venerdì, febbraio 06, 2015
Sir Tommaso Moro e Utopia
Come periodicamente accade ANDREA FORNASARI ci riserva interessantissimi e sempre benvenuti spunti filosofici.
Tommaso Moro (1478 - 1535) è probabilmente conosciuto per due motivi: per l'amiciza con Erasmo da Rotterdam, il quale gli dedicò il suo Elogio della follia, e per aver scritto Utopia.
Dobbiamo dire che il Rinascimento nordico fu molto diverso rispetto a quello italiano: prima di tutto nasce successivamente e poi s'intreccia al movimento della Riforma.
In un certo senso fu senz'altro meno anarchico e immorale, quasi austero; per questo produsse meno genio artistico e minor cultura individualistica, ma si preoccupò di essere solido e virtuoso.
Erasmo e Tommaso Moro sono senza dubbio i due personaggi di maggior spicco di questa rinascenza del nord Europa; lo sono per motivi differenti, ma entrambe le loro influenze furono notevoli. Erasmo era un umanista tollerante, il quale criticò aspramente il cattolicesimo romano per la sua corruzione, ma non aderì nemmeno al protestantesimo, in quanto trovava i mezzi di Lutero troppo violenti.
Questo suo pacifismo e buon senso gli salvarono la vita, cosa che invece non accadde a Moro.
Lo stesso Erasmo dirà: "Volesse il cielo che Moro non si fosse mai immischiato in questi pericolosi affari, e avesse lasciato i problemi teologici ai teologi".
Sir Tommaso Moro era un uomo colto e molto religioso: per un certo periodo fu tentato di entrare nell'ordine dei certosini, ma forse fu Erasmo a dissuaderlo. Alla fine divenne avvocato.
Nonostante non facesse nulla per compiacerlo, Enrico VIII lo nominò cavaliere e l'incaricò di varie ambasciate. Moro non si faceva illusioni riguardo la condotta del re: "Se la mia testa potesse guadagnargli un castello in Francia, non mancherebbe di farla saltare".
Moro venne nominato cancelliere ma ben presto cadde in disgrazia in quanto si opponeva al matrimonio fra Enrico VIII e Anna Bolena. Egli dunque si dimise, vivendo con solo cento sterline l'anno (ciò dimostra la sua incorruttibilità).
Quando nel 1534 il re fece passare in parlamento l'Atto di supremazia, che dichiarava lui e non il papa capo della Chiesa d'Inghilterra, si rese necessario anche il giuramento di Moro, il quale rifiutò.
Questo atteggiamento costituiva solo "presunzione di tradimento", che non portava con sé la pena di morte. Fu dimostrato, però, attraverso testimonianze assai dubbie, come Moro avesse detto che il parlamento "non poteva" nominare Enrico VIII capo della Chiesa; su questa "prova" fu accusato di alto tradimento e decapitato. Le sue proprietà furono consegnate alla principessa Elisabetta, che le conservò fino al giorno della sua morte.
Il testo più importante e famoso di Moro è senz'altro Utopia.
Il modello è quello della Repubblica di Platone, con un comunismo esasperato, Le case sono identiche e non ci sono serrature alle porte, tutti sono vestiti allo stesso modo. Uomini e donne lavorano sei ore al giorno, tutti vanno a letto alle otto e dormono otto ore. Gli schiavi vengono utilizzati solo per i lavori più umili (ma vengono trattati con pari dignità). I dotti vengono prescelti per governare. Sia le donne che gli uomini vengono punite se non sono vergini al momento del matrimonio, ed esiste il divorzio per adulterio. Prima di sposarsi si presentano nudi l'un l'altra, per capire se si piacciono o meno. Gli abitanti di Utopia evitano la guerra, ma nel caso si mostrano preparati e coraggiosi. Lungo e divertente sarebbe l'elenco: mi limiterò solo ad alcune delle prescrizioni di Utopia.
Diciamo che in generale gli abitanti di Utopia sono inclini al piacere, vi sono diverse religioni tollerate, ma chi non crede non può prendere parte alla vita politica - tuttavia non è molestato.
Tornando agli schiavi: essi sono persone che hanno ricevuto pesanti condanne e che gli Utopici hanno commutato in schiavitù.
Interessante questa istanza: in caso di malattia dolorosa e incurabile, si consiglia al paziente di uccidersi, ma lo si cura con tutta la dovuta attenzione se rifiuta di farlo.
Il governo è una rappresentanza democratica, con un sistema di elezioni indirette; alla testa c'è un principe eletto a vita, ma può essere deposto qualora scivolasse nella tirannide. La vita familiare è patriarcale. Se una città diventa troppo grande, alcuni abitanti vengono trasferiti, idem per una famiglia troppo numerosa. Verranno costruite nuove città ma non si dice nulla su ciò che andrà fatto quando tutto il territorio sarà coperto di costruzioni.
