venerdì, luglio 10, 2015
Intervista a Mick Jones
MICK JONES è passato per Venezia, in visita alla Mostra «Rock’n’Roll Public Library» (fino al 22 novembre Istituto Santa Maria della Pietà www.therockandrollpubliclibrary.com). Ha pure suonato qualche brano con i suoi protetti The Sugarmen.
SERGIO COLLAVINI ci parla della giornata e ci lascia la possibilità di riportare l'intervista realizzata per www.venezianews.it da Massimo Bran e Sabrina Baracetti.
Leggete e godetene.
Nelle foto Sergio con Mick e vari momenti della giornata.
Parlare di Mick Jones per chi è cresciuto e si è formato con il punk, l’ultima vera rivoluzione estetica artisticamente trasversale, anche se innanzitutto musicale, è un po’ come parlare di, che so, Jackson Pollock per l’arte o di William Burroughs per la letteratura del ‘900. Insomma, Mick e Joe, il grande Joe Strummer, mai troppo compianto ahinoi!, senza naturalmente dimenticare Paul Simonon, Topper Headon e Terry Chimes, ossia i Clash, ancora oggi rappresentano al contempo una disposizione lucidamente rivoluzionaria verso la musica e la vita mai più riscontratasi da allora in altre band e la base di ogni più fertile contaminazione sulla tavolozza delle note, dei suoni, del crossover contemporaneo.
Dal primissimo, ruvido, scarno punk, che spazzò via ogni sorta di barocchismo progressivo di un rock’n’roll più che imborghesito alla fine dei ‘70s, al ponte gettato con la Jamaica reggae di sede a Brixton, Londra, fino al dub e all’elettronica che poi segneranno gran parte degli anni ‘90, spingendosi ad assorbire l’appena nato rap, poi definitosi hip hop, i Clash hanno davvero rappresentato l’incubatore fondamentale della musica del futuro con però le radici ben piantate e, dopo la prima nichilistica ribellione, ben recuperate del grande rock di certi Sixties, in primis quello dei working class heroes Who, naturalmente, ma anche quello degli Stones.
E se Joe era il front-man irresistibile, carismatico, con quella rabbia ben interpretata e restituita da consumato padrone delle scene sin dal suo primo apparire, Mick fu la mente musicale della band, oltre che naturalmente leader anch’egli in coabitazione non sempre liscia con Strummer. E dici poco! Non a caso la sua storia, e anche probabilmente la ragione ‘culturale’, al di là dell’aneddotica biografica, per cui la band si sciolse dopo il clamoroso successo di Combat Rock, la sua carriera musicale progrediranno sempre con quella sua proverbiale e attitudinale urgenza nel mescolare, confondere, riunire linguaggi, stili, radici. Su tutti basti ricordare i Big Audio Dynamite, la sua prima band post-Clash, a fianco del grande Don Letts, in cui tutte le lingue urbane del rock, dell’hip hop, del reggae si mescolarono in una rara alchimia. Ebbene, questa figura davvero nodale della cultura urbana popolare del ‘900 oggi è qui tra noi, a Venezia, grazie a una mostra-chicca, Rock’n’Roll Public Library (Chiostro di S.ta Maria della Pietà, fino al 22 novembre), in cui è esposta una straordinaria collezione di cimeli, di memorabilia da lui collezionati negli anni.
Inutile dire che la parte del leone la gioca il periodo di quell’irripetibile Londra tra i ‘70s e gli ‘80s di cui lui fu uno dei memorabili interpreti e cantori. Trovarselo di fronte il giorno prima dell’opening per un’intervista con un drink in mano beh, per chi scrive, vi assicuro, è stata davvero una situazione che poco ha a che fare con la realtà.
Già, alle volte, l’onirico va in vacanza e si appalesa di giorno, qui.
Al di là di ogni stucchevole retorica, che al nostro come leggerete di sicuro irriterebbe l’animo e i nervi, fermare Mick Jones per una mezz’ora e farsi raccontare i suoi progetti, ma soprattutto misurare qual è oggi il suo spirito, la sua disposizione verso il futuro è una di quelle occasioni, come si suol dire, proprio da non mancare. Se poi il giorno dopo, alla vernice, vi capita anche di vedervelo a un metro sul palco a… (ma di questo ne parla assai meglio il nostro Sergio Collavini in queste pagine).
