Il nostro inviato a Dublino MICHELE SAVINI rinnova il suo impegno annuale con Meglio del Rock Irlandese 2025.
Eccoci finalmente arrivati all’attesissimo appuntamento con “Il Meglio del Rock Irlandese”, la mia personale selezione delle migliori uscite discografiche dell’anno che sta per concludersi.
Un compito che si rivela ogni volta più impegnativo del previsto, data la quantità e la qualità impressionanti della musica che l’Isola di Smeraldo continua a produrre anno dopo anno: un mosaico variegato in cui nomi consolidati si affiancano a nuove voci emergenti, dando vita a un fermento creativo che sembra non conoscere sosta.
Tra i graditi ritorni di Adore e Savage Hearts, entrambi con i loro primi EP, passando per il veterano del punk irlandese Pete Holidai, fino alle conferme di Fizzy Orange e degli straordinari Number Ones, senza dimenticare le nuove scoperte come l’art-rock di Skinner o il caos sonoro dei Peer Pleasure. Nessuna classifica o ordine di importanza: la seguente lista rappresenta uno spaccato sincero di ciò che la Repubblica d’Irlanda ha saputo offrire musicalmente negli ultimi dodici mesi.
Dopo ogni recensione trovate un link al video della mia traccia preferita e alla pagina Bandcamp dell’artista per acquistare la versione fisica del disco, oltre alla consueta playlist Spotify qui di seguito: https://open.spotify.com/playlist/6ebZdJJvQkSrQsegzvLK7u
Come ogni anno, ricordate che: “Se il vostro album preferito non è incluso nella seguente selezione, probabilmente è perché non capisco un cazzo di musica” (cit.).
Buona lettura e, soprattutto, buon ascolto!
Adore – BITER
Il trio garage-punk irlandese degli Adore pubblica finalmente il suo primo EP, prodotto da Daniel Fox (Gilla Band), tramite l’etichetta inglese Big Scary Monsters (la stessa delle Lambrini Girls). BITER è un lavoro composto da sette tracce che ringhiano, sputano e si abbattono sul nostro bisogno di conformarci e sul tumulto interiore che ne deriva. Una furia che corre senza sosta, accompagnata da chitarre graffianti e da una batteria incalzante che trascinano ogni brano.
Con riff taglienti e ritmi serrati, gli Adore richiamano l’immediatezza di band come Elastica, The Breeders e Amyl and The Sniffers, fondendo il punk-pop anni ’90 e garage contemporaneo in un EP irresistibile.
“Fragile”, il pezzo d’apertura, smentisce il titolo con una batteria frenetica e una chitarra garage ruvida che, intrecciandosi, creano un impatto abrasivo e febbrile. La voce, leggermente distorta, aggiunge intensità a un brano che evoca il bisogno di cambiamento e la voglia di liberarsi da ogni costrizione. “Show Me Your Teeth” corre con impeto vertiginoso, con la voce di Lara Minchin che danza sul brano, accompagnata da un’energia contagiosa e irresistibile, proprio come in “Hello Darling”, uno degli altri momenti più riusciti dell’intero lavoro.
Una piccola brusca inversione arriva con “Papercutnight”, breve e riflessiva, dal ritmo misurato, prima di lanciarci nel caos selvaggio della traccia finale, “Sweet Keith”, in cui la voce stratificata crea una sensazione di unità deliziosa prima di esplodere a tutta potenza nel finale, con un feedback stridente perfetto per la chiusura del disco.
BITER regala un’esperienza d’ascolto esaltante, carica di irriverenza, che lo rende una delle uscite discografiche più interessanti dell’anno.
