A cura di ALBERTO GALLETTI
27-01-2015
Settant’anni oggi da quel 27 gennaio 1945, giorno in cui l’Armata Rossa varcò i cancelli di Auschwitz.
Vorrei ricordare, questo (triste) anniversario ancora con una storia legata al calcio, il protagonista di oggi è Erno Erbstein, artefice quasi sconosciuto del grande Torino.
Nato a Nagyvaradi, allora Ungheria oggi Oradea,Romania Erno Erbstein, ebreo, si trasferisce a Budapest dove intraprende la carriera di studente e coltiva la sua passione per il gioco del calcio. Si iscrive al Budapest Atletikai Klub (BAK) dove ben presto trova posto nella squadra della sezione calcio come centrocampista, nonostante l’interesse del grande e glorioso MTK e i forti legami tra questi e il BAK, entrambi club a forte identità ebrea, il giovane Erno rimane a fare parte della più modesta società atletica.
Una formazione del Budapest A.K. anni ‘10
Classe 1898 (cent’anni di differenza con mio figlio!) viene arruolato nell’esercito Austro-Ungarico, dove combatte sul fronte italiano dal 1916 prima sergente, poi sottottentente.
Tornato vivo dal fronte insieme ai compagni d’armi è parte di un’insurrezione armata che occupa la posta centrale di Budapest; sulle barricate della capitale magiara da' dimostrazione delle sue doti di leader.
Tornato alla vita civile riprende col calcio al BAK e trova impiego come agente di cambio, frequenta i circoli calcistici nei caffè di Budapest dove i migliori allenatori della scuola danubiana, discutono dell’evoluzione delle tattiche calcistiche, la sua grande passione. La crescente paranoia anti-semita che pervase Budapest a partire dal 1920, unita agli scarsi progressi come giocatore e alla promozione del BAK alla serie A sfuggita di un soffio fanno si che Erno, ora in compagnia di Jolena, sua fidanzata, accetti la prima vera offerta professionistica che gli sia mai pervenuta: l’Olimpia Fiume gli offre un contratto per la stagione 1924-25, un anno vissuto tumultuosamente nella città adriatica appena annessa all’Italia fascista, così fortemente legata alla propaganda fascista e al suo regime che ne fece un simbolo del proprio potere, prestigio e funzionalità, ma allo stesso tempo così ancora decisamente austro-ungarica in quanto città libera all’interno della grande Ungheria fino a pochi anni prima. La stagione si conclude con la sconfitta dell’Olimpia negli spareggi promozione, dove Erno sbaglia il rigore decisivo contro il Vicenza ma trova ingaggio presso i biancorossi guidati dal connazionale Janòs Beky.
Nel 1927 si imbarca per una torunee negli USA con il Maccabi Budapest, squadra che ricalcò i fasti dell’Hakoah Wien che girò il nord-America due anni prima, si impiega come agente di cambio occupazione che mantiene per due anni fino al crollo di Wall Street del 1929 e gioca per i Brooklyn Wanderers, quell’anno tra mille difficoltà Erbstein fa rientro a Budapest.
Di ritorno in patria Erno concentra tutti i suoi sforzi sulle tematiche calcistiche, varianti ed evoluzioni tattiche da mettere in pratica una volta ottenuto un ingaggio.
Tradizionalmente la scuola danubiana fu influenzata dal passing game scozzese, molto diverso dal più diretto approccio inglese fatto di dribbling, kick & rush, questo spiega la grande considerazione per i maestri ungheresi nel nostro paese dove si praticava una brutta copia con risvolti banditeschi del gioco inglese. Erno (come parecchi della sua generazione) fu grandemente impressionato dalle grandissime batoste dispensate dai Glasgow Rangers nel loro tour a Budapest negli anni 10, e fu lesto ad imparare la lezione.
Nel frattempo qualcuno in Italia si ricordò di lui il Bari gli offre un ingaggio per la stagione 1928/29, passa quindi alla Nocerina e poi al Cagliari con il quale ottiene la promozione alla serie B.
Ritorna a Bari per una stagione e poi si trasferisce a Lucca, Serie C, dove nel giro di tre stagioni porta la Lucchese in Serie A e ad un onorevole 7° posto finale.