Le avanguardie storiche inevitabilmente prima o poi vengono assimilate e musealizzate. La tua sembra una mostra personale e al contempo epocale, perché il punk è stata la più dirompente avanguardia della cultura popolare, con tutto ciò che poi ne è derivato. Quale effetto ti fa il mettere in mostra la tua rivoluzione?
Quello che conta davvero è il sentimento. Tutte queste cose hanno un valore sociale, un valore culturale e sono anche reali, tangibili, come qualsiasi altra cosa.
Il sentimento, è questo che le rende ciò che veramente sono.
Provavamo molti diversi sentimenti per queste cose, è difficile da spiegare ma sai che c’è qualcosa. Hai presente quell’eccitante sensazione nel momento in cui tutto sembra possibile? Oggi non sembra sia ripetibile.
Sembra invece che abbiamo meno opportunità di quante ne abbiamo godute in passato. L’istruzione, per esempio. Nella scorsa legislatura, più di 300 biblioteche sono state chiuse nel Regno Unito. In parte perché oggi usiamo i libri e leggiamo in maniera diversa, ma ci sono anche persone che non possono permettersi né libri né computer.
Sì, viviamo in un mondo materialista, è il motivo per cui siamo così preoccupati di perdere ciò che abbiamo.
La cosa che veramente non dobbiamo mai perdere è l’attenzione e la disponibilità ad aiutare gli altri, ed è un dovere soprattutto di quelli che, come noi, sanno parlare di sentimenti. Condividere quello che hai con le persone e ispirarle. La chiave per l’ispirazione è richiamare alla memoria la vita e interagire con questi ricordi. Per me, è come stare nella cabina d’ascolto: mi riporta indietro a quegli anni in cui negli album la prima canzone era sempre la migliore, bisognava metterci il proprio meglio in quella prima traccia, così da sperare che te li comprassero! Come vedi, più sono vecchio, più cose mi interessano. Sono arrivato al punto di andare a caccia di illusioni.
Sarà l’essere famoso che mi ha ridotto così?!
Quanta pazienza hai avuto per collezionare questi cimeli?
Hai fatto tutto da solo?
Paul (ndr: Simonon, per i pochi che non lo sapessero bassista dei Clash, nonché protagonista della più bella copertina della storia del rock, London Calling) ha tenuto qualcosa in un capanno nel giardino di casa. C’erano un sacco di borse di plastica dappertutto piene di qualsiasi cosa: scritti, lettere, nastri, dischi... veramente di tutto!
A me è sempre piaciuto collezionare, da piccolo collezionavo fumetti.
L’impermanenza delle cose materiali ha quel fascino, sì; tu conservi moltissime cose ma se nessuno sa cosa valgano, per i più è solo spazzatura. Io, per esempio, ho un rapporto personale con questi oggetti; so qual è il mio posto, vedo una storia personale.
Ciò che voglio fare è perciò condividere i miei sentimenti col resto del mondo, che non è poi così diverso da quanto faccio con la musica.
The Sugarmen: ti piace fare il produttore?
È bellissimo! Mi diverto molto.
Gli Sugarmen sono speciali, li seguo da qualche anno e li ho visti crescere. Sono dei bravi ragazzi e la ragione, il sentimento che provo nell’essere il loro produttore è aiutare qualcuno ad arrivare da qualche parte. Dare loro un contesto ove possibile.
Incoraggiarli in modo che esprimano il loro potenziale.
Dare loro un senso, qualcosa che capiscano appartenere a loro stessi. E poi, come si fa a non amarli?
Sono di Liverpool, fanno rock’n’roll, sono stupendi! Stanno vivendo la parte più eccitante dell’essere in una band, quel momento in cui provi la sensazione che ci sei, che stai per farcela. Non produco molto, ma quando lo faccio cerco progetti da cui possa imparare qualcosa e questa è stata una delle mie scelte migliori.
Il loro disco, che uscirà a breve, è stato prodotto in una settimana.
Abbiamo compresso tutto in pochi giorni ma tutti capivano il lavoro l’uno dell’altro; tutto era chiaro ed è andato avanti benissimo, proprio come dovrebbe sempre succedere.
Per me invecchiare significa anche avere un’idea più chiara delle proprie responsabilità.