La versione in vinile include anche il singolo “Supermum”, pubblicato lo scorso anno, e lo potete trovare al seguente link:
Bandcamp : https://adore4.bandcamp.com/album/biter
Adore – Fragile : https://www.youtube.com/watch?v=Dx6Hv5Dpu3Y&list=RDDx6Hv5Dpu3Y&start_radio=1
The Savage Hearts – Radio Silence
Nome già noto ai lettori di questo blog, i Savage Hearts, provenienti dalla piccola cittadina di Cavan, sono il nuovo progetto dell’ex batterista dei The Strypes, Evan Walsh, e senza dubbio la mia band preferita del momento. Evan, tornato dietro la batteria, è accompagnato da Darragh Muldoon (voce e chitarra), Stef Byrne (basso) e Eugenio Continasi, polistrumentista friulano trapiantato a Cavan, che aggiunge sax, trombone, tastiere ed effetti speciali vari.
Fresco di pubblicazione, il loro primo EP “Radio Silence” è una miscela esplosiva di garage, blues e rock’n’roll, animata da lampi di soul dal chiaro stampo Stax e da liriche introspettive che aggiungono un tocco di enigmatica psichedelia.
La traccia d’apertura, che dà il titolo all’EP, è il miglior biglietto da visita: “Radio Silence” fonde l’energia cruda del garage e del proto-punk anni ’60, sulle orme di Sonics, Captain Beefheart e i Deviants, con ritmi e atmosfere ispirati al cow-punk degli anni ’80/’90, impreziosita dai fiati che le conferiscono un groove irresistibile.
“This Time Tomorrow” si muove su trame sonore che mescolano l’energia grezza dei primi Dexys Midnight Runners, il groove R&B dei The Spencer Davis Group e vibranti influenze rock’n’roll, il tutto arricchito da un sottile strato di Memphis soul: un pezzo che cattura subito grazie alla ritmica e al sax pulsante.
Ruvido ed esplosivo anche il lato B, con la travolgente “Dead Man's Lottery”, un vorticoso brano garage rock guidato da una chitarra febbrile, perfetto per sfrecciare attraverso il deserto di Joshua Tree in sella a un chopper, con i capelli al vento (per chi conserva ancora il privilegio di averne qualcuno), e “20 Million Miles to Earth”, una scarica di pura potenza in cui è impossibile capire cosa travolga di più: il basso che ribolle, la chitarra che incendia l’aria o la batteria di Evan, che fa da collante a 4 minuti e 34 secondi di brutale adrenalina. I The Savage Hearts sono la band di cui non sapevate di avere bisogno, ma dopo l’ascolto di questo EP non potrete più farne a meno.
La versione fisica del disco pubblicata dall’etichetta indipendente Blowtorch Record lo trovate al seguente link: https://blowtorchrecords.bandcamp.com/album/radio-silence
The Savage Hearts – Radio Silence VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=FbeLckcL5Po
Kneecap – The Recap / Sayōnara / No Comment
Se qualcuno pensava che le vicende giudiziarie potessero tenere lontani i Kneecap dallo studio di registrazione e impedirgli di fare ciò che sanno fare meglio, ovvero macinare beat e provocazioni, si sbagliava di grosso. L’irriverente trio rap di Belfast, vero e proprio manifesto di resistenza culturale e sulla bocca di tutti negli ultimi mesi per via dei vari processi giudiziari, pubblica tre singoli, un 33 e un 45 giri, in cui si immergono musicalmente in sonorità Dance e Rave, mantenendo però intatto il loro marchio di fabbrica, fatto di hip hop tagliente e provocatorio.
Frutto della produzione con il produttore britannico Mozey, “THE RECAP” è una furiosa esplosione sonora, con un drum & bass pesante e frenetico unito a elementi di post punk, dove il trio di Belfast “dissa” neanche troppo velatamente Kemi Badenoch, la politica conservatrice che lo scorso anno aveva tentato di bloccare i fondi destinati alla band (smentita poi in tribunale). Si passa da un “Non sei la Iron Lady … Maggie dorme ancora nella sua tomba” ad un più diretto “Belfast e Derry gridano: FUCK BADENOCH”, il tutto accompagnato e reso potentissimo dalla furia beat che sostiene ogni sillaba. Sul lato B del disco troviamo un altro assalto sonoro devastante: “Sayōnara”, in cui i tre rapper si avvalgono della collaborazione di Paul Hartnoll, del leggendario duo degli Orbital, pionieri della musica elettronica anni ’90, che regalano ai rapper un beat ipnotico accompagnato da synth avvolgenti, capace di trascinare l’ascoltatore nel cuore pulsante di un rave.
