Riprendo l'articolo che ho pubbliato sabato per "Alias" de "Il Manifesto", dedicato a BO DIDDLEY.
Non sono in tanti che possono vantare l’ “invenzione” di uno stile, una specie di “genere musicale” nella storia del rock.
Bo Diddley è uno dei pochi in assoluto che creò una modalità ritmica che è diventata nel tempo un marchio di fabbrica, immediatamente e inevitabilmente riconducibile a lui. Una miscela di ritmi africani, la cui origine pare arrivi dalla zona sub sahariana, blues, gospel e la tradizione folk “Hambone” utilizzata da musicisti di strada che cantavano accompagnandosi con battiti di mani e colpi su gambe e petto.
Divenne una sorta di anello di congiunzione tra blues e il nascente rock ‘n’ roll a metà anni Cinquanta.
Una base di batteria, con l’uso prevalente dei timpani e tom, sulla quale la chitarra ripeteva lo stesso groove, diventando un ulteriore elemento percussivo. Una modalità che nasce probabilmente dall’abortita volontà di suonare la batteria.
“Volevo diventare un batterista, ma non funzionò. Le mie mani non riuscivano a fare una cosa, mentre l'altra faceva l'altra. Cercavano di fare la stessa cosa.”
L’ossessivo e ipnotico rullare dei tamburi, con le maracas a dare un tocco latino, sono l’aspetto saliente del Bo Diddley Beat (detto talvolta anche Jungle Beat). La sua influenza fu immediata su molti artisti, da Buddy Holly a Elvis Presley fino (soprattutto) alla nuova scena beat inglese degli anni Sessanta che da Rolling Stones a Pretty Things, Who, Kinks, Yardbirds, fino agli Animals, che incisero un brano intitolato “The story of Bo Diddley”.
Pare che Bo non fosse del tutto soddisfatto che qualcuno utilizzasse/rubasse la su “invenzione” ma alla fine si rese conto che era in realtà un omaggio affettuoso. Io sono quello che Elvis ha copiato. Ha copiato me e ci ha messo insieme Jackie Wilson.
Anche se negli ultimi anni di vita è sempre stato piuttosto categorico nel definire il suo ruolo all’interno del rock:
La musica odierna non ha niente a che vedere con il rhythm and blues o il rock'n'roll, come lo chiamavamo noi. Oggi i ragazzi sostengono di essere rock'n'roll con tutti quelle chitarre urlanti e roba del genere. Beh, questo non è rock'n'roll! Non sembra Elvis Presley, non sembra i Beatles... beh, i Beatles non erano proprio rock'n'roll. Non so come lo chiameresti, ma non accetto la parola rock'n'roll con i Beatles. Non appartengono alla lista dei rock'n'roller. Erano più o meno folk country o qualcosa del genere. Non so cosa fossero.
Personaggio strano e particolare, dalla vita altrettanto anomala.
Nato nello stato del Mississippi, lasciato dal giovanissimo padre in adozione al cugino, che gli diede il cognome McDaniel, si trasferì a Chicago, dove divenne membro attivo di una chiesa Battista e suonò trombone e violino per almeno una dozzina d’anni, in maniera impeccabile, tanto da far parte dell’orchestra della Chiesa.
“Nessuno mi spinse a suonare il violino ma quando ne vidi uno per la prima volta me ne innamorai e imparai subito a usarlo. Così bene che fecero una colletta per comprarmene uno da 29 dollari. A quei tempi (anni Quaranta) erano un sacco di soldi, un sacco di patate costava 50 cents!” (Le dichiarazioni sono tratte da un’intervista del 2006 di Bob Gerstzyn).
Nonostante abbia provato sulla sua pelle il rigore del razzismo è sempre stato molto lontano da rivendicazioni particolari in merito, fortemente influenzato dalla sua fede religiosa e da un innato patriottismo:
"Non sono stato coinvolto nel movimento per i diritti degli afroamericani, ma ho tratto beneficio dalle persone che lo facevano. Perché questa merda non sarebbe mai dovuta andare così, fin dall'inizio.
L’America è un paese meraviglioso e penso che abbiamo uno dei sistemi migliori al mondo, ma ha dei difetti, molti difetti gravi. Abbiamo delle cose in corso in questo paese che non dovrebbero succedere.
