giovedì, agosto 28, 2025

Intervista a Eddie Piller

Riprendo l'intervista che ho fatto a EDDIE PILLER, pubblicata lo scorso sabato nelle pagine dell'inserto "Alias" de "Il manifesto".

La recente ristampa della compilation con il meglio della tua Countdown Records e diverse altre raccolte legate al "suono mod" testimoniano che c'è sempre interesse per questo settore. Cosa pensi della cultura mod nel 2025?
Si è rinnovata o rimane ancorata al revival e alle radici?

Ho lavorato a un film con il regista Nico Beyer, in cui esamino tutti gli aspetti della scena mod. Il passato, il futuro e il presente. L'unica cosa che ho notato è che il mod non sta andando da nessuna parte. Hai parlato della ristampa dell'album “Countdown” che è stato ripubblicato nel suo quarantesimo anniversario ma si possono trovare ottimi esempi di musica mod se si torna indietro di altri trent'anni.
Il Mod esiste dal 1957, in Gran Bretagna e in molti paesi internazionali. Si pensa che la cultura mod sia una cosa esclusivamente britannica ma non lo è, assolutamente. I raduni Mod si sono estesi in Thailandia, Giappone, Messico, Israele, Brasile, Indonesia e America.

Gli anni Sessanta sono stati ormai esplorati in ogni angolo remoto. Pensi che ci sia ancora qualcosa da scoprire?
Certo, si stanno scoprendo ancora fantastici dischi soul che hanno significato molto per la gente all'epoca ma che non sono ancora stati ascoltati. Ci sono letteralmente milioni di dischi soul e rhythm and blues da scoprire.
E non c'è abbastanza tempo per ascoltarli tutti. Ma non è solo soul, è jazz, British Beat, rocksteady, ska, garage, freakbeat, brasiliano, latin sound, Batacada. C'è sempre di più.

Conosci Paul Weller fin dagli inizi. È sempre stato l'emblema del "Mod perfetto", sempre alla ricerca del Nuovo. Pensi che abbia concluso il suo percorso (vedi il nuovo album che sarà di cover) o pensi che possa ancora riservarci delle sorprese?
Paul Weller ha già fatto un album di cover in precedenza, “Studio 150”, quindi non considero questo nuovo lavoro di rifacimenti come la fine di niente. Penso che Paul sia più fresco e frizzante da quando l'ho conosciuto. Il fatto è che senza di lui io non sarei qui e nemmeno tu.
Non so cosa sia, come abbia fatto Weller, in modo che centinaia di migliaia di persone lo seguano, sia che si tratti di stile, moda, musica, attitudine e vita. Ma sono molto felice che lo abbia fatto perché da solo ha ricostituito la scena mod per noi. Davvero contento che lo abbia fatto.

Chi è il pubblico che viene ad ascoltare e ballare i vostri DJ set? Giovani, meno giovani, persone della "scena" o anche solo curiosi?
Un buon esempio dello stato delle cose sono le feste Modcast. Abbiamo mod settantenni che frequentavano club storici come “Marquee” e “Flamingo” a Londra nei primi anni Sessanta, altri che seguivano i primi gruppi del “mod revival” alla fine degli anni Settanta, altri che risalgono all'esplosione del Brit Pop a metà degli anni Novanta, fan di Oasis e Blur e altri giovani che si stanno avvicinando al soul. Puoi immaginare che abbiamo una “chiesa” molto ampia e che stiamo per invadere l'Europa.

