venerdì, maggio 16, 2025

Mauro Pagani - s/t



Mauro Pagani è uno dei musicisti italiani di maggiore rilievo, passato dalla PFM, alla collaborazione con Fabrizio De Andrè in "Creuza de mà" e "Nuvole" al posto di direttore artistico del Festival di Sanremo nel 2014 e 2014, giusto per citare alcune delle sue vette artistiche e mediatiche.
Più difficile ricordarlo nello splendido, dimenticato omonimo esordio solista del 1978 in cui, nell’arco di otto brani, viaggia tra jazz, fusion, sperimentazione e sonorità mediterranee accompagnato dal meglio della musica italiana: in “Europa minor” e “L’albero di canto 1” ci sono gli Area al completo, mentre nell’affascinante “Albero di canto 2” divide il suo violino con una strabiliante prestazione della voce di Demetrio Stratos.
Ne “La città aromatica” ritrova tutti gli amici della PFM, mentre è Teresa De Sio a timbrare a fuoco “Argiento”.

Ma ci sono anche Walter Calloni e il chitarrista folk Luca Balco, Roberto Colombo, Mario Arcari (di lì a poco alla corte di Ivano Fossati), Vivaldi e Minieri del Canzoniere del Lazio e Carnascialia.

Il disco è di una bellezza incredibile, in largo anticipo sulla cosiddetta world music mischia attraverso l’utilizzo di strumenti etnici (mandolino e bouzuki su tutti) , musica cameristica, popolare, mediterranea, asiatica, sarda, mediorientale.
La chiamata di Fabrizio De André a collaborare a "Creuza de mà" non sarà casuale.

Erano tempi in cui la MUSICA ITALIANA sperimentava, guardava avanti, soprattutto facendo riferimento alla propria cultura, storia, tradizione, creava, era esempio e faro per l’estero, anticipando tendenze e nuove correnti.
Erano tempi in cui c'erano musicisti prodigiosi, di una preparazione tecnica e culturale strabilianti.
Onore a Mauro Pagani, musicista ed eccelso creativo.

Da un'intervista a Michele Manzotti del 2005:
Già quando ero parte della Premiata Forneria Marconi ebbi un colpo di fulmine per le sonorità del Mediterraneo.
Nel 1974-75 frequentavo Moni Ovadia che si interessava di musica tradizionale, come quella balcanica e le sue derivazioni turche. Con Demetrio Stratos ho condiviso l'amore per le sonorità bulgare che allora non erano ancora conosciute.
I dischi erano rari, ce li prestavamo tra noi.
Quindi avevo conosciuto il Canzoniere del Lazio, il gruppo di musicisti romani che si interessava di musica popolare; e ricordo anche Roberto de Simone in piena attività.
C'era tutto il segnale di recupero della cultura italiana.
In fondo la grande forza di questa nazione è quella di essere formata da mille ''città stato'' che di malavoglia si sono unite insieme: basti pensare alla meravigliosa varietà della lingua italiana che cambia appena attraversiamo un ''torrentello''.
E' una cultura estremamente creativa in cui i grandi temi sono quelli che derivano dalla Grecia antica, dalla Magna Grecia.
Ed ero incuriosito da ciò che definisco ''i figli illegittimi della dominazione turca'' che sono rimasti nei Balcani 400 anni, oltre ai paesi del medio Oriente, Libano, Palestina, Africa del Nord, con la loro complessità e lo scontro continuo tra la cultura autoctona e quella della dominazione turca o araba.
A noi tutti questo era piaciuto tantissimo e nel 1978 avevo buttato giù materiale per un primo disco, che più di un album finito era una sorta di manifesto di intenzioni.

giovedì, maggio 15, 2025

Mick Jagger e Arancia Meccanica

Nel febbraio 1968 una ventina di persone, tra cui John Lennon, Paul McCartney, Ringo Starr e George Harrison oltre a Marianne Faithfull, Anita Pallenberg, Peter Blake, firmarono una petizione a favore di Mick Jagger come protagonista del futuro film "Arancia Meccanica".

Il film fu girato e prodotto da Stanley Kubrick nel 1971, tre anni dopo. Jagger aveva letto ed era rimasto affascinato dall'omonimo libro di Anthony Burgess, pubblicato nel 1962, tanto da comprarne i diritti cinematografici per soli 500 dollari, approfittando delle difficoltà economiche dell'autore. Successivamente li rivendette a un prezzo molto più alto al produttore cinematografico inglese Si Litvinoff.

Litvinoff contattò il regista John Schlesinger per proporgli il film, suggerendo Jagger per il ruolo di Alex, i Beatles per la colonna sonora del film e gli altri membri dei Rolling Stones ad interpretare i Drughi.

Il progetto sfumò con gran sollievo dell'attore Malcom McDowell a cui fu poi assegnata la parte di Alex:
"I Rolling Stones possedevano i diritti del libro di Anthony Burgess prima che venissero acquistati dal regista Stanley Kubrick e che lui mi desse il ruolo di Alex. Grazie a Dio nessuno diede soldi agli Stones per farlo, perché Mick Jagger aveva messo gli occhi sul ruolo di Alex, il violentatore e assassino, mentre il resto del gruppo avrebbe interpretato i drughi. Fortunatamente per la storia del cinema e della musica, il ruolo che poi avrebbe influenzato la mia carriera lo presi io, mentre Mick sarebbe poi diventato Sir Mick".

Kubrick pensò anche ai Pink Floyd e a Ennio Morricone per la colonna sonora ma entrambi negarono la loro disponibilità.

La petizione protestava contro la decisione iniziale di scritturare l’attore David Hemmings, che nel 1966 aveva recitato in Blow Up di Michelangelo Antonioni.

mercoledì, maggio 14, 2025

Intervista a Ezio Bosso



A cinque anni dalla scomparsa del Maestro EZIO BOSSO riprendo un'intervista che mi concesse gentilmente e con entusiasmo circa un anno prima, fermandosi appositamente a Piacenza. E' stato uno dei momenti più elettrizzanti e di spessore nella mia carriera di "giornalista musicale" che ricordo ancora con profonda e sincera emozione. Una parte dell'intervista finì in un articolo nel quotidiano "Libertà". Di seguito quella integrale.

Ezio Bosso è un fine intellettuale, persona lucida, diretta, concreta, uno di quei personaggi di cui ha bisogno il Belpaese, martoriato dalla volgarità, dalla superficialità, dal degrado morale, etico, civile.
Una persona che insieme a pochi altri riesce a indicare una via, quel raggio di luce in fondo al retorico, ma quanto mai reale al giorno d'oggi, tunnel oscuro.
Lo ha fatto anche recentemente con una trasmissione coraggiosa e allo stesso tempo spettacolare come “Che storia è la musica”.

Quando accetta di buon grado, pure con entusiasmo, di farsi intervistare e mi dice che si fermerà a Piacenza, investendomi di parole di stima, mi agito e pure molto.
La mia proverbiale attitudine glaciale e distaccata si scioglie in un attimo.
Il Maestro, una delle persone che più ammiro in assoluto, viene da me per riservarmi il privilegio di un'intervista.
E dove lo porto?
Lui sta per partire per Roma a ritirare la cittadinanza onoraria della capitale, approvata all'unanimità dall'Assemblea, per dire.

Conoscendolo un po' opto per la “toppia” (pergolato) della Cooperativa di S.Antonio e tra un tavolo di accaniti giocatori di briscola, uno in cui un anziano scorre lentamente con il dito la pagina dei morti della “Libertà” e uno da cui si levano animate discussioni di calcio mercato, mentre tutto intorno scorre caotica la via Emilia, incominciamo a parlare.
A ruota libera.
Ezio pervade tutto di un'aura di positività, di determinazione, continuando a vivere in modo chiaro e pulito nelle difficoltà circostanti (non a caso il motto filosofico della cultura mod, da cui lui è partito e che rivendica fin dalla prima domanda).

Il tuo esordio è stato da giovanissimo, suonando il basso con gli Statuto e frequentando il giro mod torinese.
L'esperienza con gli Statuto è stata brevissima perchè mi hanno cacciato subito per eccesso di note.
La mia musica è sempre stata la classica ma ero affiancato da musicisti come Davide Rossi (che ha suonato successivamente anche nei Coldplay) e da Oscar Giammarinaro che ai tempi faceva il Conservatorio.
Non ho comunque mai smesso di seguire quella scena, continuo ad ascoltare quella musica, gli Who, i Jam.
Quell'esperienza continua. Per migliorare se stessi e la società anche attraverso la leggerezza, per renderla meno volgare e vivendo non attraverso i propri averi ma per il gusto e la cultura. Se sono l'uomo che sono è anche perchè ho avuto a che fare con i mods. Mi sento ancora un mod.

Quanto è attuale la musica classica?
E' una necessità. L'errore vero è quello di pensare che si faccia la musica classica perchè è storica e museale.
E' invece qualcosa di cui abbiamo bisogno, E' una musica dedicata alle nostre diversità. L'errore è pensare che la musica appartenga ad un periodo.
Tutti i compositori trascendono e superano il periodo, attingono dal passato e si proiettano nel futuro.
Beethoven scriveva, suonava, cantava, dirigeva. La musica ci appartiene perchè la lasci a qualcuno. Questo fenomeno si è sviluppato allo stesso modo nel jazz o nel rock.

La musica ha un valore oggettivo ?
Per fare un esempio, Beethoven è superiore a chi fa rock n roll o la dance elettronica?

