martedì, marzo 01, 2022

Racconti dall'ex Urss - Parte 1


L'amico SOULFUL JULES, abituale frequentatore, per motivi di lavoro, dell'ex Urss, ci introduce nel clima di alcune zone, tristemente famose in questi giorni.
Ci aiuta a capire e ad approfondire, al di fuori di divisioni ideologiche, polarizzazioni, supposizioni.


Premessa:
Tra agosto 2000 e febbraio 2022, inizialmente per motivi di studio e poi di lavoro, ho trascorso complessivamente, in periodi frazionati, oltre tre anni della mia vita in Russia (circa il 65% del tempo), Ucraina (20%), Kazakistan, Bielorussia, Uzbekistan, Kirghizistan, Georgia, Moldavia ed Estonia.

Parlo, scrivo e leggo bene o molto bene il russo, lingua di cui mi sono esclusivamente servito per tutto il tempo passato in questi paesi.
Luoghi a cui sono molto legato e in cui non ho mai avuto il ben che minimo problema.
Sono stato minacciato qualche mese fa da un italiano un po’ alterato a pochi metri da casa mia a Pordenone ma non mi sono mai sentito a disagio in queste zone.

Nel corso degli ultimi 22 anni ho conosciuto centinaia di persone russofone di ogni credo religioso e di diverse etnie (almeno una trentina), ho visitato o attraversato centinaia di città grandi, medie, piccole e piccolissime.
Ho preso centinaia di voli internazionali e locali, taxi, treni, qualche bus e traghetto, percorso migliaia e migliaia e migliaia di km di strada da Kaliningrad a Irkutsk per scendere poi fino a Tbilisi, Tashkent, Simferopoli e Makhachkala.

Quello che sta accadendo in Ucraina è per me e per molti milioni di ucraini, russi, moldavi, kazaki scioccante e doloroso.

Quanto segue è frutto di esperienze dirette, impressioni, considerazioni e rielaborazioni occorse prevalentemente negli ultimi 9 anni e negli ultimi giorni. Non è la Verità, è il mio vissuto e come tale viene proposto di seguito.

Oggi sarei dovuto andare a Kiev.
Biglietti e albergo prenotati l’11 febbraio.
13 giorni prima dell’inizio della guerra.
Decollo da Venezia, scalo a Zurigo e atterraggio all’aeroporto di Boryspol. In programma 3 giorni nella capitale ucraina per impegni di lavoro, in parte piacevoli e stimolanti, in parte fastidiosi.
Oggi sono rimasto a casa.

Marzo 2013
Visito Kiev per la prima volta a marzo del 2013.
Prenoto una stanza in un hotel di ottimo livello, un edificio di costruzione recente chiamato Bolshevik, parte di un complesso commerciale con cinema e negozi a pochi passi dalla stazione della metro Shul’javska, un fabbricato anonimo che porta in profondità ad un bunker decorato con piastrelle smaltate irregolari, disposte a mosaico, raffiguranti due lavoratori secondo l’iconografia sovietica del 1963.
In primo piano un giovane guarda davanti a sé con aria bonaria e uno sguardo fiducioso nell’avvenire, indossa una camicia bianca ed una salopette blue, ciuffo all’indietro e mascella squadrata.
Un Clark Kent sovietico, un eroe proletario.
Dal braccio destro, aperto verso l’esterno, il palmo della mano irradia due ellissi che si incrociano, coi pallini che fanno un po’ atomo e un po’ detersivo Ariel.
Alle sue spalle un uomo maturo con i baffi, berretto calato sulla fronte e il manico di un attrezzo appoggiato sulla spalla.
Guarda alla sua destra, oltre le ciminiere fumanti di uno stabilimento industriale, insieme al ragazzo regge l’asta della bandiera rossa dell’urss che sventola sopra le loro teste.