L'Acid Jazz Records compie 40 anni. Come è nata l'idea dell'etichetta? C'erano già band che avevano quel sound o è stata l'etichetta a creare un genere unico?
Cercavo qualcosa da fare dopo aver gestito le etichette Re-Elect The President e Countdown. Ero diventato sempre più entusiasta del jazz e avevo iniziato a pubblicare cose come i Jazz Renegades e il James Taylor Quartet.
Nello stesso periodo, a Londra, c'era una scena jazz underground (parlo del 1985) con artisti come Paul Murphy, Chris Bangs e Gilles Peterson. Era una scena molto piccola e le persone si conoscevano molto bene.
Poi, quasi da un giorno all'altro, nel 1986/87, la gente scoprì l'ecstasy e fu a Ibiza che partecipai alla vacanza allo Special Branch Club di Nicky Holloway, con Pete Tong, Paul Oakenfold, Danny Rampling e gente come quella, con cui scoprivo questo nuovo sound che incominciavano a proporre alcuni Dj. La chiamavano Acid House.
La riportammo a Londra e divenne di grande successo ma dopo un po' per me quella musica è diventata noiosa. Dopo sei mesi di Acid House volevamo di più, così io e Gilles Peterson abbiamo unito la nostra passione per il jazz, a cui abbiamo cercato di dare un nuovo senso, abbiamo miscelato il tutto e l'abbiamo chiamato Acid Jazz. Quello che è successo è stato straordinario. Galliano, A Man Called Adam, Brand New Heavies, Mother Earth, Jamiroquai furono messi tutti sotto contratto il primo anno. Gilles è rimasto con me otto mesi e poi ha creato una sua etichetta, la Talking Loud, diventando il mio principale concorrente. Il resto è storia.

Ci devono essere un sacco di momenti salienti e aneddoti da gestore e DJ dell'Acid jazz Records
Certo che ci sono! Cose come fare il DJ per Paul e Linda McCartney a casa loro o farlo per il quarantesimo compleanno di Sylvester Stallone. Ero diventato un esperto delle feste di compleanno! Puoi aggiungere anche Pelé, Paul Weller e Ray Charles, tra gli altri.
Ma il mio ricordo migliore dell'Acid Jazz è riscoprire il cantante soul Terry Callier e convincerlo a uscire dal pensionamento, perché si nascondeva a Chicago e non voleva più essere trovato.
Ci sono voluti quattro mesi per convincerlo ma sono felice di averlo fatto perché poi Terry è tornato in scena e ha avuto una seconda fantastica carriera, vincendo perfino un Mercury Prize.
Era un uomo così magico e spirituale.

Il tuo libro, Clean living under difficult circumstances molto interessante e coinvolgente e ha avuto molto successo. Dovremmo aspettarci un secondo capitolo?
Al momento ne sto parlando con gli editori.
L'eventuale secondo capitolo si focalizzerà molto di più sull'attività della Acid Jazz e della serata che facevo negli anni Novanta a Londra, The Bue Note oltre a tutte le prove e tribolazioni che deve subire un mod in affari

La domanda è banale e ovvia, ma sarebbe bello sapere quali dischi porteresti sulla famosa "isola deserta". E perché?
“Think I'm Falling In Love” di Leroy Houston è semplicemente il disco soul più dolce mai realizzato da un artista, pressoché totalmente ignorato.
“I Think I'll Call It Morning From Now On” di Gil Scott Heron. Non c'è niente di meglio di quello che ha fatto Gil in questo album (“Pieces Of A man” del 1971) . Alcuni dei migliori musicisti jazz del mondo, combinati con la sua gloriosa voce, rendono questo disco semplicemente incredibile.
“Tin Soldier” degli Small Faces. C'è qualcosa di speciale nel modo in cui Steve Marriott canta questa incredibile canzone. E' innamorato e in realtà è un inno dedicato alla sua fidanzata di allora, che poi diventerà sua moglie, Jenny Rylance, per lasciare Rod Stewart e uscire invece con lui. Ha funzionato.

Con "Extraordinary Sensations" eri direttamente coinvolto nel mondo delle fanzine. Ho sempre pensato che fossero una palestra per chi sarebbe poi diventato giornalista, scrittore, grafico, fotografo. Credi anche tu nell'importanza delle fanzine, oltre al fatto che fornivano informazioni completamente diverse dalle pubblicazioni ufficiali?
Certo, le fanzine erano importanti perché coprivano argomenti che nessuna pubblicazione ufficiale avrebbe mai trattato. Erano scritte dai ragazzi per i ragazzi e non contenevano quindi nessuna di quella merda che troviamo sulla stampa ufficiale. Ho scritto un libro, pubblicato da Omnibus, intitolato “Modzines” che esamina la cultura delle fanzine in modo più dettagliato.
Nel Regno Unito c'erano migliaia di fanzines solo nel mondo mod, senza parlare di Italia, Spagna, Francia, Europa, America. La lista è infinita. Oggi non si vedono più perché la lro funzione è affidata ai blog su internet.

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