lunedì, settembre 27, 2021

Carlo Buti



Riprendo l'articolo che ho scritto ieri per "Libertà".

Gli infami anni dell'era fascista oltre ad affamare e a distruggere la nazione hanno anche portato con sé l'annichilimento della componente artistica nostrana, necessariamente asservita ai voleri del regime e silenziata quando non corrispondente alla linea dittatoriale.
Sporadiche voci hanno saputo ugualmente farsi sentire ed esprimersi, in altri casi però, pur all'interno dei suddetti limiti si sono palesate entità artistiche e musicali di valore e di notevole rilievo, pur se genuflesse (talvolta pur non condividendo le idee e gli ideali ma facendo buon viso a cattiva sorte) al volere di Mussolini e i suoi scherani.
Abbattuto il regime è subentrata un'opera di rimozione e ostracismo che ha spesso cancellato carriere artisticamente interessanti o, come nel caso che andiamo a ricordare, addirittura da record.

Siamo negli anni Venti.

Anni confusi e pionieristici in cui emerge la stella di Carlo Buti, nato a Firenze nel 1902, appassionato di canto e musica fin dall'infanzia.
Canta le canzoni alla moda, quelle napoletane, le romanze da salotto e stornelli che improvvisa al momento, nelle feste e nei cinema dove si proiettano le pellicole mute, nelle osterie, nei ristoranti.

Prende qualche lezione di canto e debutta nella stagione 1928/29 al cinema teatro Apollo di Firenze con due o tre spettacoli di varietà al giorno che intervallano la proiezione di film.

Lascia il mestiere di orafo, visto che ormai l'attività artistica è diventata predominante e impegnativa e incomincia a incidere i primi dischi.

In carriera ne inciderà il numero impressionante di 1.700, venduti in mezzo mondo.

Si esibisce costantemente al Teatro Orfeo di Firenze, nel 1930, con recensioni che vengono definite dalla stampa “straordinarie”.
Nel frattempo abbandona la prima moglie e ne sposa un'altra, Lya, che diventerà la sua manager, gestendone carriera e i guadagni sempre più cospicui.
Intelligentemente intuisce il valore commerciale della canzone napoletana e partecipa a vari festival nella città partenopea, cantando in dialetto i brani più famosi e in voga, diventando una star.
Anche perché unisce a questo repertorio una serie di romanze, i brani più famosi dell'epoca, soprattutto sentimentali, ai confini con il melodramma, canti tradizionali e popolari.

Senza volerlo crea le basi e le fondamenta di quella che conosciamo tutt'ora come “canzone italiana” (come è riconosciuta in tutto il mondo).

Diventa popolarissimo non solo nella Penisola ma soprattutto in America, Canada e America Latina dove l'immigrazione italiana è recente o ancora in corso e le radici e la nostalgia per il suolo patrio ancora molto sensibili.
In un periodo in cui la diffusione del grammofono per ascoltare i dischi è limitata e pertinenza delle classi più abbienti, le vendite delle sue pubblicazioni sono incredibili. Intuisce anche l'importanza di firmare le canzoni, che fruttano diritti d'autore, oltre alle vendite del supporto fonografico e incomincia a comporre e a portare al successo le proprie creazioni.
Il primo amore, Canta per me, Serenata sconosciuta, Serenatella, Nostalgie fiorentine, Campagnola fiorentina sono sue composizioni ma eccelle soprattutto nei classici come Violino Tzigano, Mamma,Reginella, Chitarra romana.

Diventa famosissimo in Italia anche perché presta la voce a Faccetta Nera, diventato un inno fascista che giustificava l'invasione dell'Abissinia.

Quando nel 1937 sbarca al porto di New York ci sono migliaia di persone entusiaste ad attenderlo tanto che deve essere protetto e nascosto dalla polizia.

Debutta a Broadway e viene travolto dal successo. Ogni concerto è un bagno di folla.
Tornato in Italia è protagonista del film “Per uomini soli” che ne accrescerà ulteriormente la fama, collezionando un mese consecutivo di tutto esaurito nei cinema di Roma.
La guerra interrompe il vertiginoso successo di Buti che riesce però a riemergere subito dopo, nel 1946, quando arriva in America Latina dove si esibisce a Buenos Aires al Casinò, in cui nel giro di un mese si avvicendano ai suoi concerti 240.000 spettatori anche grazie alla sua presenza, come ospite fisso, a “Hora De Italia”, seguitissima trasmissione della radio argentina. Canta anche, precursore di quanto successivamente troveremo nel SuperBowl americano, tra un tempo e l'altro di importanti partite di calcio in Argentina e Uruguay.

Onnipresente, è protagonista anche nella neo nata Repubblica Socialista della Yugoslavia, con un programma a Radio Belgrado.
La sua generosità, che lo porta a dispensare concerti e guadagni in beneficenza per l'Italia in ricostruzione, per gli orfani di guerra, i poveri, non fanno che contribuire alla mitologia del personaggio.
La fama acquisita in Argentina e Uruguay è tale che esistono ancora vie a lui dedicate a Buenos Aires e Montevideo. Perfino Papa Francesco ne ha parlato in una recente omelìa, ricordando la sua infanzia “quando nelle famiglie italiane a Buenos Aires, 75 anni fa, si cantavano le canzoni di Carlo Buti, in particolare una che dice: torna da tuo padre, la ninna nanna ancora ti canterà”.

All'apice del successo decide di tirare i remi in barca. Ancora richiestissimo rinuncia allo stress di tour lontani e faticosi e assapora l'agio di potere disporre di ampie ricchezze, da potere spendere nella sua amata Toscana.
Le apparizioni si diradano, accetta di essere ospite d'onore al Festival di Sanremo, rifiuta un'offerta faraonica per un tour nelle Americhe, i suoi dischi sono sempre meno frequenti.
Siamo alla fine degli anni Cinquanta e Buti intuisce, ancora una volta, riuscendo a vedere lontano, che l'epoca del Belcanto si sta esaurendo. Dagli Stati Uniti, che tanto successo e fama gli hanno dato, arriva il rock 'n' roll, i costumi e i gusti cambiano, perfino alla “periferia dell'impero”, in Italia.
Il posto per un cantore di romantiche canzoni con voce tenorile è sempre più esiguo.

A una lenta decadenza preferisce un buen retiro in una bella villa a Montelupo Fiorentino e nel 1956 si accomiata più o meno ufficialmente dal mondo della musica.
Le offerte, anche solo come presenza a varie manifestazioni, più o meno importanti, continuano a fioccare ma rimane fermo nella sua posizione.
Anche perché è iniziata un'altra difficile battaglia, contro il morbo di Parkinson che lo porterà via nel 1963, all'età di 61 anni.

Oltre all'incredibile discografia, rimangono attestati di stima da parte di prestigiosi giornalisti e organi di stampa e di compositori e musicisti come Toscanini, Gigli, Schipa, Di Stefano, oltre a numeri di vendite discografiche impensabili all'epoca.

Può sembrare arduo il collegamento, perciò perdonate il sangue beatlesiano che scorre da ormai quasi cinquanta anni nelle vene di chi scrive ma George Harrison scrisse la meravigliosa All Things Must Pass, quattro semplici parole, Tutte le cose passano.
E anche chi è stato celebre oltre ogni immaginazione, dopo poco tempo viene dimenticato e relegato all'oblio.
Ogni tanto qualche solerte cronista musicale trova lo spunto per un articolo e per sottolineare un aspetto inevitabile e ineluttabile del nostro passaggio su questa Terra.

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