Bellissimo anche il video, diretto da Finn Keenan e interpretato dall’attrice nordirlandese Jamie-Lee O'Donnell, che molti di voi ricorderanno nei panni di Michelle Mallon nella serie Derry Girls.
Ultimo dei brani ad essere pubblicato quest’anno, il singolo “No Comment” affronta le recenti accuse di terrorismo mosse dal governo britannico contro Mo Chara (caso successivamente archiviato lo scorso settembre) e presenta una copertina firmata da Banksy.
La cover riprende l’opera “Royal Courts Of Justice”, un murale realizzato sulla facciata esterna del tribunale di Londra e successivamente coperto, che raffigura un giudice mentre aggredisce violentemente un manifestante. Banksy non è solito concedere l’utilizzo delle sue opere tanto facilmente, e l’autorizzazione per la copertina dei Kneecap è quindi un caso più unico che raro.
I più informati sapranno che il writer di Bristol si avvale di un team legale chiamato Pest Control (composto non solo da avvocati, ma anche da galleristi, curatori e dealer d’arte), che funge da servizio ufficiale di autenticazione delle sue opere e si assicura che esse non siano utilizzate senza il suo consenso.
La frenetica canzone di due minuti è prodotta dal britannico Sub Focus, alias Nicolaas Douwma, che in passato ha lavorato con Prodigy, Dizzee Rascal e Deadmau5 ed è noto per il suo suono dominato dai bassi pesanti, elemento che si conferma anche in questa traccia.BR> “No Comment parla essenzialmente dell’essere perseguitati dallo Stato britannico. Semplice”, ha spiegato il trio hip-hop di Belfast. “Noi irlandesi ci siamo abituati, succede da secoli.”
Il ritornello della canzone, in cui Mo Chara viene definito un “air bubble bandit” (il bandito della bolla d’aria), racchiude perfettamente questo concetto, con l’ironia e la provocazione che contraddistingue i Kneecap.
Dimenticate la nostalgica estate Britpop che ha travolto mezzo mondo: a Belfast il suono che pulsa nella testa dei giovani è sì quello degli anni ’90, ma proviene dalla scena rave di Prodigy, Orbital e Faithless, di cui i Kneecap sembrano essere i naturali successori.
Lunga vita ai banditi della bolla d’aria.
Kneecap and Paul Hartnoll – Sayōnara VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=fLt03BAQG0M&list=RDfLt03BAQG0M&start_radio=1
Skinner – New Wave Vaudeville
Skinner è il progetto del polistrumentista, cantante e produttore di Dublino Aaron Corcoran, ispirato dalla scena no-wave di New York tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80. Nel suo album di debutto, “New Wave Vaudeville”, Corcoran attinge a influenze di artisti come The B-52s, The Rapture e persino i Pixies, rivisitandole in una personale e originalissima chiave art-rock tutta irlandese.
Il titolo dell’album fa riferimento alla serata “New Wave Vaudeville”, uno degli eventi simbolo del Club 57, storico spazio artistico situato nel cuore del Lower East Side di New York, attivo nel decennio a cavallo tra gli anni ’70 e ’80. Il club era noto per la sua atmosfera sperimentale e alternativa, un luogo dove artisti e performer creavano spettacoli eccentrici che univano new wave, teatro d’avanguardia e cabaret. Era una reazione alla commercializzazione della new wave e tra i frequentatori abituali c’erano il pittore Jean-Michel Basquiat e il graffitista Keith Haring, al quale la copertina dell’album rende un esplicito omaggio.
Così come il Club 57 mescolava performance, musica e arte in maniera tanto imprevedibile quanto ironica, anche l’album di Skinner incarna questo spirito: liriche argute e surreali si intrecciano a sonorità abrasive e sperimentali, creando un’esperienza musicale vivace, originale e sorprendente.
