mercoledì, aprile 30, 2025

Aprile 2025. Il meglio

Senza accorgecene siamo già a un terzo del 2025: tra i migliori album quelli di Bob Mould, Sam Akpro, Little Barrie & Malcolm Catto, The Loft, Sunny War, The War and Treaty, Ringo Starr, Iggy Pop, Cymande, Lambrini Girls, De Wolff, PP Arnold, Altons, Delines, Gyasi.
Ottime cose dall'Italia con Neoprimitivi, The Lings, Putan Club, Cristiano Godano, I Canni, Billy Boy e la sua Band, Megain Is Missing, Laura Agnusdei, Elisa Zoot, Roberta Gulisano, Angela Baraldi, Flavia Ferretti.


SAM AKPRO - Evenfall
Esordio fulminante, perché parla la lingua ibrida di oggi, del presente e dell'immediato futuro.
Alla domanda con chi avrebbe voluto suonare, risponde "con il Miles Davis di "Bitches Brew" e con i Joy Division".
Non si sentono direttamente ma ci sono.
Insieme a tanto dub e post punk, elettronica, atmosfere cupo/apocalittiche, hip hop, urban e tanto altro.

LITTLE BARRIE - & MALCOLM CATTO - Electric war
I silenti e dimenticati Little Barrie tornano dopo cinque anni ad affiancare il produttore e batterista Malcolm Catto degli Heliocentrics, per ripetere l'esperienza vincente di "Quatermass Seven". Gli otto brani del nuovo album sono un avvolgente mantello tessuto a rock, funk, jazz e psichedelia, suonato con un approccio "jam live in studio", diretto e spontaneo. Disco molto bello, Hendrixiano, bluesy,e groovy.

SMITH & The HONEY BADGERS - Killing Time
L'esordio della band di otto elementi londinese raccoglie brani composti in dieci anni di attività. E' il classico torrido mix di soul, funk, rhythm and blues in salsa vintage 60/70s con la voce di Marietta Smith protagonista, una sezione ritmica pulsante, sezione fiati raffinata e un bel tiro.
Non cambierà la storia della soul music ma l'umore della vostra giornata sicuramente.

STONE FOUNDATION – The revival of survival
L'undicesimo album del collettivo inglese festeggia il 25° anno della loro attività nel migliore dei modi, con il consueto funk/soul/disco/acid jazz pieno di ritmo, eleganza, groove. Arricchito dalla presenza di Mick Talbot alle tastiere e dalle voci soul di JP Bimeni, Omar, Laville, è una conferma della qualità del loro sound.

GUY HAMPER TRIO - Goddess Tree
In una delle sue mille incarnazioni torna Billy Childish, in una labum strumentale affiancato nientemeno dal vecchio sodale James Taylor all'Hammond (con cui già aveva condiviso un album simile lo scorso anno). Dodici brani strumentali tra cui due omaggi agli Yardbirds ("For your love" e "Shapes of things") a base della consueta e prevedibile formula Booker T & the Mg's/primo James Taylor Quartet/Jimmy Smith etc. Molto piacevole.

GAZZARA - Criminal Sounds - A musical journey into 1960-1970s cop and spy movies
Il grande tastierista e Hammondista romano, firma un ennesimo album di pregio, rivisitando quindici temi cinematografici, da "Goldfinger" ai nostri "Profondo rosso" e " Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto". In mezzo anche "Starsky and Hutch" o "Mission impossible". Il tutto però spogliato dalle parti orchestrali e rivisitato in chiave funk jazz da una super band che macina classe ed eleganza, registrato live in studio, restituendo a classici senza tempo immediatezza, urgenza, spontaneità. Super groovy.

WATERBOYS - Life, Death and Dennis Hopper
Sempre avuto scarsa considerazione e attenzione per i Waterboys, soprattutto dopo averli visti aprire ai Pretenders il 1° giugno 1984 a Milano al Festival dell'Amicizia (la festa dei democristiani...andai, in incognito, per amore di "Learning to crawl" di Chrissie Hynde & co., uno dei miei album da isola deserta).
Il nuovo disco mi ha incuriosito per il concept dedicato a uno dei miei attori preferiti, DENNIS HOPPER.
Un disco sorprendente, un'ora di musica, 25 brani (di cui una decina brevi intermezzi di un minuto/due, spesso un po' inutili), in cui spaziano da rock classico a Bob Dylan, da momenti alla Who, pause in stile Burt Bacharach, country rock, ospiti come Bruce Springsteen, Fiona Apple, Steve Earle, episodi esagerati ("frank, let's f**k", insopportabile). Tanta roba, troppa, ma mi affascinano questi tour de force artistici, questo rischio (in)consapevole di fare il passo troppo lungo, questi "London calling/Sandinista/White Album".
Un album intrigante nella sua ridondanza.
Complimenti al coraggio.

THE GODFATHERS - Electric deja vu
Di loro in tanti ricordano l'eccellenza di due grandi album come "Birth, School, Work, Death" (1988) e "More Songs About Love and Hate" (1989).
Ma dopo il ritorno nel 2008 hanno inciso altri tre dischi di grande livello, sempre a base di un grintoso punk 'n' roll, personale e immediatamente distinguibile.
Da questi ultimi la band trae ora un Greatest Hits, per festeggiare i 40 anni di attività (in attesa del nuovo album il prossimo anno).
Le 18 canzoni confermano tutta la bontà del loro stile e la forza del sound di una band troppo spesso sottovalutata.

SURE FIRE SOUL ENSEMBLE - Gemini
La band di nove elementi di San Diego ci delizia con un buon album di soft funk strumentale molto ben fatto. Pur se non brilla in originalità o spunti particolari l'ascolto è gradevole e stimolante.

ROSETTES - Lifestyles
La band finlandese al debutto con un album in cui soul psichedelico, funk e ritmi alla Meters e influenze caraibiche alla Cymande, creano un mix avvolgente e suadente che talvolta riporta alle atmosfere di Sade. Non male.

AA.VV. - Get Ready For The Countdown – Mod, Brit Soul, R&B, & Freakbeat Nuggets
La miniera illimitata dei Sixties continua a essere saccheggiata in compilation a tema.
Anche i 3 CD di questa compilation confermano la qualità di quell'irripetibile sound, figlio di soul, rhythm and blues, rock 'n' roll, blues, ska, che imperversò per qualche anno nei club inglesi.
Qui ci sono 70 brani, alcuni già conosciuti dai connaiseurs, altri più che oscuri e dimenticati.
Gli amanti di quegli anni ne godranno.

PLASTIC MAN – The end and the beginning
Terzo album per la band toscana capitanata dal cantante/chitarrista Raffaele Lampronti e una nuova discesa in un magma psichedelico che spazia dalle immancabili radici di Syd Barrett e arriva fino agli XTC. In mezzo Love, Tomorrow, Grateful Dead e tutto quello che si tinge di colori fluorescenti e acidi. Suonato con grande perizia e arrangiato con perfetta conoscenza della materia affrontata (non è l’esperienza quella che manca all’autore). Un ottimo lavoro di altissima qualità, perfetto per gli appassionati del genere, senza cadere in scontati revivalismi.

CRISTIANO GODANO – Stammi accanto
Composto in periodo pandemico, posticipato per cinque anni, vede ora la luce il più che pregevole secondo album solista di Cristiano Godano, pubblicato poco dopo l’acclamato tour celebrativo per i trenta anni di “Catartica” dei Marlene Kuntz. Un lavoro molto intimo, malinconico e romantico, che non di rado attinge da una delle sue principali passioni, Neil Young, nell’incedere folk country di molte canzoni ma che guarda anche all’Eugenio Finardi più riflessivo (anche nell’esecuzione vocale). La qualità compositiva di Godano è sempre eccelsa, fresca ed efficace e, paradossalmente, sembra esprimersi al meglio proprio in un’ottica acustica (per quanto l’importanza dei Marlene Kuntz nella musica italiana sia assoluta). Una sorta di “altro” Godano, altrettanto autorevole e di grande pregio.

LA NINA - Furèsta
Un album potente e viscerale, che scava nella tradizione napoletana e campana, senza tradizionalismi calligrafici ma con un respiro attuale, pur conservando il battito cardiaco ancestrale. Una produzione eccellente inietta ai brani i colori primordiali delle radici ma rende tutto moderno e nuovo. Le melodie mediterranee si fanno di volta in volta malinconiche e struggenti ("Ahi!"), ipnotiche, minacciose (la stupenda "Figlia d''a tempesta"), travolgenti. Tutto splendido.

I CANI - Post Mortem
Il ritorno (in)aspettato (a lungo) della creatura di Niccolò Contessa ne conferma l’unicità stilistica e artistica, in questo paesaggio sonoro in cui convergono elettronica, new wave, una visione indie pop del tutto personale e distintiva. Da cui partono improvvise sferzate lo fi kraut punk alla CCCP (“Nella parte del mondo in cui sono nato”, forse il brano più riuscito e immediato dell’album) o ricordi alla Beck (“Colpevole”). Tanta carne al fuoco per un lavoro, ancora una volta, riuscito e convincente.

BILLY BOY E LA SUA BANDA – s/t
Torna su vinile la band emiliana, a rimpinguare una discografia ricca di uscite, dalla nascita nel lontano 1994, tra 45, compilation e un album. I quattro brani sono il classico assalto sonoro a cui ci hanno abituato, tra street punk, Oi!, punk rock, Peter and the Test Babies, The Businnes con impennate hardcore e un tocco hard 70, a condire il tutto. Sound compatto, “music for the terraces”, cori e voci perfette al contesto. Un gioiello ruvido che può diventare, al bisogno, oggetto contundente.

MEGAN IS MISSING - Depression Is a Fashion
Torna il trio napoletano con un travolgente ep, abrasivo, potentissimo, devstatante. Approccio garage punk che vira verso la rabbia più estrema dell'hardcore, sorta di esasperazione del sound di Amyl and the Sniffers, sporcato da distorsioni alla Sonic Youth e dal groove dei primi Black Flag di "Nervous Breakdown". La cover di "Bit It You Scum" di GG Allin chiude alla perfezione la sequenza dei cinque brani. A real kick in the ass!