Si, c'è un valore oggettivo.
Musicisti come Beethoven e Bach curavano ogni nota. Solo per non possederla più.
Ho rispetto per tutte le musiche ma nel loro caso c'era una necessità vitale e vera.
E' necessario sia per chi l'ha scritta sia per chi la suona. Quando noi interpretiamo questa musica non esistiamo più, diventiamo la partitura, quelle sono le note e quelle devi fare. Questa è un'oggettività. Il playback non lo possiamo fare. Ci sono parametri assoluti.
Ci sono 200 anni di musica di Beethoven e dentro ci sono un sacrificio e una passione che in altri tipi di musica non si trovano. Oggi fare il musicista classico è qualcosa di punk. Beethoven diceva che la musica è nostra mentre spesso si pensa di conservarla solo per un pubblico paludato.
Se vi piace una parte di Beethoven io ve la rifaccio, applauditela, partecipate.
La gente va avvicinata alla musica.

Trovi ancora stimoli nel suonare, nell'ascoltare cose nuove?
Suonare Beethoven, ad esempio, è ancora uno stimolo?

Quella partitura pur avendo sempre le stesse note muta insieme al tuo progresso umano, diventa diversa con te e scopri cose nuove.
Ogni volta che riprendo in mano una partitura scopro spesso particolari che non avevo mai notato prima. Il fatto che le note siano quelle non vuole dire che sia un monolite.
Cambia in base a ciò che sei.
Se l'ascolti fatta da me o da un altro spesso sono cose completamente differenti.

Credi che la televisione possa ancora essere un mezzo d'insegnamento?
La televisione continua ad essere il principale strumento di diffusione in tutto il mondo.
In Italia ancora di più. I grandi numeri di internet in realtà derivano dalla televisione e te lo dico per esperienza personale. Non bisogna fare ascoltare tutto ma una proposta mirata può essere educativa.
La televisione può avere la funzione di dare un accesso a certe esperienze.
Quando è partita la mia trasmissione mi dicevano che quella musica non interessa a nessuno.
E invece abbiamo avuto un milione di spettatori fissi per tutta la durata, una media del 5.3 contro quella del 4 delle domeniche precedenti.
E' il modo di proporre le cose, un po' come la famosa “Non è mai troppo tardi” del maestro Manzi. Mi ha ispirato lui quando l'ho pensata. Quella era la mia intenzione. Quando senti la parola “alla gente piace quello” mi viene paura, è un concetto totalitarista.
L'importante è un'offerta varia, poi uno sceglie.

Che cosa pensi dell'importanza sempre maggiore che hanno i talent show?
Per me i talent sono la distruzione della cultura musicale. La musica è un mestiere.
Anche piccolo ma che ha delle regole normali. Questa storia del successo è malata. Se uno non ha successo sembra che non abbia dignità. La musica è anche quella proposta dai professori che la insegnano alle medie o dei gruppi che suonano nei bar.
Ci vorrebbero mille gruppi che ogni sera suonano in mille bar. Quello è il vero talent show. La storia della musica è fatta da musicisti che partivano dal piccolo, crescevano e con il talento arrivavano o meno al successo.

Credi ancora nel valore dell'educazione in questi tempi grami?
Io ci provo e ci credo. Ascoltando il prossimo. La musica per natura è educativa.
La cosa più importante che esista è ascoltare. E da lì cresci, cerchi cose nuove.
“Amo tanto una canzone che voglio capire che cosa dice, cosa c'è dietro”.
E grazie a quello scopri altre musiche o aspetti culturali.

Che rapporto hai con internet ?
Internet è passato dall'essere un mezzo con un potere enorme ad essere un fine.
E il linguaggio che è usato sempre più violento. Oggi attraverso internet ho enormi possibilità, anche come musicista, soprattutto di accedere ad archivi immensi.
Ma viene invece usato per fini assolutamente narcisistici. Nei giorni della trasmissione ad esempio la pagina di Wikipedia dedicata a Beethoven ha avuto picchi incredibili come mai si erano registrati prima. I giorni successivi le classifiche di classica avevano in testa la Quinta di Beethoven, poi veniva Ezio Bosso. Questo dimostra il potere della televisione e di internet. E' un mezzo enorme usato in funzione autoriferita.

Una curiosità. Ma quando dirigi trovi anche in teatro gente che riprende con il cellulare? Purtroppo si.
Dico sempre una cosa prima dei concerti. Cerchiamo di viverlo e partecipare, cosa ti importa di fare un video che si sentirà male e che non riguarderai mai?

L'uso della tecnologia digitale, anche e soprattutto nella musica, ha cambiato radicalmente le cose negli ultimi anni.
Un problema di atteggiamento suicida di chi produce le cose.
Si pensa che, in ambito musicale, attraverso il digitale si migliori ma in realtà è caduta la qualità del suono e del contenuto. Inoltre togliendo l'oggetto togli il valore alla stessa produzione. Si lamentano della pirateria ma sono stati loro a dare il via a tutto ciò. Si toglie un momento di convivialità, di discussione. Ma non credo sia la fine, credo che alla fine vincerà la qualità.

Tu da sempre combatti tra il tuo essere un personaggio pop ed essere invece una persona.
Ho una figura pubblica che non si discosta da quella privata. Il termine “personaggio” a me dà fastidio, soprattutto il volere essere personaggio.
Com'era bello vedere i documentari di Zavoli e Zavattini dove le persone davanti alla telecamera erano imbarazzate, spontanee. timide. Ora tutti cercano di essere personaggio, di avere il minuto di successo. Io voglio la persona, le persone, non questa orrenda parola che è “gente”.
Incominciamo a riguardarci in faccia, a parlare l'uno con l'altro.
Le nostre singolarità diventano la società, la formano, “gente” non vuole dire niente.

Come procedi abitualmente relativamente alle scelte artistiche?
Mi chiedono di partecipare a progetti. Quando ho pensato alla trasmissione l'ho fatto per non andare più a programmi ad inviti.
Ho determinato di non partecipare più a nulla a meno che non fosse qualcosa di mio. Mi piacerebbe fare qualcosa che mostri come è davvero l'Italia, andare tra la gente e chiedere che musica ascoltano, quale conoscono, farne una fotografia.

Com'è la giornata tipo di Ezio Bosso?
Studio molto, lavoro tanto, faccio ricerche, sia sotto il profilo musicale che storico e letterario, guardo la televisione, mi piace guardare certe serie tv, cucino tanto.
In realtà penso alla musica in ogni momento, da quando mi alzo a quando mi addormento. Facendo il direttore d'orchestra posso lavorare anche da casa, anche a letto, anche se sto male.
Suono un po' anche il pianoforte quando non mi fanno male le mani.

Abitualmente cosa ascolti?
Per chi lavora con una partitura in testa, come me, è molto difficile ascoltare altro che non sia quello. Va in contrasto con quello a cui penso da mattina a sera. Ma ogni tanto mi ascolto Who, Jam, Weller, sono ancora legato a certe cose.

Cosa pensi di quegli idealisti che, negli anni 60 o 70, vivevano per un'idea, fino in fondo, totalmente? E' qualcosa di finito, ti identifichi con qualcosa del genere?
Già ai tempi c'erano come priorità il posto fisso, stare agli ordini di chiesa o partito.
Gli idealisti ci sono, esistono anche oggi ma sono meno visibili. I ragazzi che dirigo o a cui insegno sono spesso idealisti, fanno cose per gli altri, per la comunità.
Ma spesso di essere idealisti se ne accorgono dopo, ne sono inconsapevoli.
Chi si dichiara idealista spesso cerca solo il potere. Mi piace il principio del credere, nel volere bene alle cose. L'idealismo è un grande oggetto che si applica alle piccole cose. Uno schiaffo farà sempre più rumore di una carezza.
La cosa fantastica della musica è che non la puoi tradire, quando la tradisci cade tutto.

martedì, maggio 13, 2025

Vic Waters and the Entertainers - I'm White, I'm Alright

https://www.youtube.com/watch?v=sc4TUK9Csfs

Un brano controverso, inciso da Vic Waters come una specie di risposta "bianca" a "Say It Loud I'm Black and I'm Proud" di James Brown, uscito pochi mesi prima, nel 1968, a cui fa riferimento esplicito nel testo.

Prodotto da Dan Penn e Spooner Oldham (al lavoro anche con Box Tops, Percy Sledge, Aretha Franklin) è un ottimo rhythm and blues, dal groove funk, incrocio tra la canzone di James Brown e "Hard To Handle" di Otis Redding.

I Vic Waters and the Entertainers erano una show band composta da bianchi con un certo seguito a Tampa Bay, in Florida, negli anni '60.
Registrarono tre 45 giri uno con una bella cover di "Taking Inventory" di Eddie Floyd e poi altri due con la sussidiaria della Capitol, la Crazy Horse.

"I'm White! I'm Alright" può sembrare avere connotati razzisti ma è un testo figlio di tempi (fine anni Sessanta) in cui, soprattutto nel sud degli States (Florida), un certo tipo di linguaggio era abbastanza "normale".
Volendolo giudicare in chiave non discriminatoria, sembra volere rivendicare la capacità di una persona "soulful" di potere suonare funk pur essendo bianca.
La frase "I'ain't tan but I can jam " / "non sono abbronzato ma posso jammare/fare la mia parte" è effettivamente poco elegante e un po' aggressiva e provocatoria, al pari del perentorio "Sono bianco e sono giusto!".