La title track “New Wave Vaudeville” è un mix graffiante di punk, funk e free jazz che rimanda ai A Certain Ratio e ai The Contortions di James Chance, sassofonista e principale protagonista della scena no wave newyorkese. Il testo, attraverso comparazioni volutamente iperboliche, mette in scena un’identità in perenne trasformazione: “It’s newer than new / And it’s your-er than you / It’s now-er than now / And it’s wower than wow” («È più nuovo del nuovo / E più tuo di te / È più adesso dell’adesso / E più stupendo dello stupendo.»). Ottime anche “Caling In Sick”, che combina un basso grintoso e una batteria serrata che conferiscono al brano un’energia cruda, il travolgente Funk/Disco di “Geek Love” e il bellissimo Sax che accompangna “Jesus Wore Drag”. Un disco sorprendente per energia e creatività, divertentissimo da inizio a fine che merita un ascolto.
Lo trovate qui:
https://irishmusicmarket.com/products/skinner-new-wave-vaudeville-limited-edition-ecomix-vinyl-pre-order
Skinner – New Wave Vaudeville VIDEO:
https://www.youtube.com/watch?v=36FcngHrrNw&list=RD36FcngHrrNw&start_radio=1
The Number Ones – Sorry
Dopo circa 7 anni di assenza, torna la formidabile band di Dublino dei Number Ones, con due tracce che dimostrano esattamente come dovrebbe essere fatto il power pop. Il nuovo singolo "Sorry", il primo con il nuovo bassista Pete O'Hanlon (The Strypes), si colloca a metà strada tra The Undertones e i Buzzcocks, e credetemi, va benissimo così: è proprio quello che ti aspetti da una band come loro.
Brano di due minuti, veloce e nervoso, ricco di ritornelli accattivanti che evocano l’iconico sound della Good Vibrations Records di Terry Hooley.
Anche il lato B non è da meno, con “Blind Spot” che combina melodie beatlesiane a un organo che richiama il sound dei ’60s, il tutto mescolato a un power pop energico e frizzante. Due brani immediati e vivaci che confermano il talento dei Number Ones nel fondere nostalgia e modernità, scrivendo canzoni semplici eppure dannatamente perfette. Un 45 giri che merita un posto nella vostra collezione.
Pubblicato dall’etichetta londinese Static Shock Records, lo trovate al seguente link:
The Number Ones Bandcamp:
https://thenumberones.bandcamp.com/album/sorry
The Number Ones – Sorry VIDEO :
https://www.youtube.com/watch?v=ZhpsxacuZTs&list=RDZhpsxacuZTs&start_radio=1
Pete Holidai - Electric Jukebox Volume One
È davvero strano come i Radiators From Space vengano raramente menzionati quando si parla di punk. Prima band punk irlandese di sempre, nata a Dublino nella seconda metà degli anni ’70 e autentica precursora del genere.
Due album con la Chiswick Records (TV Tube Heart del 1977 e Ghostown del 1979, il secondo prodotto da Tony Visconti) prima di un prematuro scioglimento.
Quasi mezzo secolo dopo, Pete Holidai, chitarrista e membro fondatore della Radiators, è ancora qui, in prima linea, con la stessa attitudine che aveva da vent’enne. Ha mantenuto vivo lo spirito del punk con i Trouble Pillgriim, formazione che nasce dall’eredità dei Radiators e ora presenta finalmente il suo album solista, Electric Jukebox Volume One, una raccolta di 10 brani dove la grinta irriverente del punk incontra la spavalderia del glam. Holidai propone composizioni originali accompagnato da un cast di musicisti straordinari: Raymond Meade (OCS), John Perry (The Only Ones), Paul McLoone (The Undertones), Tony St Ledger (Trouble Pilgrims), Jason Douglas (The Rebel Souls), Ger Eaton e The Queen Bees. Registrato nel suo studio “Pilgrim Sound”, Electric Jukebox non è solo un omaggio nostalgico alla sua carriera, ma un audace passo avanti, a testimonianza del suo genio creativo.