THE BRAVO MAESTROS - Keep It Simple, Stupid! 
La partenza discografico del trio biellese (insieme dal 2024) è di quelle che rendono le giornate più felici e serene. Il loro power pop beat che attinge a piene mani dagli anni Sessanta di Beatles e Monkees ma in chiave moderna e attuale (dai Romantics e Shoes ai Weezer e un'immancabile spruzzata di Ramones), è pieno di freschezza, energia, semplicità e immediatezza. Nessuna rivoluzione musicale, solo un disco godibilissimo, ben fatto e ottimamente composto, di pregevole fattura.

ANDREA TICH - Masturbati Prima e Dopo
Andrea Tich debuttò nel 1978 per l'etichetta Cramps di Gianni Sassi con l'album Masturbati, uno dei lavori più anomali, meno definibili e circoscrivibili in un genere, nella storia della canzone d'autore italiana. Un album che in qualche modo guardava alla new wave che stava esplodendo ovunque ma che in Italia ancora non era arrivata, se non saltuariamente e occasionalmente. Ma anche allo stile provocatorio e poliedrico di Frank Zappa, il tutto proposto con una personalità unica. Rivive ora in questa versione, in cui troviamo provini originali, live, inediti e remix e che dimostra di non avere perso nemmeno un briciolo di quella freschezza e spontaneità creativa dell'originale. L'occasione ideale per (ri)scoprire tanto talento.

SINGOLI

SPECIALS FAMILY - When A Light Goes Out
Il progetto nasce dall'idea di Lynval Golding di rendere omaggio agli amici Terry Hall e John Bradbury degli Specials, prematuramente scomparsi.
"When A Light Goes Out" è un ottimo brano rocksteady/ska che vede all'opera Golding, altri membri degli Specials e Steve Cradock, chitarrista di Paul Weller.
Nel singolo anche la versione dub.

THE HORMONAUTS - Turn On The Light
Tornano finalmente con un singolo a spaccare tutto con il loro inconfondibile punkabilly di cui conosciamo bene le coordinate. Classe, irruenza, sguaiati come sempre. Grandi!.

THE GALILEO 7 - Look Away / Over The Horizon
Tra un concerto e l'altro dei Prisoners, Allan Crockford non perde di vista il progetto che porta avanti da anni e torna con un ottimo singolo in perfetto equilibrio tra beat, psichedelia, freakbeat, che si avvale di una (come sempre) ottima qualità compositiva ed esecutiva ma soprattutto di una ormai acquisita maturità distintiva e riconoscibile.

THE CAPELLAS - Love Prayer / Zig Zag Wanderer
La band inglese, composta da elementi che arrivano da Missing Souls, Thee Vicars, Baron Four, Embrooks, Barracudas, torna dopo un ep d'esordio con un singolo che mischia alla perfezione la voce soul di Elsa Whittaker con un groove garage beat mid 60's.

THEE STRAWBERRY MYNDE - Reflections Il trio del nord est inglese (con un ex Jarvis Humby) ci delizia con quattro brani di ruvido garage beat, dalle influenze rhythm and blues e blues (Crawdaddys, primi Pretty Things, Birds).
Duri e aspri.

DOM MARIANI - Jangleland - Day After Day Il re del power pop e leader degli Stems ci regala un avvolgente singolo in pieno groove jingle jangle con un originale e una bellissima e riuscita e spedita cover di "Day after day" dei Badfinger.
Classe e stile.

ASCOLTATO ANCHE:
BUTCHER BROWN (soul disco sofisticata con pennellate nu soul e nu jazz). VADOU GAME (afro funk dal Togo, molto groovy), HEAVY LUNGS (buon punk rock).

LETTO

Cesare Ferioli - Come schegge furiose. Storie di strade e mutazioni
"QUEL" periodo a cavallo tra anni Settanta e primi Ottanta è stato ormai abbondantemente analizzato, approfondito e raccontato.
Ma continua a conservare un fascino incredibile (soprattutto per chi lo ha vissuto - e che spesso si ritrova ad avere percorso gli stessi sentieri o i luoghi ed eventi descritti - ma anche per chi ancora non c'era).
Cesare Ferioli è un veterano della scena sottoculturale bolognese e nazionale, passato dal punk allo skinhead fino ad approdare al rockabilly e dintorni.

Batterista con Uxidi, Tribal Noise, Jack Daniel's Lovers, Dirty Hands, Wu Ming Contingent, Nabat, protagonista dell'interessante progetto solista elettronico Big Mojo, rivive quegli anni, fatti di musica, risse, fughe, scontri, droghe, ricerca identitaria, rabbia e naiveté adolescenziale che spesso sconfinano nella "stupidità" dell'età, all'insegna di atti tanto sciocchi quanto divertentissimi, tra Bologna, Milano e Londra.
C'è tanta ironia e un taglio romanzato, su fatti veramente accaduti e in cui in tanti non avranno difficoltà a riconoscersi.
Il tutto corroborato da una scrittura validissima ed efficace.
(Il capitolo dedicato al viaggio a Londra è una perfetta fotografia di come si vivevano quei momenti in quegli anni) .

Giuseppe Velasco - Nemici. Scontri memorabili nella musica pop
Un libro veloce e agile che analizza alcune delle rivalità più note nella musica pop/rock (i Gallaghers, Paul e John, Blur e Oasis, Waters e Gilmour) ma anche quelle più occulte (Prince/Michael Jackson, Simon e Garfunkel, l'incredibile intreccio di antipatie e odio all'interno dei Beach Boys).
Non è, appunto, del tutto noto il ruolo del padre padrone e manager dei fratelli Wilson dei Beach Boys, Murry, esautorato alla fine da Brian, a sua volta privato dello scettro di leader da Mike Love né l'acrimonia che ha accompagnato tutta l'avventura di Paul Simon e Art Garfunkel.
Quella tra Tupac Shakur e Notorius B.I.G finì molto male, non si è ancora del tutto placato lo scontro tra Madonna e Lady Gaga e tra Taylor Swift e Kanye West.
Gustoso e divertente, ricco di aneddoti e curiosità.

Aldo Pedron - Il tuo plagio e’ come un rock
Aldo Pedron, storico giornalista e scrittore, ci porta alla scoperta di una serie di similitudini (più o meno marcate, inconsapevoli o volutamente plagiariste) tra canzoni di artisti italiani, circoscrivendo prevalentemente il contesto agli anni Sessanta/Settanta quando molti autori italiani si attribuivano composizioni altrui, contando su una scarsa attenzione delle case discografiche.
Una appropriazione indebita, sfruttando la scarsa attenzione della SIAE e la difficoltà degli autori stranieri nel monitorare i propri diritti in Italia.
Certi autori si attribuivano brani interi senza alcuna autorizzazione, registrando a proprio nome composizioni originali straniere, intascandone i diritti d’autore senza alcuna conseguenza legale. L’ente preposto, per ignoranza, disinteresse o semplice lassismo, raramente verificava l’autenticità delle opere registrate.
Questo sistema ha permesso a molti autori (e ai loro eredi) di guadagnare royalties su brani che non avevano mai scritto, a discapito dei veri compositori, spesso ignari di tutto.
Un altro aspetto interessante è come giovani autori si appoggiassero a musicisti già abilitati per registrare ufficialmente le loro composizioni (per diventare autore alla SIAE era necessario un esame, non facilissimo).
Questo sistema, pensato per garantire una certa professionalità nella scrittura musicale, si rivelava spesso un’arma a doppio taglio, portando a situazioni di disaccordo e contenziosi.
I casi presi in considerazione nel libro sono spesso clamorosi, altre volte più defilati e più opinabili.
Diciamo che, in particolare, Adriano Celentano prima e Zucchero dopo, hanno fatto man bassa di "ispirazioni" più o meno palesi.
Ma non mancano Equipe 84, Nomadi, Edoardo Bennato, tra i tanti, e quando si ascolta il ritornello di "Acqua azzurra, acqua chiara" di Lucio Battisti confrontato a quello di "Bring a little lovin" dei Los Bravos, inciso l'anno prima, le similitudini sono evidenti.
Un libro divertente e ben documentato con relativo interessante contributo fotografico.