Ti rimetti in gioco e non hai paura di quanto potrebbe essere umiliante.
La verità può essere brutalmente onesta ma tu continui a volerti aggrappare a lei a tutti i costi, qualsiasi cosa essa esprima o rappresenti. Sai cosa? C’è una scintilla di divino in tutti noi.
Quello che dobbiamo fare è farne qualcosa di buono, per il mondo, per tutti. Noi siamo qui per fare in modo che le persone pensino e usino la loro immaginazione prima che l’ineducazione si metta di mezzo. C’è così tanto da imparare da questo mondo e non è detto che debba per forza essere tutto serio, anzi, una risata non deve mai mancare!
Quando suonavo nei Clash alcuni cercavano di politicizzare la nostra musica e associarci all’una o all’altra delle fazioni politiche. Ma a noi interessava solo suonare qualche canzone e stare bene, farci due risate.
Li abbiamo sempre scansati. Col senno di poi anche quella è stata un’azione politica, in un certo senso.
Cosa pensi delle reunion?
Il fatto che i Clash non si siano più riuniti è stata la salvezza della loro leggenda?
Prendi, per esempio, la reunion dei Blur, è stata una scelta felice.
La maggior parte, però, non lo sono. C’è un bel documentario sulla BBC4 a proposito dei Culture Club. Insomma, sono tornati, hanno progettato un nuovo album, hanno lavorato, hanno fatto tutto come doveva essere fatto. Erano pronti e avevano fatto il tutto esaurito. L’anteprima del tour, però, è stata criticata molto duramente sui social network e, alla fine, hanno dovuto buttare via un anno di duro lavoro. È successo un paio d’anni fa e mi chiedo se io stesso stia facendo quello che faccio per le ragioni giuste.
Perché la reunion abbia successo devi avere successo tu come persona ed essere disposto a condividere quello che hai senza pensare alle differenze. Devi lasciarti alle spalle emozioni negative e vecchi rancori del passato.
Vedo che molti lo fanno per i soldi, ma se fai così ti metti nel posto sbagliato e diventa un problema. Tu hai successo per poter aiutare chi ha meno di te. Per esempio, a me piace Bob Marley perché mi parla e mi dà forza con la sua musica.
Vedi? Aiutarsi a vicenda e condividere. L’austerità e la recessione hanno poche conseguenze su di noi.
Come musicisti, noi cerchiamo cosa abbiamo dentro noi stessi e lo condividiamo con gli altri attraverso bella musica, parole che ti fanno pensare quando ti chiedi: cosa sto facendo qui? Le grandi domande della vita.
Tu eri uno dei front-man dei Clash e…
No, non ero il frontman, ero il chitarrista. Ho cantato Should I Stay or Should I Go e cosa ho ottenuto? Che qualcuno mi ha scambiato per Joe! (ndr: ride).
Apprezziamo la modestia, ma è inutile ribadire che i Clash non avevano due leader, Mick Jones e Joe Strummer.
Ok, lui era il front-man, ma tu non eri certo da meno come forza trainante della band, oltre al fatto non proprio irrilevante che costruivi il sound…
So che sarai annoiato da chi ti chiede continuamente di parlare del vostro rapporto; quindi noi non lo faremo ‘canonicamente’. Ci piacerebbe però che ci dicessi una cosa, qualsiasi, anche la più semplice e quotidiana, sulla vostra complicità, sul vostro quotidiano. Perdonaci ma…
Che dire, ci sarebbe una montagna di ricordi su cui ritornare, ancora vivissimi naturalmente.
Ma l’aneddotica la lascio ad altri.
Mi piace ricordare il lavoro, come insieme costruivamo i pezzi, gli album, come decidevamo i ruoli, le attribuzioni, il confronto e anche gli scontri sulle scelte musicali, gli arrangiamenti. Ci sedevamo a un tavolo e scrivevamo i pezzi e tutte le canzoni le discutevano insieme prima noi due. Joe era maledettamente sicuro di sé, sempre, e sapeva quali canzoni far cantare a Mick... (ndr: ride/2).
Cosa ti manca di allora?
Lo spirito di squadra che c’era con i ragazzi. Eravamo così convinti di quello che facevamo – Forza! Ce la possiamo fare! –; suonavamo in continuazione e c’era quasi una telepatia tra di noi. E poi essere belli e giovani, sono buone cose, no? Ci vediamo ancora, con i Clash, e abbiamo le nostre occasioni speciali.