Prendo la metro per raggiungere KIFF, l’esposizione del mobile che devo visitare, nel breve tragitto attacco bottone in russo con un ragazzo ucraino molto gentile che mi spiega che ci vuole un po’ a raggiungere la fiera a piedi per cui mi offre un passaggio a bordo della jeep di un suo amico che lo aspetta alla prossima stazione. In pochi minuti raggiungiamo l’expocenter nel massimo comfort, ci salutiamo all’ingresso, ognuno prosegue per la sua strada.
Andare in fiera per lavoro stanca, sempre meglio che fare il manovale nei cantieri ma tocca stare in piedi e camminare per qualche ora. Poi ti siedi e parli in russo per qualche ora. Prima, dopo o durante gli incontri ti siedi a mangiare per qualche ora.

A inizio marzo a Kiev l’inverno si sta spegnendo, c’è ancora neve sporca ordinatamente accumulata ai lati delle strade periferiche e nei cortili, le arterie principali sono pulite.
All’aperto la temperatura è intorno allo zero di giorno, di notte arriva a -5°.
A tarda sera mi spengo appesantito nel mio letto, i notiziari di mezzo mondo mostrano papa Bergoglio che è appena stato eletto dal conclave come nuovo pontefice della chiesa cattolica, nei tg locali è una notizia secondaria.
Ho un incubo.
A bordo di un taxi illegale ho uno scazzo con l’autista, una donna meschina che vuole fregarmi brutalmente sul pagamento concordato.
Mi parte l’embolo un po’ a forma di ellisse, alzo la voce, lei accosta l’auto al bordo della strada, scatta fuori e chiama a raccolta una manciata di tizi brutti e grossi, sono in canottiera, fa caldo, istantaneamente mi circondano con aria minacciosa e soffocante finché uno di loro mi punge al collo con una siringa estratta all’ultimo secondo.
Mi sveglio di soprassalto, non riesco più a riaddormentarmi.
Forse è il subconscio che mi avverte di non fidarmi troppo degli sconosciuti.
Forse è un segnale di papa Bergoglio.

A Kiev parlano dappertutto in russo.
Le insegne, la comunicazione ufficiale della fiera, gli interventi nei forum, quasi esclusivamente russo.
Si sta bene, c’è una vibra generale positiva, la città si è ripresa dal crack finanziario del 2008, vedo un sacco di nuovi cantieri, lavori e costruzioni ovunque, l’economia del cemento e dell’acciaio, degli appalti e dei contract sta tirando.
Ritorno a Kiev altre 4 o 5 volte nel corso del 2013 in occasione di viaggi che mi portano anche a Kharkov (letto Hàrkov), in ucraino Charkiv, città da quasi un milione e mezzo di abitanti a nord est, quasi 38 km dal confine con la Russia.
Visito più volte la bellissima Odessa, città da oltre un milione di abitanti sul Mar Nero, centro multi-etnico e culturale con una forte presenza ebrea che riverbera in tutti gli aspetti folkloristici della città, non ultima la cucina con l’onnipresente forshmàk, un paté di pesce spalmato su crostini di pane nero.
In un paio di occasioni attraverso la penisola della Crimea, regione a statuto speciale, indicata come repubblica indipendente di Crimea, a sud del paese.

Nella parte centro-orientale faccio incontri e tengo seminari a Dnipropetrovsk (centro industriale con importante presenza ebraica), nella sfavillante Donetsk, a Cherkasy, Zaporozhe e sul finire del 2013 vado a ovest a Ivano Frankovsk, Chernivcy e L’vov.

In tutti quei posti parlo in russo e la stragrande maggioranza delle persone che incontro si rivolge a me in russo.