VISTO

Sly Lives! (aka The Burden of Black Genius) di Ahmir "Questlove" Thompson
La figura di Sly Stone, tra i più grandi (e non sempre appieno compreso e adeguatamente valutato) innovatori della musica pop rock moderna, ha ultimamente avuto un progressivo riconoscimento.
Dalla discreta “storia orale” di Joel Selvin “Sly & the Family Stone: An Oral History” in cui raccoglie le testimonianze di una lunga serie di collaboratori più o meno stretti ma senza la voce del protagonista principale, a “Thank you (Falettinme be mice elf agin)” biografia (recentemente tradotta in Italia da Jimenez Edizioni), created in collaboration con Sly, dello scrittore Ben Greeman (e l'ex fidanzata di Sly, Arlene Hirschkowitz) in cui il musicista si descrive con dovizia di particolari.
Giunge ora sugli schermi “Sly Lives! (aka The Burden of Black Genius)” di Ahmir "Questlove" Thompson, musicista, produttore, regista, autore di quel capolavoro che è stato “Summer of Soul”, affascinante documentario che sintetizza il “The Harlem Cultural Festival, a New York, una serie di concerti che andarono in scena dal 29 giugno al 24 agosto del 1969.
Il documentario ripercorre in maniera dettagliata ed esaustiva la sua ricca (quanto artisticamente breve) carriera, con dovizia di particolari e filmati inediti (spesso rarissimi e favolosi), estratti di interviste e il consueto elenco di testimoni dell'epoca, tra cui vari membri della band oltre a pareri interessanti di Andre 3000, D'Angelo, Chaka Khan, Q-Tip, Nile Rodgers, Jimmy Jam and Terry Lewis, George Clinton, Ruth Copeland e Clive Davis.
Un doc esaustivo, sgargiante come i vestiti di Sly e della band, che rimarca una volta in più, quanto fosse geniale la sua musica e quanto sia ancora attuale e moderna. Sly Stone, già in epoca infantile/adolescenziale, è una sorta di bambino prodigio.
A undici anni suona tastiere, chitarra, basso, batteria e usa la voce in modo perfetto. Poco dopo forma i Viscaynes, che si fanno notare per la scelta, ai tempi inusuale, fino ad essere provocatoria, di essere composti da due uomini, due donne, un uomo di colore, Sly, e un filippino, in un'epoca in cui l'idea di integrazione, razziale e di genere, era ancora un concetto astruso e improbabile, in gran parte degli States.
Si segnala come ottimo e innovativo DJ radiofonico alla KSOL per poi intraprendere l'attività di compositore e produttore, arrivando fino a nomi altisonanti come i Beau Brummels e i Great Society della futura leader dei Jefferson Airplane, Grace Slick.
Nel frattempo compone e sperimenta e quando è giunto il momento nasce la nuova creatura, Sly and the Family Stone.
"Facevamo tutte le cose sempre insieme, eravamo come un "Chiesa".
La selezione dei musicisti non è casuale.
Sono tutti eccellenti strumentisti ma Sly sceglie in base a un concetto socio/politico ben preciso: uomini e donne, bianchi e neri, insieme, suonando una musica il più possibile contaminata e libera da preconcetti. Le radici sono nel blues e rhythm and blues ma c'è spazio anche per rock, latin sound, jazz e tanto altro. I filmati ci mostrano uno Sly puntiglioso, insistente nel trovare il suono o il ritmo giusti, provando e riprovando.
Siamo a cavallo tra il 1966 e il 1967, vedere su un palco bianchi e neri insieme è prerogativa rara anche nel jazz, ancora meno nel rock e più in generale nella black music. Non a caso l'album d'esordio, nello stesso anno, si intitola “A whole new thing” (“una cosa completamente nuova”).
Il seme è stato piantato, si intuisce che qualcosa di effettivamente nuovo sta arrivando, pur essendo ancora ancorato solidamente ai classici schemi rhythm and blues. Con il successivo “Dance to the music” si passa a un sound sempre più tribale, con il basso, quasi distorto, di Larry Graham che introduce un ritmo pulsante che diventerà un marchio di fabbrica della band. Il resto è un mix di gospel, rock e psichedelia, spesso suonato a ritmi forsennati, con tastiere acide e intrecci strumentali originali e imprevedibili. Altrettanto innovativo e sorprendente è il gioco delle voci che si alternano, dialogano, sovrappongono, uscendo dai canoni del solista ma diventando uno strumento aggiuntivo.
I testi sono un altro aspetto di importanza primaria, un costante inno al pacifismo, alla convivenza senza barriere di razza o genere, l'invito a stare insieme.
I successivi “Life” e “Stand!” quest'ultimo pubblicato poco prima della mitica apparizione al Festival di Woodstock dell'agosto 1969 e all'Harlem Cultural Festival nello stesso periodo, ne sublimeranno popolarità e personalità.
“I Want To Take You Higher” diventa un inno, vende centinaia di migliaia di copie, “Stand!” è la summa della loro carriera, tra proto funk, soul, rock, psichedelia. Sly non teme di affrontare temi caldi come il razzismo ma lo fa in modo sempre colloquiale, con costanti inviti alla reciprocità, in funzione della tolleranza e amicizia.
E' in questo periodo che rigetta l'invito delle Black Panthers a un sostegno alla loro causa, liquidata in modo sprezzante.
In questi lavori ci sono le radici sonore che ritroveremo presto nei Funkadelic e Parliament di George Clinton e nella breve carriera di Betty Davis. Sarà lei, moglie di Miles Davis, a spingere il marito verso altre sonorità e cultura musicale. Ne farà tesoro soprattutto in “On The Corner” del 1972. Ma è da qui che, inequivocabilmente (attingendo a piene mani anche dalle modalità di esibizioni live), Prince che assorbirà tantissimo dalla loro esperienza, aspetto evidenziato spesso nel doc di Questlove.
Il successo devasta Sly che sprofonda in un abisso di abusi di ogni tipo, cocaina, alcol, sesso. Le sue finanze si assottigliano, i concerti che saltano sono più di quelli portati a termine, si chiude nella sua casa di Los Angeles in una nebbia di eccessi, circondato da spacciatori, consumatori, gente di malaffare.
Ne riemergerà a stento nel 1971 con un capolavoro assoluto della black music, “There’s a riot goin’ on”, una visione pessimista, cruda e decadente del presente (suo e della società), registrato suonando quasi tutto da solo e utilizzando, tra i primissimi, una batteria elettronica, su cui ne reincide una acustica, mischiando i due suoni, creandone uno unico e all’avanguardia.
I brani sono spesso lunghi e ipnotici, intrisi di funk ma ricoperti da una patina paranoica e malata. Gli anni successivi sono un declino costante con ancora qualche discreto album solista (in cui sono intuibili il genio e lo spessore artistico ma male utilizzati) e il congedo definitivo nel 1982, sopraffatto da scelte di vita inconciliabili con una normale carriera musicale.
Scompare dalla scena, a parte sporadiche apparizioni come nel 1993 quando Sly and the Family Stone entrano nella Rock n Roll Hall of Fame. Rimane sul palco un minuto, saluta e se ne va. Tornerà a farsi vedere nel 2007 con una serie di apparizioni (in stato di salute evidentemente molto precario) con la Family Stone. Si ritira dalla vita pubblica, soggiorna a lungo in una roulotte, sopravvivendo a stento, intenta cause per diritti non pagati, spesso perse o rigettate.
Il documentario ce lo mostra ora in foto, ultra ottantenne, sorridente, apparentemente sereno, abbracciato ai figli.
Un talento artistico incredibile, auto distruttosi per l'incapacità di gestire il successo e la notorietà e la conseguente disponibilità economica spropositata.
Un visionario innovatore che avrebbe potuto dare ancora tantissimo alla musica ma, come peraltro accaduto a molti altri artisti dell'epoca, che è riuscito ad esprimere la propria creatività solo per un contesto temporale limitato.
Sufficiente però a consegnarlo alla storia tra i musicisti più influenti di sempre.

The Record Store & Black Music. A UK History

Il docufilm è su Youtube:
https://www.youtube.com/watch?v=SoRLLuYGYBA
"The Record Store & Black Music. A UK History", prodotto da Simon Phillips, è un esaustivo e interessante documentario che approfondisce l'importanza dei negozi di dischi in Gran Bretagna, come punto di aggregazione sociale e diffusione della Black Music, dal dopoguerra in poi.
Con le testimonianze di Jazzie B, Trevor Nelson MBE, Marcia Carr, Claudia Wilson, Ammo Talwar MBE, DJ SS, DJ Rap, DJ Spoony, Wookie, Jeff Smith, Simon Dunmore e Carol Leeming MBE FRSA.
E' quest'ultima a rimarcare un aspetto ulteriore:
"(Noi immigrati neri) abbiamo cambiato l'aspetto culturale di questo paese, anche prima dell'arrivo delle prime navi di migranti giamaicani (la nave Empire Windrush, nel 1948).
Il jazz è stato diffuso principalmente da caraibici e africani in Inghilterra.
Abbiamo reso questo paese culturalmente, immensamente, più cool".
La conoscenza dei dischi, di un certo tipo di musica era ciò che aggregava gruppi di persone.
I negozi erano il punto di incontro, i venditori il riferimento, culturale e artistico.
I DJ i divulgatori.
I Tastemakers.
Contempo e Dub Vendor fuorono i principali fari di questo mondo "a parte".
Nei negozi arrivarono blues, soul, rhythm and blues, reggae, ska, funk e poi afro, rap, hip hop, house, drum & bass, electro funk.
Veicolo di identità, cultura, divertimento ma anche rivendicazione politica e sociale.
L'arrivo della digitalizzazione ha raso al suolo i negozi di dischi in tutto al mondo ma, allo stesso tempo, ha successivamente creato un nuovo modo di aggregazionE tra i vecchi cultori del vinile e tanti nuovi adepti che hanno ritrovato il gusto e soprattutto la necessità di "possedere" l'oggetto vinile/disco o anche CD, di guardarlo e toccarlo, in antitesi alla volatilità del file.
Per ulteriori approfondimenti:
www.theblackmusicrecordshop.co.uk

Steve Wynn Trio (con Rodrigo D’Erasmo e Enrico Gabrielli)
12 Aprile 2025, Ristorazione Sociale, Alessandria.