In piedi tra i suoi ragazzi alla Lucchese
Nel frattempo, siamo nel 1938, il disgraziato regime fascista sempre più schiavo della propria inettitudine e dell’alleato nazista, ha inasprito le restrizioni per i cittadini di origine ebraica fino alla promulgazione delle infami leggi razziali.
Per Erno, sposato e con due figlie non è più possibile continuare una vita pubblica normale in una piccola città di provincia, anche le ragazze non possono più essere iscritte alla scuola pubblica.
Gli viene in soccorso il Commendator Ferruccio Novo, presidente del Torino, al quale non era sfuggita la grande capacità di Erno, gli offre un ingaggio, nonché protezione per lui e per la famiglia.
Il Torino chiude il campionato 1938/39 al secondo posto dietro al Bologna, ma l’ottimo risultato ottenuto finalmente alla guida di una grande squadra non riesce ad arginare la crescente preoccupazione di Erbstein per il precipitare della situazione italiana, decide così di fare rientro a Budapest, aiutati da Novo al termine di un viaggio avventuroso e dopo aver trovato riparo prima in Olanda da dove scappano quasi subito causa il procedere sistematico dei rastrellamenti (che risulteranno tragicamente fatali ad Arpad Weisz) la famiglia fa rientro nella capitale ungherese da dove Erno continuerà a collaborare con la dirigenza granata.
Novo gli ha offerto un lavoro come rappresentante della propria ditta tessile a Budapest, i due riescono anche a incontrarsi di nascosto per tracciare le loro strategie calcistiche, in una di queste occasioni Erbstein caldeggia, dopo che Novo gli chiese un parere, l’ingaggio dei due campioni del Venezia: Loik e Valentino Mazzola.
Le cose precipitano quando l’Ungheria viene invasa dai nazisti nel marzo 1944 e il governo fantoccio da questi instaurato comincia a collaborare allo sterminio degli ebrei ungheresi pianificato dai demoniaci gerarchi hitleriani.
Nel breve volgere di due mesi le SS riescono a ghettizzare l’intera popolazione ebraica dell’Ungheria e avviano il processo di deportazione che vede oltre 400.000 persone donne, uomini e bambini spediti su 150 treni verso la morte nei campi di concentramento in Polonia, all’apice di questo delirio di insana malvagità, 12000 ebrei ungheresi vengono tradotti ad Auschwitz ogni giorno. Le loro vite sono ormai disperate, le SS arrivano a Budapest ultima tappa del loro programma di annientamento, ma il destino viene loro incontro sotto le sembianze dell’insegnante di danza delle figlie, donna molto rispettata e conoscente del nunzio papale a Budapest.
Grazie a questa conoscenza le tre donne trovano impiego in una fabbrica di uniformi militari all’interno di un convento cattolico, situato sulle colline di Buda che, in quanto enclave vaticana gode di una teorica neutralità.
Il direttore della fabbrica, d’accordo con padre Pal Klinda rettore del convento, organizza un piano di rifugio per salvare quanti più possibili ebrei dalla persecuzione nazista. Dopo aver messo in salvo la famiglia, Erno realizza che l’unica possibilità di scampare è quella di costituirsi in un campo da lavoro e scampare la deportazione in attesa dell’arrivo dell’armata rossa.
Rastrellamenti a Budapest nel 44
Resiste grazie alla sua forte struttura atletica, i guardiani del campo, ungheresi, lo assegnano ad una squadra di posatori di rotaie. Un giorno mentre era in inquadramento gli si para davanti un uomo dalle sembianze note, non riusciva a crederci, era il suo attendente durante la prima guerra mondiale, ora caporale all’interno del campo, non si vedevano dal 1919.
Nel corso delle settimane successive i due riallacciarono un rapporto di amicizia e il caporale tolse più di una volta Erno dalla squadra lavoro, e riuscì anche a metterlo in comunicazione con la famiglia riuscendo a scortarlo, con varie scuse, fino a un telefono pubblico.