Pensi che nel futuro della musica non ci sarà più spazio per la ribellione autentica, fuori da ogni manierismo?
No, beh, prendi gli Sleaford Mods, per esempio.
Sono una delle band che mi piacciono di più. Loro hanno qualcosa da dire, e per quanto tempo abbiamo aspettato qualcuno che avesse qualcosa da dire a questo mondo di baroni, di finanza, di industria!
La musica ha raramente qualcosa da dire in questo senso; sono tutti preoccupati delle previsioni di vendita o che ne so... You gotta be cooler than that if you wanna rock.
Tre cose da non perdersi della mostra.
Una è l’elmetto da minatore che viene dall’America. Mia madre viene dal Michigan e suo marito è stato miniatore.
Usava gli esplosivi ogni giorno ed è diventato sordo per questo.
Ha un valore sentimentale per me per certe ragioni e per il mondo per altre ragioni. Una delle principali industrie del Michigan era l’estrazione del rame ma adesso è rimasto poco.
L’industria del legno, dell’automobile... quanto poco è rimasto, oggi?
Seconda cosa, la tigre sul divano. Quando ero piccolo mio padre non stava molto a casa, lavorava a Londra sud come tassista. Per Natale mi regalò questa tigre enorme, era più grande di me! Ho dovuto insistere ma, ci mancherebbe altro, la tigre doveva esserci! Ultima, la cabina d’ascolto, che restituisce quell’idea, quel fatto che la prima traccia doveva essere la migliore canzone dell’album. Quando ero piccolo, negli anni Sessanta, ascoltavo i dischi in una cabina proprio come quella. Abbiamo ricostruito la cabina e portato il giradischi, così tutti potranno ascoltare i vinili come facevo io quando ero giovane. Spirito ribelle... cose che adesso non esistono più ed è un peccato. Bisogna che troviamo il modo di recuperare questa attitudine, questo approccio viscerale all’arte, alla musica, alla vita in definitiva.
From Westway to Venice
Train in Vain, Should I Stay… a Venezia!
Ma chi ci crede?!
Non sempre incontrare di persona un tuo idolo è una buona idea.
L’immagine romantica che se ne ha può, anche duramente, scontrarsi con la realtà. Quindi non che fossi dubbioso nel farlo o meno (ma che, scherziamo?!), ma nell’apprestarmi ad incontrare Mick Jones un po’ timoroso lo ero eccome.
L’occasione è stata l’inaugurazione della sua mostra Rock’n’Roll Public Library nell’ambito della 56. Biennale Arte di Venezia, un’esposizione di oggetti, dischi, fumetti, vestiti e ogni sorta di gadget collezionati nella sua carriera.
«Venezia News» ne diventa media-partner e dopo i primi contatti con la figlia Lauren, curatrice della mostra, chiediamo subito se “Mr. Jones” è disponibile anche ad una breve intervista. Non ci allarghiamo e rispettosamente specifichiamo “anche via mail”.
“My dad will be happy to have a short talk with you”, la risposta.
“MY DAD”, non ho potuto fare a meno di sorridere!
Il 7 maggio, giorno dell’inaugurazione (evento ristretto a un centinaio di persone), arrivo con l’amico Gianmarco “dj Spillo”, che mi farà anche da fotografo, con buon anticipo: non c’è ancora nessuno ma nel giardino interno dell’Istituto Santa Maria della Pietà, sede della mostra, scorgiamo LUI impegnato nel sound check con gli Sugarmen.
Ma allora suonerà anche?
Del concertino degli Sugarmen, giovane band di Liverpool prodotta e promossa da Jones, sapevamo, ma che suonasse anche lui con loro è un bel regalone.
Riusciamo a entrare a vederci pure le prove. Gessato blu, cravatta viola, scarpe classiche (kingsmen not brogue): l’immagine elegante, quasi mod, che sfoggia da qualche anno. Mick è sorridente e a suo agio sul palco con i ‘mocciosi’.
Oddio, stanno provando un’improbabile versione di Nel blu, dipinto di blu, ma insomma, gliela perdoneremo presto. Scende dal palco e abbiamo subito l’occasione di parlarci qualche minuto e ovviamente chiedergli una foto insieme. Tutto ciò che riesco a dire, però, è che per me è un onore e che lui e i Clash sono sempre stati fonte di grande ispirazione.