Tracce come “On The Juke Box In The Corner” e “A New Revolution” brillano di un’energia contagiosa, con ritmi pulsanti e scintillanti tocchi di glam-rock che fanno l’occhiolino ai T. Rex di Marc Bolan e ai New York Dolls. A questo si aggiungono le dinamiche doo-wop di “Midnight Angel”, lo straordinario sax e l’atmosfera sospesa tra glam, dub e psichedelia di “Daydream Girl” e pezzi come “Sick & Tired of the Internet” e “Glam Rocker Punk Shocker”, esplosioni di punk puro e senza fronzoli: veloci, essenziali e travolgenti.
Per gli appassionati di punk irlandese, questo album è un must.
Fatevi un favore: prendete una copia, alzate il volume e supportate uno dei tesori musicali dell’Irlanda.
La versione in vinile la trovate qui:
https://peteholidai.bandcamp.com/album/electric-jukebox-volume-one
Pete Holidai – On The Jukebox In The Corner VIDEO:
https://www.youtube.com/watch?v=QXqmYZCMJ3Y&list=OLAK5uy_me9wIGlqNxnbvdn39-rIL8CwrfcxsFQt4
Peer Pleasure – Work Allergic
Caotico esordio per i Peer Pleasure, il settetto garage di Dublino che pubblica il suo primo EP per l’etichetta irlandese Fuzzed Up & Astromoon Records.
Le 5 tracce che compongono “Work Allergic” fondono elementi di garage rock, punk e influenze psichedeliche, creando un suono potente e stratificato grazie a una sezione ritmica trascinante e dinamici assoli di chitarra.
Il sound trae ispirazione da una varietà di generi, con influenze che spaziano dal proto-punk di Stooges e MC5 fino alla neo-psichedelia contemporanea di Thee Oh Sees e i King Gizzard & the Lizard Wizard di I’m In Your Mind Fuzz. Tracce come Weed Addict, Rest in Bits o Take it offrono un concentrato puro dell'identità dei Peer Pleasure, una sorta di manifesto sonoro della band che, esattamente come le loro esibizioni dal vivo, trascina l’ascoltatore in un’esperienza intensa e distorta, creando un caos primordiale che si spegne solo quando le luci si alzano e la sala è satura di sudore e completamente intontita.
Irruente e selvaggio, Work Allergic è un concentrato di energia e attitudine da ascoltare senza sosta.
La versione fisica la potete acquistare al seguente link: https://fuzzedupastromoonrecords.bandcamp.com/album/work-allergic
Peer Pleasure – Weed Addict VIDEO:
https://www.youtube.com/watch?v=o2dKnz0HQ7A&list=RDo2dKnz0HQ7A&start_radio=1
Fizzy Orange – Old Ones
Primo album per la frizzante soul band di Dublino, dopo lo straordinario EP di debutto “Fizzy Orange in Mono” dello scorso anno.
“Old Ones” rappresenta un passo in avanti rispetto al precedente lavoro: la band ha avuto tempo per consolidare il proprio stile, sperimentare melodie più complesse e raffinare la produzione dando vita ad un lavoro che suona in realtà come qualcosa di completamente nuovo rispetto a quanto già pubblicato in passato. Si certo, ci sono le stesse vibrazioni che i 6 ragazzi di Dublino sono soliti creare nelle loro registrazione tanto come nei loro live, un amalgama analogica di rock & roll e rocksteady con esuberanti folate di soul, ma risulta intriso di una particolare originalità.
L’album si apre con “Do You Still Love Me?”, un brano costruito su una solida base blues che richiama il groove energico di Hi Heel Sneaker, arricchito da un organo saltellante e tocchi di soul jazz. “Good Morning Farmer”, con il suo cantato a cappella, suona come un vero e proprio inno alla campagna irlandese e alla vita dei suoi instancabili lavoratori, risultando uno dei momenti più alti dell’intero disco, insieme a “Old Dog” e “Bus to Jersey”, due tracce gioiose in cui la band conferma quello che sa fare meglio: creare melodie pop accattivanti unite da un equilibrio impeccabile tra passato e presente. Nel mezzo, le squillanti chitarre di “Fourstep” e la sperimentale “Seabed”, che fonde suoni e rumori con un organo capace di evocare le atmosfere psichedeliche anni ’60 della East Coast californiana. “Smoke Only Rises (Not Without Fire)” chiude l’album con un funk d’impronta ’70s, accompagnato da un cantato che richiama lo stile di Kevin Parker dei Tame Impala.