L'Utopia di Moro può ritenersi liberale, soprattutto considerata l'epoca. Il comunismo veniva predicato anche in altri movimenti, ad esempio religiosi, e non può sorprenderci. Piuttosto sono le idee intorno alla guerra, la tolleranza religiosa, la denuncia contro l'uccisione insensata degli animali (la caccia come svago), le affermazioni contro la pena di morte e in favore di una mite legge penale, che rendono sorprendente la lettura. Certo, la vita a Utopia sarebbe intollerabilmente noiosa e priva di varietà. Un difetto che accomuna tutti i sistemi sociali pianificati a puntino, siano essi reali o semplicemente immaginari.
Gli Utopici non hanno denaro per sé, ed insegnano il disprezzo per l'oro usandolo per i vasi da notte e per le catene degli schiavi (detenuti).
Quando sono in guerra (se proprio non è evitabile) offrono grandi ricompense a chiunque ucciderà il sovrano del paese, e ancora più ricompense se lo porteranno vivo, e a lui stesso se si arrenderà.
Fra i nemici, compatiscono la gente comune, condotta alla guerra contro la propria volontà dalla furiosa pazzia dei capi.
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Alla fine rimase fondamentalmente un frate e il suo scritto lo dimostra.
RispondiEliminaDa un certo punto di vista anche un bell'ipocrita, o presuntuoso, quando accetta le cariche delle quali venne insignito.Di sicuro era certo (almeno all'inizio) di imporre la sua volontà al sovrano (sempre umilmente e a testa bassa da bravo frate).
Fortunatamente il re non era lui e Enrico VII promulgò l'Atto di Supremazia, altrimenti saremmo ancora qui a prostrarci al papa re.
Per quel che riguarda lo scritto sicuramente notevole vista l'epoca in cui scrisse, accessorio per quanto mi riguarda.
Spassosissimo il passo sugli schiavi (con dignità eh, mi raccomando...), direi Jeffersoniano.
Bentornato AndBot!
RispondiEliminami chiedevo dove fossi finito, del resto scrivere un pezzo su Thomas Moore richiede tempo, on top of the everyday routine.
cheers!
Grazie!
RispondiEliminaBeh, gli utopici del libro di Moro/Moore utilizzano gli schiavi come manovali, ma si tratta di persone che hanno subito grosse condanne (in pratica sono dei galeotti), compresa la pena di morte in altre nazioni.
La statura morale di Thomas/Tommaso è però considerevole, non riesco a rimproverargli nessuna ipocrisia.
Casomai, come diceva il suo amico Erasmo da Rotterdam, sarebbe stato meglio se non si fosse immischiato in certi affari.
Fu sempre incline ad alienarsi i potenti: nel 1504 come membro del parlamento si oppose alla richiesta di nuove tasse da parte di Enrico VII. Ebbe successo e il re mandò il padre di Moro alla Torre. Poi con Enrico VIII le cose sembravano girare bene, ma in realtà egli non nascose mai il proprio disappunto fin dai primi momenti. Non andava ai ricevimenti e rifiutava ogni dono da parte dei querelanti (all'epoca era uso comune anche per i giudici accettare doni: dicevano che comunque non avrebbero influito sulle loro decisioni).
In generale Utopia ha dei passaggi ingenui e altri molto simili alla Repubblica di Platone, un modello sociale duro a morire.
Personalmente non trovo Moro molto interessante, ma stimabile.
Molto meglio, come lettura, "Leviatano" di Hobbes: lì davvero nasce la filosofia politica, l'analisi sociale. Anche quello è un testo con numerosi difetti, però ci sono ancora oggi delle considerazioni importanti e valide.
Cheers to you!
AndBot
Concordo sulla statura morale.
RispondiEliminaVolevo dire che non avrebbe dovuto accettare di diventare cancelliere.
Anche io lo trovo poco interessante sebbene debba confessare una conoscenza dell' argomento appena enciclopedica o wikipedica come forse bisognerebbe dire oggi.
Ad ogni modo complimenti per il pezzo notevole ed interessante
Forse non avrebbe dovuto, chissà.
RispondiEliminaAd ogni modo egli poi si dimise, solo che c'era bisogno anche del suo giuramento. Di per sè il rifiuto non era un grande reato, ma Enrico VIII che ormai lo vedeva bene come il fumo negli occhi riuscì a farlo accusare di alto tradimento e quindi decapitare.
Penso che Moro avesse chiaro fin dall'inizio quale sarebbe stata la sua fine, ma è solo una mia idea...
AndBot