giovedì, aprile 23, 2015

Pete Townshend - Empty glass



35 anni fa (più esattamente il 21 aprile 1980) PETE TOWNSHEND dava alla luce il suo primo album solista, il favoloso "EMPTY GLASS".
Aveva in realtà già pubblicato "Who came first" nel 1972 ma che era una raccolta di demo acustici (con brani non utilizzati per il progetto "Lifehouse", poi confluito in "Who's next") e episodi dedicati al Meher Baba a cui era devoto e, nel 1977, "Rough mix" in coppia con Ronnie Lane ma "Empty glass" si configura come il primo lavoro concepito in funzione solista.

Album che nasce in un periodo difficilissimo per Townshend, distrutto dalla morte di Keith Moon, minato dall'abuso di alcool (e non solo), in preda ad una crisi esistenziale (nonostante sia, con i canoni odierni, ancora giovane, 35 anni, è considerato dalla critica e dalle nuove punk bands come un "dinosauro" di un'epoca finita), coinvolto in tristi problemi in famiglia e dalla consapevolezza che gli Who siano ormai artisticamente finiti.

"Ho realizzato che praticamente tutti i problemi personali che avevo - quali che fossero, ubriacarsi o difficoltà a casa con la mia famiglia - erano a causa degli Who sempre in tour. Quando ci siamo fermati ho trascorso due anni e mezzo lontano dal palco, rsistendo alle pressioni del gruppo per tornare in tour - "No, io voglio provare a stare fermo e vedere cosa succede'. Alla fine di questo periodo tutti i miei problemi erano ancora lì. Alcuni anche peggio. Ma quel periodo mi ha aperto, sono stato in grado di dare un taglio leggermente diverso alle qualità che cerco o che altre persone cercano, nella vita ".

I 10 brani di "Empty glass" sono un'incredibile prova di energia e forza, in cui recupera la freschezza e l'urgenza degli esordi, lancia arroganti ventate di robustissimo rock, conserva la raffinatezza della scrittura e degli arrangiamenti (bellissimi quelli vocali, originali e curatissimi).
La chitarra torna a ruggire, la base ritmica (alla batteria è prevalentemente presente il "mostro" Simon Philipps ma troviamo anche Kenney Jones, Mark Brzezicki e James Asher) con Bill Butler dei Big Country al basso fa faville, Rabbitt Brundick (storico tatsierista degli Who) è impeccabile, la voce di Townshend sa essere rabbiosa, vellutata, avvolgente, cattiva, sempre convincente.

"Empty Glass non era un album particolarmente all'avanguardia ma è stato interessante per me perché mi sono trovato a fare il tipo di materiale vario che erano soliti usare gli Who".
Nei nostri primi due album abbiamo fatto cose che spaziavano dalle canzoni comiche alle ballate romantiche fino alle cose più folli. E non è che voglio tornare a quei momenti abbastanza estremi, ma è bello non essere vincolati da limitazioni".

L'apertura riserva subito uno dei migliori brani composti dagli anni 80 in poi da Townshend, il tiratissimo rock di "Rough boys" (dedicato, oltre che alle figlie, ai Sex Pistols), con Kenney Jones alla batteria. Il brano era stato composto per gli Who ma lasciato in stand by a causa del testo dai riferimenti all'omosessualità che Roger Daltrey pare avesse problemi a cantare:
"Avevo fatto un'intervista al proposito dicendo che "Rough Boys" è sulla mia gay life, ma in realtà era sugli amici gay che ho avuto. L'intervistatore deve aver cambiato un po' la punteggiatura rendendo la dichiarazione come un Coming out, cosa non affatto vera".