Old Ones è un album vivace e sorprendente, che conferma la crescente maturità creativa di una delle realtà più interessanti della scena musicale irlandese.
Fizzy Orange – Old Dog VIDEO:
https://www.youtube.com/watch?v=VcEVE6eU8Vk&list=RDVcEVE6eU8Vk&start_radio=1
The Incredible Al Richardson – Man Made / Crossing
Il cantautore di Dublino Al Richardson, conosciuto sul palco come “The Incredible Al Richardson”, attinge a influenze musicali che spaziano dai classici mod al rock britannico dei ‘60s, fino ai timbri di chitarra tipici delle band degli anni ’90 come Oasis, The Verve e Cast.
Richardson propone due bellissime ballate dal gusto retrò, che fondono in un unico abbraccio il meglio del cantautorato anglosassone con raffinate tessiture sonore folk.
Il singolo “Man Made”, impreziosito dalla straordinaria partecipazione di Steve Cradock degli Ocean Colour Scene alla chitarra, trae ispirazione dai drammatici eventi in Siria e Palestina.
È una splendida ballata, dai toni nostalgici, che unisce in un unico respiro l’eleganza di Paul Weller e l’intensità di Bob Dylan e Neil Young. “Crossing” mantiene le stesse vibrazioni, arricchite da un organo che accompagna il cantato avvolgente di Richardson, conferendo al brano una tonalità soul morbida e invitante.
Con una rinnovata scintilla creativa e una serie di brani già registrati, che speriamo possano vedere la luce al più presto, Richardson torna sulla scena musicale, confermandosi senza dubbio uno dei profili più notevoli della scena irlandese contemporanea.
The Incredible Al Richardson – Man Made VIDEO:
https://www.youtube.com/watch?v=ZCkTlqxvac0&list=RDZCkTlqxvac0&start_radio=1
Guernica – Auditorium
Inserire un disco registrato più di 40 anni fa nella lista delle migliori uscite del 2025 è inevitabilmente paradossale e quasi contraddittorio. Ma la storia dietro Auditorium, il “lost album” dei Guernica, gruppo indie di Dublino attivo nella prima metà degli anni ’80, nasconde retroscena suggestivi e un fascino che attraversa decenni, riportando alla luce una delle band irlandesi più promettenti del periodo.
Scioltisi nel 1989 dopo aver pubblicato solo qualche singolo, i Guernica avevano lasciato nel cassetto il resto delle loro registrazioni, dove sembrava dovessero rimanere per sempre.
Poi, qualche anno fa, un incontro inaspettato tra l’ex cantante Joe Rooney e il figlio di uno degli altri membri della band, ha riacceso la scintilla: da quel momento è nato Auditorium, il lost album che finalmente vede la luce, quarant’anni dopo la sua registrazione. Joe Rooney, dopo aver abbandonato la carriera musicale, ha trovato successo come comico e attore, interpretando una piccola ma memorabile parte (quella di Father Damo, il sacerdote “ribelle”) nella nota sitcom irlandese Father Ted, popolarissima negli anni ’90. Decenni dopo, nel backstage di un festival in cui si esibiva, incontra Dave, il figlio dell’ex batterista dei Guernica scomparso qualche anno prima, al quale chiede il via libera per motivi di copyright, così da poter finalmente riportare alla luce le canzoni della band. Dave, che come il padre suona la batteria, rimane entusiasta dell’idea e insieme iniziano a collaborare per riesumare le tracce perdute del gruppo.