Now there's one point I like to make
To show what I mean I got myself together now and I'm sure as clean
I'm light, white and out of sight
I'ain't tan but I can jam
I do my best at what I do and I am soulful yes
I am I'm white I'm alright!
now dig the music

lunedì, maggio 12, 2025

Daniele Miglietti, Francesca Alfano Miglietti "FAM" - Yoko Ono. Brucia questo libro dopo averlo letto

Riprendo la recensione che ho scritto per l'inserto "Alias" nelle pagine de "Il Manifesto" di sabato 10 maggio.

Raramente un personaggio è stato così detestato, addirittura odiato, incolpato della più grande delle nefandezze nella storia del pop/rock, lo scioglimento dei Beatles.

Retrospettivamente è però invece lecito chiedersi chi dei due ci ha rimesso di più nel legame indissolubile tra Yoko Ono e John Lennon.
Contro ogni vulgata è stata probabilmente la grande artista giapponese che, da pionieristica icona della sperimentazione e dell'avanguardia, è stata derubricata per sempre a stramba (l'epiteto più gentile nei suoi confronti) compagna di una delle più grandi rockstar di tutti i tempi.

Il libro “Yoko Ono. Brucia questo libro dopo averlo letto” di Francesca Alfano Miglietti (FAM) e Daniele Miglietti per Shake Edizioni, confuta con facilità questa tesi, facendo luce, puntigliosa e competente, sull'operato artistico di Yoko Ono, smontando, contestualizzando e analizzando la sua opera, tutte le sciocche dicerie che hanno avvelenato la relazione con John e la sua vita.

Sottolineando ad esempio che “mentre Ono era a fianco di John Cage e Marcel Duchamp, i Beatles sudavano e prendevano anfetamine vestiti di pelle nera in oscuri club di Amburgo” e quando i Fab Four abbozzavano i primi timidi tentativi di uscire dalla bolla di gruppo adolescenziale in “Help”, nel 1965, lei “era intenta a disorientare il pubblico della Carnegie Hall di New York con composizioni spiazzanti”.

Il libro si addentra minuziosamente nell'intera opera di Yoko Ono, partendo dalle prime sperimentazioni con il gruppo Fluxus, facendo agli albori degli anni Sessanta “del femminismo, dell'uguaglianza tra le razze e della compassione tra tutte le creature, la propria personale ragion di essere”.

John Lennon ammise sempre quanto fosse cristallina la loro relazione: “Il nostro rapporto è davvero di professore e allievo. Sono io che ho la notorietà, ma è lei che mi ha insegnato tutto”.

I Beatles finirono (già qualche tempo prima dell'annuncio ufficiale) semplicemente perché si era concluso il loro incredibile ciclo artistico, Yoko non ne ebbe alcuna responsabilità.
Era John che la voleva sempre accanto, non lei a volersi intrufolare negli affari della band.

Un testo esaustivo, ricchissimo di informazioni, quanto è stata l'attività artistica (e, anche, molto influente, quella musicale, vedi B52's, Sonic Youth, Flaming Lips, il giro Riot Grrrl) di Ono, della quale si comprende la grandezza intellettuale e la statura culturale di un personaggio che “non è mai assurto al prestigio di icona pop...la prova incontrovertibile e tangibile del radicalismo della sua poetica”.

"Icona anticipatrice dell'arte concettuale e partecipativa, Yoko Ono lascia un gesto indelebile nella cultura contemporanea, tracciata dal suo forte attivismo per la pace quanto dalla sua operosità per l'ambiente, il femminismo, la musica, il cinema e le rappresentazioni.

"Molte delle idee di Yoko Ono non sono pensate per essere esposte.Sono più come esperimenti mentali. Molti hanno dei preconcetti su Yoko Ono, ma una volta che li superano e guardano davvero ciò che ha effettivamente prodotto, iniziano a capire che grande artista sia in realtà.".

"Già negli anni Cinquanta Yoko Ono aveva sperimentato tra i confini di musica, performance, poesia e arte visiva".

Daniele Miglietti, Francesca Alfano Miglietti "FAM"
Yoko Ono. Brucia questo libro dopo averlo letto
ShaKe Edizioni
400 pagine
25 euro

sabato, maggio 10, 2025

Ringo Starr. Batterista a Bologna

https://www.facebook.com/events/s/presentazione-ringo-starr-batt/1946906045715156 BOLOGNA
Mercoledì 14 maggio 2025
Gallery16
Via Nazario Sauro, 16A

Una serata unica dedicata a Ringo Starr, il batterista che ha dato ai Beatles il loro inconfondibile groove e un’impronta sonora indelebile.

🕗 PROGRAMMA dalle ore 19.00
-Introduzione: due brevi filmati da YouTube per raccontare la figura di Ringo Starr e il suo approccio alla batteria, con un piccolo tutorial tecnico.
-Presentazione del libro: "Ringo Starr, batterista", scritto da Antonio "Tony Face" Bacciocchi, un’analisi che intreccia tecnica musicale, aneddoti e riflessioni sul ruolo di Ringo nei Beatles. Dialogherà con l’autore Checco Garbari, per esplorare la sua visione di Ringo come musicista e uomo.
Bookshop a cura di Libreria Trame
Interventi live: Gio Marinelli e Tommaso Tam (The Menlove) si esibiranno con alcuni brani dei Fab Four, inframezzando la presentazione con momenti di pura magia musicale.

🕗 Ore 20:15 circa – Ted Nylon DJ Set 🎵
Per l' occasione del DJ Set Ted Nylon selezionerà dalla sua collezione rigorosamente in vinile, (sopratutto di singoli a 45 giri) memorabili pezzi noti o semisconosciuti ripescando da: Beat, Mod sounds, Pop British oriented, Garage, Soul, R'n'B, ecc. per un Party tutto da ballare soprattutto orientato ai '60.

Qui il podcast video della presentazione di Genova con Diego Curcio.

https://www.facebook.com/watch/?v=1566141637387703

venerdì, maggio 09, 2025

Kneecapp: il peso delle parole

L'amico MICHELE SAVINI prosegue la ricerca di elementi interessanti e particolari dell'Irlanda meno conosciuta.
Torniamo ad aggiornare le intense e interessanti vicende dei KNEECAPP.
Gli altri racconti sono qui:

https://tonyface.blogspot.com/search/label/The%20Auld%20Triangle%3A%20narrazioni%20dalla%20Repubblica%20d%27Irlanda

Kneecap, Kneecap e ancora Kneecap.

È impossibile ignorarli, anche volendo.
Il controverso trio hip hop di Belfast, di cui avevamo già ampiamente discusso lo scorso anno per la sua attitudine provocatoria e i testi taglienti, torna a far parlare di sé. Ma questa volta, non per scelta.
I tre musicisti sembrano infatti coinvolti in una situazione ben più seria, che li trascina nuovamente sotto i riflettori e nel mirino del fuoco “nemico”.
Sono infatti finiti al centro di un’indagine da parte del dipartimento di polizia antiterrorismo del Regno Unito a causa di due video emersi recentemente e risalenti ad una loro esibizione del novembre 2023, che mostrano membri della band invocare la morte di parlamentari britannici ("L'unico conservatore buono è un conservatore morto.
Uccidete il vostro parlamentare locale") e gridare "Viva Hamas, viva Hezbollah".

Frasi che hanno destato il dissenso trasversale dell’intero mondo politico (con in testa a tutti il Partito Tory) ma anche delle famiglie del deputato laburista Jo Cox e quella del conservatore David Amess, due parlamentari entrambi assassinati nell’ultimo decennio.
L’indagine per terrorismo e le pressioni da parte della polizia britannica hanno ovviamente portato la cancellazione della maggior parte delle esibizioni dei Kneecap previste per l’estate 2025 nel Regno Unito (molte di queste già sold out) con le autorità e la gran parte dei politici che stanno spingendo affinché vengano esclusi anche dalla programmazione del Festival di Glastonbury.
E ad amplificare ulteriormente il clima di intimidazione, si sono aggiunte le minacce di morte ricevute dalla band, come rivelato dal loro manager.

Ma facciamo un passo indietro.
Poche settimane prima, a metà aprile, i Kneecap si sono esibiti al prestigioso Festival di Coachella negli Stati Uniti, partecipando ad entrambe le date del celebre evento californiano e, come da tradizione, portando in scena il consueto mix di musica e attivismo, con forti messaggi politici sul conflitto a Gaza e il sostegno alla causa palestinese, proiettati sui giganteschi schermi LED del palco.

Parole evidentemente troppo ruvide per la sensibilità del moralismo americano e il patinato pubblico di Coachella, tanto che qualcuno non ha apprezzato. La più indignata è sembrata Sharon Osborne, moglie del cantante dei Black Sabbath Ozzy Osborne e già nota per le sue posizioni apertamente filoisraeliane.
L’ex giudice di X Factor ha criticato l’organizzazione del festival per aver permesso che Coachella si trasformasse in una vetrina per l’espressione politica, accusando la band di incitamento all’odio, di sostenere organizzazioni terroristiche e affermando che non dovrebbe essere autorizzata a esibirsi negli Stati Uniti.

