venerdì, maggio 09, 2025

Kneecapp: il peso delle parole

L'amico MICHELE SAVINI prosegue la ricerca di elementi interessanti e particolari dell'Irlanda meno conosciuta.
Torniamo ad aggiornare le intense e interessanti vicende dei KNEECAPP.
Gli altri racconti sono qui:

https://tonyface.blogspot.com/search/label/The%20Auld%20Triangle%3A%20narrazioni%20dalla%20Repubblica%20d%27Irlanda

Kneecap, Kneecap e ancora Kneecap.

È impossibile ignorarli, anche volendo.
Il controverso trio hip hop di Belfast, di cui avevamo già ampiamente discusso lo scorso anno per la sua attitudine provocatoria e i testi taglienti, torna a far parlare di sé. Ma questa volta, non per scelta.
I tre musicisti sembrano infatti coinvolti in una situazione ben più seria, che li trascina nuovamente sotto i riflettori e nel mirino del fuoco “nemico”.
Sono infatti finiti al centro di un’indagine da parte del dipartimento di polizia antiterrorismo del Regno Unito a causa di due video emersi recentemente e risalenti ad una loro esibizione del novembre 2023, che mostrano membri della band invocare la morte di parlamentari britannici ("L'unico conservatore buono è un conservatore morto.
Uccidete il vostro parlamentare locale") e gridare "Viva Hamas, viva Hezbollah".

Frasi che hanno destato il dissenso trasversale dell’intero mondo politico (con in testa a tutti il Partito Tory) ma anche delle famiglie del deputato laburista Jo Cox e quella del conservatore David Amess, due parlamentari entrambi assassinati nell’ultimo decennio.
L’indagine per terrorismo e le pressioni da parte della polizia britannica hanno ovviamente portato la cancellazione della maggior parte delle esibizioni dei Kneecap previste per l’estate 2025 nel Regno Unito (molte di queste già sold out) con le autorità e la gran parte dei politici che stanno spingendo affinché vengano esclusi anche dalla programmazione del Festival di Glastonbury.
E ad amplificare ulteriormente il clima di intimidazione, si sono aggiunte le minacce di morte ricevute dalla band, come rivelato dal loro manager.

Ma facciamo un passo indietro.
Poche settimane prima, a metà aprile, i Kneecap si sono esibiti al prestigioso Festival di Coachella negli Stati Uniti, partecipando ad entrambe le date del celebre evento californiano e, come da tradizione, portando in scena il consueto mix di musica e attivismo, con forti messaggi politici sul conflitto a Gaza e il sostegno alla causa palestinese, proiettati sui giganteschi schermi LED del palco.

Parole evidentemente troppo ruvide per la sensibilità del moralismo americano e il patinato pubblico di Coachella, tanto che qualcuno non ha apprezzato. La più indignata è sembrata Sharon Osborne, moglie del cantante dei Black Sabbath Ozzy Osborne e già nota per le sue posizioni apertamente filoisraeliane.
L’ex giudice di X Factor ha criticato l’organizzazione del festival per aver permesso che Coachella si trasformasse in una vetrina per l’espressione politica, accusando la band di incitamento all’odio, di sostenere organizzazioni terroristiche e affermando che non dovrebbe essere autorizzata a esibirsi negli Stati Uniti.

"Vi esorto ad unirvi a me nel sostenere la revoca del visto di lavoro dei Kneecap", ha “tuonato” ai suoi follower su Twitter lo scorso 22 aprile.
Vero che la condotta dei Kneecap sul palco è quanto di più lontano ci possa essere da una performance sobria e rispettosa delle convenzioni tradizionali, ma sentirsi fare la predica dalla moglie di uno che negli anni ’80 staccava la testa a un pipistrello sul palco fa decisamente sorridere.
Lapidaria la risposta della band “Dovrebbe riascoltare War Pigs….”
Un richiamo nemmeno troppo velato alla storica canzone antiguerra dei Black Sabbath, zeppa di immagini apocalittiche, dove si parla di corpi che bruciano, macchine della guerra, menti plagiate, streghe e messe nere …

Gli organizzatori del Festival in loro difesa, hanno dichiarato che “non erano assolutamente al corrente delle intenzioni politiche della band”.
Evidentemente pensavano di aver ingaggiato la Taylor Swift di turno e che il passamontagna indossato sul palco fosse semplicemente un rimedio contro il freddo irlandese …

Fatto sta che il Dipartimento di Stato US sta valutando la revoca del visto per possibili rischi legati all’immigrazione e alla sicurezza pubblica, il tutto mentre la band è attesa per una serie di concerti negli Stati Uniti e in Canada nei prossimi mesi.
E come se la tempistica fosse una coincidenza, pochi giorni dopo ecco l’investigazione per terrorismo da parte delle autorità britanniche per i sopracitati video.