L'amico e collaboratore FABIO PASQUARELLI ci regala questa entusiasta recensione del concerto di Steve Wynn Trio (con Rodrigo D’Erasmo e Enrico Gabrielli), 12 Aprile 2025, Ristorazione Sociale, Alessandria.
Un monologo, un racconto, una confidenza e un concerto: questo è ciò che Steve Wynn (storico leader dei Dream Syndicate e leggenda della musica undeground americana) ha messo in scena per il numeroso pubblico accorso nella serra della Ristorazione Sociale di Alessandria lo scorso sabato 12 aprile.
Questa formula ibrida è stata scelta del musicista per mettere in scena la sua autobiografia “Non Lo Direi Se Non Fosse Vero”, recentemente pubblicata anche in Italia da Jimenez Edizioni.
Per accompagnarlo in questa narrazione, Steve ha scelto la collaborazione di Rodrigo D’Erasmo (violino ed effetti) ed Enrico Gabrielli (tastiere, sax, flauto traverso), due dei musicisti più versatili, colti e sensibili della scena italiana contemporanea.
Il racconto a parole di Wynn inizia nei primi anni 70 in California, con l’infanzia trascorsa in un contesto sociale ancora molto influenzato dai sixties, sempre con la bussola della musica a tracciare un percorso, dal primo blues composto a nove anni alle cover degli Stones coi compagni di scuola.
Parla in tono confidenziale Steve, raccontando tutto con semplicità, mai cattedratico o egoriferito, sempre con un sorriso estatico sulle labbra.
Alcune piccole intermittenze della passione musicale giovanile l’avrebbero portato verso l’illuminazione: la puntina che scende sulla prima traccia del primo album dei Velvet Underground:
“I Velvet ti possono piacere o non piacere, magari non oggi, magari domani, magari mai, c’è fuori tanta musica per accontentare tutti. Ma se capisci i Velvet Underground sei da questa parte della storia. In quel momento, la mia vità cambiò per sempre”.
Ingresso di D’Erasmo e Gabrielli, “Sunday Morning” dolcissima e struggente tra violini, tastiere e chitarre acustiche, e Steve ad agitare lo spettro inquieto di Lou Reed. Confesso di essermi emozionato come non mi capitava da tempo.
E poi una valigia aperta di racconti e avventure (incredibile la storia dell’allontanamento da casa per andare a Memphis a conoscere il suo idolo decaduto, Alex Chilton dei Big Star), fino ad arrivare ai Dream Syndicate e alle canzoni del loro debutto “The Days Of Wine And Roses”.
Un album registrato in una notte e mixato e ultimato in altre due, il disco in cui Steve e il suo gruppo costruirono la musica che avrebbero voluto ascoltare e che non esisteva da nessuna altra parte.
“Tell Me When It’s Over”, “That’s What You Always Say”, “When You Smile” ricevono un trattamento emozionale inedito, con Gabrielli e D’Erasmo che escono dalla zona di comfort dei loro strumenti per accompagnare Wynn in versioni notturne e rarefatte di questi piccoli classici.
Steve parla di tour, di sogni, di gioventù, di aggregazione e di quel realismo magico che solo la vita underground può dare, con le canzoni a raccordare tra di loro le storie.
Poi ancora avanti, al difficile secondo album, in cui la libertà e l’urgenza vengono in qualche modo veicolate da una grossa casa discografica, con un budget consistente e un produttore importante a fare da filtro. Il blocco creativo, i tempi che si allungano, il punk sempre più lontano.
“Medicine Show” suonata come se Steve ci avesse fatto pace introduce all’ultima parte dello spettacolo, che corrisponde allo scioglimento della band dopo l’album “Ghost Stories”, con una versione erratica del classico “Boston”.
“Lo spettacolo sta per finire questa sera perché in questa parte della storia si interrompe il libro, ma le cose sono andate avanti”.
A questo punto Wynn si lascia andare ad un bilancio della sua vita spesa a suonare, dai palchi giganteschi delle tournée con gli U2 e coi REM fino ai piccoli club, dai tempi del Paisley Underground ai dischi solisti, e alla resurrezione dei Dream Syndicate nel 2012, sempre allo stesso livello del suo pubblico, sempre attento a quanto la sua musica e le sue parole contino per chi sta giù dal palco, con un’umanità e un’empatia veramente rare.
Conclusione con “Make It Right” dal suo ultimo album.
Inchino dei musicisti, fine del concerto, fine del tour italiano.
Prima di andare (direttamente a Malpensa con un biglietto per New York) un ultimo stop al banco del merch, per prendersi cura di ognuno dei suoi fans (o sarebbe meglio chiamarli “amici”?) e dare loro l’appuntamento al “prossimo giro” dopo una serata indimenticabile.
Steve Wynn: un esempio, un gentleman, un punk.
Una menzione speciale va all’organizzatore Salvatore Coluccio, che periodicamente ci ricorda quanto la provincia abbia tutto il potenziale per uscire dalla provincia.

COSE VARIE
° Ogni giorno mie recensioni italiane su www.radiocoop.it (per cui curo ogni settimana un TG video musicale - vedi pagina FB https://www.facebook.com/RadiocoopTV/).
° Ogni mese varie su CLASSIC ROCK.
° Ogni sabato un video con aggiornamenti musicali sul portale https://www.facebook.com/goodmorninggenova
° Ogni lunedì la mia rubrica "La musica che gira intorno" nelle pagine di www.piacenzasera.it
° Sulle riviste/zines "GIMME DANGER" e "GARAGELAND"
° Periodicamente su "Il Manifesto" e "Vinile".

E' uscito il mio libro dedicato a Ringo Starr, "Ringo Starr. Batterista" per Low Edizioni.
Alla scoperta del batterista RINGO STARR attraverso l'analisi tecnica ed espressiva di tutti i brani in cui ha suonato (dai Beatles, ai live, alla carriera solista alle infinite collaborazioni).
Un pretesto per raccontare la sua vita artistica (anche attraverso un dettagliato percorso nella sua attività solista e cinematografica).
Franco Zanetti cura la prefazione, Giovanni Naska Deidda ci elenca tutte le batterie che ha suonato.

Per acquisto diretto: https://www.edizionilow.it/ringo-starr-batterista/

Prossime presentazioni:

Sabato 3 maggio
Cremona

Il Cortile del Vinile • Mercatino del disco • 6ª edizione
Circolo Arcipelago, via Speciano 4
Ore 16.30. Presentazione con Carmine Caletti a condurre.

https://www.facebook.com/events/637225919200572/

7 maggio
Catelvetro (Piacenza)
Ore 21 Biblioteca Comunale

Mercoledì 14 maggio<BR> Bologna - Gallery 19
Ore 19
via Nazario Sauro 16/A

https://www.facebook.com/events/s/presentazione-ringo-starr-batt/1946906045715156

martedì, aprile 29, 2025

Graham Bond

Uno dei principali geni inespressi della scena musicale inglese dei 60’s, GRAHAM BOND è stato tra i grandi organisti della sua era e potenzialmente un possibile nome da accogliere nell’Olimpo dei Grandi.
Purtroppo una irrefrenabile tendenza autodistruttiva, che lo ha condotto nei meandri degli abusi di droghe e alcool , fino alla magìa e all'occulto, ne ha decretato una prematura e tragica fine (suicida nel 1974 a 36 anni sotto le rotaie di una metro londinese).
Ha lasciato una serie di album interessantissimi.


The New Don Rendell Quintet - Roarin
L’esordio di Graham Bond con il quintetto hard bop di Don Rendell.
Ci sono i semi delle capacità tecniche future anche se il ruolo di comprimario di Bond non consentono valutazioni di contenuto artistico.

GRAHAM BOND ORGANISATION
Sound of 65 - 1965
There’s a bond between us - 1965

Usciti entrambi nel 1965 sono la testimonianza di un fantastico percorso creativo appena iniziato e che avrebbe potuto portarli lontano. Ritmica stellare con Ginger Baker e Jack Bruce, il sax di Dick Heckestall Smith a pennellare colori jazz e Bond all’Hammond (e al Mellotron, strumento pressochè inedito nella scena).
Il sound attinge a piene mani da rhythm and blues e blues (ma crea anche una sorta di proto fusion), dal beat e da momenti (con anni di anticipo) quasi prog (vedi la conclusiva arabeggiante “Cames and elephants” in “There’s a bond between us” con uno spettacolare assolo di batteria di Ginger Baker).
Più classico “Sound of 65” , più sperimentale e personale “There’s a Bond”.
Il gruppo proseguirà con alti e bassi e momenti di difficoltà prima che Baker e Bruce raggiungano Clapton nei Cream e Smith finisca con John Mayall e i Colosseum.

Live at Klook’s Kleek - 1988
Registrato (malamente da Giorgio Gomelsky) il 15 ottobre 1964 è un impressionante documento live di come suonasse questa splendida band con il drumming pesantissimo di Ginger Baker (che si esibisce in un dirompente solo in “Early in the morning”) , il basso roboante di Jack Bruce, il sax jazzy di Dick Heckstall Smith e lo spessore tecnico di Bond all’Hammond. Voce ruvida, versioni di classici come “Big Boss man”, “Wade in the water”, “What I’d say” dure, crude, scarne. puro rhythm and blues bianco quasi ai limiti del proto garage.

GRAHAM BOND
Love is the law - 1968
Mighty Grahame Bond - 1969

Registrato e pubblicato solo in Usa dal solo Bond con un batterista e qualche corista “Love is the law” è un buon album prevalentemente di stampo jazz blues ma piuttosto sottotono e scontato, nonostante la classe non sia acqua e non manchino buoni spunti.
Grahame (così si presenta su entrambi gli album, con la E finale aggiunta al nome) è in un periodo ancora lontano da certi abusi, si esprime al massimo della tecnica anche se su standard abbastanza prevedibili.
“Mighty...” è più affine alle radici Hammond jazz, più elegante e raffinato pur mantenendosi su sentieri risaputi. Comunque un lavoro dignitoso e interessante.

Solid Bond - 1970
Album spettacolare che assembla materiale registrato originariamente nel 1963 (tre brani) con una line up pazzesca con Graham all’organo e voce, Jack Bruce al basso, John McLaughlin alla chitarra e Ginger Baker alla batteria e nove nel 1966 con Jon Hiseman alla batteria e Dick Heckstall Smith al sax (entrambi futuri Colosseum).
Cover eccezionali di “Green onions” e “Last night” più una serie di brani autografi all’insegna di uno scatenatissimo rhythm and blues eseguito da talenti di estrazione jazzistica dalle incredibili capacità esecutive. Dodici brani in cui spesso si improvvisa tra proto freakbeat, jazz e un sound potentissimo, rabbioso ma allo stesso tempo raffinato e ricercato che si sublima nei dieci minuti al limite del free jazz di “The grass is greener”

Holy Magick - 1970
We put a magick on you - 1971

L’interesse di Bond per le arti magiche (unite ad un massiccio consumo di sostanze di ogni tipo) lo porta verso lidi musicali mistico lisergici che si esprimono al massimo in “Holy Magick” inciso con la nuova moglie Diane Stewart.
In particolare nell’acid free jazz rock dei 23 minuti di “Meditation Aumgm”, jam ultra psych con l’organo di Bond e il sax caustico di John Gross a condurre le danze.
I restanti brani sono piuttosto confusionari e poco definiti, vicini a certo blues rock molto contaminato e tipicamente caratteristico dell’epoca.
“We put a magick on you“ (splendido l’omonimo funk rock) si muove sulle stesse coordinate sonore anche se sembra più definito e meno caotico con uno sguardo più approfondito alla matrice blues.