"Vi esorto ad unirvi a me nel sostenere la revoca del visto di lavoro dei Kneecap", ha “tuonato” ai suoi follower su Twitter lo scorso 22 aprile.
Vero che la condotta dei Kneecap sul palco è quanto di più lontano ci possa essere da una performance sobria e rispettosa delle convenzioni tradizionali, ma sentirsi fare la predica dalla moglie di uno che negli anni ’80 staccava la testa a un pipistrello sul palco fa decisamente sorridere.
Lapidaria la risposta della band “Dovrebbe riascoltare War Pigs….”
Un richiamo nemmeno troppo velato alla storica canzone antiguerra dei Black Sabbath, zeppa di immagini apocalittiche, dove si parla di corpi che bruciano, macchine della guerra, menti plagiate, streghe e messe nere …

Gli organizzatori del Festival in loro difesa, hanno dichiarato che “non erano assolutamente al corrente delle intenzioni politiche della band”.
Evidentemente pensavano di aver ingaggiato la Taylor Swift di turno e che il passamontagna indossato sul palco fosse semplicemente un rimedio contro il freddo irlandese …

Fatto sta che il Dipartimento di Stato US sta valutando la revoca del visto per possibili rischi legati all’immigrazione e alla sicurezza pubblica, il tutto mentre la band è attesa per una serie di concerti negli Stati Uniti e in Canada nei prossimi mesi.
E come se la tempistica fosse una coincidenza, pochi giorni dopo ecco l’investigazione per terrorismo da parte delle autorità britanniche per i sopracitati video.

Cosi alla fine i Kneecap, per la gioia di tutti quelli che da tempo aspettavano di vederli fare marcia indietro, hanno dovuto scusarsi.
Lo hanno fanno con un comunicato in cui prendono le distanze da Hamas e Hezbollah porgono le loro scuse alle famiglie dei deputati David Amess e Jo Cox ma ribadiscono anche di essere vittime di una forte campagna diffamatoria da parte dei media per via della loro posizione politiche e di come si stia cercando di spostare l’attenzione mediatica su di loro invece che su quello che sta succedendo a Gaza, facendoci credere che le parole possano fare più danni di un genocidio.

Sulla scia della tempesta mediatica e politica, a loro sostegno si sono espresse numerose figure di spicco della scena musicale, inclusi tantissimi artisti Britannici ed Irlandesi, che hanno firmato una dichiarazione di supporto al gruppo.
Paul Weller, Primal Scream, Pulp, Massive Attack, Fontaines DC, Idles, Sleaford Mods, Lankum,
alcuni dei nomi che hanno firmato la lettera promossa dalla casa discografica del gruppo, la Heavenly Recordings, in sostegno ai Kneecap e in nome della libertà di espressione.

Qui di seguito la traduzione e la lista completa dei firmatari:
“La scorsa settimana si è assistito a un chiaro e concertato tentativo di censurare e, in definitiva, rimuovere la band Kneecap dagli schermi. A Westminster e sui media britannici, importanti personalità politiche si sono apertamente impegnate in una campagna per rimuovere i Kneecap dall'attenzione pubblica, con velate minacce riguardo alle loro già programmate esibizioni a concerti, eventi all'aperto e festival musicali, tra cui Glastonbury.
È agghiacciante notare come anche figure e personalità influenti dell'industria musicale in generale stiano tentando di influenzare questa campagna intimidatoria.
Come artisti, sentiamo il bisogno di dichiarare la nostra opposizione a qualsiasi repressione politica della libertà artistica. In una democrazia, nessuna figura politica o partito politico dovrebbe avere il diritto di dettare chi suona o non suona a festival musicali o concerti che saranno apprezzati da migliaia di persone.
Condividere le opinioni politiche dei Kneecap è irrilevante: è nell'interesse fondamentale di ogni artista che ogni espressione creativa sia protetta in una società che valorizza la cultura, e che questa campagna di interferenza sia condannata e ridicolizzata. Inoltre, è anche dovere delle figure chiave della leadership nell’industria musicale difendere attivamente la libertà di espressione artistica, piuttosto che cercare di mettere a tacere le opinioni che si oppongono alle proprie “.

Firmata da : Annie Mac, Beoga, Bicep, Biig Piig, Blindboy Boatclub, Bob Vylan, Christy Moore, Damien Dempsey, Delivery, Dexys, English Teacher, Enter Shikari, Fontaines DC, Gemma Dunleavy, Gurriers, Idles, Iona Zajac, Jelani Blackman, John Francis Flynn, Joshua Idehen, Katy J Pearson, Kojaque, Lankum, Lisa O’Neill, Lowkey, Massive Attack, Martyn Ware, Paul Weller, Peter Perrett, Poor Creature, Primal Scream, Pulp, Roisin El Cherif, SHirley Manson, Sleaford Mods, Soft Play, The Mary Wallopers, The Pogues, Thin Lizzy, Toddla T.

A sostegno dei Kneecap, ma leggermente fuori dal coro, è intervenuto anche il musicista e attivista Billy Bragg.
Pur non avendo firmato la lettera a favore del gruppo (a suo dire, semplicemente perché non gli è stato chiesto) ha scelto di pubblicarne una propria in cui manifesta il proprio sostegno al trio, denunciando la campagna mediatica ostile condotta nei loro confronti, ma al tempo stesso criticando la mancanza di sfumature del comunicato cofirmato dagli artisti e ribadendo che la libertà di espressione comporta anche responsabilità e conseguenze.

Intervento che ho trovato particolarmente interessante e di cui riporto qui di seguito la traduzione:
Mi fa piacere vedere che diversi artisti hanno firmato una lettera in difesa dei Kneecap contro i tentativi di escluderli da vari festival, a seguito di commenti fatti durante concerti più di due anni fa.
La band si è scusata per il dolore causato alle famiglie dei parlamentari assassinati e ha preso le distanze da Hamas e Hezbollah. Dopo aver fatto questo passo, credo che meritino di essere reintegrati nei festival da cui sono stati esclusi, e anche confermati in quelli in cui sono già in programma. Tuttavia, non sono sicuro che mi sarei sentito a mio agio nel firmare quella lettera (non mi è stato chiesto).
Il mio problema è che il testo manca di sfumature e di comprensione rispetto alle ragioni per cui è scoppiata tutta questa polemica. Cercando di evitare le complessità della questione e sostenendo che la politica delle opinioni di un artista sia irrilevante, i firmatari sostengono che l’unico principio in gioco sia la libertà di espressione. Io non sono d’accordo.
Anche Andrew Tate usa questa giustificazione per evitare le accuse di misoginia. L’assolutismo sulla libertà di parola ha trasformato Twitter in un concentrato nauseabondo di odio di destra e bullismo sessista. Rock Against Racism è stato fondato proprio sull’idea che gli artisti non dovrebbero poter dire tutto ciò che vogliono senza conseguenze.
Se vogliamo vivere in una società dove tutti possono esprimere liberamente le proprie opinioni, dobbiamo considerare due altri aspetti fondamentali.
Primo: bisogna garantire pari spazio alle opinioni altrui.
Secondo: per impedire che questi diritti vengano abusati da chi li sfrutta per minacciare o discriminare, dobbiamo accettare che le parole hanno delle conseguenze.

In pratica, ciò significa che dobbiamo fare attenzione a non compromettere gli argomenti ponderati e legittimi che vogliamo sostenere – “Libertà per la Palestina”, “Fermare il genocidio” – con affermazioni superficiali per cui poi siamo costretti a scusarci. Credo che la lettera degli artisti sarebbe stata molto più forte, così come la causa per reintegrare i Kneecap, se avesse riconosciuto questa dinamica fondamentale invece di cercare di mettere da parte ogni altra considerazione.
I Kneecap sono stati alleati espliciti del popolo palestinese, e le loro critiche a Israele sono, a mio parere, del tutto giustificate. Solo i sostenitori più ciechi di Israele possono oggi negare che ciò che viene perpetrato a Gaza sia un genocidio. Lo so perché ho discusso con queste persone proprio su questa terminologia nei social. Le grafiche mostrate dai Kneecap al Coachella, e le dichiarazioni fatte dal palco, non sono antisemite: sono anti-Israele. È una distinzione importante: l’antisemitismo è discriminazione basata sull’etnia e, come ogni forma di razzismo, deve essere sempre contrastato.
Il diritto di protestare contro il comportamento di uno Stato è una libertà fondamentale da difendere. Adottare leggi che rendano illegale farlo è il segno distintivo di un regime totalitario.
E non prendiamoci in giro: la band è stata punita per le dichiarazioni anti-Israele fatte al Coachella.
Le lamentele di Sharon Osbourne hanno scatenato la stampa di destra, che si è messa a scavare nel web in cerca di un pretesto per attaccare la band – e, purtroppo, l’hanno trovato.
Sebbene alcuni possano sostenere che ci siano argomenti a favore di Hamas, ciò non può avvenire ignorando l’uccisione di 815 civili israeliani, tra cui 36 bambini, il 7 ottobre. Allo stesso modo, non è possibile sostenere Israele senza riconoscere l’orrenda strage di oltre 40.000 civili palestinesi, più di 14.500 dei quali bambini, secondo l’UNICEF.

Il peso dell’argomento morale contro Israele si basa sul fatto che colpire civili è un crimine di guerra.
E per quanto la punizione inflitta alla popolazione di Gaza abbia raggiunto proporzioni estreme, questo principio non va dimenticato. Se speriamo un giorno di vedere Netanyahu sotto processo all’Aia, dobbiamo anche accettare che chi ha ucciso civili il 7 ottobre dovrebbe essere giudicato per gli stessi crimini. Ignorare questo fatto mina il sostegno alla causa palestinese, perché implica che non tutti i bambini morti valgano allo stesso modo.
E, come i Kneecap hanno scoperto, conferisce anche il controllo della narrazione ai propri nemici.
Va anche detto che le persone che chiedono il bando dei Kneecap sono le stesse che gridano contro la “cancel culture” ogni volta che qualcuno della loro parte politica viene messo sotto accusa. Il fatto che nessuno tra questi reazionari, che tanto difendono il diritto di offendere, sia intervenuto in difesa della band, dimostra quanto siano ipocriti e mossi solo da interessi personali.
Né dovremmo sentirci tranquilli con l’idea che i Kneecap possano essere perseguiti per dichiarazioni avventate fatte durante un concerto.