A dicembre di quel tremendo 1944 Erno decise che era tempo di scappare dal campo di prigionia, l’Armata Rossa era alle porte di Budapest, i comandanti del campo avevano sospeso le loro attività e cominciavano a condurre i prigionieri entro i confini tedeschi. Con l’aiuto dell’amico caporale,e forse con lui, riuscì a fuggire dal campo, nel gruppetto di cinque c’era anche Bela Guttman. Si rifugiò a Pecs a casa della cognata dove era nel frattempo riparata la famiglia da Budapest, fornita di nuovi falsi documenti, dopo le persecuzione delle croci frecciate di Niylas.
Rimase per mesi nascosto nel sottotetto per non insospettire i vicini, ma quando questi ultimi avvisarono che Niylas avrebbe setacciato la casa, la figlia Susanna, armata di grande coraggio, vestì i panni da infermiera e grazie ai suoi documenti di volontaria della croce rossa riusci a riportare il padre, fintosi ferito in guerra, a Budapest ormai assediata e sconvolta dalle rappresaglie rifugiandolo al consolato svedese, dove l’ambasciatore Raoul Wallenberg, si prodigava instancabilmente per salvare quante più vite possibili.
Rimase qui fino all’inizio dell’occupazione sovietica, quando (non si sa come) si ripresentò a Pecsi a casa della cognata.
A conflitto terminato Novo riuscì a farlo rintracciare e la famiglia Erbstein fece ritorno a Torino nel 1946. Erno cui il nome era stato nel frattempo cambiato in Egri dalle nuove autorità filocomuniste in patria nel tentativo di ungheresizzare l’ungheresizzabile e in ogni caso di de-giudeizzare il più possibile l’anagrafe, riprese la carica di consulente del presidente, ma nel ’47 divenne direttore tecnico dello squadrone granata.
La stupidità italica senza confine lo costrinse quell’anno a difendersi pubblicamente dall’accusa mossagli da alcuni di essere una spia sovietica e di aver palesemente sfavorito gli azzurri in una gara contro l’Ungheria di quell’anno: ne usci pulito a testa alta.
La squadra che aveva impostato otto anni prima al momento della sua fuga dall ’Italia era ora campione in carica, aveva vinto gli ultimi due scudetti.
Erbstein era convinto dopo tutti i suoi studi che potessero ancora migliorare e non sbagliava. Cominciò un lavoro di miglioramento della tecnica, della parte atletica e mentale, adottò appieno il sistema inglese adattandolo ai propri campioni, l’assiduo lavoro diede i suoi frutti, i successivi tre campionati furono per il Torino una corsa a sè, distacchi abissali in classifica e batoste dispensate un po’ ovunque in giro per l’Italia e uno stile di gioco che a detta di chi li vide, si vedrà ripetuto solo dagli Olandesi negli anni 70.
Erbstein era duttile, uomo di grande comunicativa e dai modi gentili ed educati, riusciva ad essere incredibilmente persuasivo, aveva occhio per i talenti e riusciva a scoprirli un po dappertutto sapeva essere disponibile al dialogo coi giocatori durante la settimana e deciso, determinato ed esigente con loro il giorno della partita, sapeva caricarli negli spogliatoi, lui stesso era stato un condottiero in campo e aveva avuto in gioventù più di un problema in patria dovuto alla durezza del suo gioco ma amava la manovra e l’uso del campo.
Credeva fermamente nel collettivo ma incoraggiava l’espressione del talento personale, riuscì a far capire ai suoi campioni quali erano i limiti (ampi) entro i quali potevano liberare il loro talento.
Nominato allenatore condusse la squadra a due trionfi consecutivi nei campionati 46/47 e 47/48.
Verso il volgere della stagione 1948/49 con il quinto scudetto consecutivo già praticamente cucito sulle maglie, Novo acconsentì alla richiesta del capitano Valentino Mazzola di portare la squadra a Lisbona per giocare l’amichevole d’addio del capitano del Benfica, Francisco Ferreira, grande amico del capitano granata.
La partita si giocò il 3 maggio 1949 in uno stadio gremito da oltre 40mila spettatori e vide il Torino sconfitto dalla compagine di casa per 4-3.