Cosi alla fine i Kneecap, per la gioia di tutti quelli che da tempo aspettavano di vederli fare marcia indietro, hanno dovuto scusarsi.
Lo hanno fanno con un comunicato in cui prendono le distanze da Hamas e Hezbollah porgono le loro scuse alle famiglie dei deputati David Amess e Jo Cox ma ribadiscono anche di essere vittime di una forte campagna diffamatoria da parte dei media per via della loro posizione politiche e di come si stia cercando di spostare l’attenzione mediatica su di loro invece che su quello che sta succedendo a Gaza, facendoci credere che le parole possano fare più danni di un genocidio.

Sulla scia della tempesta mediatica e politica, a loro sostegno si sono espresse numerose figure di spicco della scena musicale, inclusi tantissimi artisti Britannici ed Irlandesi, che hanno firmato una dichiarazione di supporto al gruppo.
Paul Weller, Primal Scream, Pulp, Massive Attack, Fontaines DC, Idles, Sleaford Mods, Lankum,
alcuni dei nomi che hanno firmato la lettera promossa dalla casa discografica del gruppo, la Heavenly Recordings, in sostegno ai Kneecap e in nome della libertà di espressione.

Qui di seguito la traduzione e la lista completa dei firmatari:
“La scorsa settimana si è assistito a un chiaro e concertato tentativo di censurare e, in definitiva, rimuovere la band Kneecap dagli schermi. A Westminster e sui media britannici, importanti personalità politiche si sono apertamente impegnate in una campagna per rimuovere i Kneecap dall'attenzione pubblica, con velate minacce riguardo alle loro già programmate esibizioni a concerti, eventi all'aperto e festival musicali, tra cui Glastonbury.
È agghiacciante notare come anche figure e personalità influenti dell'industria musicale in generale stiano tentando di influenzare questa campagna intimidatoria.
Come artisti, sentiamo il bisogno di dichiarare la nostra opposizione a qualsiasi repressione politica della libertà artistica. In una democrazia, nessuna figura politica o partito politico dovrebbe avere il diritto di dettare chi suona o non suona a festival musicali o concerti che saranno apprezzati da migliaia di persone.
Condividere le opinioni politiche dei Kneecap è irrilevante: è nell'interesse fondamentale di ogni artista che ogni espressione creativa sia protetta in una società che valorizza la cultura, e che questa campagna di interferenza sia condannata e ridicolizzata. Inoltre, è anche dovere delle figure chiave della leadership nell’industria musicale difendere attivamente la libertà di espressione artistica, piuttosto che cercare di mettere a tacere le opinioni che si oppongono alle proprie “.

Firmata da : Annie Mac, Beoga, Bicep, Biig Piig, Blindboy Boatclub, Bob Vylan, Christy Moore, Damien Dempsey, Delivery, Dexys, English Teacher, Enter Shikari, Fontaines DC, Gemma Dunleavy, Gurriers, Idles, Iona Zajac, Jelani Blackman, John Francis Flynn, Joshua Idehen, Katy J Pearson, Kojaque, Lankum, Lisa O’Neill, Lowkey, Massive Attack, Martyn Ware, Paul Weller, Peter Perrett, Poor Creature, Primal Scream, Pulp, Roisin El Cherif, SHirley Manson, Sleaford Mods, Soft Play, The Mary Wallopers, The Pogues, Thin Lizzy, Toddla T.

A sostegno dei Kneecap, ma leggermente fuori dal coro, è intervenuto anche il musicista e attivista Billy Bragg.
Pur non avendo firmato la lettera a favore del gruppo (a suo dire, semplicemente perché non gli è stato chiesto) ha scelto di pubblicarne una propria in cui manifesta il proprio sostegno al trio, denunciando la campagna mediatica ostile condotta nei loro confronti, ma al tempo stesso criticando la mancanza di sfumature del comunicato cofirmato dagli artisti e ribadendo che la libertà di espressione comporta anche responsabilità e conseguenze.