Bond + Brown - Two heads are better than one - 1972
Affiancato dal paroliere Pete Brown, già protagonista di un grande lavoro con i Cream (autore tra gli altri di “Sunshine of your love”) registra un album appena sufficiente in cui si avvia verso sonorità più vicine al prog e ad un rock fortemente contaminato da influenze 70’s ma non particolarmente significativo.

Graham Bond Organization - Harmonica
https://www.youtube.com/watch?v=bUwrjbeXK-0

Graham Bond Organization - Live
https://www.youtube.com/watch?v=kBA2E9GyM7I

Graham Bond - Love is the law
https://www.youtube.com/watch?v=Q35bl7op5fU

Graham Bond - The magician
https://www.youtube.com/watch?v=eX1REGahfBw

lunedì, aprile 28, 2025

The Record Store & Black Music. A UK History

Il docufilm è su Youtube:

https://www.youtube.com/watch?v=SoRLLuYGYBA

"The Record Store & Black Music. A UK History", prodotto da Simon Phillips, è un esaustivo e interessante documentario che approfondisce l'importanza dei negozi di dischi in Gran Bretagna, come punto di aggregazione sociale e diffusione della Black Music, dal dopoguerra in poi.

Con le testimonianze di Jazzie B, Trevor Nelson MBE, Marcia Carr, Claudia Wilson, Ammo Talwar MBE, DJ SS, DJ Rap, DJ Spoony, Wookie, Jeff Smith, Simon Dunmore e Carol Leeming MBE FRSA.

E' quest'ultima a rimarcare un aspetto ulteriore:
"(Noi immigrati neri) abbiamo cambiato l'aspetto culturale di questo paese, anche prima dell'arrivo delle prime navi di migranti giamaicani (la nave Empire Windrush, nel 1948).
Il jazz è stato diffuso principalmente da caraibici e africani in Inghilterra.
Abbiamo reso questo paese culturalmente, immensamente, più cool".


La conoscenza dei dischi, di un certo tipo di musica era ciò che aggregava gruppi di persone.
I negozi erano il punto di incontro, i venditori il riferimento, culturale e artistico.
I DJ i divulgatori.
I Tastemakers.

Contempo e Dub Vendor fuorono i principali fari di questo mondo "a parte".
Nei negozi arrivarono blues, soul, rhythm and blues, reggae, ska, funk e poi afro, rap, hip hop, house, drum & bass, electro funk.
Veicolo di identità, cultura, divertimento ma anche rivendicazione politica e sociale.

L'arrivo della digitalizzazione ha raso al suolo i negozi di dischi in tutto al mondo ma, allo stesso tempo, ha successivamente creato un nuovo modo di aggregazionE tra i vecchi cultori del vinile e tanti nuovi adepti che hanno ritrovato il gusto e soprattutto la necessità di "possedere" l'oggetto vinile/disco o anche CD, di guardarlo e toccarlo, in antitesi alla volatilità del file.

Per ulteriori approfondimenti:
www.theblackmusicrecordshop.co.uk

giovedì, aprile 24, 2025

Statuto live a Piacenza, Coop Infrangibile, 23 aprile 2025

Con la formazione ormai notoriamente (quasi) totalmente rinnovata, gli STATUTO tornano, dopo molto tempo, a Piacenza, ospiti della sempre fantastica Coop Infrangibile che, nonostante il boicottaggio di "certa" stampa locale, raccoglie un pubblico partecipe e abbondante (soprattutto per una giornata infrasettimanale).

La band di Oskar porta in scena il recente album "Football Club" incentrato su sigle di trasmissioni calcistiche e brani a sfondo "pallonaro".

A cui si aggiungono altre canzoni che nel corso degli anni hanno dedicato alla loro (e nostra) passione: "Facci un goal", "Grande", il classico "Ragazzo Ultrà", "Controcalcio" con testo di Enrico Ruggeri.
Ma c'è spazio anche per quelli che sono da tempo cavalli di battaglia come "Ghetto", "Solo tu", "Qui non c'è il mare", la stupenda "In fabbrica", scritta con i Gang.

Io non vado in fabbrica, per fortuna, ma la sveglia suona alle sei e sono costretto a lasciare prima del bis.

Poco male, ho avuto la conferma di una band rodatissima, precisa, tecnicamente inappuntabile, perfetta e metronomica (mi sia permesso un elogio per il "collega" Giulio Arfinengo alla batteria, eccellente). L'esperienza di Oskar conduce le danze, il mestiere non prevale sulla passione che traspare in ogni brano, il pubblico (con esponenti attempati ma anche una buona dose di giovani e giovanissimi) canta spesso in coro le canzoni.

Il mio giudizio è ininfluente ma, ancora una volta, bravissimi!

mercoledì, aprile 23, 2025

Mondo Beat volume 1 e 2



Nel 1998 la mia FACE RECORDS aveva da poco ottenuto la distribuzione da parte di SONY MUSIC.
L'allora direttore artistico Rudy Zerbi accettò di buon grado l'idea di distribuire produzioni vicine a sonorità beat, mod, brit pop, ska, caratteristica dell'etichetta.
Gli album di Statuto, Vallanzaska, Assist, Pirati ebbero così la possibilità di arrivare più capillarmente in tutta Italia.
Molto bene accolta anche la proposta di una compilation che, con l'inserzione di qualche ospite internazionale di prestigio, desse spazio a band italiane dell'ambito.

Nel 1998 fu così pubblicato il primo volume di MONDO BEAT con Statuto, Assist, Vallanzaska, Pirati, Link Quartet, Sciacalli, Hermits, Uninvited e gli ospiti speciali Fleshtones, Chesterfield Kings e Roamin Numerals (dell'ex Fuzztones Elan Portnoy).
Copertina affidata a Manlio Tenaglia, voce degli Hermits.

L'album venne presentato con un breve tour allo "Slego" di Rimini il 20 febbraio (con Link Quartet, Assist e Pirati) in una serata deludente con poca gente, al "Bloom" di Mezzago il 26 con 300 persone per Statuto, Vallanzaska, Assist e Pirati e al "Metro" di Torino il 25 marzo con Assist e Vallanzaska oltre agli Statuto in playback per registrare un nuovo video, con il locale sold out.

Le vendite soddisfecero la Sony (anche se non abbiamo mai avuto un riscontro reale e preciso della quantità numerica) tanto che fu richiesto un secondo volume che uscì due anni dopo con Others, Pretty Face, Monolith, Made, Ripidi, Rudi Mentali, Star T (futuri Ray Daytona and the Goo Goo Bombos), Mind th Gap, Mondo Combo con ospiti come Solarflares, Diaboliks, Man from SPECTRE, Slow Slushy Boys.
Copertina di Davide Galli.
Anche in questo caso non abbiamo mai avuto un riscontro effettivo delle vendite.



MONDO BEAT VOL. 1

1 The Fleshtones Time Zone
2 Statuto Il Futuro Ci Appartiene
3 Statuto Pugni Chiusi
4 Assist Non Lo Sai
5 Assist Tutto Quello Che Vorrei
6 The Chesterfield Kings Shelby Gt 356
7 I Pirati Via
8 I Pirati Ma E' Quel Che Mi Va
9 The Link Quartet Punt E Mes
10 The Link Quartet Tenente Sheridan
11 Vallanzaska Cheope
12 Vallanzaska Apologia Di Renato
13 Sciacalli Vampirella
14 Sciacalli Io Cerco Te
15 The Hermits What's The Word?
16 The Hermits Chicken Master
17 The Uninvited Barefooted Venture
18 The Uninvited Migraine
19 The Roamin Numerals Vacuum Love

MONDO BEAT VOL. 2

1 Men From S.P.E.C.T.R.E.* Soul N. 1
2 Monolith Io, Lei E Il '66
3 Monolith Blue Girl
4 Solarflares Mary
5 Diaboliks I'm Coming For You
6 Others The Last Time
7 Others Colors Of Mind
8 Slow Slushy Boys She's My R4
9 Link Quartet Claudia
10 Pretty Face Sola Come Te
11 Pretty Face Ribelle
12 Ripidi Barbarella
13 Ripidi I Heard That Someone Called My Name
14 Mind The Gap Maniglie
15 Rudi Mentali Skinhead Skanking
16 Made Stand Up
17 Made Plastic Bottle
18 Star-T* French Beat
19 Star-T* Step Ahead
20 Mondo Combo Itchycoo Park

martedì, aprile 22, 2025

Aldo Pedron - Il tuo plagio e’ come un rock

Aldo Pedron, storico giornalista e scrittore, ci porta alla scoperta di una serie di similitudini (più o meno marcate, inconsapevoli o volutamente plagiariste) tra canzoni di artisti italiani, circoscrivendo prevalentemente il contesto agli anni Sessanta/Settanta quando molti autori italiani si attribuivano composizioni altrui, contando su una scarsa attenzione delle case discografiche.

Una appropriazione indebita, sfruttando la scarsa attenzione della SIAE e la difficoltà degli autori stranieri nel monitorare i propri diritti in Italia.
Certi autori si attribuivano brani interi senza alcuna autorizzazione, registrando a proprio nome composizioni originali straniere, intascandone i diritti d’autore senza alcuna conseguenza legale. L’ente preposto, per ignoranza, disinteresse o semplice lassismo, raramente verificava l’autenticità delle opere registrate.
Questo sistema ha permesso a molti autori (e ai loro eredi) di guadagnare royalties su brani che non avevano mai scritto, a discapito dei veri compositori, spesso ignari di tutto.


Un altro aspetto interessante è come giovani autori si appoggiassero a musicisti già abilitati per registrare ufficialmente le loro composizioni (per diventare autore alla SIAE era necessario un esame, non facilissimo).
Questo sistema, pensato per garantire una certa professionalità nella scrittura musicale, si rivelava spesso un’arma a doppio taglio, portando a situazioni di disaccordo e contenziosi.

I casi presi in considerazione nel libro sono spesso clamorosi, altre volte più defilati e più opinabili.

