lunedì, maggio 10, 2021

K-Pop



Riprendo un breve articolo dedicato al fenomeno del K-POP, che ho firnato ieri per "Libertà".

Il nome dei BTS non dice molto a chi non é particolarmente vicino a quanto succede nell'ambito musicale.
Eppure hanno venduto decine di milioni di album, sono stati il primo gruppo sud coreano ad arrivare in testa alle classifiche americane, hanno ricevuto dal governo del loro paese l'Ordine al Merito Culturale, sono stati, nel 2020, gli artisti che hanno venduto più dischi in tutto il mondo. Sono in sette, vengono dalla Corea del Sud, attivi dal 2013 e i maggiori esponenti del cosiddetto K- Pop (Korea Pop), emanazione del J-Pop (Japan Pop).

Un fenomeno di proporzioni vastissime, come abbiamo visto dai numeri testè elencati, che oltre al mercato dell'Estremo Oriente (200 milioni tra Corea del Sud e Giappone, senza contare quelli della Cina e dei paesi limitrofi) ha fatto breccia anche in Occidente.

La musica é standardizzata e concepita a tavolino: brani semplici, vicini all'immediatezza della musica dello spot pubblicitario, immagine del gruppo curata in modo ossessivo (rigorosamente “pulita”, senza macchia, super sponsorizzata), marketing capillare portato all'ennesima potenza.

In Italia (e nel mondo) ne arrivò un primo esempio qualche anno fa con il famoso “Gam Gam Style” di Psy.
Come sottolineato l'immagine é l'aspetto prevalente. Ragazzi e ragazze devono essere inappuntabili, vestiti bene, sorridenti, al massimo qualche simpatica “trasgressione” (capelli colorati, un orecchino), fisici perfetti, assolutamente senza fidanzate/i, disponibili, il più possibile uguali l'uno all'altro.
Sorta di manichini senza macchia o buchi neri, che devono seguire canoni estetici rigidissimi.
Donne eteree, con pelle bianchissima e occhi grandi che evidenzino il meno possibile la forma “a mandorla”.
Non a caso un terzo delle donne coreane più giovani si sottopone a chirurgia estetica.
Uomini atletici, non bellissimi ma carini e dall'aspetto rassicurante.

Per arrivare al successo passano selezioni durissime, contest spietati, creati da case discografiche e agenzie di modelle e modelli per diventare, alla fine, degli “Idol” ovvero delle star, che da un giorno all'altro saranno le facce più amate e seguite da milioni di coetanei.
Il profitto creato dal fenomeno ha anche (ovviamente) mosso l'interesse della malavita che non di rado manovra l'ambiente, rendendolo ancora più feroce e disumano.
I gruppi e gli artisti (sempre giovanissimi, spesso minorenni) vengono sottoposti ad attività massacranti, tra concerti, apparizioni televisive e radiofoniche, interviste, registrazioni, servizi fotografici.
Si parla di miliardi dollari e il tempo é denaro, ogni minuto ha un costo e relativo profitto.
Più si lavora, più si guadagna.
Sostanzialmente carne da macello, costretta a lavorare fino a 20 ore al giorno.
Un'attività apparentemente piacevole e appagante ma che, relazionata a ragazzi e ragazze giovanissimi, comporta molto spesso vere e proprie devastazioni psicologiche.
Soprattutto quando, crescendo, non rappresentano più l'immagine adolescenziale e vengono affossati nel dimenticatoio. La pressione esercitata su persone in età in cui le difese psicologiche sono ancora molto labili ha causato una serie impressionante di suicidi tra artisti anche molto famosi, incapaci di gestire successi e insuccessi. E, in una concatenazione drammatica e inquietante, molti fan hanno deciso di immolarsi per il dolore della perdita del loro idolo.
Non di rado interviene un altrettanto spietato cyberbullismo che tormenta coloro che non riescono a soddisfare le esigenze dei fan.
Il giornalista giornalista esperto di K-pop Lee Hark-joon ha drammaticamente esemplificato la questione:
“Fin da piccoli vivono una vita meccanica, passando attraverso un regime di allenamento molto duro.
Solo raramente hanno la possibilità di sviluppare una vita scolastica regolare o una normale relazione con i propri coetanei.
La loro caduta può essere improvvisa, al pari dell’ascesa verso la fama”.


Una realtà lontana e incomprensibile ma che, non di rado, ha trovato tristi corrispettivi anche da noi, con artisti sfruttati per breve tempo, in cambio di una manciata di popolarità e ben presto dimenticati.

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