Sto parlando di libertà. Non credo che si debba andare in giro a fare del male e poi nascondersi dietro la bandiera, ma molte persone lo stanno facendo. Essendo un uomo di colore, non direi nemmeno cazzate del genere, perché penso che un giorno tutti saranno una cosa sola.
Indipendentemente da chi siamo, se la Bibbia è giusta, siamo tutti fratelli e sorelle, indipendentemente dal colore della nostra pelle.
Dalla nostra nazionalità o da qualsiasi altro modo. Non ho mai pensato che le persone fossero bianche e nere, gialle e verdi e tutte quelle stronzate. Siamo tutti uno.”
Uno dei problemi che lo ha accomunato a tantissimi artisti di colore dell’epoca è stato la mancata corresponsione dei diritti delle sue canzoni.
Fino agli anni Sessanta inoltrati il sistema dei diritti d’autore è stato “regolato” da modalità selvagge, senza particolari tutele, soprattutto per gli artisti di colore, spesso senza contratti, con i brani che non venivano effettivamente depositati a loro nome o che, nel caso di plagio o “furto”, non avevano possibilità di sobbarcarsi in cause legali.
“La gente non si rende conto che era comune per gli artisti non essere pagati per le loro canzoni perché non c'era nulla che si potesse fare. Assumere un avvocato e intentare cause legali costa, quindi quando vivi di concerto in concerto, non hai i fondi. Poi ci sono i termini di prescrizione, quindi se passa troppo tempo, non c'è nulla che tu possa fare.
Forse prima di lasciare questa dannata Terra, uscirò e guarderò nella mia cassetta della posta e li troverò tutti lì dentro. In altre parole, non succederà, questa è l'America. Questo è quello che si chiama una buona vecchia fregatura americana. Sono stato fregato per milioni, tesoro! Milioni! Non lo dico solo come una parola. Sono stato fregato. Non ho mai visto un assegno di royalty che mi arrivasse.
La sua carriera è stata comunque ricca di grandi soddisfazioni e successi, soprattutto con “I’m A Man”, “Bo Diddley”, “You Can’t Judge a Book By The Cover”, “Pretty Thing”, “Who Do You Love?”, “Roadrunner”, “Say Man” che ritroviamo nei repertori di decine di gruppi (oltre ai già citati protagonisti del Beat inglese nell’elenco troviamo anche Doors, Captain Beefheart, Creedence Clearwater Revival, New York Dolls).
Ha introdotto l’uso del tremolo nella chitarra, utilizzando spesso anche la distorsione.
Famose le sue chitarre dalle forme rettangolari e anche la sua apparizione in “Una poltrona per due”, con un cappello da sceriffo, interpretando il gestore di un banco dei pegni.
In effetti, nel periodo in cui visse in New Mexico, negli anni Settanta, fu per tre anni il vice sceriffo della sua cittadina, Las Lunas.
Nel 1979 i Clash, in tour in America, lo vollero come act di apertura dei loro concerti, essendo un idolo di Joe Strummer.
Famoso il suo litigio con Ed Sullivan che lo volle al suo show in cui però Bo Diddley decise di cambiare il brano previsto, allungando il tempo a sua disposizione.
Nel corso degli anni è stato spesso presente a varie celebrazioni dei grandi del rock ‘n’ roll a fianco di Chuck Berry o BB King, ha collaborato con Eric Clapton e con i Rolling Stones, sia dal vivo che in studio (nel suo ultimo album, del 1996, “A Man Amongst Men”, ci sono Keith Richards e Ron Wood).
L’ultima sua apparizione in studio è inusuale, in un album del 2006 dei riuniti New York Dolls.
Muore alle soglie degli ottanta anni nel 2008. Resta uno dei personaggi più influenti nella storia del rock ‘n’roll, qualcuno che inconsapevolmente e senza alcun tipo di preparazione preventiva “a tavolino”, ha unito suoni, ritmi, attitudine che sentiva dentro l’ anima, il cuore, la carne e ne ha fatto un mirabile sunto che ancora oggi suona tribale, minaccioso, demoniaco, travolgente.
Per un primo approccio a Bo Diddley consigliato il suo esordio omonimo del 1958 e la compilation His Best del 1998.
martedì, dicembre 02, 2025
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