fantazzini, edito da Red Star Press/Hellnation narra la storia dell'immigrazione in Inghilterra dalle West Indies (Giamaica, Trinidad, Brabados, Grenada etc) colonie ed ex colonie britanniche.
Dal simbolico arrivo a Tilbury, sul Tamigi, della nave Empire Wildrush, il 21 giugno 1948 con i primi giamaicani, al successivo e progressivo insediamento di centinaia di migliaia di sudditi dell'Impero, ben presto stranieri in patria. A cui seguì lo straniamento di essere rifiutati da quella che erano stati educati a considerare la "madre patria" e i cui figli, nati in Inghilterra, vedono un potenziale ritorno nelle terre dei genitori come un'emigrazione in terra straniera.
Gli attacchi alla popolazione nera a Notting Hill nel 1958 certificano "l'esistenza del razzismo" e "sferrano un colpo simbolico a quell'English Dream custodito dai migranti afro-caraibici che per la maggior parte della popolazione inglese rimangono comunque migranti stranieri.
"Nasce il "new racism": "le differenze non si giocano più sul piano biologico ma su quello culturale".
Gli immigrati portano con sé calypso, ska, rocksteady, reggae e lo stile rudeboy che si inseriscono nella musica e cultura britannica e la cambiano radicalmente. Il libro si addentra alla perfezione e con uno spessore culturale di altissimo livello, in un contesto mai sufficientemente esplorato.
Arricchito da mille dettagliatissime citazioni, particolari sconosciuti, nomi, dischi, episodi.
Credo che il tuo libro sia molto importante per capire lo sviluppo della scena “black” inglese sia da un punto di vista musicale che da quello sociale. Da cosa nasce questo interesse?
La passione per quegli anni, quei luoghi e quegli eventi è nata da adolescente attraverso il punk ma sono stati i tanti anni passati nei quartieri del sud di Londra (Camberwell e Brixton in particolare) a maggioranza caraibica che mi hanno fatto appassionare a queste vicende e alla musica che le accompagna.
Quanto tempo ha richiesto la stesura del libro?
E' stato difficile rintracciare le fonti e il materiale?
Sono partito da una ricerca comparativa che avevo fatto nel 2010 sulle seconde generazioni caraibiche nel Regno Unito e quelle magrebine in Francia, quindi avevo già completato una buona fetta del lavoro d'archivio sulla parte più storica.
Due anni fa ho ripreso quel materiale e mi sono concentrato su canzoni, poesie e film, tutte pratiche culturali che, per la loro capacità di esprimere quel periodo, possono essere considerate esse stesse come vere e proprie "fonti".
Interessante quando parli dell'importanza dei sound system Si configurano come spazi di resistenza culturale rispetto all'esclusione e alla marginalizzazione della comunità nera da parte delle istituzioni.
Si, un capitolo è dedicato al mondo del sound system britannico che, in particolare negli anni Settanta, diventa uno spazio politico e un potente vessillo identitario.
Rispetto al reggae registrato su disco e ai club del centro che suonano soul, il sound system è un luogo dove si celebra e si difende l'identità nera senza compromessi, dove si sperimentano nuove forme musicali che influenzeranno tutta la musica britannica (e non solo) nei decenni avvenire e dove si raccontano e condividono le vicende di una comunità al tempo letteralmente presa d'assalto da istituzioni, polizia ed estremisti di destra.
L'aspetto più rilevante è la sottolineatura drammatica di come i primi immigrati in Inghilterra scoprirono, nonostante fossero sudditi inglesi, essendo parte delle colonie dell'impero britannico, di non essere per nulla graditi dagli inglesi.
Solo per il colore della pelle.
Esattamente.
L'Impero li attira nel Regno Unito come manodopera a basso costo per la ricostruzione post-bellica creando l'illusione di essere cittadini e cittadine come gli altri.
Le campagne di reclutamento avvengono direttamente nei Caraibi ma al loro arrivo razzismo e discriminazione ad ogni livello saranno un risveglio traumatico per delle popolazioni coloniali che erano state educate col mito della Madrepatria.
Altra particolarità messa in perfetta luce dal libro è come le nuove generazioni dei figli degli immigrati non avessero nessun interesse a tornare nei luoghi di origine dei genitori, essendo nati in Inghilterra.
Il loro primo passo per agire politicamente e, in seguito, creare una nuova identità Black British passa per forza dalla distruzione del mito del ritorno al paese d'origine che riguardava sia i genitori che le istituzioni britanniche, che speravano in un'immigrazione temporanea da sfruttare a piacere.
La canzone che dà il titolo al libro è una poesia di Linton Kwesi Johnson, "It Dread Inna Inglan" che annuncia a tutti e tutte la loro intenzione di rimanere e di lottare "qui e ora".
Quanto c'è di simile in questa storia con l'attuale situazione italiana, secondo te?
Al netto di un contesto storico diverso e delle differenze tra i due paesi, l'utilizzo dell'immigrazione come capro espiatorio di una crisi economica e sociale è una dinamica che conociamo bene, così come lo sfuttamento della rabbia di una parte della popolazione locale, quella più esclusa, per aizzarla contro gli ultimi arrivati.
Allo stesso modo, i figli e le figlie dell'immigrazione italiana sono già una realtà che lotta politicamente per i proprio diritti e che tenta di costruire una nuova identità nazionale italiana più ibrida ed aperta, esattamente come aveva fatto la gioventù nera negli anni Settanta e Ottanta nel Regno Unito.
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