lunedì, settembre 19, 2022

Quelli che non piangono la regina, da Brixton a Notting Hill


Nel numero di "Alias" nel "Manifesto" di sabato scorso, ampio spazio alle connessioni tra musica e regina Elisabetta.
Mi sono occupato della relazione tra la figura reale e le comunità nere delle West Indies.


Non tutta la Gran Bretagna piange la dipartita della regina, non tutta si stringe commossa intorno al ricordo della longeva sovrana.
E non si tratta solo di anti monarchici, indipendentisti scozzesi o nord irlandesi, antagonisti politici.

La comunità nera e caraibica non ha particolari motivi per rimpiangerla e non sembra che in questi giorni abbia dissimulato la sua indifferenza se non aperta ostilità.
Che dura da quando nel 1948 arrivò a Londra la nave Windrush con 1.027 abitanti dalle West Indies, seguiti fino al 1961 da altri 172.000 migranti, prima che venissero introdotte barriere e restrizioni.
Persone cresciute cantando l'inno che invitava Dio a proteggere la loro Regina, a cui seguì lo straniamento di essere rifiutati da quella che erano stati educati a considerare la "madre patria" e i cui figli, nati in Inghilterra, vedono un potenziale ritorno nelle terre dei genitori come un'emigrazione in terra straniera.
Gli attacchi alla popolazione nera a Notting Hill nel 1958 certificano "l'esistenza del razzismo" e sferrano un colpo simbolico a quel “sogno inglese” custodito dai migranti afro-caraibici che per la maggior parte della popolazione inglese rimangono comunque stranieri.
Realizzano di essere semplicemente "negroes, blacks o West Indians".

E che i combattenti neri caduti e protagonisti nelle due Guerre Mondiali non hanno lo stesso peso nei ricordi e nelle celebrazioni dei commilitoni bianchi.
Constatano che in ogni città del Regno Unito sono confinati in periferie malsane, relegati ai lavori più umili, smembrati e divisi in altre sobborghi, quando la loro comunità diventa troppo coesa e “pericolosa”. Ricordano che per le sanguinose repressioni nelle colonie occupate dagli inglesi sotto il regno di Elisabetta, non hanno mai ricevuto scuse né c'è mai stata un'opera di revisione della politica imperialista perpetrata nel secolo scorso.

Dalle parti di Brixton, il quartiere black per eccellenza a Londra, sono in pochi a piangerla. L'ex calciatore del Manchester City, Trevor Sinclair, è stato quello più esplicito in tal senso (sollevando un gran polverone e ricevendo una valanga di insulti) quando ha twittato (prima di essere costretto a rimuovere il post):
“Il razzismo è stato bandito in Inghilterra solo negli anni ’60 ma gli è stato permesso di prosperare, quindi perché i neri e i mulatti dovrebbero piangere?”.

Quei neri che si sono faticosamente aperti una strada, hanno costruito una propria identità all'interno della società inglese, hanno creato lavoro, arte, comunità, cultura, una nuova dimensione sociale, affrontando anche duri momenti di scontro (vedi, tra i tanti, i famosi incidenti al Carnevale di Notting Hill il 30 agosto del 1976 che vide protagonisti anche i Clash (che ne ricavarono il brano “White riot”) e il DJ Don Letts, divenuto figura chiave della scena punk e reggae inglese).

Interessante la disamina di Fabio Fantazzini nel libro “Dread Inna England” (Red Star Press/HellNation Libri):
"La decostruzione e, in qualche modo, la distruzione del mito del ritorno è un passo fondamentale per la formazione delle identità delle "seconde generazioni" e, non secondariamente, per la loro mobilitazione politica. Nate o cresciute nel paese di emigrazione dei genitori, le nuove generazioni sono maggiormente recalcitranti all'idea di accettare quello scambio basato sulla manodopera a basso costo e sullo sfruttamento offerto ai primi migranti, rimettendo in discussione l'insieme delle loro condizioni sociali. La condizione di "ospite temporaneo" che rendeva più accettabile la rassegnazione rispetto ai sacrifici e alle difficoltà in vista di un futuro rimpatrio, viene eliminata rendendo le nuove generazioni più esigenti nell'ottenere come "diritti" quelle che fino ad allora erano state "concessioni".

In Gran Bretagna, dunque, non tutti piangono la regina.
Soprattutto nell'imminenza di un inverno problematico, nella drammatica constatazione che le disparità razziali non sono cambiate, che le periferie non sono migliorate e nemmeno le condizioni di vita di buona parte della popolazione nera inglese. Non ci sono lacrime da sprecare.

8 commenti:

  1. Anche in Italia c'è chi non ha versato una lacrima....Sono antico: credo ancora che si dovrebbe danzare sulle teste dei re....

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  2. Io sono rimasto esterrefatto dal cordoglio quasi unanime anche da parte di insospettabili

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  3. Francamente eccessivo i messaggi italiani, ad essere gentili.
    Pace all'anima degli inglesi.


    Faber cantava e al dio degli inglesi non credere mai....

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  4. Posso infatti comprendere come parte degli inglesi abbia voluto tributare omaggio a una figura storica etc etc. Ma il "pianto" e il cordoglio di molti italiani...boh.

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  5. Sono d'accordo con voi al 100% e mi unisco da uomo antico alla danza di lespaulmad. cristiano

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  6. sulla mia pagina facebook ho lasciato un post dedicato a Elisabetta II. ho preso in prestito gli Stone Roses. fateci un salto. Cristiano

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  7. anonimo delle 12:42
    ci pensavo qualche settimana fa...non ho mai capito perche' in italia, ma mi pare di capire anche nel resto del mondo, ci sia questa attenzione quasi morbosa per i reali inglesi...non c'e' giorno che passi che quasi ogni telegiornale non abbia un servizio sui reali inglese, su gossip o avvenimenti o celebrazioni o notizie legate a loro...che siano carloCamilla i figli, la vecchia, i cugini, qualche cognato...a me che me frega, fra l'altro coinvolti in incresciosi incidenti legati al razzismo o scandali sessuali o trame da telenovelas ...adesso poi della regina, mi interesse anche meno che zero...cioe' il mondo sta bruciando e dovremmo fermarci una settimana per commemorare una vecchia che e' famosa solo per essere figlia del re?

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  8. https://www.facebook.com/people/Cristiano-Tibaldeschi/100077098736964/

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