Questa cosa mi incuriosisce.
Col passare dei mesi non riesco quasi mai ad ascoltare l’ucraino.
Qualche conversazione in sottofondo, una trasmissione radiofonica, un talk televisivo ma sempre in misura marginale.
Capita di sentire entrambe le lingue, russo e ucraino, utilizzate da interlocutori che dialogano in idiomi diversi con grande naturalezza.
Quando chiedo ai miei compagni di viaggio dov’è che si parla l’ucraino mi rispondono che tutti conoscono russo e ucraino e che quest’ultimo è utilizzato principalmente nelle regioni a ovest e nelle campagne.
Nei grossi centri è percepita come una lingua meno prestigiosa, una specie di dialetto.


È un tratto comune a molti paesi dell’ex unione sovietica.
In una zona estesa per oltre 20 milioni di km quadrati e al cui interno convivevano oltre 150 etnie, il russo tutt’ora rappresenta una sorta di super lingua che collega l’area che va dal mar baltico alla Korea e dall’artide al Turkmenistan.
Il russo è comunemente parlato da circa 280 milioni di persone e per oltre la metà di questi è la lingua nativa.
Non tutti parlano il russo volentieri; per molti ucraini, estoni, lettoni, lituani, kirghizi, kazaki, georgiani, uzbeki, tagiki è la lingua del potere, del colonizzatore che nel corso degli anni copre o ha ricoperto i posti chiave nelle amministrazioni, la lingua dell’etnia dominante anche dove è in netta minoranza.

L’ucraino è una lingua slava orientale, inizialmente sviluppatasi a partire dal nono secolo d.c.
Successivamente ha incorporato parole ed elementi del tedesco, del polacco e dello yiddish, soprattutto per gli aspetti legati al commercio e alle professioni.
La versione contemporanea è simile al russo anche nella variante dell’alfabeto cirillico, che è comunque diverso da quello russo e da quello di altre lingue slave.

Un russo e un ucraino che parlano nella propria lingua si capiscono senza problemi.

Alcune parole ed espressioni sono molto simili al russo, altre completamente diverse, anche a livello fonetico.
Riesco a leggerlo e a capirlo in contesti semplici.
Proibito in contesti formali all’interno dell’impero russo a partire dal 1804, è stato poi reintrodotto ufficialmente dopo la rivoluzione del 1917 per rimanere l’idioma principale a livello locale nella parte ucraina dell’urss, pur in condizione subalterna rispetto al russo che ha mantenuto la funzione di lingua principale nelle attività politiche, commerciali e scolastiche fino all’indipendenza dell’Ucraina nel 1991.

Allo stato attuale, circa tre quarti della popolazione considera l’ucraino la lingua principale, la restante parte è nella stragrande maggioranza russofona.

Se cerco di capirne di più, mi spiegano che tra russi e ucraini non c’è nessuna differenza: sono popoli fraterni, entrambi di etnia slava, non cambia niente.

Solo in un paio di occasioni, a L’vov e vicino a Ivano-Frankovsk, incontro delle persone che si rifiutano di parlare in russo, per altro in maniera piuttosto cortese ma ferma.
Preferiscono utilizzare un inglese stentato che esprimersi in quella che ritengono essere la lingua dell’unione sovietica.
Da linguista e venditore, abituato a comunicare e a cercare sempre una mediazione o un accordo, questa cosa mi colpisce.

Siamo ormai a dicembre e per la prima volta dall’inizio dell’anno vedo le bandiere dell’unione europea incrociate a quelle ucraine che sventolano dai tetti di alcune macchine per le strade.
Pochi giorni prima sono scoppiate delle proteste di piazza a Kiev dopo che il governo ucraino ha sospeso la firma di un accordo di associazione e di libero scambio con l’unione europea a favore della ripresa di relazioni economiche più strette con la Russia.

Sta per iniziare il movimento di protesta successivamente conosciuto come Euro Maidan.

2 commenti:

  1. Anonimo delle 12:42

    metto il link ad un intervento di un mio amico, anche lui grande conoscitore della realta'

    https://www.facebook.com/plugins/post.php?href=https%3A%2F%2Fwww.facebook.com%2Flucalvi%2Fposts%2F10224480476032152

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  2. Grazie del contributo Soulful Jules

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