Il risultato è un doppio disco di 22 canzoni che ricalca il sound di band come New Order o Echo and The Bunnymen, un amalgama di synth-pop, new wave e post-punk a cui si aggiungono sfumature di Rockabilly e Jangle pop e dove melodie dolcemente malinconiche e una sezione ritmica potente guidata dal basso e dalla batteria rievoca quelle sonorità indie pop tipiche degli anni 80. Ne sono esempio “Orange And Red", "Deep Sea Diving", "Humming Of The Engine" o “Americano”, brani in cui lo stile della band emerge in tutta la sua essenza.
Auditorium, oltre che la storia di una palese omissione nel catalogo della scena musicale indie irlandese degli anni ’80, è soprattutto un lavoro straordinariamente vitale e coerente, un album che unisce eleganza elettronica, melodie pop luminose e un sottile senso di nostalgia, un gioiello sonoro che resiste al tempo, sorprendentemente fresco nonostante i decenni di attesa.
Guernica – Americano VIDEO:
https://www.youtube.com/watch?v=mhgRIvYiByY&list=OLAK5uy_lDk7M79szbm0nQBbfbTlaCPiHGjt9PG_s&index=9
Guernica – Auditorium Bandcamp:
https://rotatorvinyl.bandcamp.com/album/guernica-auditorium
Lankum – Ghost Town
Tornano i Lankum, maestri della drone music e del folk sperimentale e questa volta presentano una sorprendente e sbalorditiva cover di Ghost Town, classico degli Special. La loro interpretazione stravolge completamente il brano, convertendo le sonorità ska in una tempesta di atmosfere cupe e spettrali, trasformando la canzone in qualcosa di insolito e incredibilmente affascinante.
Così come gli Specials fotografavano la Gran Bretagna in crisi dei primi anni ’80, un paese segnato da degrado urbano, locali chiusi, disoccupazione giovanile e tensioni raziali, l’interpretazione dei Lankum richiama l’Irlanda di oggi, con le sue difficoltà economiche, la frustrazione della classe operaia, la crisi abitativa e un diffuso smarrimento sociale, rendendo il parallelo pienamente attuale.
L’inizio è lento e cupo, cosparso di rumori ovattati e archi dissonanti, che ne alimentano la crescente tensione, e trascinano l’ascoltatore verso il lato più oscuro del suono dei Lankum.
Strisciante e sinistra, come un rituale funebre dai contorni apocalittici, la traccia risulta al tempo stesso inquietante e ipnotica, per poi aprirsi in un finale sorprendente, dominato da sintetizzatori e drum machine che ampliano l’orizzonte sonoro verso una dimensione più luminosa e liberatoria.
Suggestivo anche il video, un filmato di otto minuti girato nella contea di Wicklow dalla regista irlandese Leonn Ward, che accompagna la reinterpretazione dronale e atmosferica del brano.
Lankum – Ghost Town VIDEO:
https://www.youtube.com/watch?v=aLLnF4vxaeY&list=RDaLLnF4vxaeY&start_radio=1
Il vinile in edizione limitata lo trovate al seguente link:
https://lankum.bandcamp.com/album/ghost-town
Madra Salach – Blue & Gold
I Madra Salach (che in gaelico significa Dirty Dog) sono una delle più interessanti nuove proposte dell’anno, una band capace di combinare il folk irlandese tradizionale con influenze punk, offrendo un approccio contemporaneo e conquistando i fan grazie alle loro energiche performance dal vivo. Il loro stile ricorda Lankum e The Pogues, ma con un’intensità unica.
“Blue & Gold”, una delle tracce pubblicate quest’anno che anticipa il loro attesissimo primo EP, previsto per gennaio 2026, è un brano che fonde radici folk irlandesi con influenze sperimentali, aprendosi con drone di harmonium e mandolini che si intrecciano fino a esplodere in una combinazione di percussioni energiche e melodie ipnotiche.
La band, che incorpora membri dei Fizzy Orange, è senza dubbio un nome da tenere d’occhio nel panorama musicale irlandese.