Il fatto è che, sul palco, nella foga del momento, si dicono cose stupide.
In contesti più pacati, la band ha chiarito di non sostenere il bersagliamento dei civili, siano essi non-combattenti o parlamentari, richiamandosi all’esperienza della loro comunità durante i Troubles.
Così facendo, riconoscono implicitamente che la libertà di espressione ha dei limiti, e che certe cose non si possono dire senza pagarne le conseguenze.
Forse, se affrontassero alcune di queste complessità in un’intervista, contestualizzando le loro affermazioni e le reazioni che ne sono seguite, pur difendendo il loro diritto a denunciare un genocidio, si potrebbe stemperare il clima e ottenere un sostegno più ampio affinché i Kneecap possano esibirsi come previsto quest’estate. Quello che non credo aiuti, né loro, né chiunque voglia partecipare a un dibattito su questioni altamente controverse, è pretendere, in modo assoluto, che gli artisti possano dire qualunque cosa senza conseguenze.

Viviamo in un’epoca in cui l’agire senza limiti viene esaltato da chi crede che la forza fisica, la ricchezza smisurata, la fama o la competenza tecnologica diano il diritto di fare tutto ciò che si vuole. Eppure, la libertà, e la possibilità di goderne, si fonda sul fatto che nessuno sia al di sopra della legge.
La libertà, intesa come diritto di esprimersi con parole e azioni, non è di per sé sufficiente a definire lo stato di essere liberi, perché, senza uguaglianza, la libertà è solo privilegio. E, come i nostri cugini americani stanno scoprendo a loro spese, la libertà senza responsabilità equivale alla tirannia.


Nel frattempo, il botta e risposta tra Sharon Osbourne e i Kneecap non sembra placarsi.
Pochi giorni fa la Osborne è tornata sull’ argomento “suggerendo” ai rapper di prendere esempio dagli U2, lodando Bono per il suo sostegno pacifico senza incitare alla violenza.

Già, Bono.
Il leader degli U2, che in passato si è sempre professato contro ogni tipo di guerra è stato insolitamente tiepido e moderato quando si è parlato del conflitto a Gaza, e sospettosamente silenzioso, in particolare negli ultimi mesi. E non è certo la sua assenza tra i firmatari della lettera a favore dei Kneecap a sorprendere, fatto per molti ampiamente prevedibile.
C’è chi sostiene infatti che lui e tutto il clan U2 abbiano interessi economici diretti con molte società israeliane, come la Leumi Bank, istituto di credito coinvolto in attività nei territori palestinesi occupati, che ha recentemente stanziato un prestito di 45 milioni di dollari per rilevare il Clarence Hotel a Dublino, di cui Bono e The Edge erano co-proprietari. O la trasmissione in streaming del loro tour nordamericano dello scorso anno affidata alla Meerkat, una società con sede a Tel Aviv che si dice finanzi anche l’esercito di Netanyahu.

Sarà forse questo ciò che intendeva la cara Sharon…?

Continua…

giovedì, maggio 08, 2025

Mods Mayday 2025

Il resoconto del Festival Mods Mayday 2025 tenutosi a Londra il 4 maggio scorso dalle parole di Oscar Giammarinaro, anche sul palco con gli STATUTO.

Iniziamo dalla fine, cioè dal nostro concerto.

Essere "headliner" della sala 2 era pericoloso, sia perché c'era il rischio che tanto pubblico andasse via dopo i Secret Affair (band più attesa) e per la contemporaneità dell'esibizione con gli Style Councillors, la tribute band ufficiale degli Style Council, sicuramente molto piacevole da ascoltare.

Effettivamente a inizio concerto, la sala non era gremita e il gruppo di italiani (devo dire molto folto per questa edizione) dominava davanti al nostro palco.
Il colpo d'occhio era comunque buono e noi eravamo molto carichi e motivati, pronti a divertirci e a condividere l'emozione di suonare in un contesto che è sempre stato per me "Il Paese dei Balocchi" fin da quando mi sono scoperto mod da ragazzino.

Nella scaletta (vedi foto di Dave Edwards) non abbiamo inserito brani del "Football Club" ma brani che più sembravano adatti a un Mods Mayday e la scelta ha decisamente pagato.
Infatti, pian piano arrivavano mods dall'altra sala e si fermavano ad ascoltare, sempre di più e sempre più coinvolti e partecipi.
E' risaputo che io sono quasi cieco, ma era veramente spassoso vedere da sotto i miei occhiali i volti degli inglesi che ci ascoltavano col sorriso stampato in volto.
La stessa espressione che aveva il pubblico ai nostri inizi, quando non ci conosceva proprio nessuno e ci esibivamo per le prime volte.
Gli applausi a fine di ogni brano erano veramente calorosi e le mie presentazioni in un inglese più che maccheronico venivano accolte con simpatia da chi mi capiva e chi no.

Sono sicuro che molti amici inglesi hanno capito la mia dedica del brano BELLA STORIA a Geraldine, amica mod storica appena scomparsa.
Dopo metà concerto la sala si era riempita e il pubblico ci ha veramente fatti sentire importanti e gratificati in una trasferta sicuramente faticosa e avventurosa ma perfettamente riuscita.
In tanti ballavano, addirittura l'attore Trevor Laird, colui che interpreta Ferdi in "Quadrophenia", si univa alle danze nel nostro gran finale.
I nostri brani storici li abbiamo suonati tutti e abbiamo proposto tutti i nostri generi, cioè ska, powerpop, soul e rocksteady.
L'amico Dave Edwards, per l'occasione presentatore dell'evento, nella recensione del nostro concerto (molto positiva e ringraziamo) paragona il nostro ska a quello dei Bad Manners e, onestamente ma non volutamente, ho sempre affermato che tra i gruppi della 2Tone, era proprio quello di Fatty ad assomigliarci di più.
Torniamo però sul palco e agli ultimi brani, cioè SOLO TU (inserita nella compilation del Mayday della Heavy Soul rec.), ABBIAMO VINTO IL FESTIVAL PIAZZA STATUTO che per noi sono stati veramente un momento di sublimazione assoluta, un premio per il nostro impegno e dedizione al modernismo da 42 anni a questa parte,con indiscutibile coerenza e capacità di perseveranza evolutiva.

Certo, il supporto sottopalco di nostri amici storici di piazza Statuto ma anche di piazza della Scala e provenienti da altre parti d'Italia, ci ha dato la forza dell'identificazione che ci ha resi ancor più brillanti, insomma, suonavamo e cantavamo per conto di tutti.
A fine concerto, un sacco di persone presenti che non ci avevano ovviamente mai sentiti ci hanno fatto i complimenti, sinceri e non dovuti, così come tanti i complimenti anche dai componenti di altre band che si sono esibite.
Ero fiducioso sulla nostra accoglienza, ma la reazione è andata aldilà delle più ottimistiche aspettative.
Merito dei musicisti della band che hanno acquisito l'attitudine perfetta per i nostri generi musicali, con vero entusiasmo.
Il ringraziamento particolare al nostro manager Francesco Venuto che ha organizzato la trasferta ottimizzando al meglio e super mega ringraziamento al mio storico amico mod Andrea Napoli e a suo fratello Marco che ci hanno ospitati, sfamati, accompagnati e hanno collaborato sul palco e in tutta la logistica: senza di loro, credetemi assolutamente, non saremmo potuti andare a suonare al Mods Mayday 2025.
Grazie di cuore ai Napoli Brothers.

Sono riuscito a sentire almeno un po' brani di quasi tutte le altre band.
E vado in ordine sparso nel commentare tutte esibizioni di altissimo livello, a partire da Mark McGounden che mi ha "colpito" con una versione eccellente di "The girl that touch my soul" dei Makin'Time, fino alla bellissima "Step in back" suonata dai Threads.

Piacevolissima sorpresa live i Block33 e conferma di trend di valore assoluto per i fratelli Meynell cioè gli Squire e per gli Small World, che hanno nella voce di Chris Philipott un vero fiore all'occhiello.

I Big Boss Man sono sempre stati molto originali nei ritmi e negli arrangiamenti e dal vivo sono una vera bomba.

I Chords Uk hanno una carica e precisione degna del loro primo lavoro su disco di 45 anni fa', giusta la scelta di far iniziare loro, cioè inizio col botto.

E "col botto" erano anche i due artisti che ha non proseguito il concerto in sala 1.
Prima Rhoda Dakar, che non è più la ragazzina delle spumeggianti Body Snatchers,ma una cantante dalla voce pazzesca, carisma totale e una band superlativa.
Dopo di lei i più giovani cioè gli Sharp Class, che sono ulteriormente migliorati dallo scorso anno.
Un suono compatto, preciso e travolgente, una voce intonata da sembrare su disco, una professionalità e una tecnica che farà sicuramente di loro una delle migliori nuove band britanniche, anche al di fuori della scena mod.

Non ho sentito i New Street Adventure perché sono andato in sala 3 a sentire il dibattito condotto da Eddie Piller con Ian Page e dave Cairns, con tutti i posti esauriti e molto interesse e domande da parte del pubblico.
Ammetto che ho capito molto poco, purtroppo l'inglese non l'ho imparato (mia grossa lacuna), ma mi piaceva l'atmosfera e l'abilità e la competenza di Piller nel stimolare e raccontare di musica emerge comunque così l'evidente valore della storia e del significato di Ian & Dave e dei Secret Affair.

Tornavo in sala ad ascoltare i Purple Hearts, sempre più spumeggianti e carichi col passare degli anni, i loro brani sono dei veri gioielli del power pop ed è sempre un vero piacere ascoltarli.