Diciamo che, in particolare, Adriano Celentano prima e Zucchero dopo, hanno fatto man bassa di "ispirazioni" più o meno palesi.
Ma non mancano Equipe 84, Nomadi, Edoardo Bennato, tra i tanti, e quando si ascolta il ritornello di "Acqua azzurra, acqua chiara" di Lucio Battisti confrontato a quello di "Bring a little lovin" dei Los Bravos, inciso l'anno prima, le similitudini sono evidenti.

Un libro divertente e ben documentato con relativo interessante contributo fotografico.

Aldo Pedron
(Con la collaborazione di Federico Pieri e Daniele Sgherri)
Il tuo plagio e’ come un rock
144 pagine
I cataloghi di “Musica in Mostra”

domenica, aprile 20, 2025

Mods su WP Store

Ho collaborato a una serie di episodi, condotti da Lorenzo Ottone, dedicati alle sottoculture, per la catena di distribuzione di abbigliamento WP STORE.
Parlando ovviamente di MODS (ma non solo) in Italia, nel corso degli anni dalla fine dei 50's ad oggi.

https://www.youtube.com/watch?v=vQhoWv94n5A

Classic Rock

Nel nuovo numero di Classic Rock Italia intervisto i Blue Stones oltre a Ciro Pagano dei Gaznevada e la regista del doc a loro dedicato, Lisa Bosi, "Going Underground". Inoltre dedico recensioni degli album dei Blue Stones e della compilation "Middle Earth - The soundtrack of London's Legendary Psychedelic Club 1967".

venerdì, aprile 18, 2025

Cesare Ferioli - Come schegge furiose. Storie di strade e mutazioni

"QUEL" periodo a cavallo tra anni Settanta e primi Ottanta è stato ormai abbondantemente analizzato, approfondito e raccontato.
Ma continua a conservare un fascino incredibile (soprattutto per chi lo ha vissuto - e che spesso si ritrova ad avere percorso gli stessi sentieri o i luoghi ed eventi descritti - ma anche per chi ancora non c'era).

Cesare Ferioli è un veterano della scena sottoculturale bolognese e nazionale, passato dal punk allo skinhead fino ad approdare al rockabilly e dintorni.

Batterista con Uxidi, Tribal Noise, Jack Daniel's Lovers, Dirty Hands, Wu Ming Contingent, Nabat, protagonista dell'interessante progetto solista elettronico Big Mojo, rivive quegli anni, fatti di musica, risse, fughe, scontri, droghe, ricerca identitaria, rabbia e naiveté adolescenziale che spesso sconfinano nella "stupidità" dell'età, all'insegna di atti tanto sciocchi quanto divertentissimi, tra Bologna, Milano e Londra.

C'è tanta ironia e un taglio romanzato, su fatti veramente accaduti e in cui in tanti non avranno difficoltà a riconoscersi.
Il tutto corroborato da una scrittura validissima ed efficace.
(Il capitolo dedicato al viaggio a Londra è una perfetta fotografia di come si vivevano quei momenti in quegli anni) .

Cesare Ferioli
Come schegge furiose. Storie di strade e mutazioni
HellNation Libri
268 pagine
24 euro

giovedì, aprile 17, 2025

Giuseppe Velasco - Nemici. Scontri memorabili nella musica pop

Un libro veloce e agile che analizza alcune delle rivalità più note nella musica pop/rock (i Gallaghers, Paul e John, Blur e Oasis, Waters e Gilmour) ma anche quelle più occulte (Prince/Michael Jackson, Simon e Garfunkel, l'incredibile intreccio di antipatie e odio all'interno dei Beach Boys).

Non è, appunto, del tutto noto il ruolo del padre padrone e manager dei fratelli Wilson dei Beach Boys, Murry, esautorato alla fine da Brian, a sua volta privato dello scettro di leader da Mike Love né l'acrimonia che ha accompagnato tutta l'avventura di Paul Simon e Art Garfunkel.
Quella tra Tupac Shakur e Notorius B.I.G finì molto male, non si è ancora del tutto placato lo scontro tra Madonna e Lady Gaga e tra Taylor Swift e Kanye West.

Gustoso e divertente, ricco di aneddoti e curiosità.

Giuseppe Velasco
Nemici. Scontri memorabili nella musica pop

Vololibero Edizioni
112 pagine
18 euro

mercoledì, aprile 16, 2025

Rogue Records

L'etichetta francese Rogue Records è specializzata in 45 giri di garage, beat, power pop, punk, psichedelia.
Le recenti pubblicazioni sono di alta qualità e soddisferanno tutti gli amanti del genere.

https://www.facebook.com/roguerecords/

https://roguerecords.bandcamp.com/

THE GALILEO 7 - Look Away / Over The Horizon
Tra un concerto e l'altro dei Prisoners, Allan Crockford non perde di vista il progetto che porta avanti da anni e torna con un ottimo singolo in perfetto equilibrio tra beat, psichedelia, freakbeat, che si avvale di una (come sempre) ottima qualità compositiva ed esecutiva ma soprattutto di una ormai acquisita maturità distintiva e riconoscibile.
THE CAPELLAS - Love Prayer / Zig Zag Wanderer
La band inglese, composta da elementi che arrivano da Missing Souls, Thee Vicars, Baron Four, Embrooks, Barracudas, torna dopo un ep d'esordio con un singolo che mischia alla perfezione la voce soul di Elsa Whittaker con un groove garage beat mid 60's.
THEE STRAWBERRY MYNDE - Reflections
Il trio del nord est inglese (con un ex Jarvis Humby) ci delizia con quattro brani di ruvido garage beat, dalle influenze rhythm and blues e blues (Crawdaddys, primi Pretty Things, Birds).
Duri e aspri.
DOM MARIANI - Jangleland - Day After Day
Il re del power pop e leader degli Stems ci regala un avvolgente singolo in pieno groove jingle jangle con un originale e una bellissima e riuscita e spedita cover di "Day after day" dei Badfinger.
Classe e stile.

martedì, aprile 15, 2025

In ricordo di Max Romeo. Intervista

A ricordo del monumento del reggae MAX ROMEO, scoparso da pochi giorni, l'amico PIER TOSI, ci propone un ritratto dell'artista e una sua intervista del 1.999.

E' scomparso lo scorso 11 aprile ad ottanta anni di età Max Romeo, un grandissimo artista reggae: la sua immortale 'War In A Babylon' (1976) intitola uno dei più grandi albums dell'era del roots reggae prodotto da Lee Scratch Perry.

Il suo vero nome era Maxie Livingston Smith ed era nato il 22 novembre 1944 nel parish di St.Ann, lo stesso che ha dato i natali ad altri giganti del reggae come Burning Spear e Bob Marley. Cresce come bambino e ragazzo reietto perchè la madre emigra negli USA ed il padre ha una nuova compagna che non lo sopporta e questo fa si che lasci la casa paterna in giovane età e si dia ad un girovagare per l'isola in cerca di occupazioni di sopravvivenza.
Si appassiona alla musica, decide di diventare un cantante ed a Kingston forma insieme a Kenneth Knight e Lloyd Shakespeare (suo fratello Robbie diventerà uno dei più grandi bassisti della storia del reggae) un gruppo vocale, ‘The Emotions’, con cui registra una decina scarsa di pezzi per il producer Ken Lack ed ottiene un buon successo nell'era del rocksteady con 'I'll Buy You A Rainbow'.
Inizia poi a registare come solista per il produttore Bunny Lee. Proprio questo tentacolare produttore lo costringe a registrare nel 1969 ‘Wet dreams’ : la costrizione deriva dal fatto che nonostante Max abbia composto il brano su commissione per Bunny Lee per cavalcare una specie di mania in auge in Giamaica per brani che colpiscano il pubblico per le loro liriche 'grevi' (il brano parla di sogni 'bagnati' di un uomo...) ma divertenti non lo percepisce come un brano adatto alla sua sensibilità. Dopo una genesi quindi problematica ‘Wet dreams’ viene però pubblicato in Inghilterra, il suo contenuto fa si che venga bandito dalla programmazione radiofonica e questo contribuisce a far si che abbia un enorme successo ed abbia come miglior risultato il decimo posto nelle pop charts.
Max diventa popolarissimo quindi presso il pubblico degli skinheads, visita varie volte l'Inghilterra in tour nel giro di pochi mesi ed il successo viene capitalizzato dall'uscita nel 1970 del suo primo album 'A dream'. Il discusso brano avrà anche un sequel di minor successo con argomenti simili e cioè 'The Horn aka Miniskirt Vision'. Nel periodo seguente il cantante cerca di svincolarsi dal fardello creativo di 'Wet Dreams' collaborando sopratutto con il terzetto di giovani producers indipendenti formato da Bunny Lee, Niney The Observer e Lee Perry nelle loro reciproche collaborazioni come produttori.

La sua passione per la svolta socialista ‘democratica’ preconizzata dall'aspirante primo ministro Michael Manley alla vita politica giamaicana lo vede impegnarsi in supporto alla campagna elettorale del PNP che vince nel 1972 grazie alla volonta’di migliorare le condizioni della gente del ghetto. Max si connota come cantante militante con 'Ginalship', una denuncia alla corruzione della classe politica, 'No Joshua no', un ennesimo invito a Michael Manley a perseverare nella sua politica e con 'Maccabee's version', un discusso brano contro la versione 'ufficiale' della Bibbia.
Nel 1975 esce 'Revelation time', un bellissimo album autoprodotto e registrato ai Black Ark Studios di Lee Perry: in questo periodo Max impiega una cospicua parte del suo tempo come braccio destro di Lee Perry durante le leggendarie alchimie sonore di quest'ultimo ai suoi Black Ark Studios e questa collaborazione frutta nel 1976 il suo album-capolavoro 'War in a Babylon' il cui titolo richiama l’atmosfera di disordine sociale e guerra civile che regna in quel periodo nell’isola del reggae . L'album contiene probabilmente i suoi brani migliori, dalla title track a 'One step forward', 'Norman' e la bellissima 'Chase the devil'. A questo album segue l’ottimo ‘Reconstruction’, sempre pubblicato dalla Island ma prodotto dall’artista in proprio.
Da questo momento dei cambiamenti coinvolgono il reggae con la morte di Bob Marley e l'affacciarsi di un nuovo stile ed una nuova generazione di artisti e producers.
Max Romeo emigra a New York dove registra buoni lavori come 'Holding my love to you' con l' amichevole collaborazione di Keith Richards dei Rolling Stones o 'I Love My Music' , e continua ad esibirsi ed a registrare dischi anche se il suo nome è comunque legato al reggae del glorioso decennio 1969-1979.

