martedì, dicembre 10, 2019

Alberto Castelli - Soul to soul



I griot non sono solo cantastorie ma quelli che, nella tradizione dell'Africa Occidentale, hanno il potere della parola.
Hanno la saggezza e sanno come trasmetterla, con le parole giuste, appunto.
Alberto Castelli è il nostro GRIOT del SOUL e della BLACK MUSIC.

Quando leggi le sue parole su Bob Marley, Prince, Quincy Jones o Gil Scott Heron, CAPISCI, se hai un'anima (QUELLA anima) e un cuore (QUEL cuore).
Capisci cosa vuol dire avere speso decenni, una vita, ad assorbire, ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, quei suoni, quelle vibrazioni, quell'esperienza mistica che è ascoltare soul, ska, reggae, black sound. Il suo racconto ha ora i ritmi cadenzati del reggae, ora quelli pulsanti del funk o ancora quelli divertenti dello ska, l'imprevedibilità e la velocità di un canestro di Kareem Abdul Jabbar o di Lebron James, il pungente e devastante colpo di Muhammad Alì.

Salta da un nome all'altro, incrocia e sovrappone fatti e persone.
E alla fine tutto torna.
Alberto maneggia le parole come pochi altri.
E' un'arte.
Un'arte antichissima.

Il nostro moderno Griot del Soul sa come usarla e leggere un libro come questo è un piacere immenso, soprattutto quando ad ogni pagina, aggiungi in sottofondo le musiche, i grooves, di cui sta parlando.
Anzi.
E' essenziale farlo.

Prendetevi il tempo necessario, spegnete i cellulari e ogni cosa che squilla o sbatte o fa rumore o fischia, sbarazzatevi ti tutte le distrazioni( perfino una lei o un lui), mettetevi comodi (cit. Gil Scott Heron) e leggete questo libro, con la musica adeguata ad accompagnarlo.

Alberto concede anche una breve intervista al proposito.

Perché un ragazzo italiano, bianco, cresciuto con una cultura “italiana”, si innamora di Marley, del soul, del funk, del blues?

Credo che sia stata tutta colpa, o merito, dei Beatles e di mia madre.
Da donna audace quale era, mia madre, in occasione del mio ottavo compleanno, mi regalò il 45 giri con Yellow Submarine.
Mi piacque tanto e così cominciai a comprare altri dischi dei Beatles.
Poi arrivò Lucio Battisti, nonostante Mogol che ho sempre detestato, e anche quella fu una bella botta!
Una volta ascoltai alla radio un'intervista con Battisti durante la quale lui dichiarò tutta la sua ammirazione per "quei cantanti negri di soul" - disse proprio così e a quel punto era chiaro quello che avrei ascoltato: soul, Stax, Motown e tutto il resto.

Nel 2019 dove tutto è a portata di click, c’è ancora qualcosa da scoprire nella black music?

Si certo: c'è tanto da scoprire, riscoprire, raccontare e celebrare.
Tanto!

Ti aspettavi che la black music e il reggae trovassero così tanto spazio in Italia, quando hai incominciato ad ascoltarla?

Ci speravo, ma alla fine non ero molto interessato.
Quando sei giovane meno ascoltano la musica che ti piace e meglio è.
A me piacevano Jam e Clash e i gruppi della Two Tone, ma la gran parte della musica di quel periodo - seconda metà e fine anni '70 - non mi diceva nulla.
Preferivo Muddy Waters e Howlin' Wolf che trovavo ancora piu' punk di tutti.
E poi c'erano i cantautori e il progressive, il male assoluto.
Preferivo e preferisco altro.

Come hai scelto i personaggi di questo libro in mezzo all’universo black ?

Sono persone che con la loro arte e il loro talento mi hanno dato molto.
Musicisti, cantanti, ma anche campioni come Muhammad Ali e Kareem Abdul Jabbar o scrittori come James Baldwin o Colson Whitehead.

E’ ovviamente impossibile ma che dischi sceglieresti per insegnare a un giovane il gusto per soul o reggae?

Domanda difficilissima: Exodus di Bob Marley and the Wailers e Otis Blue di Otis Redding. Sono i primi che mi vengono in mente.

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