L’ultima partita: Lisbona 3 maggio 1949, Erbstein è il primo in piedi da destra.
L’indomani l’aereo che riportava a casa la squadra andò a sbattere contro il terrapieno della basilica di Superga mentre si apprestava a compiere l’atterraggio allo scalo torinese in condizioni metereologiche impossibili e una visibilità di soli 40 metri, in uno schianto orrendo che lasciò un intera nazione sgomenta.
Non ci furono superstiti, 27 componenti della spedizione granata e 4 membri dell’equipaggio. Tra loro Egri Erbstein, fiero ebreo ungherese, giramondo del calcio, scampato alle persecuzioni razziali del regime fascista e poi rocambolescamente all’olocausto perpetrato dai nazisti ai danni del suo popolo, ma non al suo destino.
Buona giornata, non dimentichiamo.
martedì, gennaio 27, 2015
Giornata della memoria - Erno Erbstein
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Giornata della memoria
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Bellissimo post !
RispondiEliminaBravo Albe!
RispondiEliminaRespect
C
Storie incredibili, da restare senza fiato
RispondiEliminaQuesto commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
RispondiEliminaammazza chebbrutto
Eliminama il grindcore non era ieri?
La cosa che mi fa ben sperare nel leggere la storia è il notare come molte persone, in silenzio, clandestinamente e senza clamori, si siano adoperate per aiutare i perseguitati della barbarie nazista. Bella storia quella raccontata oggi, da mandare a memoria e tramandare.
RispondiEliminaCharlie
..Albe..come al solito grande storia, commovente e fatale...per ricordare sempre e comunque....
RispondiEliminaClodoaldo
Per quanto riguarda oggi ricordiamo, con compostezza e dignità possibilmente.
Eliminasperiamo compostezza...la dignità mi pare il minimo...è talmente grande la disumanità della cosa che essere dignitosi è necessario...
EliminaClodoaldo
Doti fondamentali per l'esistenza umana.
EliminaPer le altre vicende caro Clodoaldo devo dire che scrivendo sei quello che mi è venuto in mente di più.
RispondiEliminaNomi, squadre, persone e campionati a te cari da sempre. Conservo sempre la sciarpa del grande MTK che mi riportasti da un tuo viaggio a Budapest, forse il primo.
...Sì ..squadre a me care...lo sai che quando il toro gioca con la benamata spero sempre vicna chi più ha bisogno!...non sono granata fino in fondo per colpa di mio zio " il Renso detto Herera ad Sarmat"!!...e la MTK è per me il massimo dell'Ungheria ..retaggio del libro i ragazzi della via Paal!!...la sciarpa è del primo viaggio con "Jean Canasta"...sono contento che tu la conservi anche se il materiale era di scarsa qualità..ma almeno originale e non posticcia
EliminaQuindi non ti sarà proprio dispiaciuto domenica....
Elimina..aparte che non ho visto nulla...comunque no...quando la squadraccia fa così schifo...spero sempre che almeno l'altra si salvi ( altro per ora non può sperare) ...quindi nessun dolore!!! ahahahah!!!!
EliminaClodoaldo
Ho scoperto un fatto, leggendo fonti inglesi per questo post: nel 1948 Les Livesley che era il coach di Erbstein aveva portato la De Martino granata in Inghilterra per una serie di confronti con le migliori squadre giovanili britanniche.
RispondiEliminaAl rientro il volo atterrò a Torino ma l'aereo ruppe i freni e fermò la sua corsa quando una ala centrò un hangar e lo fece arrestare e girare violentemente. Parecchi passeggeri, incluso Livesley furono sbalzati fuori dall'aereo ma miracolosamente nessuno si fece male seriamente.
Sinistro presagio premonitore.
Nell'ultima foto è il primo a sinistra in piedi vicino a Castigliano.
EliminaQuesto commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
EliminaUna grande storia davvero...
RispondiEliminain quel '44 anche mio nonno era a posare traversine ferroviarie per i nazisti...
Mio nonno per sfuggire ai reastrellamenti (era scappato da un campo di prigionia), rimase una settimana 'sepolto' nella letamaia, respirava con una canna di bambù.
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