Intervento che ho trovato particolarmente interessante e di cui riporto qui di seguito la traduzione:
Mi fa piacere vedere che diversi artisti hanno firmato una lettera in difesa dei Kneecap contro i tentativi di escluderli da vari festival, a seguito di commenti fatti durante concerti più di due anni fa.
La band si è scusata per il dolore causato alle famiglie dei parlamentari assassinati e ha preso le distanze da Hamas e Hezbollah. Dopo aver fatto questo passo, credo che meritino di essere reintegrati nei festival da cui sono stati esclusi, e anche confermati in quelli in cui sono già in programma. Tuttavia, non sono sicuro che mi sarei sentito a mio agio nel firmare quella lettera (non mi è stato chiesto).
Il mio problema è che il testo manca di sfumature e di comprensione rispetto alle ragioni per cui è scoppiata tutta questa polemica. Cercando di evitare le complessità della questione e sostenendo che la politica delle opinioni di un artista sia irrilevante, i firmatari sostengono che l’unico principio in gioco sia la libertà di espressione. Io non sono d’accordo.
Anche Andrew Tate usa questa giustificazione per evitare le accuse di misoginia. L’assolutismo sulla libertà di parola ha trasformato Twitter in un concentrato nauseabondo di odio di destra e bullismo sessista. Rock Against Racism è stato fondato proprio sull’idea che gli artisti non dovrebbero poter dire tutto ciò che vogliono senza conseguenze.
Se vogliamo vivere in una società dove tutti possono esprimere liberamente le proprie opinioni, dobbiamo considerare due altri aspetti fondamentali.
Primo: bisogna garantire pari spazio alle opinioni altrui.
Secondo: per impedire che questi diritti vengano abusati da chi li sfrutta per minacciare o discriminare, dobbiamo accettare che le parole hanno delle conseguenze.

In pratica, ciò significa che dobbiamo fare attenzione a non compromettere gli argomenti ponderati e legittimi che vogliamo sostenere – “Libertà per la Palestina”, “Fermare il genocidio” – con affermazioni superficiali per cui poi siamo costretti a scusarci. Credo che la lettera degli artisti sarebbe stata molto più forte, così come la causa per reintegrare i Kneecap, se avesse riconosciuto questa dinamica fondamentale invece di cercare di mettere da parte ogni altra considerazione.
I Kneecap sono stati alleati espliciti del popolo palestinese, e le loro critiche a Israele sono, a mio parere, del tutto giustificate. Solo i sostenitori più ciechi di Israele possono oggi negare che ciò che viene perpetrato a Gaza sia un genocidio. Lo so perché ho discusso con queste persone proprio su questa terminologia nei social. Le grafiche mostrate dai Kneecap al Coachella, e le dichiarazioni fatte dal palco, non sono antisemite: sono anti-Israele. È una distinzione importante: l’antisemitismo è discriminazione basata sull’etnia e, come ogni forma di razzismo, deve essere sempre contrastato.
Il diritto di protestare contro il comportamento di uno Stato è una libertà fondamentale da difendere. Adottare leggi che rendano illegale farlo è il segno distintivo di un regime totalitario.
E non prendiamoci in giro: la band è stata punita per le dichiarazioni anti-Israele fatte al Coachella.
Le lamentele di Sharon Osbourne hanno scatenato la stampa di destra, che si è messa a scavare nel web in cerca di un pretesto per attaccare la band – e, purtroppo, l’hanno trovato.
Sebbene alcuni possano sostenere che ci siano argomenti a favore di Hamas, ciò non può avvenire ignorando l’uccisione di 815 civili israeliani, tra cui 36 bambini, il 7 ottobre. Allo stesso modo, non è possibile sostenere Israele senza riconoscere l’orrenda strage di oltre 40.000 civili palestinesi, più di 14.500 dei quali bambini, secondo l’UNICEF.