Poi il concerto dei Secret Affair, che per me non è un concerto ma un vero e proprio rito e atto di fede musicale e ideologica della mia vita mod.
Non deludono mai.
Questa volta una scaletta fulminante con i brani dell'album "Glory Boys" suonati e cantati alla grande con quella maestria e credibilità che fa di loro la quintessenza dei musicisti mod, sia in senso storico che artistico.
Oltre ai brani del primo disco anche il capolavoro "One day in your life" e naturalmente una commovente "My world", brano talmente bello e importante che noi usiamo come sigla dei nostri concerti quando saliamo sul palco (ovviamente non lo abbiamo fatto al Mayday..).

Mentre risuonavano le ultime note della loro performance, noi ci spostavamo nell'altra sala per montare il nostro palco e in attesa della chitarra, del basso e della tastiera che la band ci ha gentilmente prestato e poi... si torna all'inizio di questo reportage.

Voglio ringraziare Adrian Gibson AGMP per averci invitati e averci dato questa grande opportunità e soddisfazione, Dave Cairns, Andrew Gilbert, Gary Walsh, Edwin Pearson dei Secret Affair per la disponibilità, Adam Cooper della Heavy Soul per la compilation e l'amico David Edwards per l'accoglienza, la presentazione e il supporto (ci rivediamo al raduno Mod Italiano a Cattolica il 26 e 27 settembre).

E adesso andiamo avanti nella solita e unica giusta direzione, cioè quella del Modernismo.
Come diceva il grande Demetrio dei Four By Art ?...
"E' bello essere mod".

oSKAr
Mods piazza Statuto

mercoledì, maggio 07, 2025

Dal Northern soul alla Club Culture

Foto: 100 Club, London, 1990s © Elaine Constantine.

Dal Northern soul alla Club Culture di Alberto Folpo Zanini chiudeva il mio libro (talvolta vituperato quanto mio bestseller in assoluto) sul "Northern Soul" pubblicato da Agenzia X nel 2022.
Uno scritto interessantissimo e illuminante.

Dal punto di vista di un europeo non è semplice provare a mettere a fuoco come uno stile di musica e di ballo nato cinquant’anni fa nelle Midlands inglesi abbia dato un contributo fondamentale alla nascita della club culture come la conosciamo oggi in tutto il mondo.
Una cultura che è sempre troppo riduttivo confinare nel recinto dell’underground affibbiandole il prefisso sub, che la fa inevitabilmente apparire come qualcosa di sfuggente, di adatto solo ed esclusivamente a un pubblico di iniziati che ne conoscono le regole non scritte e ne praticano gli arcani riti su piste da ballo precluse alla società cosiddetta normale.
A supporto del tentativo vi sono tuttavia delle certezze che rendono in qualche modo più agevole l’impresa.
Una di queste è rappresentata proprio dal northern soul, fenomeno inglese nato tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta che può essere considerato a tutti gli effetti la prima forma assoluta di clubbing, laddove per clubbing si intende il convergere verso locali specializzati, a volte anche viaggiando per centinaia di chilometri, per ballare al ritmo dei dischi non commerciali passati da dj la cui reputazione si costruiva proprio sull’unicità dei brani che proponevano.

Del northern soul in musica si è detto tutto.

I dischi che venivano suonati nei suoi club di riferimento, un tempo sconosciuti e proprio per quello apprezzati e ricercati, sono oggi inseriti in guide che ne svelano ogni segreto. Anche l’iconografia laterale del fenomeno, fatta di abbigliamento comodo per ballare, patche da cucire su borse Adidas con cui portare alle serate la propria attrezzatura e amfetamine per tener duro tutta la notte sulla pista da ballo, è ormai irremovibile dall’immaginario che il solo pronunciare quelle due parole evoca.
Famosi brand di abbigliamento storicamente collegati a fenomeni come quello dei mod o degli skinhead hanno da tempo inserito nei loro cataloghi anche modelli ispirati ai vestiti che i giovani di Stoke on Trent, Wigan, Manchester e moltissime altre cittadine del cuore dell’Inghilterra indossavano per sentirsi comodi a ballare tutta la notte facendo acrobazie degne delle arti marziali più estreme.

L’atmosfera degli allnighter è fissata in centinaia di libri, scritti da autorevoli penne ma anche da semplici frequentatori, è ritratta in numerosi reportage fotografici che non lasciano più quasi nulla all’immaginazione e credo di non sbagliarmi se dico che anche la filmografia dedicata al northern soul supera abbondantemente la decine di pellicole.
Sebbene piuttosto recentemente, tutto questo ha contribuito a farne un fenomeno globale cui si deve, per forza di cose, riconoscere anche il ruolo genitoriale avuto nei confronti della più ampia club culture che ne è seguita.
Non tanto per la musica (anche se tutti i dischi che verranno prodotti e suonati successivamente in ambito dance trarranno ispirazione dal soul), che sempre si evolve in base alla tecnologia che diviene man mano disponibile col tempo, quanto per alcune dinamiche specifiche che sono nate con il northern soul e che ritroviamo pressoché invariate anche nelle fasi successive in cui la dance culture si è evoluta.

Una di queste è la combinazione tra viaggio e sequenza di serate, per esempio.

Quasi tutta la decade dei settanta fu un lungo periodo di interregno in cui due tra i club più rappresentativi della scena, il Wigan Casino, in un paese qualche chilometro a nord ovest di Manchester, e il Blackpool Mecca, locale nell’omonima cittadina di mare sulla costa occidentale proprio di fronte all’Isola di Man, divennero meta di veri e propri pellegrinaggi che duravano per tutto il weekend.
La Highland Room del Blackpool Mecca, cui il comune non permetteva di stare aperto tutta la notte, apriva alle otto di sera del sabato e chiudeva alle due del mattino della domenica, mentre il Casino apriva alle due della domenica e andava avanti fino alle otto.
I molti giovani che si mettevano in strada per raggiungere il Blackpool Mecca trovavano poi naturale proseguire la serata al Wigan Casino.

A volte con bus organizzati, a volte con le auto dei genitori, molto spesso con mezzi di fortuna, ragazzi dello stesso paese facevano gruppo per stare fuori per l’intero fine settimana finendo così per creare uno dei primi modelli di flusso del popolo della notte.
Modello inconsapevolmente applicato anche dai futuri fan dell’house music di casa nostra, imperterriti nel seguire i propri dj partendo dalla serata del sabato e proseguendo poi con i cosiddetti after hour della domenica mattina facendo anche centinaia di chilometri per raggiungere location particolari in Slovenia, Veneto, Emilia, per poi terminare esausti la domenica sera a casa di qualcuno a fumare dell’erba con lo stereo ancora acceso e ritardare il più possibile il rientro in una normalità fatta di lavoro in fabbrica e adeguamento al sistema.
Un’altra dinamica che appare con il northern e si replica incessantemente per tutti i successivi cinquant’anni è l’utilizzo di droghe associate al ballo e a una musica uptempo.
Da una parte tutto il sottobosco di pusher che lo rendeva possibile e dall’altra le forze dell’ordine che tentavano di arginarlo nel nome della tranquillità degli abitanti di quelle piccole cittadine dormienti di provincia.
La condiscendenza dei proprietari dei locali, che si voltavano volentieri dall’altra parte pur di non rischiare di perdere l’importante giro d’affari che tutti quei ragazzi generavano, l’amico che si incaricava di procurare le sostanze per il weekend a nome di tutti perché conosceva uno spacciatore, la stazione di polizia locale che tentava di mettere il sale sulla coda a quei giovani drogati che sciamavano in paese ogni fine settimana, locali che finivano per essere chiusi a causa dell’abuso di sostanze (uno su tutti il Twisted Wheel di Machester, chiuso dopo un’aggressiva cam- pagna antidroga delle forze dell’ordine).

Tutto si ripete uguale a sé stesso nei decenni a seguire e si integra efficacemente con il modello di flusso di cui abbiamo parlato in precedenza.

Le droghe e la musica si evolvono, l’amfetamina viene sostituita da ecstasy e cocaina e la cassa in quattro dell’house perfeziona ritmicamente l’incalzare del soul di fine settanta, ma la cultura che ne sta alla base rimane invariata: spaccarsi insieme ai tuoi amici per due o tre giorni al ritmo della tua musica, ovunque sia necessario andarla ad ascoltare.

Deejay culture e dance culture.

Uno dei motivi che spingevano i soul boy a questi pellegrinaggi era da una parte la necessità di evasione e dall’altra il bisogno di identità. Giova ricordare che stiamo parlando di un’epoca di grande affanno economico per l’Inghilterra.
La crisi del petrolio, i prezzi in costante crescita e il tasso galoppante di disoccupazione col- pirono le Midlands inglesi come una mazzata.
Giovani della classe operaia che non riuscivano a intravedere un futuro, le cui famiglie spesso faticavano ad arrivare a fine mese, percepivano il fine settimana a base di musica e droga come l’occasione per abbandonare, seppure temporaneamente, un mondo in preda a problemi che non capivano e di cui non avevano alcuna colpa.
Anche se ai tempi il vero culto si sviluppava attorno al disco raro che questo o quel dj proponeva, l’essere un deejay o un bravo ballerino rappresentava una prospettiva luccicante molto diversa dall’ambire a un posto di lavoro in una delle miniere di carbone della zona.