Madra Salach – Blue & Gold VIDEO : https://www.youtube.com/watch?v=3nGJxPMwg_Y&list=RD3nGJxPMwg_Y&start_radio=1
L’EP autoprodotto, lo potete preordinare qui:
https://madrasalach.store/collections/music
Organ Freeman – Busywork
In un paese come l’Irlanda, dove le radici sonore affondano nel folk e nella musica tradizionale, trovare un album jazz di questa qualità è come imbattersi nella leggendaria pentola d’oro alla fine dell’arcobaleno. E questa pentola d’oro ce la dona il trio degli Organ Freeman con il suo disco d’esordio, Busywork.
Con un nome super cool e formati dal chitarrista e cantante Charlie Moon, dall’organista Darragh Hennessy e dal batterista Dominic Mullan, gli Organ Freeman animano regolarmente le sessioni di jazz al The Big Romance, un locale nel cuore di Dublino.
Per il loro album di debutto, il trio accoglie il leggendario sassofonista tenore Michael Buckley, considerato da molti il musicista più importante e influente della scena jazz irlandese. Buckley che ha collaborato e suonato con tantissimi nomi di rilievo del jazz internazionale, tra cui George Coleman, in questo album porta anche la sua esperienza dietro le quinte, curando registrazione, mixaggio e mastering dell’album.
Equamente diviso tra brani originali e cover, “Busywork” si ispira all’era d’oro dei trii di organ-jazz degli anni ’50 e ’60, quel soul-jazz irresistibile e contagioso, e vi intreccia l’eleganza creativa di Buckley che, spaziando con naturalezza tra blues, swing e funk, dona al risultato un incredibile tocco di “coolness”.
L’organo di Hennessy, chiaramente ispirato a Jimmy Smith, è presente dall’inizio alla fine dell’album e dà il meglio di sé in tracce come “Christo Redentor” di Duke Pearson o nell’assolo di “Hipsippy Blues” di Hank Mobley. Il cantato di Moon in “Guess I’ll Hang My Tears Out to Dry” e “Make Someone Happy”, classici scritti da Jule Styne e interpretati da molti dei più grandi cantanti jazz dell’epoca, richiama da vicino le celebri versioni di Chet Baker, calde, delicate e malinconiche.
Il sax di Buckley si distingue nelle atmosfere funk di “Moonlight Dames”, nel blues di “Skirts and Kidneys” e nella splendida ballata scritta da Moon, “Here’s To The Rest”.
Con un jazz raffinato e avvolgente, Busywork dimostra ancora una volta perché “l’Organ-sound” non perde mai il suo fascino.
Organ Freeman - Hipsippy Blues VIDEO :
https://www.youtube.com/watch?v=xaIFxqFxZus&list=RDxaIFxqFxZus&start_radio=1
Organ Freeman Bandcamp:
https://charliemooneymusic.bandcamp.com/album/busywork
Music City - Only Home for Christmas
Music City è il progetto solista di Conor Lumsden, musicista irlandese (originario di Dublino e basato a Londra), noto anche per il suo ruolo nei The Number Ones.
Con un primo album solista in arrivo il prossimo anno, Conor ci delizia con “Only Home For Christmas”, un gustoso singolo natalizio dal sapore jangle-pop, che richiama tutta la nostalgia degli immigrati irlandesi lontani da casa. Il brano, pubblicato in una simpatica versione flexi disc rossa che potete anche appendere al vostro albero, è un raffinato mix tra Paul McCartney, i Beach Boys, il jangle-pop d’autore, un riff di chitarra dal sapore George Harrison e un tocco di Phil Spector a legare il tutto, rendendolo una traccia immancabile per la vostra playlist natalizia.
Music City - Only Home for Christmas VIDEO:
https://www.youtube.com/watch?v=2oO9cOuGTPA&list=RD2oO9cOuGTPA&start_radio=1
Music City bandcamp:
https://welcometomusiccity.bandcamp.com/album/only-home-for-christmas
martedì, dicembre 16, 2025
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)












Nessun commento:
Posta un commento