Per l’occasione sfoggio la maglietta dei Carbon Silicon (ehi amico, non solo Clash!), e trovo pure la faccia tosta di chiedergli se ha intenzione di riunire ancora i Big Audio Dynamite (la reunion del 2011 me la sono persa, mannaggia!).
Si rivela gentilissimo e disponibile, mi ringrazia dei complimenti e sui BAD mi conforta con un “maybe”; non volendo tediarlo o essere invadenti ci facciamo così da parte.
Cominciano ad arrivare gli ospiti, diversi amici veneziani e udinesi, giornalisti inglesi e Ringo di Virgin Radio, emozionato come noi, giusto dirlo. Chiacchieriamo e beviamo qualche birra con gli Sugarmen che si rivelano dei ragazzi aperti e simpatici.
Il più vecchio è il batterista (23), che è anche l’unico che sia già stato in Italia, gli altri sui 20 scarsi.
Mick Jones gira tra gli ospiti con il suo caffelatte in mano (!), la figlia Lauren lo scorta e lo supporta nell’accogliere gli invitati.
Arriva il momento live e gli Sugarmen partono con il loro robusto rock’n’roll nel quale la mano di Jones si sente eccome!
Dopo una ventina di minuti (e un intervento tecnico volante di accordatura da parte dello stesso Mick) sale anche lui sul palco!
Imbraccia una EKO rossa (che, ho saputo poi, finirà nel museo dell’azienda di Recanati dovutamente autografata) e attacca Train in Vain e subito dopo Should I Stay or I Should I Go. Lauren da l’esempio e una buona parte di noi si ritrova a ballare sotto al palchetto; non io, che resto immobile come una statua a fissare la leggenda (che le foto le faceva Spillo, ve l’ho detto no? Niente distrazioni per me).
Gli anni (60) e le rughe ci sono, per carità, ma la voce non ha perso assolutamente nulla e penso che sia davvero un peccato che non suoni live un po’ più spesso.
Poi (eeh) arriva la versione della canzone del grande Modugno, omaggio all’Italia, ma insomma Mick… anche no!
Scende dal palco, stringe mani, saluta e si mischia allegramente a quello che ormai è diventato un pubblico.
Dopo una mezz’ora se ne va in albergo (il Metropole, è a due passi).
Visitiamo la mostra (non anticipo nulla, magari andateci), salutiamo Lauren, gli Sugarmen e tutti gli amici e ce ne andiamo anche noi. Sulla strada un’ultima sorpresa, incontriamo Mick che sta tornando alla mostra e gli rubiamo ancora qualche istante.
Al ragazzetto che cominciava a imbracciare la chitarra e cercava di imitare in tutto i Clash (beh, anche adesso mi parte la gamba sinistra come a Strummer per la verità…) glielo dovevo!
Sergio Collavini
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..giuro che appena ho letto il titolo ho pensato che fosse uno dei sempre divertenti post "onirici" tipici del Boss..
RispondiEliminae invece..MICK JONES in persona e sul nostro blog preferito! You're my guitar hero come cantava zio Joe in Complete Control
Un grandissimo regalo..grazie Sergio Collavini
C
Interesting look change.............
RispondiEliminamust be he's geting old.........
RispondiEliminaas everyone of us,mate
EliminaStrange thing the interviewers didn't mention it.........
RispondiEliminama parli del suo look? gessato?
EliminaC
Mick Jones è ormai vestito fisso così da molto tempo. Comunque bella intervista e lui troppo forte, un grandissimo
RispondiEliminagia coi Clash metteva il gessato
Eliminawhat's the matter with him then?
fuckoff
Un rude boy tra campi e campielli. Fantastico.
RispondiEliminaCharlie
Io non ho assistito all'intervista, causa lavoro potevo andare solo alla presentazione/concerto ma Sabrina (che è anche la direttrice del far east film festival per la cronaca) mi ha detto che quando ha parlato di joe la voce gli si è rotta ed era sinceramente commosso. sergio
RispondiEliminaChe grande, era il mio Clash preferito
RispondiEliminaQUANDO TORNA IN ITALIA?????
RispondiElimina