Cominciarono a crearsi piccole serate su base locale, di solito infrasettimanali, in cui a mettere i dischi erano ragazzi che emulavano i grandi dj sentiti nel weekend, formando le loro piccole crew locali e dando vita anche qui a un modello di micro società basata sulla musica dove ognuno ha il suo ruolo (il pusher, il dj, il ballerino ecc...) che si integra con i modelli precedenti e contribuisce a costruire la narrativa del fenomeno.
Successivamente, anche questo modello si replica invariato nel mondo della House e della dance in generale.

Dalla fine degli anni ottanta per tutti gli anni novanta non c’è un paesino o piccola cittadina italiana che non abbia la sua crew di House Heads con i suoi pusher, i suoi ballerini, i suoi dj, e spesso, grazie anche all’evoluzione tecnologica del fare musica, anche produttori che ne faranno una professione coronando quel sogno in cui la carriera artistica brillava molto di più di un impiego alle poste.

Lo stesso sogno delle loro controparti inglesi di trenta o quarant’anni prima.

martedì, maggio 06, 2025

Missing Boys e la new wave in Sardegna

Riprendo l'articolo che ho pubblicato un paio di settimane fa nelle pagine de "Il manifesto"nelle pagine di "Alias" che ampliava la segnalazione del blog qui : https://tonyface.blogspot.com/2025/03/the-missing-boys-di-davide-catinari.html relativa al docufilm di Davide Catinari "Missing Boys" sulla new wave in Sardegna dal 1979 al 1989.

Sono sempre più numerose le pubblicazioni, i video, gli approfondimenti su un periodo fino a pochi anni fa nebuloso, poco documentato, più spesso male interpretato e riferito, con inesattezze, omissioni, approssimazioni.
Ovvero quegli anni a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta in cui punk e new wave divennero per molti/e giovani un'alternativa identitaria alle contrapposizioni ideologiche (come sappiamo, non di rado violente e tragiche) e allo tsunami di eroina che travolse l'Italia ma non solo, lasciando lutti e distruzione, morale e sociale.
Dapprima poche decine di persone, poi centinaia e infine migliaia, vestirono abiti di matrice anglosassone, inconsueti, spesso oltraggiosi, cambiarono gusti musicali, affossando gli abituali ascolti di cantautori, prog, jazz fusion, discomusic, adottarono uno stile di vita contrapposto a quello usuale.
Si ritagliarono una nicchia osteggiata praticamente da tutti ma crearono un nuovo stile, cosiddetto sottoculturale che esaltava il concetto di “noi contro di voi” ma anche quello del “noi senza di voi”.

In Italia una particolarità dell'epoca fu l'esplosione di creatività nella provincia, nei luoghi in cui l'abbandono e il degrado culturale erano più forti e insopportabili.
La Sardegna era un luogo ancora più difficile da vivere in quest'ottica. Un luogo lontano, quasi inaccessibile, di cui si parlava solo per le spiagge immacolate o per la delinquenza e i rapimenti.
Eppure anche qui, più probabilmente PROPRIO QUI, punk e new wave arrivarono e con forza. Lo descrive bene Davide Catinari (musicista con i Dorian Gray, scrittore, autore, “terrorista emozionale”) nel docufilm “The Missing Boys”, vincitore nella categoria “Best Documentary Feature” al New York Indipendent Cinema Awards e al “Cannes Indipendent Shorts”, attualmente in tour con vari proiezioni lungo la Penisola.

Scorrono le immagini di nomi seminali della scena new wave locale come Agorà, Anonimia, Autosuggestion, Crepesuzette, Démodé, Ici on va faire, Maniumane, Physique du role, Polarphoto, Quartz, Rosa delle Ceneri, Vapore 36, Weltanschauung, si susseguono le testimonianze dei protagonisti dell'epoca (dal 1979 al 1989).

Lo stesso regista ci spiega come arrivavano i semi di quel nuovo frutto (proibito).
Il passaparola di coloro che tornavano da Londra era il sacro Graal a cui riferirsi, perché le testimonianze di prima mano, unite alla valigia di dischi comprati sul posto, oltre a qualche fanzine, erano le uniche fonti di conoscenza per comprendere cosa realmente stesse accadendo oltremare.
Successivamente si aprì il canale del mail order attraverso “Nannucci”, celebrato negozio bolognese che all’epoca divenne uno dei vertici della trasmissione dello scibile rock, soprattutto di quello sotterraneo, meno visibile.

Fu la prima fiamma di un nuovo fuoco che incominciò ad ardere anche nell'isola.
Lo scenario, tra la fine dei ’70 e la prima metà degli ’80, mutò sensibilmente grazie a chi diffuse il verbo rivelato dai dischi d’importazione di punk e new wave oltre che dall’arrivo dei primi videoclip, trasmessi sporadicamente nei pochi spazi televisivi dedicati alle subculture giovanili, elementi di rottura che contribuirono a sviluppare una nuova attitudine nei confronti della musica e dell’immaginario che spargeva tra cervello, orecchie e cuore.

La voglia era tanta, la creatività ribolliva e dalle immagini e dagli estratti sonori di “Missing Boys” si avverte la qualità delle proposte, perfettamente in linea con quanto accadeva in Europa e nel mondo ma si avverte nelle parole dei protagonisti un frequente rammarico per la forzata mancanza di collegamenti diretti con la scena nazionale, a causa dei problemi logistici di spostamento (per esperienza personale andare a suonare in Sardegna era inaffrontabile in aereo a causa di costi elevatissimi, mentre il traghetto comportava più di una decina di ore di tragitto, talvolta in condizioni poco agevoli).

Credo che questo faccia parte comunque delle criticità della provincia, così come l’assenza di spazi e il deficit di attenzione da parte degli enti pubblici. Nel caso specifico l’insularità non ha certamente favorito la diffusione e la conoscenza della scena, ma anche la miopia dei privati ha giocato un ruolo fondamentale nell’invisibilità delle band sarde al di fuori del territorio di riferimento. Le poche eccezioni si contano sulla punta delle dita di una mano ed è grazie alla loro esistenza che si è aperto uno spiraglio che dalla seconda metà degli anni ’80 ha favorito la creazione di un circuito per il live e di strutture dedicate, tra label indipendenti e piccole agenzie di booking.

Un aspetto di rilievo che emerge nelle immagini è quanto fosse comune, voluta e reiterata la commistione tra diverse forme d'arte ed espressione.
Non si trattava semplicemente di musica ma si mischiava con teatro, cinematografia, grafica, poesia, letteratura, in un urgente bisogno di comunicazione, tutto subito, a qualunque costo, pur di fare ascoltare la propria spontaneità creativa.
I tratti distintivi del fenomeno new wave rappresentavano la ricerca di un’identità forte e originale, talvolta disturbante, che travalicava la musica in sé per esprimersi in diverse direzioni, tra performance e multimedialità, anche se con taglio artigianale.
Era importante mettersi in gioco con qualsiasi strumento espressivo a disposizione, senza badare all’ottenimento del consenso. Era una scena che doveva rischiare per sentirsi viva e pulsante.
Era necessario osare, essere creativamente eversivi e questa volontà , ancora oggi, definisce meglio di ogni altra cosa lo spirito di quell’epoca.


“Missing Boys” trasmette alla perfezione questa attitudine e queste sensazioni, soprattutto a fronte del trasporto e della passione che traspare da molti dei protagonisti che rivivono con enorme intensità l'apporto dato alla “causa”, con ogni mezzo necessario e in circostanze davvero difficili.
Un aspetto comune e trasversale alle esperienze dell'epoca e di cui rimane grande rincrescimento, soprattutto alla luce dell'attuale ricerca di materiale del periodo, era l'assoluta noncuranza per la documentazione di ciò che avveniva.
Tale era l'approccio spontaneista che a pochi è venuto in mente di fotografare, archiviare, riprendere con una telecamera.
A ragion veduta, considerato il costo delle attrezzature e, ad esempio, il semplice sviluppo delle fotografie su pellicola, piuttosto oneroso oltre al “pericolo” che correvano una macchina fotografica o una cinepresa durante un pogo in un concerto hardcore punk.
Ma anche perché si preferiva godere appieno di quei rari momenti comunitari con la propria gente ad ascoltare la propria musica, piuttosto che documentare l'istante. In questo senso le operazioni di questo tipo sono estremamente difficoltose.

“The Missing Boys” rappresenta un diario generazionale costruito sulle testimonianze dirette dei protagonisti oltre che su materiali d’archivio raccolti durante i quattro anni di gestazione del progetto.
Fotografie, grafiche e video presenti nel film sono il risultato di una ricerca storica meticolosa, focalizzata su reperti che fossero significativi e sul tracciamento dell’eredità di quelle band e di chi ne ha fatto parte.
In certi casi ho dovuto contattare i familiari di autori scomparsi per ottenere i master audio dei brani - la maggior parte su cassetta - o dei videoclip realizzati all’epoca, cercando di rispettarne la memoria e, soprattutto, di evitare la riapertura di ferite non ancora rimarginate.


Sono operazioni meritorie che aiutano a comprendere una realtà ormai ampiamente esplorata ma a cui mancano ancora molti importanti tasselli.
“Missing Boys” colma una grande lacuna.

lunedì, maggio 05, 2025

Alex Loggia - Leo e Zoe – Storia di un amore improbabile

In questo esordio letterario Alex Loggia (storico chitarrista degli Statuto e tanto altro) scrive come suona: preciso, elegante, raffinato, soulful.

Il romanzo racconta dell'amore e delle vicende adolescenziali di Leo e Zoe, che incrociano il mondo mod e delle sottoculture, delle nottate senza fine, delle illusioni e delle delusioni, della realtà cruda e spiazzante che spegne i voli idealistici ma forgia uno spirito che diventa inossidabile per la vita.