Nei primi anni novanta torna in Giamaica ed è sempre attivo in campo musicale anche se con alterni esiti: da citare assolutamente i due albums registrati per Jah Shaka 'Fari Captain Of My Ship' e 'My Rights' ed un ottimo album registrato in UK con Mafia & Fluxi intitolato 'Selassie I Forever'. Una chicca autentica della sua discografia è il CD ‘In this time’ registrato da Max Romeo a Roma per la Satta Records in collaborazione con l’ensemble romano Tribu’ Acustica.
Dopo aver realizzato comunque ottimi lavori anche nella ultima parte della carriera, Max si congeda dal suo pubblico nel 2023 con un annunciato ultimo tour mondiale che tocca anche il nostro paese, insieme ai suoi figli Xana ed Azizzi che negli ultimi anni ha contribuito a far maturare ed a far conoscere al pubblico reggae. Saranno loro che porteranno avanti nei prossimi anni l'eredità paterna.

INTERVISTA di PIER TOSI a MAX ROMEO.

D: Avresti mai immaginato di venire in Italia a registrare in disco?
R: No, in effetti no: quando sono venuto in Italia per la prima volta non sapevo cosa aspettarmi ma dopo aver parlato con Satta ho iniziato a percepire le vibrazioni del posto e tutto quello che accadeva, cosi' sono stato io a suggerire a Pietro di fare questo progetto, perche' dopo che ho sentito Tribu' Acustica ho immaginato fosse buono mescolare la musica giamaicana al suono acustico italiano. L'idea e' affiorata perche' sono venuto qui come ospite ad una session di Satta Sound System. Loro hanno suonato questa musica, cosi' e' venuta l'idea di fare l'album.

D: Ti e' piaciuta l'esperienza con Tribu' Acustica?
R: Si, perche' e' semplice lavorare con questi ragazzi: sono gente umile. L'esperenza in studio e' stata molto buona, l'engineer e' eccellente ed e' un buon team con cui lavorare e lo puoi sentire dal risultato del disco: fantastico!!!
I ragazzi sono molto energetici, la combinazione e' stata veramente perfetta perche' io sono un maestro del music business ed e' stato facile interagire con questi ragazzi e cio' aiuta a fare le cose piu' facilmente, la loro conoscenza della musica e' ampia e hanno partecipato il progetto con la mente molto aperta.
Il bassista e' fantastico, il chitarrista solista, tutti i musicisti, la ragazza che suona flauto e fisarmonica, e' raro nel reggae, non ci sono quasi mai fisarmonica e flauto nel reggae.

D: Ora sai qualcosa in piu' sulla scena reggae italiana: ti piace il modo in cui viene vissuto il reggae qui da noi?
R: Mi piace veramente: la lingua non pare la differenza perche' sono qui e canto in inglese e parlo al pubblico in inglese e il pubblico mi risponde in inglese, cosi' talvolta quasi mi dimentico di parlare a persone che non parlano inglese. le vibrazioni sono molto forti, la gente italiana ha molta energia, immagino dipenda dal fatto di mangiare la pasta...

D: Ti piace l'elemento di folk music italiana che Tribu' Acustica ha messo nel suo sound?
R: Si, puoi percepire qualcosa di antico dal loro suono acustico.

D: Credi ci sia qualcosa in comune tra la folk music giamaicana e quella italiana? R: Se vai indietro nella storia, la Giamaica e' stata dominata dalla Spagna e la Spagna e' vicina all'Italia e le culture italiana e spagnola hanno molte corrispondenze, e questa puo' essere una cosa in comune.

D: Puoi parlarci dell'album 'Selassie I forever' che hai registrato con Mafia & Fluxi?
R: E' un altro lavoro molto spontaneo. Stavo passando in Inghilterra e io conosco Mafia & Fluxi da quando erano dei bambini, ed ho pensato sarebbe stato buono di registrare qualcosa con loro, cosi' ho avuto l'idea e abbiamo fatto 'Selassie I forever' e sta andando molto bene in UK.

D: E la tua recente ristampa con Blood & Fire?
R: Questa e' ancora un'altra cosa: quello che succede e' che l'industria del reggae sta subendo un declino a causa della musica techno e di questa moda dei deejays che sta soppiantando lo stile dei vecchi cantanti, perche' i vecchi deejays come Alcapone, U Roy, tutti questi artisti avevano un messaggio diverso da ora e non avrebbero mai predicato la violenza, degradato le donne, ora tutto e' negativo ed a causa di cio' la gente lo ha ampiamente rifiutato e invece c'e'un ritorno alla vecchia musica dagli anni sessanta e settanta, cosi' Blood & Fire ha deciso di ristampare 'Warning warning', 'Revelation time', e lo ha chiamato 'Open the iron gate' cosi' ora quel disco ha ben tre nomi.

D: Non ti piace la scena dei nuovi artisti conscious come Luciano o Tony Rebel?
R: Si, ma questi nuovi artisti conscious stanno avendo gli stessi problemi di noi vecchi artisti: la moda del momento e' questo tipo di musica che io chiamo buff baff music, e questo rappresenta un declino, una parte della nostra musica che e' la musica originale e' stata superata dalla tecnologia.

D: Noi conosciamo la tua storia e sappiamo sei sempre stato ispirato dalle sofferenze della povera gente e tu sei un Rasta dal 1969 o forse ancora prima...
R: Ho abbracciato la fede tra i tardi anni sessanta e l'inizio degli anni settanta...

D: Ed eri anche un supporter del socialismo in quel periodo...
R: Si, ho provato a supportare il socialismo democratico di Michael Manley...

D: Questo e' un argomento molto interessante: non sentivi nessuna contraddizione tra essere Rasta, sviluppare un percorso spirituale ed essere socialista? Perche' noi sappiamo che le teorie comuniste e socialiste cercavano di negare la religione...
R: Rasta non e' esattamente una religione, Rasta e' uno stile di vita, cosi' c'e' differenza. La politica ha a che fare con l'economia e tu ne devi avere parte, che tu lo voglia o no, se vuoi sopravvivere a questo mondo.

D: Durante quegli anni la musica rifletteva una certa popolarita' del socialismo in Jamaica: c'era un sound che si chiamava Socialist Roots e ci ricordiamo la famosa copertina dei Revolutionaries a Channel One con l'effige di Che Guevara. Dipendeva dalla politica culturale degli uomini del PNP o era un effetto dell'influenza cubana?
R: Nella mente della gente comune jamaicana lo stimolo era a sopravvivere, ma c'era una voglia generale di vera democrazia perche' sedici famiglie avevano in mano tutta la ricchezza del paese e il resto del paese viveva in grandi sofferenze, cosi' Michael Manley arrivo' con la sua idea di suddividere le ricchezze e questo e' il motivo per cui mi sono unito a lui. L'abbracciare un qualsiasi -ismo potesse migliorare le condizioni generali faceva parte della lotta della gente che soffriva, e quell'ambiente e' quello da cui io provenivo: non ha niente a che fare con la vera politica. Io detesto i politici, sono i parassiti della gente...

D: Probabilmente questo discorso era lo stesso dei Rasta, di cercare di fermare la fame, migliorare la situazione della gente...
R: Si, io vedevo Manley come un saggio che veniva ad aiutare la povera gente che soffriva e la sua politica per un po' ha funzionato e la gente era felice di lui, ma la democrazia non lo era, cosi' varie azioni coperte entrarono in gioco...per esempio c'era il denaro ma non c'era nulla da poter comprare perche' la democrazia controllava le merci e questo e' il modo in cui Michael Manley perse terreno tra la gente comune ed era dieci anni piu' tardi di come Marcus Garvey aveva predetto come sarebbe stato...

D: Ma qual'era la tua impressione di Manley come uomo?
R: Michael Manley era piu' di un politico, era piu' un padre per la nazione perche' molte delle cose migliori a cui il popolo giamaicano sia mai stato esposto arrivarono da Manley, l'elevazione della gente, l'educazione della gente, ad un certo punto l'educazione era gratuita ed ora tu devi pagare per mandare i tuoi bambini all'asilo, cosi' era una situazione completamente diversa, si trovava lavoro, la gente aveva lavoro e aveva un salario ma non c'era il modo di spenderlo, non c'erano auto da poter comprare, non c'era nulla nei negozi, niente cibo nei supermercati e questo veniva fatto per allontanare la gente dai concetti di Michael Manley...Michael Manley non ha fallito, ha avuto piu' successo in tanti campi di qualsiasi altro statista nella storia della Jamaica perche' ha portato una nazione con l'alfabetizzazione al 10% fino a circa il 30-40%, quindi lui non falli', lui apri' le porte ai Rasta come me. Prima c'erano posti in cui io non potevo andare senza subire le molestie della polizia, non potevo andare in giro in certi quartieri, dovevo spiegare alla polizia perche' stavo camminando li, e Michael Manley cambio' tutto questo, i Rasta non potevano entrare all'Epiphany Club o al Playboy Club, posti di gente per bene...Michael Manley cambio' tutto cio'...ma venne sabotato.

D: Fu anche la C.I.A., vero?
R: Non voglio puntare il dito, non lo so per certo ma si e' detto che questo sabotaggio si e' fatto con l'assistenza della C.I.A....

D: Pensi che lui era diverso da P.J.Patterson? (attuale Prime Minister jamaicano)
R: Si, era diverso da P.J. Patterson, nella mia mente P.J. Patterson e' un capitalista, e' l'esatto opposto di Michael Manley, tutto cio' per cui lavora oggi e' cio' che Michael Manley combatteva nel suo tempo, in questa situazione non posso dare lui alcun credito...