Il peso dell’argomento morale contro Israele si basa sul fatto che colpire civili è un crimine di guerra.
E per quanto la punizione inflitta alla popolazione di Gaza abbia raggiunto proporzioni estreme, questo principio non va dimenticato. Se speriamo un giorno di vedere Netanyahu sotto processo all’Aia, dobbiamo anche accettare che chi ha ucciso civili il 7 ottobre dovrebbe essere giudicato per gli stessi crimini. Ignorare questo fatto mina il sostegno alla causa palestinese, perché implica che non tutti i bambini morti valgano allo stesso modo.
E, come i Kneecap hanno scoperto, conferisce anche il controllo della narrazione ai propri nemici.
Va anche detto che le persone che chiedono il bando dei Kneecap sono le stesse che gridano contro la “cancel culture” ogni volta che qualcuno della loro parte politica viene messo sotto accusa. Il fatto che nessuno tra questi reazionari, che tanto difendono il diritto di offendere, sia intervenuto in difesa della band, dimostra quanto siano ipocriti e mossi solo da interessi personali.
Né dovremmo sentirci tranquilli con l’idea che i Kneecap possano essere perseguiti per dichiarazioni avventate fatte durante un concerto.

Il fatto è che, sul palco, nella foga del momento, si dicono cose stupide.
In contesti più pacati, la band ha chiarito di non sostenere il bersagliamento dei civili, siano essi non-combattenti o parlamentari, richiamandosi all’esperienza della loro comunità durante i Troubles.
Così facendo, riconoscono implicitamente che la libertà di espressione ha dei limiti, e che certe cose non si possono dire senza pagarne le conseguenze.
Forse, se affrontassero alcune di queste complessità in un’intervista, contestualizzando le loro affermazioni e le reazioni che ne sono seguite, pur difendendo il loro diritto a denunciare un genocidio, si potrebbe stemperare il clima e ottenere un sostegno più ampio affinché i Kneecap possano esibirsi come previsto quest’estate. Quello che non credo aiuti, né loro, né chiunque voglia partecipare a un dibattito su questioni altamente controverse, è pretendere, in modo assoluto, che gli artisti possano dire qualunque cosa senza conseguenze.

Viviamo in un’epoca in cui l’agire senza limiti viene esaltato da chi crede che la forza fisica, la ricchezza smisurata, la fama o la competenza tecnologica diano il diritto di fare tutto ciò che si vuole. Eppure, la libertà, e la possibilità di goderne, si fonda sul fatto che nessuno sia al di sopra della legge.
La libertà, intesa come diritto di esprimersi con parole e azioni, non è di per sé sufficiente a definire lo stato di essere liberi, perché, senza uguaglianza, la libertà è solo privilegio. E, come i nostri cugini americani stanno scoprendo a loro spese, la libertà senza responsabilità equivale alla tirannia.


Nel frattempo, il botta e risposta tra Sharon Osbourne e i Kneecap non sembra placarsi.
Pochi giorni fa la Osborne è tornata sull’ argomento “suggerendo” ai rapper di prendere esempio dagli U2, lodando Bono per il suo sostegno pacifico senza incitare alla violenza.

Già, Bono.
Il leader degli U2, che in passato si è sempre professato contro ogni tipo di guerra è stato insolitamente tiepido e moderato quando si è parlato del conflitto a Gaza, e sospettosamente silenzioso, in particolare negli ultimi mesi. E non è certo la sua assenza tra i firmatari della lettera a favore dei Kneecap a sorprendere, fatto per molti ampiamente prevedibile.
C’è chi sostiene infatti che lui e tutto il clan U2 abbiano interessi economici diretti con molte società israeliane, come la Leumi Bank, istituto di credito coinvolto in attività nei territori palestinesi occupati, che ha recentemente stanziato un prestito di 45 milioni di dollari per rilevare il Clarence Hotel a Dublino, di cui Bono e The Edge erano co-proprietari. O la trasmissione in streaming del loro tour nordamericano dello scorso anno affidata alla Meerkat, una società con sede a Tel Aviv che si dice finanzi anche l’esercito di Netanyahu.

Sarà forse questo ciò che intendeva la cara Sharon…?

Continua…

1 commento:

  1. 92 minuti di applausi per Bragg. Sarà anche la differenza d'età rispetto ai Kneecapp e quindi l'esperienza che ha sulle spalle, però ha centrato in pieno la questione (secondo me).

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