martedì, maggio 06, 2025

Missing Boys e la new wave in Sardegna

Riprendo l'articolo che ho pubblicato un paio di settimane fa nelle pagine de "Il manifesto"nelle pagine di "Alias" che ampliava la segnalazione del blog qui : https://tonyface.blogspot.com/2025/03/the-missing-boys-di-davide-catinari.html relativa al docufilm di Davide Catinari "Missing Boys" sulla new wave in Sardegna dal 1979 al 1989.

Sono sempre più numerose le pubblicazioni, i video, gli approfondimenti su un periodo fino a pochi anni fa nebuloso, poco documentato, più spesso male interpretato e riferito, con inesattezze, omissioni, approssimazioni.
Ovvero quegli anni a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta in cui punk e new wave divennero per molti/e giovani un'alternativa identitaria alle contrapposizioni ideologiche (come sappiamo, non di rado violente e tragiche) e allo tsunami di eroina che travolse l'Italia ma non solo, lasciando lutti e distruzione, morale e sociale.
Dapprima poche decine di persone, poi centinaia e infine migliaia, vestirono abiti di matrice anglosassone, inconsueti, spesso oltraggiosi, cambiarono gusti musicali, affossando gli abituali ascolti di cantautori, prog, jazz fusion, discomusic, adottarono uno stile di vita contrapposto a quello usuale.
Si ritagliarono una nicchia osteggiata praticamente da tutti ma crearono un nuovo stile, cosiddetto sottoculturale che esaltava il concetto di “noi contro di voi” ma anche quello del “noi senza di voi”.

In Italia una particolarità dell'epoca fu l'esplosione di creatività nella provincia, nei luoghi in cui l'abbandono e il degrado culturale erano più forti e insopportabili.
La Sardegna era un luogo ancora più difficile da vivere in quest'ottica. Un luogo lontano, quasi inaccessibile, di cui si parlava solo per le spiagge immacolate o per la delinquenza e i rapimenti.
Eppure anche qui, più probabilmente PROPRIO QUI, punk e new wave arrivarono e con forza. Lo descrive bene Davide Catinari (musicista con i Dorian Gray, scrittore, autore, “terrorista emozionale”) nel docufilm “The Missing Boys”, vincitore nella categoria “Best Documentary Feature” al New York Indipendent Cinema Awards e al “Cannes Indipendent Shorts”, attualmente in tour con vari proiezioni lungo la Penisola.

Scorrono le immagini di nomi seminali della scena new wave locale come Agorà, Anonimia, Autosuggestion, Crepesuzette, Démodé, Ici on va faire, Maniumane, Physique du role, Polarphoto, Quartz, Rosa delle Ceneri, Vapore 36, Weltanschauung, si susseguono le testimonianze dei protagonisti dell'epoca (dal 1979 al 1989).

Lo stesso regista ci spiega come arrivavano i semi di quel nuovo frutto (proibito).
Il passaparola di coloro che tornavano da Londra era il sacro Graal a cui riferirsi, perché le testimonianze di prima mano, unite alla valigia di dischi comprati sul posto, oltre a qualche fanzine, erano le uniche fonti di conoscenza per comprendere cosa realmente stesse accadendo oltremare.
Successivamente si aprì il canale del mail order attraverso “Nannucci”, celebrato negozio bolognese che all’epoca divenne uno dei vertici della trasmissione dello scibile rock, soprattutto di quello sotterraneo, meno visibile.

Fu la prima fiamma di un nuovo fuoco che incominciò ad ardere anche nell'isola.
Lo scenario, tra la fine dei ’70 e la prima metà degli ’80, mutò sensibilmente grazie a chi diffuse il verbo rivelato dai dischi d’importazione di punk e new wave oltre che dall’arrivo dei primi videoclip, trasmessi sporadicamente nei pochi spazi televisivi dedicati alle subculture giovanili, elementi di rottura che contribuirono a sviluppare una nuova attitudine nei confronti della musica e dell’immaginario che spargeva tra cervello, orecchie e cuore.