Il brano uscì anche come singolo arrivando al 39° posto delle charts inglesi e con un video in cui due mods e due rockers si disputano una partita a biliardo, con Townshend in mezzo che suona e canta.
https://www.youtube.com/watch?v=dkT8W6u81Ks

Segue la delicata rock ballad "I am an animal" con un elegante arrangiamento di tastiere che si incastra alla perfezione con l'arpeggio della chitarra acustica e un superbo lavoro del basso. ( I am a human being / And I don't believe all the things I'm seeing /I got nowhere to hide anymore/ I'm losing my way / I am a nothing king / Been right around on a golden ring)
"And I'm moved" si colora di disco funk (!) con le tastiere in loop ben sperimentate ai tempi di "Hos next" ("Baba O Riley" e "Won't get fooled again") e una stupenda melodia avvolgente.

Uscito anche come singolo (e con video minimale : https://www.youtube.com/watch?v=vUaRnGKfkBE ) "Let my love open the door" è il brano più convenzionale e facile dell'album (che lo stesso Townshend no nconsiderva particolarmente riuscito), molto vicino alle sonorità pop dell'epoca.
Chiude la facciata la durissima "Jools and Jim" dedicata a due giornalisti che dileggiarono la morte di Keith Moon.
"Keep on working" fu composta per "Who are you" ma esclusa dall'album.
Pete l'ha definita un tentativo di imitare il songwriting di Ray Davies : "Ray ha sempre avuto una grande influenza su di me. Non sono mai riuscito a scrivere nel suo modo come lui ma ci ho provato spesso. "Keep on working" cerca di essere una canzone dei Kinks ma alla fine non ci riesce".
In effetti non è un brano memorabile...
https://www.youtube.com/watch?v=v_-mrL5Tov4

Molto meglio la violenta, successiva, "Cat's in the cupboard" con il grande lavoro all'armonica blues di Peter Hope-Evans e "A little is enough" con tastiere synth forse eccessive (sound tipico di "Who are you") ma con un buon tiro.
"Mia moglie non mi ama più..che fare? Mi disse che mi amava UN PO'. Un po'...questa è buona. Ma l'amore è universale, senz alimiti. Così perfino un po' è abbastanza. Anche se credo che le mie canzoni d'amore siano sempre state terribili, credo che questa sia in assoluto una delle migliori canzoni che io abbia mai scritto"
La title track è un brano già pronto per gli Who, registrato in versione demo con John Entwistle e Keith Moon (inserita poi nella ristampa in CD) ma poi esclusa anche a causa di un testo inizialmente con frasi molto indirizzate verso il suicidio (e corrette successivamente).
Un poderoso brano rock con un ottimo e aggressivo assolo di Pete e una ritmica potentissima.
Chiude la lunghissima "Gonna get ya", tipicamente Who con parecchie similitudini con "5.15", un riuscitissimo botta e risposta vocale e un intermezzo strumentale di grandissimo livello.

Splendido album, il migliore scritto da Pete Townshend dal 1973 in poi, fu oggetto di polemica all'interno della band, privata di grandissimi brani e che invece per il pur buono "Face dances" e il mediocre "It's hard" si dovette accontentare di materiale molto meno interessante.
"Empty glass" ebbe un buon successo sia di pubblico che di critica.

2 commenti:

  1. Disco che ho amato e amo tantissimo, ancora all'epocaTownshend sapeva scrivere grandi canzoni e soprattutto le interpretava con una rabbia che non sfigurava a petto dei dischi punk dell'epoca. Ottimi gli strumentisti coinvolti, soprattutto Tony Butler e Mark Brzezicky, la sezione ritmica dei Big Country, che di li a poco avrebbero prodotto un ottimo album di esordio, per poi perdersi.

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  2. Mi associo.
    La cosa che mi colpì di più fu proprio la voce di Pete,per la prima volta "autosufficiente" sulla lunga distanza (album).
    Apprezzabile il suo pensiero a Ray Davies (cosa non troppo frequente tra primedonne) e divertente immaginare l'incazzosissimo Daltrey saputa la tracklist e la forza di certi pezzi evidentemente non-Who..oltre ai loro proverbiali scazzi sulla vocalità degli stessi..!
    C

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