D: Ancora su quel periodo: sembra che per esempio Johnny Clarke non abbia fatto il successo che meritava a causa della sua militanza PNP. Alcuni produttori molto potenti nell'orbita del JLP non volevano avere rapporti con quel tipo di artisti. Hai avuto simili problemi a causa della tua militanza PNP, o hai avuto problemi, per esempio a attraversare certe aree, come militante PNP?
R: No, e non penso comunque di condividere questo discorso su Johnny Clarke e PNP: in Jamaica gli artisti non si schierano cosi' apertamente, magari cantano contro il governo se il governo non funziona. Dobbiamo stare neutrali perche' la nostra musica e' per tutta l'isola, PNP e JLP, e conoscendo Johnny Clarke...

D: Uno di questi produttori era Joe Gibbs, che dopo Bunny Lee divenne il piu' potente produttore e non voleva avere a che fare con Johnny...
R: Si, Joe Gibbs ebbe un ruolo in questa storia, ma non credo che fosse cosi' fortemente coinvolto nella politica, perche' sarebbe stato stupido a schierarsi in quel modo, se lui era del JLP, una volta che il PNP avesse avuto il potere avrebbe sicuramente sofferto le conseguenze di cio', cosi' credo questo e' un modo errato di vedere le cose.

D: Sappiamo che c'era un periodo in cui Lee Perry, Bunny Lee e Niney erano praticamente sempre insieme, presenziando tutte le loro sessions assieme e collaboravano molto attivamente tra loro e tu avevi una parte in tutto cio'. Puoi dirci qualcosa su questi tre produttori?
R: Loro erano sempre in competizione tra loro e se uno di loro aveva un grosso hit, gli altri cercavano di contrastare il successo in modo scherzoso magari ri-registrando lo stesso ritmo e usando qualche altro artista come per esempio io per fare un altro brano, questa era la loro gara, ma era piu' divertimento che rivalita'. Quando si misero insieme producendo ritmi e canzoni, gia' erano molto bravi presi individualmente, e quando si misero insieme divennero ancora piu' forti, mettevano i loro talenti in collaborazione e producevano cose assolutamente uniche.
Erano sempre buoni amici, facevano molte cose insieme, noi ci co-producevamo l'un l'altro, cose del genere, era come un unico pacchetto di artisti e produttori. Poi Bunny Lee si mise in proprio e tra Lee Perry e Niney arrivo' la rivalita' e si divisero di nuovo, Bunny Lee divenne The Aggrovator, Niney divenne The Observer e Lee Perry The Upsetter.

D: A Roma ci sara' nel 2000 il grande giubileo dei cattolici. Tu hai cantato 'Fire for the Vatican': cosa pensi di Roma ed il Papa?
R: Dunque, noi Rasta disapproviamo il modo che ha la chiesa cristiana di legarsi agli stati del mondo per opprimere la gente in nome di Dio, e la cristianita' in generale.
Tutti i paesi cristiani sono diventati i paesi al mondo dove e' esercitata la peggiore crudelta'. La Giamaica e' il paese numero uno in fatto di chiese, ci sono piu' chiese per miglio quadrato che in ogni altro paese al mondo e siamo diventati una delle piu' crudeli nazioni sulla terra. Quando c'e' un funerale la chiesa guadagna soldi, cosi' piu' gente muore e piu' denaro loro mettono insieme.
Le nazioni cristiane al mondo sono le piu' crudeli, puoi controllare tu stesso! L'America ha chiesto scusa per il suo ruolo nella deportazione e la brutalita' contro la razza nera. La chiesa invece non lo ha mai fatto e il suo coinvolgimento nella schiavitu' dei neri era molto alto. Non voglio dare alcun credito ai cristiani...

D: E cosa pensi di Gesu' Cristo? Ci sono molti Rasta che parlano contro di lui...
R: Non lo conoscono! Loro apprendono dalla Bibbia chi fu Gesu' Cristo e la Bibbia non ti dice niente su di lui. La Bibbia racconta la nascita, la morte e la resurrezione, ma la verita' su di lui e' stata eliminata dalla Bibbia perche' lui non e' un cristiano.
Cristo fu nu rivoluzionario che lotto' per i diritti della povera gente e loro lo uccisero e specularono sul suo nome per i loro interessi, questo e' il concetto di Cristo. La Bibbia non porta alcun insegnamento su Cristo, parla solo di re e profeti, ci sono diciotto anni nella vita di Cristo che sono spariti dalla struttura della Bibbia, cosi' come possono parlarmi di Cristo? Non ne sanno nulla.

D: Cosi' Rasta dice che Cristo era un profeta ed un rivoluzionario ma non un Dio...
R: Cristo non poteva essere Dio. Se lo fosse stato poteva salvarsi la vita quando lo uccidevano.
Cristo era un leader, un uomo con un messaggio, come me o qualsiasi altro uomo che sceglie di portare un messaggio alla gente. Cristo cammino' per migliaia di miglia predicando ed insegnando, poi fece un errore ed essi lo uccisero ed usarono il loro nome per il loro vantaggio. Ecco come lo vedo io: non ho letto questo. E' solo come vedo le cose.

lunedì, aprile 14, 2025

Steve Wynn Trio (con Rodrigo D’Erasmo e Enrico Gabrielli)
12 Aprile 2025, Ristorazione Sociale, Alessandria.

L'amico e collaboratore FABIO PASQUARELLI ci regala questa entusiasta recensione del concerto di Steve Wynn Trio (con Rodrigo D’Erasmo e Enrico Gabrielli), 12 Aprile 2025, Ristorazione Sociale, Alessandria.

Un monologo, un racconto, una confidenza e un concerto: questo è ciò che Steve Wynn (storico leader dei Dream Syndicate e leggenda della musica undeground americana) ha messo in scena per il numeroso pubblico accorso nella serra della Ristorazione Sociale di Alessandria lo scorso sabato 12 aprile.

Questa formula ibrida è stata scelta del musicista per mettere in scena la sua autobiografia “Non Lo Direi Se Non Fosse Vero”, recentemente pubblicata anche in Italia da Jimenez Edizioni.

Per accompagnarlo in questa narrazione, Steve ha scelto la collaborazione di Rodrigo D’Erasmo (violino ed effetti) ed Enrico Gabrielli (tastiere, sax, flauto traverso), due dei musicisti più versatili, colti e sensibili della scena italiana contemporanea.

Il racconto a parole di Wynn inizia nei primi anni 70 in California, con l’infanzia trascorsa in un contesto sociale ancora molto influenzato dai sixties, sempre con la bussola della musica a tracciare un percorso, dal primo blues composto a nove anni alle cover degli Stones coi compagni di scuola.

Parla in tono confidenziale Steve, raccontando tutto con semplicità, mai cattedratico o egoriferito, sempre con un sorriso estatico sulle labbra.

Alcune piccole intermittenze della passione musicale giovanile l’avrebbero portato verso l’illuminazione: la puntina che scende sulla prima traccia del primo album dei Velvet Underground:
“I Velvet ti possono piacere o non piacere, magari non oggi, magari domani, magari mai, c’è fuori tanta musica per accontentare tutti. Ma se capisci i Velvet Underground sei da questa parte della storia. In quel momento, la mia vità cambiò per sempre”.

Ingresso di D’Erasmo e Gabrielli, “Sunday Morning” dolcissima e struggente tra violini, tastiere e chitarre acustiche, e Steve ad agitare lo spettro inquieto di Lou Reed.
Confesso di essermi emozionato come non mi capitava da tempo.
E poi una valigia aperta di racconti e avventure (incredibile la storia dell’allontanamento da casa per andare a Memphis a conoscere il suo idolo decaduto, Alex Chilton dei Big Star), fino ad arrivare ai Dream Syndicate e alle canzoni del loro debutto “The Days Of Wine And Roses”.
Un album registrato in una notte e mixato e ultimato in altre due, il disco in cui Steve e il suo gruppo costruirono la musica che avrebbero voluto ascoltare e che non esisteva da nessuna altra parte.
“Tell Me When It’s Over”, “That’s What You Always Say”, “When You Smile” ricevono un trattamento emozionale inedito, con Gabrielli e D’Erasmo che escono dalla zona di comfort dei loro strumenti per accompagnare Wynn in versioni notturne e rarefatte di questi piccoli classici.

Steve parla di tour, di sogni, di gioventù, di aggregazione e di quel realismo magico che solo la vita underground può dare, con le canzoni a raccordare tra di loro le storie.

Poi ancora avanti, al difficile secondo album, in cui la libertà e l’urgenza vengono in qualche modo veicolate da una grossa casa discografica, con un budget consistente e un produttore importante a fare da filtro. Il blocco creativo, i tempi che si allungano, il punk sempre più lontano.
“Medicine Show” suonata come se Steve ci avesse fatto pace introduce all’ultima parte dello spettacolo, che corrisponde allo scioglimento della band dopo l’album “Ghost Stories”, con una versione erratica del classico “Boston”.
“Lo spettacolo sta per finire questa sera perché in questa parte della storia si interrompe il libro, ma le cose sono andate avanti”.

A questo punto Wynn si lascia andare ad un bilancio della sua vita spesa a suonare, dai palchi giganteschi delle tournée con gli U2 e coi REM fino ai piccoli club, dai tempi del Paisley Underground ai dischi solisti, e alla resurrezione dei Dream Syndicate nel 2012, sempre allo stesso livello del suo pubblico, sempre attento a quanto la sua musica e le sue parole contino per chi sta giù dal palco, con un’umanità e un’empatia veramente rare.
Conclusione con “Make It Right” dal suo ultimo album.

Inchino dei musicisti, fine del concerto, fine del tour italiano.
Prima di andare (direttamente a Malpensa con un biglietto per New York) un ultimo stop al banco del merch, per prendersi cura di ognuno dei suoi fans (o sarebbe meglio chiamarli “amici”?) e dare loro l’appuntamento al “prossimo giro” dopo una serata indimenticabile.

Steve Wynn: un esempio, un gentleman, un punk.

Una menzione speciale va all’organizzatore Salvatore Coluccio, che periodicamente ci ricorda quanto la provincia abbia tutto il potenziale per uscire dalla provincia.
Related Posts with Thumbnails