La voglia era tanta, la creatività ribolliva e dalle immagini e dagli estratti sonori di “Missing Boys” si avverte la qualità delle proposte, perfettamente in linea con quanto accadeva in Europa e nel mondo ma si avverte nelle parole dei protagonisti un frequente rammarico per la forzata mancanza di collegamenti diretti con la scena nazionale, a causa dei problemi logistici di spostamento (per esperienza personale andare a suonare in Sardegna era inaffrontabile in aereo a causa di costi elevatissimi, mentre il traghetto comportava più di una decina di ore di tragitto, talvolta in condizioni poco agevoli).

Credo che questo faccia parte comunque delle criticità della provincia, così come l’assenza di spazi e il deficit di attenzione da parte degli enti pubblici. Nel caso specifico l’insularità non ha certamente favorito la diffusione e la conoscenza della scena, ma anche la miopia dei privati ha giocato un ruolo fondamentale nell’invisibilità delle band sarde al di fuori del territorio di riferimento. Le poche eccezioni si contano sulla punta delle dita di una mano ed è grazie alla loro esistenza che si è aperto uno spiraglio che dalla seconda metà degli anni ’80 ha favorito la creazione di un circuito per il live e di strutture dedicate, tra label indipendenti e piccole agenzie di booking.

Un aspetto di rilievo che emerge nelle immagini è quanto fosse comune, voluta e reiterata la commistione tra diverse forme d'arte ed espressione.
Non si trattava semplicemente di musica ma si mischiava con teatro, cinematografia, grafica, poesia, letteratura, in un urgente bisogno di comunicazione, tutto subito, a qualunque costo, pur di fare ascoltare la propria spontaneità creativa.
I tratti distintivi del fenomeno new wave rappresentavano la ricerca di un’identità forte e originale, talvolta disturbante, che travalicava la musica in sé per esprimersi in diverse direzioni, tra performance e multimedialità, anche se con taglio artigianale.
Era importante mettersi in gioco con qualsiasi strumento espressivo a disposizione, senza badare all’ottenimento del consenso. Era una scena che doveva rischiare per sentirsi viva e pulsante.
Era necessario osare, essere creativamente eversivi e questa volontà , ancora oggi, definisce meglio di ogni altra cosa lo spirito di quell’epoca.


“Missing Boys” trasmette alla perfezione questa attitudine e queste sensazioni, soprattutto a fronte del trasporto e della passione che traspare da molti dei protagonisti che rivivono con enorme intensità l'apporto dato alla “causa”, con ogni mezzo necessario e in circostanze davvero difficili.
Un aspetto comune e trasversale alle esperienze dell'epoca e di cui rimane grande rincrescimento, soprattutto alla luce dell'attuale ricerca di materiale del periodo, era l'assoluta noncuranza per la documentazione di ciò che avveniva.
Tale era l'approccio spontaneista che a pochi è venuto in mente di fotografare, archiviare, riprendere con una telecamera.
A ragion veduta, considerato il costo delle attrezzature e, ad esempio, il semplice sviluppo delle fotografie su pellicola, piuttosto oneroso oltre al “pericolo” che correvano una macchina fotografica o una cinepresa durante un pogo in un concerto hardcore punk.
Ma anche perché si preferiva godere appieno di quei rari momenti comunitari con la propria gente ad ascoltare la propria musica, piuttosto che documentare l'istante. In questo senso le operazioni di questo tipo sono estremamente difficoltose.

“The Missing Boys” rappresenta un diario generazionale costruito sulle testimonianze dirette dei protagonisti oltre che su materiali d’archivio raccolti durante i quattro anni di gestazione del progetto.
Fotografie, grafiche e video presenti nel film sono il risultato di una ricerca storica meticolosa, focalizzata su reperti che fossero significativi e sul tracciamento dell’eredità di quelle band e di chi ne ha fatto parte.
In certi casi ho dovuto contattare i familiari di autori scomparsi per ottenere i master audio dei brani - la maggior parte su cassetta - o dei videoclip realizzati all’epoca, cercando di rispettarne la memoria e, soprattutto, di evitare la riapertura di ferite non ancora rimarginate.


Sono operazioni meritorie che aiutano a comprendere una realtà ormai ampiamente esplorata ma a cui mancano ancora molti importanti tasselli.
“Missing Boys” colma una grande lacuna.

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