Riporto la prefazione che Alex mi ha gentilmente richiesto per il libro e che ne riassume il contenuto:
Per scrivere un romanzo che in modo credibile racconti di avventure giovanili, legate ad elementi sottoculturali e poco conosciuti, bisogna averle vissute in prima persona.
Come è accaduto all'autore, testimone e protagonista diretto di quella epopea che fu il movimento Mod in Italia negli anni Ottanta, a cui si legava e affiancava una scena sottoculturale dai mille risvolti, filosofici ed estetici, che coinvolse migliaia di ragazzi e ragazze in tutta Italia.
Fu un momento di esplosione di vitalità, urgenza, freschezza, spontaneità, un periodo seminale, i cui frutti germinano ancora oggi.
Le serate, le vicende, i concerti, i raduni descritti nel romanzo hanno molti agganci autobiografici e fotografano al meglio le sensazioni che respiravamo in quegli anni, così importanti e formativi. Hanno forgiato la nostra vita, l'hanno totalmente cambiata, chissà se in bene o in male, sicuramente l'hanno resa diversa e più interessante.
Leo e Zoe ci ricordano quei momenti irripetibili, nel modo più fedele a come è stato.


Il libro si trova su Amazon o richiedendolo ad Alex: https://www.facebook.com/alex.loggia

"In the end" è la colonna sonora al romanzo composta e suonata da Alex Loggia.
https://www.youtube.com/watch?v=vb52f4hfME8

sabato, maggio 03, 2025

Ringo Starr, batterista: appuntamenti

Oggi alle 16:30 presentazione del volume 𝑹𝒊𝒏𝒈𝒐 𝑺𝒕𝒂𝒓𝒓, 𝒃𝒂𝒕𝒕𝒆𝒓𝒊𝒔𝒕𝒂 (uscito per Edizioni LOW), con la moderazione di Carmine Caletti all'interno de Il Cortile del Vinile • Mercatino del disco • 6ª edizione (aperta dalle 10.00).
Mercoledì 7 maggio alle 21 alla Biblioteca Di Castelvetro Piacentino per "Castelvetro d'autore" in dialogo con Giovanni Battista Menzani.

venerdì, maggio 02, 2025

40 anni di Klasse Kriminale: Il Documentario - Con la tua banda e le sue regole di Giuseppe Garau

https://www.youtube.com/watch?v=cC-W4BMaXHs

Un documentario diretto e spartano come è sempre stata la musica dei KLASSE KRIMINALE, favolosa interprete del migliore Oi!/Street punk in circolazione.

Marco Balestrino è la voce (e la faccia) narrante di una storia (pericolosa) che dura da 40 anni, passata in mezzo a mille turbolenze e cambiamenti ma ancora viva e pulsante.
Scorrono immagini d'epoca, attuali e tante dichiarazioni di affetto a dipingere un percorso senza macchia e, soprattutto, senza paura.

Una testimonianza preziosa che suggella un marchio di sempiterna qualità.

giovedì, maggio 01, 2025

Referendum 8 e 9 giugno 2025

L’8 e 9 giugno 2025 le cittadine e cittadini saranno chiamati a votare per 5 Referendum. La Corte Costituzionale ha ritenuto ammissibili i 4 quesiti referendari sul lavoro, per i quali sono state raccolte oltre 4 milioni di firme, e il referendum sulla cittadinanza, depositato in Cassazione con 637 mila firme.

QUALI SONO I REFERENDUM?

I REFERENDUM SUL LAVORO

1. Stop ai licenziamenti illegittimi
Quesito:
«Volete voi l’abrogazione del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, recante “Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183” nella sua interezza?»

Il PRIMO dei quattro referendum sul lavoro chiede l’abrogazione della disciplina sui licenziamenti del contratto a tutele crescenti del Jobs Act. Nelle imprese con più di 15 dipendenti, le lavoratrici e i lavoratori assunti dal 7 marzo 2015 in poi non possono rientrare nel loro posto di lavoro dopo un licenziamento illegittimo. Sono oltre 3 milioni e 500mila ad oggi e aumenteranno nei prossimi anni le lavoratrici e i lavoratori penalizzati da una legge che impedisce il reintegro anche nel caso in cui la/il giudice dichiari ingiusta e infondata l’interruzione del rapporto. Abroghiamo questa norma, diamo uno stop ai licenziamenti privi di giusta causa o giustificato motivo.

2. Più tutele per le lavoratrici e i lavoratori delle piccole imprese
Quesito:
«Volete voi l’abrogazione dell’articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, recante “Norme sui licenziamenti individuali”, come sostituito dall’art. 2, comma 3, della legge 11 maggio 1990, n. 108, limitatamente alle parole: “compreso tra un”, alle parole “ed un massimo di 6” e alle parole “La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro.”?»

Il SECONDO riguarda la cancellazione del tetto all’indennità nei licenziamenti nelle piccole imprese. In quelle con meno di 16 dipendenti, in caso di licenziamento illegittimo oggi una lavoratrice o un lavoratore può al massimo ottenere 6 mensilità di risarcimento, anche qualora una/un giudice reputi infondata l’interruzione del rapporto. Questa è una condizione che tiene le/i dipendenti delle piccole imprese (circa 3 milioni e 700mila) in uno stato di forte soggezione. Obiettivo è innalzare le tutele di chi lavora, cancellando il limite massimo di sei mensilità all’indennizzo in caso di licenziamento ingiustificato affinché sia la/il giudice a determinare il giusto risarcimento senza alcun limite.

3. Riduzione del lavoro precario
Quesito:
«Volete voi l’abrogazione dell’articolo 19 del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81 recante “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183”, comma 1, limitatamente alle parole “non superiore a dodici mesi. Il contratto può avere una durata superiore, ma comunque”, alle parole “in presenza di almeno una delle seguenti condizioni”, alle parole “in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 31 dicembre 2025, per esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva individuate dalle parti;” e alle parole “b bis)”; comma 1 -bis , limitatamente alle parole “di durata superiore a dodici mesi” e alle parole “dalla data di superamento del termine di dodici mesi”; comma 4, limitatamente alle parole “,in caso di rinnovo,” e alle parole “solo quando il termine complessivo eccede i dodici mesi”; articolo 21, comma 01, limitatamente alle parole “liberamente nei primi dodici mesi e, successivamente,”?»

Il TERZO punta all’eliminazione di alcune norme sull’utilizzo dei contratti a termine per ridurre la piaga del precariato. In Italia circa 2 milioni e 300 mila persone hanno contratti di lavoro a tempo determinato. I rapporti a termine possono oggi essere instaurati fino a 12 mesi senza alcuna ragione oggettiva che giustifichi il lavoro temporaneo. Rendiamo il lavoro più stabile. Ripristiniamo l’obbligo di causali per il ricorso ai contratti a tempo determinato.

4. Più sicurezza sul lavoro
Quesito:
«Volete voi l’abrogazione dell’art. 26, comma 4, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, recante “Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro” come modificato dall’art. 16 del decreto legislativo 3 agosto 2009 n. 106, dall’art. 32 del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modifiche dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, nonché dall’art. 13 del decreto legge 21 ottobre 2021, n. 146, convertito con modifiche dalla legge 17 dicembre 2021, n. 215, limitatamente alle parole “Le disposizioni del presente comma non si applicano ai danni conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici.”?»

Il QUARTO interviene in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Arrivano fino a 500mila, in Italia, le denunce annuali di infortunio sul lavoro. Quasi 1000 i morti, che vuol dire che in Italia ogni giorno tre lavoratrici o lavoratori muoiono sul lavoro. Modifichiamo le norme attuali, che impediscono in caso di infortunio negli appalti di estendere la responsabilità all’impresa appaltante. Cambiamo le leggi che favoriscono il ricorso ad appaltatori privi di solidità finanziaria, spesso non in regola con le norme antinfortunistiche. Abrogare le norme in essere ed estendere la responsabilità dell’imprenditore committente significa garantire maggiore sicurezza sul lavoro.

REFERENDUM CITTADINANZA ITALIANA 5. Più integ
razione con la cittadinanza italiana

Quesito: «Volete voi abrogare l’articolo 9, comma 1, lettera b), limitatamente alle parole “adottato da cittadino italiano” e “successivamente alla adozione”; nonché la lettera f), recante la seguente disposizione: “f) allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica.”, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza”?»

Il QUINTO referendum abrogativo propone di dimezzare da 10 a 5 anni dei tempi di residenza legale in Italia per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana, ripristinando un requisito introdotto nel 1865 e rimasto invariato fino al 1992. Nel dettaglio si va a modificare l’articolo 9 della legge n. 91/1992 con cui si è innalzato il termine di soggiorno legale ininterrotto in Italia ai fini della presentazione della domanda di concessione della cittadinanza da parte dei maggiorenni.

Il referendum sulla Cittadinanza Italiana non va a modificare gli altri requisiti richiesti per ottenere la cittadinanza quali: la conoscenza della lingua italiana, il possesso negli ultimi anni di un consistente reddito, l’incensuratezza penale, l’ottemperanza agli obblighi tributari, l’assenza di cause ostative collegate alla sicurezza della Repubblica. Questa modifica costituisce una conquista decisiva per circa 2 milioni e 500mila cittadine e cittadini di origine straniera che nel nostro Paese nascono, crescono, abitano, studiano e lavorano. Allineiamo l’Italia ai maggiori Paesi Europei, che hanno già compreso come promuovere diritti, tutele e opportunità garantisca ricchezza e crescita per l’intero Paese.
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