L'amico GINO DELLEDONNE ci regala la recensione in anteprima di "BLUR: TO THE END" il doc che arriva nelle sale italiane in questi giorni.
Pochi giorni fa ho visto in anteprima Blur: To the end, il doc che sarà nelle sale italiane il 24, 25 e 26 febbraio.
Solo tre giorni a disposizione (salvo che sia successivamente accessibile su qualche piattaforma) per i fan della band per seguire Damon Albarn, Graham Coxon, Alex James e Dave Rowntree nelle settimane precedenti le due date di Wembley.
Dopo la precedente reunion, documentata nel 2010 dalle immagini di No distance left to run, i quattro tornano ancora insieme per quello che può tranquillamente essere considetato unanimemente il punto più alto nella storia dei live del gruppo.
Wembley, il luogo che Damon dice di aver mitizzato vedendo da ragazzino il Live-Aid in tv, ora i Blur, la sua band, sbancare con due sold out da 90.000 spettatori per evento.
Però non sono i biglietti venduti, il luogo e nemmeno il concerto a rendere interessante e spesso toccante il film.
A creare la magia e dare valore al lavoro è l’aspetto umano che emerge dal ritrovarsi di quattro ex adolescenti che per un decennio hanno rarefatto i rapporti reciproci “in dieci anni ci siamo scambiati tre mail, forse”, dice Damon parlando di Alex.
In realtà gli anni trascorsi dal 2010 erano 13, all’epoca del film e 8 anni erano trascorsi dall’uscita di Coxon dal gruppo prima della reunion testimoniata da No distance left to run.
Anche nel 2009 la reunion era motivata dalla voglia di tornare a fare qualcosa insieme.
E’ una sorta di bisogno ciclico di allontanarsi per lunghi periodi, fare ognuno le proprie cose, condurre in un modo o nell’altro le proprie vite, per poi sentire il bisogno di ritrovare gli amici dell’adolescenza coi quali si era formata una band che nessuno di loro immaginava che avrebbe avuto un simile successo.
Come spesso accade però lo stress da successo a cui è sottoposta una band di giovinazzi parecchio cazzoni accentua e spesso infiamma gli aspetti caratteriali dei singoli componenti.
Per oltre 10 anni i Blur sono stati i Blur, con tutto quanto ne consegue in fatto di esposizione e iperlavoro, alcol e fattanze varie comprese (quale e se sia un rapporto causa/effetto poco conta).
Conta che a Damon, sentiti gli altri, rimontata la voglia di fare un disco insieme, The ballad of Darren (2023), come otto anni prima c’era stato The magic whip e, ancora più indietro nel tempo Think Tank, nel 2003.
Nelle lunghe pause chi prosegue con una frenetica attività, praticamente drogato di creatività, da solista o con i Gorillaz o con The Good, the Bad & the Queen e via così con tutto quello che gli salta in testa come fa Damon, chi si ritira in campagna con moglie e figliolanza producendo i suoi formaggi come Alex (nota: lo avreste mai immaginato il bassista dei Blur che fa il casaro? Io no), come Graham che fa le sue robe da solista e collabora persino al disco dei Duran Duran o come Dave che, oltre ad avere un suo progetto musicale con gli Ailerons, ad essere una schiappa nel tennis (vedete il film e capirete perché) e pilotare aerei, è stato candidato laburista nella circoscrizione del Mid Sussex al Parlamento britannico nel 2010 e nel 2024, senza successo in entrambe le tornate elettorali.
Penso seriamente che la bellezza del film stia nella naturalezza di quanto scorre sullo schermo, sembra quasi di vedere un filmino di famiglia, senza i limiti dell’arcaico formato e girato da qualcuno che sa impugnare la macchina da presa, dove lo spettatore è lì, in mezzo a loro mentre fanno le loro cose, mentre parlano, cazzeggiano, provano. Insomma, esattamente come se la macchina da presa non ci fosse.
Per questo, all’inizio, il film sembra arrancare scorrendo un po’impacciato ma poi ti accorgi che sono loro, dopo anni di distanza, che arrancano per ritrovare i propri codici comunicativi e sciogliere gli imbarazzi di vecchi scazzi.
Una volta rotto il ghiaccio fila tutto liscio, come se i ragazzi non fossero lì perché incombe un evento da far tremare i polsi come due date a Wembley o per un album chiamato The ballad of Darren ma per dare vita a Parklife, stessa impostazione cazzona da studenti che mettono insieme una band per dare una scossa lalle proprie vite di provincia.
Di sicuro aveva ragione Mick Jagger quando diceva, di sé e dei suoi compagni di band, che “una volta eravamo giovani, belli e stupidi. Ora non siamo più né belli né giovani”.
Credo che questo valga anche per il Blur ed è quello che ci piace da sempre di loro: la capacità di parlare anche di cose serie, serissime, senza mai prendersi sul serio… da cazzoni, insomma.
In sintesi, se si dovesse trovare un aggettivo per descrivere questo film io sceglierei: autentico.
E non è un complimento da poco.
lunedì, febbraio 24, 2025
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